Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Arbitrato, concordato preventivo e procedure concorsuali minori (di Guido Canale, Professore ordinario di Diritto processuale civile nell’Università del Piemonte Orientale)


il rapporto tra concordato preventivo e arbitrato presenta problemi particolari e in parte diversi da quelli, più conosciuti, che esistono nel rapporto tra fallimento e arbitrato. Il debitore durante la procedura mantiene l’amministrazione dei propri beni; l’art. 169-bis dell’attuale legge fallimentare fissa la regola, inversa a quella dettata dall’art. 83-bisL. Fall. in caso di fallimento, in base alla quale la clausola arbitrale mantiene efficacia in caso di scioglimento del contratto; qualora il concordato sia con cessione dei beni vi è la nomina del liquidatore e il debitore viene spossessato; infine, è stata introdotta nel nostro ordinamento la figura del concordato in continuità, i cui presupposti sono assai diversi dal concordato c.d. liquidatorio. Tutti questi problemi dovranno poi essere valutati anche alla luce delle disposizioni contenute nel codice della crisi e dell’insolvenza appena promulgato.

The relationship between arrangement with creditors and arbitration raises specific issues, that partially differ from those, more familiar, related to the relationship between bankruptcy and arbitration. During the procedure, the debtor retains the administration of his own assets; art. 169 bis of the current bankruptcy law sets the rule, opposite to that of art. 83 bis in case of bankruptcy, according to which the arbitration clause retains effectiveness in case of termination of contract; if the arrangement with creditors envisages the assignment of the assets to them, a liquidator is appointed and the debtor loses theirpossession; finally, the institute of arrangement in continuity has been introduced, whose requirements are widely different from those of the arrangement through liquidation. All these issues will need further assessment in the light of the provisions of the code of the crisis and insolvency that has very recently been issued.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza - 3. Disponibilità sostanziale e disponibilità processuale - 4. La convenzione di arbitrato - 5. La mancanza e/o i vizi dell'autorizzazione a stipulare la convenzione arbitrale, i rimedi e i loro effetti sul procedimento di arbitrato - 6. Lo scioglimento dalla convenzione di arbitrato - 7. La nomina dell’arbitro e del difensore e la disciplina del procedimento - 8. Scioglimento dalla convenzione ad arbitrato pendente e suoi effetti: esclusione del problema - 9. Il liquidatore nominato ai sensi dell'art. 182 L. Fall. e il problema della sua legittimazione - 10. (Segue):il problema e le sue soluzioni alla luce della riforma introdotta dal codice della crisi e dell'insolvenza - 11. Effetti della nomina del liquidatore sulla convenzione di arbitrato e sull'arbitrato pendente - 12. Il regime delle spese dell'arbitrato: loro natura privilegiata o prededucibile - 13. L'arbitrato e il concordato in continuità - 14. L'arbitrato irrituale e l'arbitrato in materia non contrattuale - 15. Il piano di risanamento e l'accordo di ristrutturazione - NOTE


1. Premessa

Il rapporto tra arbitrato e concordato preventivo, quanto mai complesso, è oggetto di scarso interesse da parte della dottrina, che solo in pochi e recenti casi se ne è occupata [1]. Ai consueti problemi che si pongono ogniqualvolta si affronta il rapporto tra arbitrato e fallimento si aggiunge il rilievo che nel concordato preventivo non esiste un generale rinvio alla disciplina del fallimento, richiamata volta per volta e per norme specificamente indicate dal legislatore, sicché, l’applicazione analogica delle (tormentate) soluzioni raggiunte sul rapporto tra arbitrato e fallimento è sovente quanto mai dubbia. Negli ultimi anni, poi, il concordato preventivo ha in parte mutato natura, presentandosi oggi in due fattispecie del tutto diverse tra loro: da un lato, il concordato comunemente denominato liquidatorio e, dall’altro, quello in continuità, a sua volta suddiviso in continuità diretta e continuità indiretta; e le due fattispecie divergono profondamente sia per finalità sia per disciplina. La progressiva espansione del fenomeno arbitrale e il contemporaneo maggior ricorso al concordato preventivo, soprattutto a seguito delle riforme della legge fallimentare succedutesi a partire dal 2004, hanno tuttavia imposto il tema all’atten­zione degli operatori professionali. L’idea di dedicare una riflessione al rapporto tra i due istituti è dunque quanto mai opportuna. L’opportunità trova ulteriore sostegno nel rilievo che è stata promulgata, sebbene non ancora in vigore, la riforma complessiva della legge fallimentare [2], i cui effetti, sul discorso che si andrà qui di seguito sviluppando, dovranno essere tenuti presenti. Prima di affrontare il tema sono utili alcune brevi premesse. Innanzitutto, occorre ricordare che il concordato preventivo, al contrario del fallimento, non prevede lo spossessamento del debitore, ma una sua attenuazione secondo le regole fissate dall’art. 167 L. Fall. (oggi art. 94); e, inoltre, al concordato preventivo, quanto meno sino alla pronuncia del provvedimento di omologa, non si applica l’art. 43 L. Fall. (oggi, 143), sicché il debitore mantiene la capacità processuale. Questo primo principio comporta che nel concordato preventivo ben possa accadere che il debitore si determini a concludere una convenzione di arbitrato (sia in forma di compromesso sia di clausola [continua ..]


2. Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza

La riforma complessiva della legge fallimentare contenuta nel Codice della crisi e dell’insolvenza, di recente promulgato, non incide in modo significativo sul tema oggetto del presente scritto. Immutato è l’art. 169-bis, oggi art. 97, commi da 8 a 13; immutato è anche l’art. 167, oggi art. 94, cui si aggiunge, senza significative modifiche, l’art. 46. Anche con la riforma il legislatore null’altro dice sui molteplici problemi al nostro esame; ma la considerazione non deve stupire, poiché, anche con riguardo al finitimo tema dei rapporti tra arbitrato e fallimento, il legislatore nulla ha aggiunto a quel poco già contenuto nella attuale disciplina fallimentare. L’unica norma, di nuova introduzione, che ha rilievo su uno dei profili che verranno affrontati, è l’art. 115 [4], in base al quale il liquidatore giudiziale (nominato, ai sensi dell’art. 114, in caso di cessione dei beni) esercita, o se pendente prosegue, ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti, nonché l’azione sociale di responsabilità [5].


3. Disponibilità sostanziale e disponibilità processuale

L’art. 806 c.p.c., dopo la riforma del 2006, prevede l’arbitrabilità per le sole controversie che abbiano ad oggetto diritti disponibili; è questo il principio fondamentale che governa la devoluzione ad arbitri di una lite e che costituisce un limite insormontabile [6], anche se, per il vero, residuale, poiché non è frequente che il debitore in procedura concordataria coltivi liti su diritti indisponibili [7]. Si parla, in questo caso, di indisponibilità sostanziale, vale a dire la (in)disponibilità del diritto sostanziale che costituisce oggetto della decisione arbitrale; e non vi è dubbio che questo limite sussista e si imponga anche al debitore concordatario e alla sua procedura [8]. Tuttavia, anche in caso di concordato (come in modo assai più esteso accade nel fallimento), sussiste un limite, che può essere individuato nel modello processuale, al quale quella controversia sarebbe soggetta ove esercitata secondo le regole processuali dettate dalla legge fallimentare. In questi casi il diritto oggetto di giudizio è, e rimane, compromettibile; il divieto non deriva dal rapporto sostanziale, bensì dal procedimento, al quale quel diritto è soggetto per il fatto che una parte è stata ammessa alla procedura concordataria. In generale [9], questo problema non è usualmente affrontato, poiché l’arbitrato si pone come alternativa all’ordinario processo di cognizione [10]; e per lo più il nostro ordinamento non conosce riti aventi natura esclusiva. Quando l’ordinamento appresta un rito speciale, caratterizzato da una maggior snellezza o celerità, esso è di norma previsto come alternativo al rito ordinario [11]; sicché, certo, agli arbitri non si può presentare una domanda caratterizzata dalla specialità del rito, ma non sussiste un limite, essendo sempre consentito – per regola generale – il rito ordinario; il limite, dunque, non sussiste per quei diritti che possono essere tutelati anche con un rito sommario o semplificato, ma soltanto quando quest’ultimo è esclusivo [12]. Nel concordato preventivo (come in linea generale nelle procedure concorsuali) il concetto di indisponibilità va declinato anche sotto il profilo processuale, poiché esiste il limite derivante dalla disponibilità del processo, al quale [continua ..]


