Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Profili sostanziali e processuali dell'art. 64 L. Fall. de iure condito e de iure condendo (di Massimo Cirulli, Professore straordinario di Diritto dell’esecuzione civile nell’Università telematica “Pegaso”)


L’inefficacia degli atti a titolo gratuito compiuti dal debitore nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento non richiede la qualità di imprenditore commerciale dell’autore, né lo stato d’insolvenza, né il pregiudizio alle ragioni dei creditori anteriori. L’atto, che era opponibile ai creditori, diventa inopponibile in conseguenza del fallimento. L’istituto non persegue finalità indennitarie, ma solidaristiche. Tuttavia l’acquirente è ammesso a provare l’attuale sufficienza del patrimonio fallimentare a soddisfare i creditori concorsuali. Il fallimento opera, nei soli confronti dei creditori concorsuali, quale condizione risolutiva legale dell’alienazione, risolvendo anche gli acquisti dei contraenti mediati del fallito. L’acquisizione al fallimento degli atti aventi ad oggetto beni immobili o mobili registrati si attua mediante trascrizione della sentenza dichiarativa, che tiene luogo dell’annotazione della condizione risolutiva. I soggetti pregiudicati possono proporre reclamo contro la trascrizione; il titolare del diritto può altresì proporre domanda di rivendicazione. Si esaminano, da ultimo, i rapporti tra l’art. 64 L. Fall. e l’art. 2929-bis c.c.

The ineffectiveness of the debtor’s free of charge acts in the two years before the declaration of bankruptcy does not require him to be a commercial entrepreneur or to be insolvent, nor prejudice to earlier creditors' reasons. The act, which was enforceable against creditors, becomes unenforceable as a result of the bankruptcy. The institute does not pursue finality of indemnify but has a solidaristic reason. However, the purchaser is entitled to prove the current sufficiency of the assets in bankruptcy to satisfy the insolvency creditors. The bankruptcy operates, only against the insolvency creditors, as a legal condition for resolving the sale, also resolving the purchases of the mediate contractors of the debtor. The acquisition on bankruptcy of real estate or registered movable property shall be effected by means of a transcription of the declaratory judgment, which works as an annotation of the resolutive condition. Those affected may propose a complaint against the transcription; the right holder may also propose a claim. The essay examines, finally, the relationships between the art. 64 L. Fall. and the art. 2929-bis c.c.

SOMMARIO:

1. I presupposti dell'inefficacia - 2. Il periodo rilevante - 3. Il pregiudizio - 4. Inquadramento sistematico - 5. I termini dell'azione - 6. L'acquisizione mediante trascrizione - 7. La tutela del terzo acquirente - 8. L'art. 64 L. Fall. e l'art. 2929-bis c.c. - NOTE


1. I presupposti dell'inefficacia

L’art. 64, 1° comma, L. Fall. dichiara “privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d’uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante”. Prevale in dottrina [1] ed è unanimemente condivisa dalla giurisprudenza [2] l’opi­nione secondo cui la dichiarazione di inefficacia non presuppone che, al tempo del­l’atto, il debitore fosse imprenditore commerciale in stato d’insolvenza. È rimasta minoritaria la tesi che, per contro, postula tale qualità soggettiva del­l’alienante, pur non esigendo anche l’indicato presupposto oggettivo, con la conseguenza che l’atto sarebbe inefficace soltanto se compiuto da debitore astrattamente sottoponibile alle procedure concorsuali, benché in concreto non fallibile, in quanto ancora solvente [3]. L’assunto non sembra fondato né sul piano letterale, né su quello sistematico. La littera legis non evoca, neppure implicitamente, l’impren­ditore, men che mai insolvente, diversamente dall’art. 69 in tema di atti a titolo gratuito tra coniugi (v. infra). Neppure il nuovo codice introduce sul punto elementi di novità, riproducendo il testo attualmente vigente dell’alinea della disposizione in commento [4]. Nella relazione si esplicita, peraltro, che “non è previsto il presupposto della conoscenza dello stato di insolvenza in capo al beneficiario dell’atto dal momento che non si ritiene necessario tutelare la buona fede in una situazione in cui il danno per il soggetto che subisce la perdita è pari al beneficio che ha gratuitamente ottenuto” [5]: ma l’osservazione non è risolutiva, atteso che l’in­scientia decoctionis potrebbe non escludere che il debitore fosse già dissestato, soltanto correlandosi all’irri­levanza dello stato soggettivo del terzo acquirente a titolo gratuito (arg. a contrario ex art. 2901, 1° comma, n. 2, c.c.). Maggior forza dimostrativa può invece riconoscersi ad un diverso argomento. Se gli atti compiuti da soggetto non ancora esercente attività d’impresa fossero sottratti alla previsione dell’art. [continua ..]


