Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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Revocatoria fallimentare e pretese restitutorie contro un altro fallimento: problemi e prospettive processuali (di Francesco Campione, Assegnista di ricerca presso l’Università Politecnica delle Marche e docente di Diritto processuale civile comparato all’Università di Pisa)


L’articolo tratta il tema dell’azione revocatoria esercitata dal curatore fallimentare contro altra procedura concorsuale.

L’autore, in primo luogo, dà conto della recente sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione, n. 30416/2018, la quale, facendo leva sul principio della c.d. cristallizzazione della massa passiva, ha escluso l’ammissibilità dell’azione revocatoria contro altro fallimento da parte del curatore.

In secondo luogo, ponendosi di contrario avviso rispetto all’impostazione delle Sezioni Unite, propone un ragionamento teso a dimostrare che, invece, deve ritenersi ammissibile l’azione revocatoria proposta dal curatore contro altro fallimento, trattandosi di azione bensì costitutiva ma con titolo anteriore alla dichiarazione di fallimento della procedura convenuta e ad efficacia retroattiva al momento dell’atto di disposizione.

Infine, si occupa del problema, invero trascurato dalla Cassazione, relativo alle forme processuali mediante le quali, da un lato, proporre l’azione revocatoria e, dall’altro lato, far valere contro il fallimento (convenuto in revocatoria) le pretese restitutorie conseguenziali.

The article deals with the issue of the revocatory action exercised by the bankruptcy trustee against other insolvency proceedings. First of all, the author gives an account of the recent sentence of the united sections of the Court of Cassation, n. 30416/2018, which, relying on the principle of the c.d. crystallization of the passive mass, has excluded the admissibility of the revocatory action against other bankruptcy by the curator. In the second place, placing itself on the contrary with respect to the approach of the United Sections, it proposes an argument aimed at demonstrating that, on the contrary, the revocatory action proposed by the curator against other bankruptcy must be considered admissible, since it is an action but constitutive but with a title prior to declaration of bankruptcy of the agreed procedure and with retroactive effect at the time of the provision. Finally, he deals with the problem, indeed overlooked by the Cassation, concerning the procedural forms by which, on the one hand, proposing the revocatory action and, on the other hand, asserting the consequential restitution claims against bankruptcy (agreed in revocatory action).

SOMMARIO:

1. La sentenza n. 30416/2018 delle Sezioni Unite e il quadro giurisprudenziale (e dottrinale) anteriore - 2. Il problema dell'ammissibilità dell'azione revocatoria proposta dal curatore contro altra procedura concorsuale - 3. La dimensione processuale del problema in esame: profili preliminari - 4.La proponibilità, in sedi separate, dell'azione revocatoria fallimentare contro il curatore e della domanda restitutoria conseguenziale; il coordinamento tra i giudizi - 5. Un’ultima questione: la necessità o meno che la domanda di revoca del curatore sia accompagnata da un'apposita istanza di condanna - NOTE


1. La sentenza n. 30416/2018 delle Sezioni Unite e il quadro giurisprudenziale (e dottrinale) anteriore

Le Sezioni Unite [1], di recente, si sono pronunciate sulla questione dell’esperi­bilità dell’azione revocatoria (fallimentare e ordinaria) da parte del curatore nei confronti di altra procedura concorsuale [2], accogliendo la soluzione negativa e non dando seguito, così, all’esito auspicato dalla ordinanza di rimessione [3]. In breve, la Suprema Corte ha articolato il proprio ragionamento enunciando, fondamentalmente, i seguenti principi. La sentenza che accoglie la domanda del curatore che esperisce un’azione revocatoria fallimentare ha natura costitutiva; la Corte dà conto di come si tratti di un’impostazione da sempre seguita in giurisprudenza e corroborata nel corso degli anni anche da pronunce delle stesse Sezioni Unite, le quali già avevano affermato che la sentenza che accoglie la domanda di revoca fallimentare “assume carattere costitutivo, in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, sia nel privare di effetto nei confronti della massa fallimentare atti che altrimenti avevano già conseguito la loro piena efficacia, sia nella conseguente pronuncia restitutoria dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di garanzia generale (principio di responsabilità ex art. 2740 c.c.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto. Da ciò deriva altresì che la situazione giuridica vantata dalla massa ed esercitata dall’organo esterno del fallimento nell’esercizio della sua pubblica funzione, non si individua come diritto di credito (alla restituzione della somma o dei beni) esistente prima del fallimento ovvero al momento della dichiarazione di fallimento indipendentemente dall’esercizio dell’azione giudiziale, ma si qualifica come diritto potestativo, che nasce col fallimento, all’esercizio dell’azione revocatoria, dalla quale deriva poi la modifica della situazione giuridica preesistente” [4]. Dalla natura costitutiva della predetta sentenza, discende che essa produce effetti dal momento in cui passa in giudicato; tali effetti possono retroagire alla data della domanda (opponibile al fallimento se trascritta ai sensi dell’art. 45 L.Fall.), salvi i casi in cui la legge contempla espressamente la retroattività degli effetti al momento della nascita del rapporto (modificato dalla sentenza medesima), come nell’ipotesi delineata [continua ..]