4. La convenzione di arbitrato

Individuata l’area oggettiva di compromettibilità dei diritti, il primo problema concerne la conclusione della convenzione di arbitrato. Il debitore concordatario è il titolare della situazione sostanziale ed è dunque legittimato a concludere una convenzione di arbitrato [17]. Tuttavia, il debitore, che abbia presentato domanda di concordato preventivo, deve rispettare il disposto del­l’art. 167 L. Fall. (oggi, art. 94), a mente del quale il compromesso è qualificato atto di straordinaria amministrazione, per il quale è necessaria l’autorizzazione del giudice delegato. In caso di concordato preventivo [18], dunque, come in caso di fallimento, vi è una disciplina diversa e più stringente di quella dettata dagli art. 806 c.p.c. e ss., poiché il compromesso è considerato atto di straordinaria amministrazione [19]. Se, invece, il debitore si determina a sottoscrivere un contratto, che contenga una clausola compromissoria, occorre porsi il problema se valga il disposto dell’art. 808 c.p.c., a mente del quale il potere di concludere il contratto comprende sempre il potere di convenire il patto arbitrale e sia dunque derogata la previsione contenuta all’art. 167 L. Fall. (oggi art. 94). L’opinione classica (per lo più sostenuta in riferimento all’art. 35 L. Fall. in merito ai poteri del curatore fallimentare) riteneva che la conclusione di una clausola compromissoria rientrasse tra gli atti di straordinaria amministrazione e che il debitore concordatario necessitasse di apposita autorizzazione; e si interpretava in senso estensivo il termine “compromesso” contenuto al­l’art. 35 L. Fall. e all’art. 167 L. Fall. [20]. Non credo [21] che l’autorizzazione sia in questo caso necessaria; la norma positiva è chiara nel limitare l’autorizzazione al solo compromesso e non si presta ad una estensione, che sarebbe priva di giustificazione; nel caso della clausola compromissoria, infatti, la scelta di sottrarre le eventuali liti alla giurisdizione togata per affidarla a quella degli arbitri non è affatto svincolata dalla genesi del rapporto sostanziale; essa costituisce uno dei molteplici accordi che il debitore assume in occasione della stipula di un contratto a seguito della relativa negoziazione. Inoltre, credo che l’equivalenza di effetti tra decisione degli arbitri e [continua ..]


5. La mancanza e/o i vizi dell'autorizzazione a stipulare la convenzione arbitrale, i rimedi e i loro effetti sul procedimento di arbitrato

Occorre anche prendere in esame la sorte del compromesso e/o della clausola compromissoria conclusi dal debitore senza la necessaria autorizzazione del giudice delegato ai sensi dell’art. 167 L. Fall. (oggi, art. 94); a prescindere dalle conseguenze per il debitore, che potrebbe essere assoggettato alla procedura di revoca del­l’ammissione prevista dall’art. 173 L. Fall. (oggi, art. 106) [28], la questione è quali siano gli effetti della mancanza di autorizzazione (ovvero di un suo vizio) sulla convenzione di arbitrato e/o sul giudizio arbitrale avviato. Il secondo comma della norma in questione prevede che gli atti compiuti in assenza di autorizzazione siano inefficaci nei confronti dei creditori anteriori all’apertura della procedura concordataria. Di recente si è sostenuto che, qualora la convenzione di arbitrato non autorizzata sia conclusa con un creditore anteriore, essa sarebbe valida ed efficace, poiché (i) la disciplina dell’inopponibilità ex art. 167 L. Fall. (oggi, art. 94) sarebbe una prerogativa del solo creditore e non del debitore concordatario, (ii) il creditore anteriore avrebbe rinunciato per fatti concludenti o per contrarius actus alla tutela dettata dal­l’art. 167 L. Fall. (oggi, art. 94) e (iii) ove il lodo sia pronunciato, l’efficacia di que­st’ultimo prevarrebbe sull’inopponibilità ex art. 167 L. Fall. [29]. Un problema simile si pone anche in tema di fallimento, dove l’opinione prevalente [30] ritiene che la mancanza di autorizzazione alla stipulazione del compromesso o i vizi che la possano affliggere rendano annullabile l’atto compiuto dal curatore, ad istanza della sola procedura (e, dunque, con una soluzione di tenore esattamente opposto a quella poc’anzi ricordata), in applicazione analogica delle norme dettate dal codice civile a tutela degli interessi degli incapaci; si osserva che nel nostro ordinamento l’annullabilità è la sanzione tipica prevista nei rapporti tra autorizzazione e atto da autorizzare e che, secondo i principi generali, l’atto annullabile esplica i suoi effetti sino alla pronuncia di annullamento richiesta dalla parte legittimata, con ciò applicando l’art. 1441 c.c. Di conseguenza, si è sostenuto che sarebbe preclusa al curatore [31] la deduzione del vizio apud arbitros. Il ragionamento può essere applicato, per [continua ..]