2. Il periodo rilevante

Sono inefficaci gli atti gratuitamente compiuti – nel senso, unanimemente inteso, di perfezionati (ma se la trascrizione, richiesta onde rendere l’alienazione opponibile a terzi, sia eseguita dopo il fallimento, l’inefficacia deriva dall’art. 45) – dal debitore nel biennio che precede il deposito della sentenza dichiarativa di fallimento (od il “deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale”, secondo l’art. 163 del nuovo codice, che si conforma al principio direttivo e­nunciato dall’art. 7, 4° comma, lett. b), L. 19 ottobre 2017, n. 155). In caso di consecuzione del fallimento al concordato preventivo, il dies a quo è segnato dalla pubblicazione della relativa domanda nel registro delle imprese (art. 69-bis, 2° comma). Invece il periodo sospetto, ai fini della revocatoria fallimentare degli atti onerosi, non supera l’anno. Si può allora dubitare della ragionevolezza della persistente sottoposizione degli atti gratuiti ad un limite temporale biennale, che nel disegno originario della legge fallimentare corrispondeva al periodo sospetto ex art. 67. Questa considerazione doveva probabilmente aver indotto la dottrina a giustificare la dichiarazione di inefficacia con la sussistenza, presunta in via assoluta, dello stato d’insolvenza al tempo dell’atto [14]: presunzione che invece non ha alcun fondamento, né testuale, né sistematico. Alla dimidiazione dello spatium temporis nel quale l’insolvenza è presunta per la revocatoria ex art. 67 non è tuttavia corrisposta la riduzione in egual misura del biennio ex art. 64: con l’incongruo risultato che il terzo avente causa resta immune dalla revocatoria fallimentare (potendo subire quella ordinaria, subordinata tuttavia alla prova della partecipatio fraudis) se ha acquistato un bene a prezzo vile da imprenditore già insolvente due anni prima del fallimento, mentre il donatario subisce la revoca automatica dell’attribuzione qualora abbia ricevuto la liberalità in pari tempo da soggetto che non era insolvente, né imprenditore ed anzi neppure gravato da debiti. È vero che l’uno paga un corrispettivo, mentre l’altro acquista a titolo gratuito: ma il giudizio di riprovevolezza dovrebbe essere maggiore nei confronti del terzo che si rende partecipe della frode, conoscendo (ed approfittando [continua ..]


3. Il pregiudizio

L’art. 64 non postula che l’atto a titolo gratuito abbia causato pregiudizio alla massa dei creditori quando fu compiuto, né tale valutazione impone con riferimento al tempo della dichiarazione di fallimento. Eguale silenzio è serbato dall’art. 67 in tema di revocatoria degli atti a titolo oneroso: donde la nota disputa tra i sostenitori della teoria indennitaria (o retributiva) e di quella anti-indennitaria [18] (o distributiva), che ha finalmente incontrato il favore della giurisprudenza, la quale ha identificato l’eventus damni nella lesione della par condicio creditorum, precludendo l’indagine sulla effettiva dannosità dell’atto dispositivo [19]. Quanto osservato per gli atti a titolo oneroso dovrebbe valere, a fortiori, per quelli a titolo gratuito: in assenza di corrispettivo l’attribuzione patrimoniale è depauperativa, ex se, della garanzia patrimoniale, con la conseguenza che né il curatore deve provare il pregiudizio, né il convenuto è ammesso a provare che, stante la sufficienza dell’attivo fallimentare, nessun danno hanno patito i creditori [20]. La seconda conclusione va tuttavia rifiutata. Nel sistema della legge fallimentare la revocatoria degli atti a titolo gratuito non persegue uno scopo sanzionatorio, ma ripristinatorio: non è il malum passionis propter malum actionis inflitto al terzo acquirente, che con il beneficiare di un’attribuzione senza corrispettivo non commette alcun illecito, tanto che la dottrina meno recente evocava, a fondamento dell’ineffi­cacia dell’acquisto revocabile, l’indebito arricchimento del donatario [21]. L’atto è dichiarato inefficace benché non avesse, al tempo in cui fu compiuto, causato pregiudizio ai creditori, né l’autore fosse insolvente, talché non potevano ritenersi integrati gli estremi dell’illecito, né i presupposti dell’ingiustificato arricchimento [22]. Tuttavia, la sopravvenuta inopponibilità alla massa dei creditori di un atto dispositivo che, in assenza del fallimento, non sarebbe stato utilmente impugnabile con l’azione revocatoria ordinaria (difettando l’eventus damni), si giustifica se e nella misura in cui l’alienazione (o la costituzione di un diritto reale minore, l’assunzione di un’ob­bligazione, la prestazione di una garanzia, ecc.) [continua ..]