2. Il problema dell'ammissibilità dell'azione revocatoria proposta dal curatore contro altra procedura concorsuale

La soluzione che ormai ha trovato l’avallo delle Sezioni Unite appare tutt’altro che condivisibile. Invero, a ben vedere, il tema oggetto della decisione del Supremo Collegio richiede di affrontare due ordini di questioni: in primo luogo si pone proprio il problema dell’esperibilità da parte del curatore fallimentare dell’azione revocatoria contro un altro fallimento; in secondo luogo, ove si giunga a una soluzione positiva rispetto al primo punto, si tratta di scrutinare i profili più direttamente di matrice processuale, i quali attengono, per così dire, alla individuazione delle vie giurisdizionali da seguire, da un lato, per esercitare l’azione revocatoria e, dall’altro, per far valere le pretese restitutorie conseguenziali all’accoglimento della domanda di revoca (la rilevanza di tale aspetto, del resto, è già emersa dalla ricostruzione del dibattito giurisprudenziale e dottrinale presentata nel paragrafo precedente). Iniziando dal primo aspetto, si può osservare come le Sezioni Unite giungano alla soluzione dell’inammissibilità dell’azione revocatoria contro altra procedura concorsuale facendo esclusivamente leva sul principio della cristallizzazione della massa passiva, il quale impedirebbe di invocare, verso il fallimento eventualmente destinatario dell’azione stessa, una pretesa che sorge solo a seguito della sentenza di accoglimento della domanda; il che equivale a dire, in sostanza, che in virtù di siffatto principio non si possono insinuare al passivo fallimentare domande restitutorie che conseguono, ad esempio, all’annullamento, alla risoluzione o alla rescissione del contratto, qualora l’effetto costitutivo derivante dalla modificazione prodotta dalla sentenza non si sia verificato prima della dichiarazione di fallimento. Invero, va osservato che la legge fallimentare contempla diverse eccezioni al principio generale enunciato dall’art. 52 (che infatti fa salva una diversa previsione di legge); e in giurisprudenza è ormai evidente la tendenza ad ampliare la portata di tali eccezioni [33]. L’ordinamento concorsuale, in altre parole, contempla non poche ipotesi in virtù delle quali sono ammessi al concorso diritti di credito tecnicamente non ancora sorti al momento della dichiarazione di fallimento [34]. Del resto, secondo l’elaborazione tradizionale della giurisprudenza, [continua ..]


3. La dimensione processuale del problema in esame: profili preliminari

Una volta ammessa la possibilità, per la curatela fallimentare, di agire in revocatoria nei confronti di altra procedura concorsuale, occorre esaminare il problema – per nulla affrontato dalle Sezioni Unite – inerente alle forme processuali mediante le quali far valere, avverso altro fallimento, le pretese conseguenziali all’accogli­mento della domanda di revoca. Ad avviso di chi scrive, l’analisi di tale profilo confermerà la fondatezza delle conclusioni raggiunte nel precedente paragrafo; peraltro, prima di addentrarci nel­l’analisi, ci pare opportuno fissare, in via preliminare, alcuni tasselli, in parte già emersi nel corso della trattazione. A) In primo luogo, pare utile fare un breve cenno, in termini generali[62], al tema della c.d. efficacia restitutoria della revocatoria fallimentare, per chiarire quali siano (e quale natura abbiano) i diritti spettanti a un fallimento in conseguenza del vittorioso esperimento di tale azione, la quale, come già ricordato, dà luogo a una pronuncia costitutiva[63]. Sul punto, occorre innanzitutto registrare che è soprattutto in giurisprudenza che le incertezze emergono, se così si può dire, con più evidenza. Infatti, in Cassazione è possibile imbattersi in pronunce che affermano, da una parte, che il vittorioso esperimento di un’azione revocatoria fallimentare non determina alcun effetto restitutorio in favore del disponente (poi fallito), né tanto meno alcun effetto traslativo in favore dei creditori, comportando soltanto la parziale inefficacia dell’atto rispetto al creditore che agisce in giudizio, e rendendo, conseguentemente, il bene trasferito assoggettabile ad azioni esecutive, senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l’avvenuta alienazione in capo all’acquirente [64]; dall’altra – pur ricordando quanto rilevato dal precedente appena richiamato –, che è tuttavia riconosciuta la legittimità della condanna restitutoria dei beni oggetto di revoca – condanna che assume carattere derivativo dalla pronuncia costitutiva sanzionando un obbligo da essa nascente –, e che l’accoglimento della revocatoria fallimentare, diversamente da quanto accade per quella ordinaria, comporta la restituzione del bene all’ammi­nistra­zione del fallimento, tenuto conto che essa si inserisce in una procedura esecutiva [continua ..]


