Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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I nuovi doveri dell'organo di controllo tra Codice della crisi e Codice civile (di Massimo Bianca, Professore associato di Diritto commerciale nell’Università di Trieste)


Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, introdotto dal D.Lgs. n. 14/2019, modifica molte delle regole di corporate governance riguardanti l’organo di gestione. In particolare, pone in capo all’organo di gestione il dovere di predisporre assetti adeguati alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi o di insolvenza, ad iniziare dalla perdita della continuità aziendale. Le norme specularmente riguardanti l’organo di controllo sono, invece costrette all’interno dello stesso Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, che se ne occupa solo in relazione all’attivazione delle procedure di allerta e di soluzione negoziata della crisi. Nel saggio si evidenzia l’anomalia di tale scelta, evidenziando che la legge delega avrebbe consentito e probabilmente preferito che anche tali norme venissero organicamente inserite tra i doveri previsti dall’art. 2403 c.c. per il collegio sindacale.

The new Enterprise Crisis and Insolvency Code, introduced by Legislative Decree n. 14/2019, modifies many of the corporate governance rules that in the Civil Code concern the management body. In particular, it places on the directors the duty to prepare adequate structures for the prompt detection of signs of crisis or insolvency, starting from the loss of the “going concern”. The norms regard­ing the control body, instead, are not placed in the Civil Code but within the same Enterprise Crisis and Insolvency Code, which deals with it only in relation to the activation of the alert procedures and negotiated solution of the crisis. In the essay the anomaly of this choice is highlighted, trying to give evidence that the delegating law would have allowed and probably preferred that these rules were organically inserted among the duties provided for the control body by the art. 2403 c.c.

SOMMARIO:

1. Introduzione. Il dovere sociale di valutare le proprie prospettive di adem­pimento - 2. Le nuove regole di gestione delle imprese societarie - 3. Il nuovo ruolo dell’organo di controllo nell’art. 14 CCII: una funzione riguardante la sola rilevazione della crisi e la promozione dell’allerta o una comune regola di governance? - 4. L’interpretazione letterale della legge delega - 5. L’interpretazione a contrario della legge delega - 6. L’interpretazione sistematica e la tecnica della riduzione dell’assurdo nel­la legge delegata - 7. Il vantaggio di un’interpretazione orientata dalla collocazione codicistica - 8. Le conseguenze della mancata collocazione codicistica: l’antinomia con l’art. 2381 c.c. - NOTE


1. Introduzione. Il dovere sociale di valutare le proprie prospettive di adem­pimento

Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (dappresso anche CCII), introdotto con il D.Lgs. 14 gennaio 2019, n. 14, segna un importante punto di svolta nella regolazione della responsabilità patrimoniale dell’incapiente [1]. In questa prospettiva, attuando i principi ed i criteri direttivi stabiliti dagli artt. 2, 4 e 9 della L. 19 ot­tobre 2017, n. 155 (in seguito L. n. 155/2017) [2], il provvedimento delegato chiede a tutti i debitori [3] di valutare le prospettive di effettivo adempimento delle proprie obbligazioni [4] e, ad alcuni tra essi, anche quello di assumere delle corrispondenti iniziative allorché dallo scrutinio emergano seri indici di difficoltà o di eccessivo inde­bitamento. La natura e la portata di siffatta prescrizione e la capacità di elevarsi al di sopra di una sorta di programmatico “dovere sociale” dipendono da vari fattori. Replicando una scelta oramai collaudata, primeggia quello soggettivo, che distingue i debitori a seconda della loro rispettiva natura (individuale, comune, collettiva) e dell’attività (im­prenditoriale, professionale, civile). Al fattore soggettivo si coniuga quello oggettivo, che considera la dimensione e il livello di indebitamento di ciascun debitore. È però importante rimarcare che ai sensi dell’art. 4 CCII resta fermo, per qualsiasi debitore che intenda accedere ad una procedura di regolazione della crisi o dell’insol­venza [5], il dovere di non pregiudicare ulteriormente i diritti dei suoi creditori, assumendo tempestivamente le iniziative idonee alla loro rapida definizione. Attuando il dettato dell’art. 14, 1° comma, lett. b), L. n. 155/2017, il predetto dovere è apertamente sancito ed in termini giuridicamente cogenti per tutti gli imprenditori, siano essi individuali e collettivi. A prescindere dalla dimensione e dal­l’oggetto dell’attività da ciascuno esercitata, l’art. 3 CCII impone ai primi e l’art. 2086 c.c., novellato dall’art. 375 CCII [6], ai secondi di adottare, rispettivamente, delle “misure” e “un assetto” idoneo ad una tempestiva rilevazione dello stato di crisi o di insolvenza [7]. Di primo acchito, l’osservanza del medesimo dovere sembrerebbe invece semplicemente incentivata, tramite un trattamento premiale, per quei debitori [continua ..]


