Con il presente contributo ci si pone l’obbiettivo di analizzare quali siano le principali modifiche apportate all’istituto del concordato preventivo a seguitodell’emanazione del Codice della Crisi d’Impresa, con particolare riguardo alle novità che andranno ad incidere sul perimetro applicativo delle sue varianti contenutistiche, il concordato liquidatorio ed in continuità aziendale.
In quest’ottica verrà approfondita la progressiva trasformazione della disciplina del concordato liquidatorio in regime d’eccezione, a fronte di un chiaro favor del legislatore verso soluzioni concordate idonee a garantire la conservazione dell’impresa sul mercato.
Saranno affrontate infine le principali criticità poste proprio dalle norme codicistiche in materia di concordato in continuità aziendale e, nello specifico, dei presupposti di ammissibilità della relativa domanda, così da esaltare possibili incoerenze tra le disposizioni legislative e gli obbiettivi perseguiti con la riforma.
The article’spurposeis to analyzethe mostimportantlegislativechanghesabout the procedure knownas «concordato preventivo» due to the entry into force of the new italianInsolvency Code in 2019.
In thisrespect, the transformation of liquidation’s rules from ordinary to special and the safeguarding of goingconcernwill be examined in order to define the scope of the new procedure.
Anyway, the conditions to beadmitted to a composition with a going-concern basis areunderdetailed investigation to clarify possible discordances between thedrafting of the Code and the objectives pursued by legislator.
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1. Il nuovo codice della Crisi d’Impresa - 2. Il perimetro applicativo del concordato liquidatorio: finis miseriaemors est - 3. La continuità (oggettiva) come valore-mezzo - 4. Criticità connesse al criterio di prevalenza quantitativa nel concordato in continuità - 5. La questione aperta del rischio come elemento della fattispecie concordataria - NOTE
Il governo, sfatando la nefasta e temuta possibilità di non esercitare la delega ad esso conferita con la L. n. 155/2017, ha finalmente pubblicato il tanto atteso D.Lgs. 14 febbraio 2019, n. 12, contenente il Codice della Crisi d’Impresa. Il lungo iter legislativo, avviato ormai più di un anno orsono, si è concluso con successo,segnando gli albori di una nuova “era” del diritto concorsuale. Un nuovo inizio con il quale ci si è riproposti di colmare le lacune e mancanze che affliggevano l’ormai vetusta Legge Fallimentare, logorata da continue quanto persecutorie riforme che hanno impedito per anni la costruzione di un vero e proprio “sistema” delle procedure concorsuali. Pregnante, nel nuovo Codice, appare essere la rivisitazione strutturale della procedura fallimentare, rinominata “Liquidazione Giudiziale” [1]edadattatacon lo scopo di renderla piùefficiente oltre che capace di conciliare al meglio gli interessi dei creditori e dell’imprenditore in crisi [2]. L’emersione anticipata della crisi,considerata in una prospettiva di massima tutela della continuità aziendale [3],risulta essere tuttavia il vero obbiettivo perseguito dal legislatore, alla base dell’introduzione di sistemi di allerta preventiva non conosciuti prima d’oggi nel nostro ordinamento, la cui efficacia e sostenibilità è ampiamente dibattuta dagli autori che si sono occupati delle novelle in parola [4]. Si rivelerebbe senz’altro interessante un’analisi mirata ad approfondire le novità inerenti al fallimento ed alle misure di allerta, veri protagonisti della riforma, se non che in tal sede si preferisce porre attenzione rispetto a procedure concorsuali che parrebbero a prima vista passare in secondo piano, nonostante la significatività dei mutamenti che investiranno la relativa disciplina. Ci si concentrerà, dunque, sulle modifiche apportate al concordato preventivo ed in particolare al concordato in continuità aziendale. Quest’ultimo istituto, introdotto solo nel 2012, avrebbe dovutoinfatti rappresentare un valido strumento di reazione rispetto alla tendenza assolutamente dominante di utilizzare il concordato preventivo a fini prettamente liquidatori, con conseguente dissolvimento delle aziende. Non a caso si sceglie il modo condizionale poiché l’art. 186-bisL. Fall., fin dal suo [continua ..]