6. Lo scioglimento dalla convenzione di arbitrato

Il tema successivo riguarda la possibilità per il debitore di sciogliersi dalla convenzione di arbitrato; in questo caso l’art. 169-bisL. Fall. (oggi, art. 97) prevede, con una norma distonica nell’ambito della legge fallimentare, di segno del tutto contrario a quella contenuta all’art. 83-bisL. Fall. (oggi, art. 192), che lo scioglimento del contratto non abbia effetto sulla clausola compromissoria nel medesimo contenuta, la quale mantiene intatta la sua efficacia. Innanzitutto, va subito chiarito che laddove il curatore si trovi di fronte ad un contratto non più in essere tra le parti (perché conclusosi con l’adempimento delle reciproche prestazioni, in esito alle quali residuino contestazioni, ovvero perché già risolto tra le parti prima dell’inizio della procedura), nel quale vi fosse una clausola compromissoria, non può trovare applicazione l’art. 169-bisL. Fall. (oggi, art. 97), in assenza del presupposto fattuale della possibilità, per la procedura, di sciogliersi dal vincolo contrattuale [42]. La norma in questione, nella sua sinteticità, pone molti problemi. Il primo è relativo alla sua ampiezza e se, dunque, possa essere riconosciuta al debitore in concordato la facoltà di sciogliersi dal compromesso. Il problema non è nuovo [43], poiché si pone in termini sostanzialmente identici anche in caso di fallimento, atteso il tenore dell’art. 83-bisL. Fall. (oggi, art. 192); e l’opinione del tutto prevalente ritiene preferibile, in quella sede, l’interpretazione estensiva, in forza della quale il fallimento può sciogliersi anche dal compromesso e non solo dalla clausola arbitrale, non essendovi ragione per differenziare le soluzioni [44]. Il compromesso e la clausola compromissoria, infatti, hanno sin dalla loro stipulazione, l’identico effetto di sottrarre la controversia all’autorità giudiziaria, individuando nell’arbitrato lo strumento per la sua risoluzione [45]; tale identità di ratio induce ad accogliere – in caso di fallimento – la medesima soluzione per entrambe le ipotesi: anche in presenza di un compromesso per arbitri la norma dovrà trovare applicazione ogniqualvolta il curatore si sciolga dal contratto sottostante, che costituisce la ragione per la quale la lite devoluta agli arbitri è sorta [46 ]. In caso di [continua ..]