4. Inquadramento sistematico

L’art. 64 completa dunque la tutela offerta alla massa dei creditori dall’art. 2901 c.c., operando nelle fattispecie che resterebbero immuni dall’azione revocatoria ordinaria contro gli atti a titolo gratuito, per inesistenza della frode o del danno (uso i due termini per convenzione linguistica, pur nella consapevolezza che l’art. 2901 c.c. non richiede né l’una, né l’altro). Sotto questo profilo, si può cogliere un’ana­logia tra l’art. 64 e l’art. 524 c.c., che legittima i creditori ad impugnare la rinuncia, anche non fraudolenta, del debitore all’eredità, esonerandoli dalla prova del consilium fraudis; la differenza strutturale tra le due disposizioni è che il creditore del rinunciante deve dimostrare il danno subito in conseguenza dell’atto [44], mentre il curatore non è gravato da tale onere; i rimedi, nondimeno, presentano un’affinità teleologica, in quanto strumentali alla tutela dei creditori in casi nei quali la revocatoria sarebbe inesperibile [45]. Può altresì ravvisarsi un’analogia di carattere funzionale tra la norma in commento e l’azione di riduzione per lesione delle donazioni ex artt. 553 ss. c.c. L’atto a titolo gratuito, quando fu compiuto, poteva non ledere la garanzia patrimoniale (in quanto i residui beni del debitore alienante erano capienti), così come la donazione poteva non ledere la quota riservata ai legittimari; ma la lesione si consuma quando viene aperto, rispettivamente, il concorso dei creditori o la successione e quell’an­teriore atto dispositivo risulti pregiudizievole. L’atto non è originariamente inefficace nei confronti dei terzi, ma lo diventa, nella misura in cui appare necessario per reintegrare la quota di riserva o la garanzia patrimoniale [46]. L’inefficacia nei confronti dei creditori non è originaria [47], diversamente dall’alienazione del bene pignorato [48], non foss’altro perché, quando l’alienazione fu compiuta, il disponente poteva non avere debiti e comunque il bene non era ancora gravato dal vincolo di destinazione all’azione esecutiva (universale o singolare). La cessione del bene pignorato nasce inefficace nei confronti dei creditori che concorrono nell’espropriazione forzata; invece la donazione del bene da parte del debitore diventa [continua ..]