Le modifiche apportate in materia paiono ridefinire sensibilmente il rapporto oggi esistente tra campo di applicazione dell’art. 182 L. Fall.(Concordato con cessione dei beni) e dell’art. 186-bisL. Fall. (Concordato con continuità), nel contesto di un ragionato percorso di marginalizzazione dello scenario liquidatorio, giàavviato con l’introduzione della soglia minima di soddisfacimento dei creditori chirografari nel 2015 [9]. In quel caso fu manifestata una chiara intenzione di rivalutareil concordato con cessione dei beni e, intervenendo proprio sui presupposti di ammissibilità della domanda, si era così deciso di imporre al debitore di assicurare la soddisfazione dei creditori in chirografo in misura almeno pari o superiore al 20% dell’ammontare complessivo del credito [10]. Vi è di più, nelle intenzioni del legislatore dell’odierna riforma la variante liquidativa doveva essere del tutto eliminata se non che tale opzione radicale ha lasciato spazio ad un’impostazione più moderata [11], che vede sopravvivere il concordato liquidatorio, rimasto tuttavia agonizzante in attesa di un’inesorabile quanto prossimo tramonto [12]. Il nuovo Codice, all’art. 84, 4° comma, prevede espressamenteche“Nel concordato liquidatorio l’apporto di risorse esterne deve incrementare di almeno il dieci percento, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non può essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell’ammontare complessivo del credito chirografario”. È di tutta evidenza come si sia colta l’occasione per restringere ancor più il perimetro applicativo dell’istituto,prescrivendo che la finanza esterna debba rappresentare un quid plurische aumenti del 10% la percentuale di soddisfacimento conseguibile dai creditori in sede fallimentare, affinché la domanda possa considerarsi ammissibile. Le ragioni di un simile ed oserei dire “aggressivo” approccio riformatore al concordato preventivo risiedono tanto nell’esigenza di evitare indebiti abusi della procedura, spesso premeditati per ritardare il fallimento [13], quanto nel favorire soluzioni concordate fondate sulla prosecuzione delle attività aziendali o, se liquidatorie, strutturate in maniera tale da garantire un vantaggio [continua ..]
Quanto esposto in tema di concordato liquidatorio rende lampante ciò che qui interessa maggiormente ossia il completo capovolgimento di fronte, operato da una riforma che trasforma la regola (il concordato liquidatorio) in eccezione e l’eccezione (il concordato con continuità) in regola. Il regime del concordato in continuità diverrà pertanto il regime generale del concordato preventivo che, con l’estinzione della variante liquidatoria, finirà per immedesimarsi totalmente in quella che inizialmente era una sua speciale variante contenutistica. Occorre allora comprendere quali sono le principali novità che andranno a riformare l’attuale disciplina posta dall’art. 186-bisL. Fall.,con particolare attenzione ai profili di ammissibilità della domanda e, dunque, all’accertamento giudiziale circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie in esame, siano essi inerenti alla strutturaovvero relativi alla funzione dell’istituto, alla sua causa (concreta). Procedendo in tal direzione, d’obbligo è l’analisi dell’art. 84 del Codice, rubricato “Finalità del concordato preventivo”. Il 1° comma della citata disposizione, coerentemente con la rubrica dell’articolo, conferma la centralità delle ragioni creditorie, che rappresentano il fine unico ed imprescindibile della procedura, ribadendo il nesso strumentale che lega continuità e cessiobonoruma quest’obbiettivo. Una simile precisazione potrebbe sembrare scontata agli occhi di chi legge sebbene le vicissitudini che hanno riguardato il concordato con continuità aziendale dimostrino come vi sia stato il bisogno, in più occasioni, di ribadireil rapporto servente della continuità rispetto alla necessità di soddisfare i creditori concorsuali [26]. Correttamenteattenta dottrina rileva l’utilizzo dell’aggettivo “prioritario”, riferito all’interesse creditorio, così sottolineando l’astratta finalizzazione della procedura alla tutela di interessi diversi [27]. Simili osservazioni meritano senz’altro accoglimento ed il concordato in continuità aziendale, dopotutto, è procedura che di per sé consente di coagulare intorno alle ragioni creditorie interessi eterogenei, riferibili anche alla collettività e perseguibili fintanto che dalla [continua ..]