7. La nomina dell’arbitro e del difensore e la disciplina del procedimento

In tutte le ipotesi, nelle quali il debitore concordatario è vincolato al patto arbitrale, egli è tenuto alle regole di esecuzione del medesimo. Ciò deve essere ribadito poiché, talora, si è affermato che la procedura, pur vincolata al patto, potrebbe sciogliersi dal rapporto con l’arbitro nominato prima dell’inizio della procedura concordataria, in forza della pretesa autonomia del contratto di arbitrato, che si conclude tra la parte e l’arbitro di propria nomina. Il debitore non ha la facoltà di incidere parzialmente sulle pattuizioni contrattuali o sulla sua esecuzione [55]; d’altronde, in seguito alla nomina dell’arbitro e alla sua accettazione, sorge un rapporto – variamente qualificato [56] – tra l’arbitro e tutte le parti del giudizio arbitrale e lo scioglimento del rapporto deve provenire congiuntamente da tutte le parti, rimanendo inefficace quello che provenisse dalla sola parte che aveva provveduto alla nomina [57]. In presenza di una valida convenzione di arbitrato, il debitore concordatario può dare inizio al giudizio arbitrale, in linea generale, senza necessità di autorizzazione da parte degli organi della procedura. Ciò deve essere ribadito per un duplice ordine di ragioni; in primo luogo perché esiste un isolato precedente della Suprema Corte [58], ad avviso del quale l’accettazione dell’arbitrato (sia dal lato attivo sia da quello passivo) costituirebbe sempre un atto di straordinaria amministrazione. In secondo luogo perché, anche con riferimento all’instaurazione di un giudizio innanzi al giudice togato, vi è chi ritiene si tratti di un atto che necessiti dell’autorizzazione del giudice delegato ai sensi dell’art. 167 L. Fall. [59]. Sul primo profilo, a prescindere dalla particolarità del caso deciso dalla Corte suprema [60], la tesi mi pare del tutto inaccettabile. In primo luogo, la convenzione di arbitrato vincola le parti e il suo adempimento, come quello di qualsivoglia altro rapporto, costituisce atto di ordinaria amministrazione; in secondo luogo, è il legislatore stesso a predicare che il debitore concordatario, al contrario del curatore in caso di fallimento, non ha facoltà di mutare la scelta, poiché anche qualora decidesse di sciogliersi dal contratto, la convenzione arbitrale manterrebbe intatta la [continua ..]


8. Scioglimento dalla convenzione ad arbitrato pendente e suoi effetti: esclusione del problema

La radicale diversità dell’art. 169-bisL. Fall. (oggi, art. 97) dal contenuto dell’art. 83 L. Fall., oggi art. 192, (per l’analogo caso di scioglimento del contratto contenente la clausola compromissoria) provoca, per coloro che ritengono possibile lo scioglimento dalla convenzione di arbitrato, un ulteriore profilo problematico: se sia possibile lo scioglimento ad arbitrato iniziato e, in caso di risposta positiva, quali ne siano gli effetti sul giudizio arbitrale pendente. Se si condividono le osservazioni prima svolte, a mente delle quali lo scioglimento dalla convenzione di arbitrato non è consentito in caso di concordato preventivo, il problema non ha ragione di esistere e può dunque essere accantonato.


9. Il liquidatore nominato ai sensi dell'art. 182 L. Fall. e il problema della sua legittimazione

Si è ricordato in apertura che la procedura di concordato non priva il debitore dell’amministrazione del suo patrimonio; ed è pacifico che il debitore, in assenza di una norma del tenore dell’art. 43 L. Fall., conservi la legittimazione per tutte le controversie, sebbene inerenti il patrimonio assoggettato alla procedura [68]. Sul punto non vi è ovviamente differenza tra una lite innanzi al giudice togato e una lite avanti gli arbitri; il debitore concordatario, durante la procedura, potrà proseguire la lite pendente sia innanzi agli arbitri sia innanzi al giudice. In questa fase (vale a dire dal deposito della domanda alla pronuncia del provvedimento di omologa) esiste la figura del commissario giudiziale, il quale ha funzioni di supervisione, controllo e verifica, con esclusione di una sua legittimazione nelle liti del debitore concordatario [69]. La procedura di concordato si conclude con l’intervenuta definitività del provvedimento di omologa; ma se si parla di un concordato con cessione dei beni (ovvero liquidatorio, secondo la moderna definizione, che, in realtà, ha sino ad oggi costituito la prevalente fattispecie), si apre la fase di esecuzione del concordato; e con la pronuncia di omologa vi è la nomina del liquidatore (oggi prevista dall’art. 114), che, secondo l’opinione preferibile costituisce un organo della procedura [70], dovendosi subito escludere l’idea che il liquidatore possa essere considerato un sostituto processuale del debitore o un suo rappresentante; non è un sostituto del debitore poiché nulla chiede a vantaggio del debitore, come invece dovrebbe accadere se ne fosse il sostituto processuale, poiché egli agisce a esclusiva tutela della posizione della liquidazione. Neppure può essere considerato un rappresentante del debitore, mancando l’essenziale contemplatio domini e, inoltre, poiché il liquidatore non indirizza la sua attività a vantaggio del debitore [71]. Con la nomina del liquidatore i problemi concernenti la sorte dell’arbitrato (e, ancor prima, della convenzione di arbitrato) si moltiplicano, alcuni essendo di non facile soluzione. Prima di affrontare il tema specifico, è necessario affrontare una questione preliminare di assoluto rilievo: quella della legittimazione, essendo assai controverso se essa spetti al liquidatore, al debitore ovvero ad [continua ..]