5. I termini dell'azione

In forza dell’art. 64, atti che sarebbero stati opponibili ai creditori, per difetto dell’estremo del pregiudizio, diventano inefficaci a seguito dell’apertura del concorso. Ne dovrebbe derivare che, poiché contra non valentem agere non currit praescriptio, il termine per l’esercizio dell’azione non potrebbe decorrere prima del deposito della sentenza dichiarativa di fallimento [59]. La dottrina maggioritaria [60] e la giurisprudenza [61] hanno finora risolto la questione in radice con il negare la prescrittibilità dell’azione, postulandone la natura dichiarativa: donde la ritenuta inapplicabilità dell’art. 69-bis [62], che discorre di azioni revocatorie (costitutive), con implicita esclusione delle azioni di inefficacia (di mero accertamento). L’opinione minoritaria circa la natura costitutiva della pronuncia [63] implica, per contro, che l’azione è sottoposta al doppio termine decadenziale [64]ex art. 69-bis. Tuttavia l’art. 170 del nuovo codice assoggetta anche le azioni di inefficacia ad un doppio termine: decadenziale di tre anni dall’apertura della liquidazione giudiziale e prescrizionale di cinque anni dal compimento dell’atto. Nondimemo l’azione ex art. 64 non sembra perdere la sua natura dichiarativa (per divenire costitutiva al pari della revocatoria ordinaria e fallimentare), ma soltanto il carattere della imprescrittibilità. L’ordinamento già conosce, d’altronde, azioni di nullità (generalmente considerate di mero accertamento negativo [65]) sottoposte a termini di decadenza (art. 2379, 1° comma, c.c. [66]; art. 21,L. 3 maggio 1982, n. 203 [67]). Ma che l’azione di inefficacia sia dichiarativa o costitutiva è questione classificatoria [68]: certa ne è, comunque, la sottoposizione agli indicati termini. Il termine quinquennale decorre dalla data dell’atto, pur trattandosi di azione inesperibile prima del fallimento, in deroga all’art. 2935 c.c. (dettato con riferimento alla prescrizione, ma applicabile per analogia alla decadenza [69]), che tuttavia non enuncia una regola assoluta: in tema di revocatoria ordinaria il dies a quo coincide con il compimento dell’atto dispositivo (anche se la giurisprudenza apporta due correttivi all’art. 2903 c.c., fissando la decorrenza nel giorno in cui è stata data [continua ..]


6. L'acquisizione mediante trascrizione

Per gli atti a titolo gratuito aventi ad oggetto beni immobili o mobili registrati la riforma del 2015 ha escluso la necessità della previa dichiarazione di inefficacia in sede cognitiva: tali beni “sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento”; l’interessato può proporre reclamo “avverso la trascrizione” a norma dell’art. 36 L. Fall. e quindi entro otto giorni [78]. La norma reintroduce la tecnica basso-medievale di apprensione dei beni alienati dal decoctus nel periodo sospetto, omesso il previo vittorioso esercizio dell’azione revocatoria. Come ha dimostrato l’analisi critica delle fonti, nel diritto statutario l’esigenza di reintegrare il patrimonio del fallito, depauperato da alienazioni compiute dopo la fuga od altro sintomo dell’insolvenza, fu soddisfatta sostituendo al presupposto (necessitante di accertamento giudiziale) della fraus del debitore e del terzo acquirente, funzionalmente connesso al damnum per la massa dei creditori, l’elemento oggettivo e di immediato riscontro del tempo – prossimo alla dichiarazione di dissesto – in cui era stato compiuto l’atto revocando; a tal fine l’accerta­mento giudiziale “fu quasi sempre sostituito dalla facoltà concessa agli organi preposti alla liquidazione officiosa del patrimonio del fallito di apprendere esecutivamente i beni che erano stati oggetto dei negozi soggetti a revoca”, evitando, per ragioni di speditezza ed a preminente tutela degli interessi dei creditori, “l’incidente di cognizione mediante l’assunzione del criterio oggettivo e presuntivo del tempo in luogo di quello soggettivo e bisognosodi specifico accertamento della fraus ordinata al damnum e riducendo a mera apprensione esecutiva ed officiosa l’intero procedimento revocatorio” [79]. L’apprensione del patrimonio del fallito aveva luogo con modalità analoghe a quelle che attualmente connotano la ricerca del corpo del reato, senza curarsi dei diritti dei terzi sulla cosa: “i terzi acquirenti che cadono sotto le presunzioni assolute di frode dovevano essere, nel sentimento comune degli altri membri della comunità cittadina, gravemente sospetti di qualcosa che in tempo posteriore si è definito come reato, e che è colpita dall’art. 232, comma 3, n. 2 della nostra legge [continua ..]