4.La proponibilità, in sedi separate, dell'azione revocatoria fallimentare contro il curatore e della domanda restitutoria conseguenziale; il coordinamento tra i giudizi

Fondamentalmente, il nodo da sciogliere è se la domanda costitutiva (di revoca) e la pretesa restitutoria conseguenziale seguano canali processuali diversi e separati o se, invece, anche l’azione costitutiva pregiudiziale del fallimento attore debba essere incardinata dinanzi al giudice delegato del secondo fallimento secondo le forme dell’accertamento del passivo [91]. Prima di analizzare compiutamente la questione, pare utile rimarcare che, nel­l’ipotesi presa in esame, ci si trova dinanzi a una relazione tra domande in termini di pregiudizialità costitutiva: il diritto di credito che il fallimento attore vuole far valere contro l’altro fallimento sorge solo a seguito dell’intervento del provvedimento giurisdizionale di accoglimento dell’azione costitutiva pregiudiziale. Sicché nel caso de quo non può configurarsi, processualmente, una mera cognizione incidenter tantum dell’elemento giuridico pregiudiziale [92], proprio perché occorre che l’effetto giuridico da esso derivante sia prodotto dalla decisione di accoglimento della domanda; emerge qui un vero e proprio nesso di condizionamento tra gli effetti delle decisioni, nel senso che la domanda sul diritto dipendente può essere accolta solo previo accoglimento dell’azione costitutiva [93]. Anche su questo versante, la dottrina richiamata in precedenza [94], peraltro con precipuo riferimento ad altre fattispecie di pregiudizialità costitutiva, propone di procedere nell’analisi distinguendo tra il caso in cui la domanda costitutiva e quella di condanna relativa al diritto dipendente siano proposte in un’ordinaria sede processuale contro l’imprenditore in bonis, dichiarato poi fallito nelle more del giudizio; e l’ipotesi in cui siffatte domande non siano state proposte nei confronti del­l’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento di quest’ultimo. Cominciando dal primo scenario, giova ricordare che, in parte qua, la norma di riferimento è rappresentata, ancora una volta, dall’art. 72, 5° comma, L. Fall. [95]. Secondo l’impostazione dottrinale richiamata, essa non è oltremodo chiara nel definire, per così dire, la sorte processuale della domanda costitutiva a seguito del fallimento della parte convenuta, mentre ribadisce, ove l’attore voglia ottenere, con la pronuncia costitutiva, la [continua ..]


5. Un’ultima questione: la necessità o meno che la domanda di revoca del curatore sia accompagnata da un'apposita istanza di condanna

Posto quanto sopra, residua, a dire il vero, un’ultima questione, alla quale già si è fatto (incidentalmente) cenno nell’ambito della ricognizione degli orientamenti tradizionali in tema di revocatoria fallimentare contro il fallimento e del tema del­l’efficacia restitutoria della revocatoria fallimentare. Ci si riferisce, cioè, al problema della necessità o meno che la domanda di revoca del curatore sia accompagnata da un’apposita istanza di condanna alle restituzioni conseguenziali (anche in vista dell’eventuale ritorno in bonis del convenuto). Innanzi si è visto che, per costante orientamento della dottrina e della giurisprudenza, in caso di revocatoria fallimentare di atti aventi ad oggetto somme di denaro, è necessario che il curatore, oltre alla declaratoria di inefficacia, chieda anche la condanna del terzo al pagamento/restituzione [121]. Proiettando il discorso sulla scena della revocatoria fallimentare esercitata nei confronti del curatore del fallimento dell’accipiens, si tratta di appurare se sia necessario che la curatela attrice chieda l’emissione di una sentenza che contenga anche la condanna alle restituzioni, o se, invece, possa limitarsi a chiedere la revoca del pagamento, facendo valere la pretesa restitutoria unicamente mediante l’insinua­zione al passivo. A nostro avviso – al di là del problema circa la sussistenza di una sorta di rapporto funzionale tra statuizione di condanna e possibilità dell’esecuzione forzata con le forme del libro III del codice di rito [122] –, in coerenza con quanto rilevato a proposito delle peculiarità caratterizzanti il procedimento di verifica dei crediti e di accertamento dei diritti dei terzi ex artt. 93 ss. L. Fall., e in sintonia con la soluzione alla quale siamo testé pervenuti circa il coordinamento tra i giudizi, la prospettiva da accogliere è la seconda. A bene vedere, infatti, nell’ottica, per un verso, di salvaguardare, per la tutela dei crediti nei confronti di una procedura concorsuale, l’e­sclusività dell’accertamento fallimentare e, per altro verso, di garantire le esigenze di recupero del credito in favore della curatela revocante, ci pare che possa essere valorizzato l’art. 117 L. Fall., poc’anzi richiamato. In particolare, il 2° comma di tale disposizione prevede che nel riparto [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2019