10. (Segue):il problema e le sue soluzioni alla luce della riforma introdotta dal codice della crisi e dell'insolvenza

Il Codice della crisi e dell’insolvenza è intervenuto, almeno in parte, sul tema; si è prima ricordato, al par. 2, che il legislatore della riforma ha introdotto l’art. 115, con il quale si prevede che il liquidatore giudiziale (nominato, ai sensi dell’art. 114, in caso di cessione dei beni) eserciti, o se pendente prosegua, ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti, nonché l’azione sociale di responsabilità [93]. In tutti questi casi, dunque, la legittimazione è attribuita in via esclusiva al liquidatore; e se la domanda è già pendente, innanzi al giudice o all’ar­bitro, al liquidatore competerà la sua prosecuzione [94]. La legittimazione ad iniziare e/o proseguire tutte le azioni volte a conseguire la disponibilità dei beni, deve essere riferita, quanto meno a mio avviso, non solo alle azioni volte al recupero della mera disponibilità, bensì a tutte le azioni che abbiano ad oggetto la composizione del patrimonio attivo oggetto di cessione, anche se abbiano ad oggetto non solo la disponibilità del bene ma anche la sua titolarità. Una distinzione sul punto sarebbe davvero incomprensibile, sicché anche le azioni di terzi, volte a sottrarre un cespite al patrimonio attivo oggetto di cessione dovranno essere iniziate e/o proseguite nei confronti del liquidatore. Una prima conferma in tal senso proviene dalla espressa previsione che competa al liquidatore anche ogni azione volta al recupero dei crediti facenti parte del patrimonio oggetto di cessione, con una dizione che comprende, mi pare in modo inequivocabile, anche quelle concernenti la titolarità del credito. Una seconda conferma proviene dalla attribuzione al liquidatore della legittimazione ad esercitare l’azione di responsabilità, anche senza la preventiva delibera dell’assemblea, poiché l’ampia previsione comprende, anche in questo caso, la sussistenza del diritto fatto valere. Vi è poi un argomento a mio avviso decisivo a sostegno del riconoscimento della legittimazione in via esclusiva al liquidatore; in caso di concordato liquidatorio, per effetto del provvedimento di omologa cessa lo spossessamento attenuato previsto dall’art. 167 L. Fall. (oggi, art. 94) e la [continua ..]


11. Effetti della nomina del liquidatore sulla convenzione di arbitrato e sull'arbitrato pendente

La attribuzione della legittimazione al liquidatore, quale ne sia l’ampiezza, pone molteplici problemi; il primo concerne la sorte della lite che debba iniziare successivamente alla pronuncia dell’omologa e alla nomina del liquidatore, laddove la controversia dovrebbe essere devoluta in arbitrato per effetto di una convenzione sottoscritta dal debitore o a lui opponibile [97]. In questo caso mi pare che la soluzione sia differente a seconda che la convenzione di arbitrato sia antecedente al deposito della domanda ovvero successiva. Nel primo caso, infatti, la convenzione sottoscritta dal debitore è inefficace nei confronti del liquidatore; occorre una adesione di quest’ultimo al patto arbitrale, in mancanza della quale la lite non potrà essere dedotta in arbitrato. Nel secondo, laddove la convenzione sia stata sottoscritta a procedura concordataria iniziata (i.e., ad avvenuto deposito della domanda), mi pare che la clausola si imponga anche al liquidatore; secondo l’opinione che mi pare preferibile, il provvedimento di omologa retroagisce alla data di presentazione della domanda di concordato [98] e, inoltre, gli atti legittimamente compiuti dal debitore in corso di procedura si impongono anche al liquidatore. Sicché, in questo caso, la lite potrà essere dedotta in arbitrato nei confronti del liquidatore, quale parte in senso sostanziale, che sarà colui che dovrà provvedere alla nomina dell’arbitro e a tutti gli incombenti successivi. Può anche accadere che la lite arbitrale sia pendente al momento della nomina del liquidatore; e può accadere che la nomina del liquidatore avvenga in presenza di una lite (i) pendente, iniziata prima dell’apertura della procedura e (ii) pendente, ma iniziata dopo il deposito della domanda di concordato, anche con riserva. Con l’entrata in vigore del Codice della crisi e dell’insolvenza il problema, visto l’art. 115, si porrà in tutte le liti aventi ad oggetto la composizione della massa attiva o quanto meno, per chi non condivida quanto poc’anzi sostenuto, per quelle espressamente individuate dalla norma in oggetto. Con riferimento alle liti aventi ad oggetto la massa passiva il problema si porrà in modo identico per chi condivide le osservazioni prima svolte. In quest’ultimo caso, tuttavia, il giudizio arbitrale potrà proseguire nei confronti del solo debitore [continua ..]