7. La tutela del terzo acquirente

Trascritta la sentenza dichiarativa di fallimento, il terzo (ed ogni altro interessato, compresi i creditori dell’avente causa dal fallito [108]), entro otto giorni dalla relativa conoscenza (e non dalla mera conoscibilità, segnata dall’esecuzione della formalità presso il pubblico registro), può proporre reclamo per violazione di legge al giudice delegato, il quale provvede con decreto reclamabile davanti al collegio entro otto giorni dalla comunicazione; il tribunale decide con decreto motivato non soggetto a gravame. Che il dies a quo sia segnato dalla conoscenza dell’atto reclamabile lo si desume inequivocabilmente dall’art. 36. Il termine non è soggetto a sospensione feriale (art. 36-bis). L’art. 124 del nuovo codice eleva a dieci giorni il termine per il reclamo al collegio e sopprime la prevista non impugnabilità del motivato provvedimento conclusivo. Che per effetto della riforma del 2015 l’apprensione del bene immobile o mobile registrato non debba essere preceduta da un processo a cognizione piena, definito con sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto in pregiudizio del fallimento, non può suscitare scandalo: la regola ab executione non est inchoandum (espressiva della priorità cronologica della cognizione rispetto all’esecuzione [109]) è estranea al nostro ordinamento, che conosce i titoli esecutivi di formazione stragiudiziale. Il riformatore del 2015, con l’introduzione dell’art. 2929-bis c.c., ha inoltre escluso la necessità della revoca dell’atto a titolo gratuito in funzione dell’espropriazione contro il terzo acquirente, purché avviata entro un anno; identica direttiva di politica legislativa ha informato la novellazione additiva dell’art. 64 L. Fall., con l’aggiunta del capoverso. Ciò che invece deve destare preoccupazione è l’assenza di efficaci strumenti di tutela, anche cautelare, del terzo acquirente, che mentre può proporre opposizione all’esecuzione ex art. 2929-bis c.c. [110], beneficiando della sospensione (convertibile in estinzione) del processo esecutivo, onde prevenire l’intangibile (salvo il disposto dell’art. 2929 c.c. e sempre che l’aggiudicatario sia soggetto diverso dal creditore procedente) vendita forzata, sembrerebbe invece abilitato a proporre il solo reclamo contro la [continua ..]


8. L'art. 64 L. Fall. e l'art. 2929-bis c.c.

Interessa da ultimo indagare la diversità strutturale, l’affinità funzionale e le possibili relazioni procedimentali tra le fattispecie di cui all’art. 64 cpv. ed all’art. 2929-bis c.c. L’inefficacia degli atti compiuti a titolo gratuito dal fallito ha carattere esclusivamente oggettivo: perché operi non deve concorrere alcun requisito soggettivo né del debitore, né del terzo. Unico presupposto è che l’atto sia stato perfezionato nel termine biennale previsto dalla legge. Sono invece irrilevanti la qualità di imprenditore commerciale e lo stato d’insolvenza del debitore, nonché il pregiudizio arrecato dall’atto quando fu compiuto. Invece l’art. 2929-bis, 3° comma, c.c. ammette la contestazione da parte del terzo esecutato “che l’atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza del pregiudizio arrecato”. Consilium fraudis ed eventus damni integrano quindi elementi costitutivi della fattispecie. In quanto tali, devono essere provati – in caso di opposizione all’esecuzione – dal creditore, che esercita l’azione esecutiva con il pignoramento ovvero con l’intervento nell’espro­priazione forzata promossa dai creditori del terzo. Le due disposizioni sono tuttavia accomunate dall’inversione dell’onere dell’ini­ziativa processuale, trasferito dal curatore o dal creditore (che non devono previamente e vittoriosamente esercitare l’azione revocatoria) al beneficiario dell’acquisto o del vincolo, che possono opporsi, rispettivamente, all’acquisizione coatta del bene al patrimonio fallimentare (consumata mediante la trascrizione della sentenza dichiarativa) ed all’espropriazione forzata. A proposito dell’innovazione in materia concorsuale si è giustamente osservato che a quell’inversione non corrisponde tuttavia l’inversione dell’onere della prova: proposto reclamo ex art. 36 contro la trascrizione, spetta al curatore, che insista nella pretesa di acquisizione del bene, dimostrare i presupposti della dichiarazione di inefficacia dell’atto ed in primis della relativa gratuità [130]. Si è sostenuto che il curatore potrebbe giovarsi dell’art. 2929-bis c.c. nell’ecce­zionale ipotesi che l’atto a titolo gratuito, avente ad oggetto beni [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2019