Un secondo elemento del quale le norme codicistiche si occupano, la prevalenza, ha posto fino ad oggi l’interprete di fronte a delle criticità che, per ora, non sono state risolte. Eppure la questione è di vitale importanza nell’ottica di garantire un buon funzionamento dell’istituto, poiché implica delle scelte, da parte del legislatore, in ordine al criterio da utilizzare per “saldare” il presupposto strutturale della continuità oggettiva al profilo funzionale del miglior soddisfacimento dei creditori. Disciplinando la prevalenza il legislatore ha così tentato di dar risposta ad una serie di interrogativi inerenti ai criteri di qualificazione di piani concordatari che prevedano sia la cessione dei beni non funzionali, sia la prosecuzione delle attività aziendali, i c.d. concordati misti. L’art. 186-bisL. Fall. dispone infatti che“il piano può prevedere la liquidazione di beni non funzionali”, legittimando così i piani concordatari misti senza tuttavia stabilire un criterio per determinare la disciplina loro applicabile [30]. Non è infatti immaginabile che ogniqualvolta il piano preveda la continuità il debitore possa fruire dei vantaggi previsti dalla norma speciale poiché così facendo si sdoganerebbe l’utilizzo spregiudicato e sicuramente abusivo del concordato in continuità. La soluzione adottata nel Codice della Crisi d’Impresa, già elaborata dalla giurisprudenza prevalente [31], non è tuttavia esente da critiche, talora imponenti, poiché potenzialmente capace di porre nel nulla l’obbiettivo perseguito dal riformatore di favorire strumenti di gestione della crisi che permettano all’impresa di rimanere sul mercato. Il 3°comma dell’art. 84 recita “Nel concordato con continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta ed indiretta, ivi compresa la cessione del magazzino”. Il concordato potrà pertanto considerarsi in continuità fintanto che la maggior parte delle risorse destinate ai creditori provenga dall’esercizio aziendale, sulla base di una comparazione in chiave prospettica dei flussi di cassa derivanti dalla continuità e dalla liquidazione degli assets non funzionali. Il criterio quantitativo, così come [continua ..]
La regola della prevalenza quantitativa, in tema di concordato in continuità, non risulta essere l’unica novità significativa nel contesto del Codice. Se si presta attenzione alla formulazione del comma appena analizzato, certo si noterà di come il legislatore si sia premurato di specificare che: “Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato della continuità aziendale diretta o indiretta”. Una precisazione ovvia per quanto riguarda la prosecuzione diretta, oscura in casi quali, ad esempio, la cessione o l’affittod’azienda, poiché ad essere destinati ai creditori non saranno mai i ricavi d’impresa bensì il prezzo della cessione o il canone d’affitto [35]. La norma, apparentemente contraddittoria, potrebbe celare un certo ragionamento, ragionamento che a sua volta involge una riflessione, ancora una volta, sugli elementi della fattispecie e sul funzionamento dello strumento concordatario. Ci si chiede, in particolare, se una simile previsione non implichi una presa di posizione in merito alla dibattuta questione del rischio d’impresa nel concordato in continuità aziendale o, meglio, alla necessità che la prosecuzione d’impresa rilevi sotto il profilo della fattibilità del piano anche nei casi di continuità indiretta. I Tribunali che dopo la riforma del 2012 avevano negato l’ammissibilità dell’affitto d’azienda ponevano spesso alla base della propria decisione l’esigenza che permanesse un certo rischio d’impresa in capo ai creditori concordatari, disposti ad accettarlo solo a condizione che fosse garantito loro un quid pluris rispetto alla liquidazione fallimentare [36]. Questa tesi, di per sé, è teoricamente condivisibile poiché il rischioè ciò che spiega, giustificandolo, il requisito funzionale del miglior soddisfacimento dei creditori, oltre all’esigenza di porre delle cautele ulteriori rispetto al concordato liquidatorio [37]. Che una certa alea debba sussistere, dunque, non è revocabile in dubbio seppur la citata giurisprudenza abbia spesso confuso i piani, utilizzando un simile argomento per limitare il campo oggettivo di applicazione dell’art. 186-bis, sulla scorta della considerazione per cui in casi quali l’affitto d’azienda il [continua ..]