12. Il regime delle spese dell'arbitrato: loro natura privilegiata o prededucibile

Prima di concludere vi è un ultimo profilo: il regime delle spese da sostenersi per arbitri e difensori, poiché si discute se esse abbiano natura prededucibile o concorsuale privilegiata. Non vi è dubbio che esse abbiano natura prededucibile in tutte le situazioni, nelle quali l’arbitrato sorga nei confronti del debitore concordatario o per sua iniziativa; il problema esiste, dunque, soltanto per le situazioni, nelle quali l’arbitrato penda già al momento della domanda di concordato [105]. In queste ultime, credo sia preferibile la soluzione che ne riconosce la natura prededucibile, poiché il debitore e la procedura concordataria fanno propria l’attività già svolta e se ne avvantaggiano [106].


13. L'arbitrato e il concordato in continuità

Il discorso svolto sino ad ora ha avuto ad oggetto il concordato liquidatorio; tuttavia, si è ricordato in apertura che negli ultimi anni il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la figura del concordato in continuità [107], che si differenzia profondamente, per finalità e per disciplina, dal consueto concordato liquidatorio e che, alla luce della riforma introdotta dal Codice della crisi e dell’insolvenza, dovrebbe divenire la figura centrale e prevalente dell’istituto del concordato. Occorre dunque verificare se le soluzioni prima proposte debbano essere modificate per quest’ultima figura di concordato. Come noto, il concordato in continuità può essere attuato in forma di continuità diretta o indiretta [108]. Con la prima si individua la fattispecie, nella quale l’impren­ditore propone di sistemare la propria insolvenza (o situazione di crisi) con un accordo con i propri creditori, all’esito del quale egli continuerà la propria attività imprenditoriale così risanata. Con la seconda si intende una fattispecie assai diversa: quella, nella quale l’attenzione del legislatore si è posta sull’azienda (e non sull’im­prenditore) e nella quale il “salvataggio” dell’azienda o di un suo ramo avviene attraverso la sua circolazione a terzi, che proseguiranno nell’attività così risanata [109]. In caso di continuità diretta mi pare che poco vi sia da aggiungere a quanto esposto, con riferimento al concordato in generale, nelle pagine che precedono; e, in assenza di qualunque effetto “espropriativo” del patrimonio del debitore, la convenzione di arbitrato rimarrà vincolante e l’arbitrato eventualmente pendente potrà essere proseguito, senza che vi sia alcuna differenza con l’ipotesi che sia pendente una lite innanzi al giudice togato. In caso di continuità indiretta, invece, il problema si pone in termini diversi, poiché può accadere che il rapporto sostanziale, al quale accede la convenzione di arbitrato, circoli unitamente all’azienda o a un suo ramo. Si pone così il tema, noto, della circolazione della convenzione di arbitrato unitamente al contratto al quale essa accede; il tema da tempo ha destato l’interesse di dottrina e giurisprudenza che, per lo più, si pongono su posizioni [continua ..]


14. L'arbitrato irrituale e l'arbitrato in materia non contrattuale

Il nostro ordinamento conosce due forme di arbitrato: quello rituale e quello irrituale [116]. A seguito della riforma dell’arbitrato del 2006 è oggi sostanzialmente pacifico che il lodo rituale ha effetti di sentenza, mentre l’arbitrato irrituale ha mantenuto la propria specificità; sicché è aperto il problema di comprendere se le soluzioni prima prospettate, sul rapporto tra arbitrato e concordato preventivo, siano applicabili all’arbitrato irrituale ovvero se quest’ultimo debba trovare proprie soluzioni [117]. L’opinione prevalente, in dottrina e giurisprudenza, riteneva che l’arbitrato irrituale non fosse giudizio, ma rientrasse nell’ambito contrattuale, al quale si doveva fare ricorso per rinvenire i principi da applicare; e così si escludeva radicalmente la possibilità di rinvenire nel codice di procedura civile, vuoi per analogia vuoi per applicazione estensiva, la fonte per regolamentare le situazioni proprie dell’arbitrato irrituale [118]. La natura contrattuale dell’arbitrato irrituale avrebbe imposto – secondo l’opi­nione prevalente prima della riforma della legge fallimentare del 2004 (e di quella dell’arbitrato del 2006) – di risolvere la questione della sua sorte, in caso di procedura concorsuale di una delle parti, con l’applicazione delle regole sui rapporti contrattuali pendenti; e la discussione era limitata, per lo più, all’ipotesi di fallimento. Non vi era, peraltro, univocità di interpretazione; da un lato, si affermava che la clausola compromissoria per arbitrato irrituale sarebbe divenuta inefficace per effetto del fallimento di una parte contraente [119], mentre, dall’altro, si riteneva che ove il fallimento fosse stato dichiarato dopo l’apertura del procedimento arbitrale irrituale, non avrebbe potuto trovare applicazione l’art. 78 L. Fall., trattandosi, nel caso di specie, di un mandato collettivo [120] conferito anche nell’interesse del mandatario [121]. Innanzitutto, occorre prendere atto che l’art. 78 L. Fall., a seguito della sua modifica, non costituisce più un sostegno per queste tesi, neppure in caso di fallimento; oggi, infatti, il contratto di mandato si scioglie solo più in caso di fallimento del mandatario e non del mandante (e la disciplina contenuta nell’art. 183 del Codice della crisi e [continua ..]


15. Il piano di risanamento e l'accordo di ristrutturazione

Prima di concludere, occorre ancora spendere qualche osservazione in merito alle procedure concorsuali ulteriori, negli ultimi anni introdotte nel nostro ordinamento. Nessun problema pone il piano di risanamento attestato ai sensi dell’art. 67 L. Fall. (oggi art. 56 del Codice della crisi e dell’insolvenza); quest’istituto è privo di effetti, sostanziali e processuali, sul patrimonio del debitore e sulla disponibilità dei relativi diritti [128], sicché la convenzione di arbitrato e l’eventuale arbitrato già pendente non subiranno alcun effetto o conseguenza dalla attestazione di un piano di risanamento. A identica conclusione si deve anche pervenire in presenza di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis L. Fall. [129] (oggi, artt. 57 e ss. del Codice della crisi e dell’insolvenza); quest’ultimo – come noto – è un istituto chesi fonda su un accordo con tanti creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti (o del solo 30%, in caso di accordo di ristrutturazione agevolato, ai sensi dell’art. 60 della riforma) e sulla relazione di un professionista che ne attesta l’attuabilità. Il contenuto dell’accordo con i creditori aderenti è liberamente determinabile [130], mentre si deve assicurare l’integrale pagamento, nei termini fissati dalla legge, ai creditori non aderenti [131]. L’accordo di ristrutturazione è privo di qualsivoglia effetto in ordine alla capacità del debitore e al suo potere di amministrare, sia in via ordinaria sia in via straordinaria, il proprio patrimonio e in ordine alla sua capacità processuale. L’art. 182-bis, 6° comma, L. Fall. (oggi, art. 54) dispone unicamente il divieto per i creditori, per titolo o causa anteriore, di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari individuali nonché, ai sensi del 3° comma della medesima norma, anche l’acquisto di titoli di prelazione; il divieto può essere anticipato, anche alla fase delle trattative e prima della conclusione dell’accordo, su istanza del debitore; ma nulla è disposto in ordine alle liti pendenti, anche innanzi al giudice togato, che dunque possono iniziare o essere proseguite senza risentire effetto alcuno [132]. Gli effetti dell’accordo così raggiunto, una volta che sia omologato e pubblicato a registro imprese, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2019