2. Le nuove regole di gestione delle imprese societarie

I doveri sopra accennati assumono una natura propriamente precettiva nella gestione delle imprese collettive aventi natura societaria. Attuando le indicazioni del già ricordato art. 14 della L. n. 155/2017, sulle quali si avrà modo di tornare appresso, le esigenze di monitoraggio dell’equilibrio economico e finanziario dell’impresa e di prevenzione della crisi si traducono nell’implementazione delle regole di governance stabilite nel Codice civile [9]. Infatti, operando una profonda novella dell’art. 2086, la riforma punta senza esitazioni in direzione di una più forte demarcazione della struttura organizzativa e delle funzioni degli organi sociali. Le novità apportate all’art. 2086 c.c., rivitalizzato dalla riforma, si muovono su due piani pressoché paralleli [10]. Anzitutto, gli obiettivi vengono perseguiti tramite l’estensione a tutti i tipi di società – ivi comprese quelle di persone – di regole sin qui nemmeno previste per tutte le società di capitali, ma solo per le società azionarie. Infatti, il novellato art. 2086 c.c. stabilisce che in tutte le società, quale che sia il tipo prescelto, la gestione del­l’impresa diviene prerogativa “esclusiva degli amministratori” e questi sono chiamati ad istituire «un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa». Costituisce invece una novità pressoché assoluta, persino per le società azionarie [11], la seconda linea di intervento, alimentata da altre due disposizioni introdotte nell’art. 2086 c.c. In primo luogo, quella che, a prescindere dalla natura e dalla dimensione dell’impresa, chiede ai suoi amministratori di predisporre un assetto idoneo alla «rilevazione tempestiva della suo stato di crisi e della perdita della continuità aziendale» [12]. In secondo luogo, quella che gli impone di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero di siffatta continuità. Alle predette novità, obiettivamente epocali per le società di persone – che dal 1942 ad oggi non sono mai state così direttamente interessate da riforme – se ne aggiungono altre, principalmente [continua ..]


3. Il nuovo ruolo dell’organo di controllo nell’art. 14 CCII: una funzione riguardante la sola rilevazione della crisi e la promozione dell’allerta o una comune regola di governance?

Alle profonde novità introdotte nel Codice civile in merito alla gestione, non si accompagnano altrettante novità in relazione ai controlli. Di fatto, l’attenzione del le­gislatore si focalizza sull’organo di gestione, mentre la disciplina codicistica dell’or­gano di controllo non sembra direttamente interessata dalla riforma. Il dato è per molti versi sorprendente. Anzitutto proprio perché, invece, la medesima riforma interviene significativamente sulla disciplina codicistica dell’organo amministrativo, aggiungendovi delle funzioni o, per lo meno, orientando quelle già esistenti in direzione di un più forte monitoraggio della continuità aziendale e della prevenzione della crisi. In secondo luogo perché, come emerge dal noto dibattito avente ad oggetto la governance delle imprese in crisi [19], è assodato che l’organo di controllo – si pensi soprattutto al collegio sindacale – rivesta un ruolo essenziale in questa delicata fase della vita societaria [20]. In terzo luogo perché, se l’organo amministrativo è chiamato ad articolare l’as­setto dell’impresa in modo da rilevarne le capacità di adempimento, non si vede per quale ragione l’organo di controllo non debba vigliare, come già fa per gli altri assetti indicati dall’art. 2403 c.c., anche su questo. È netta la sensazione di trovarsi al cospetto di una sperequazione tra i due organi, figlia, forse, del noto contrasto in merito alla possibilità di estrarre delle ordinarie regole di governance dal diritto societario della crisi [21]. In realtà, come si ricava dall’intero Titolo II del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, il legislatore delegato mostra di essere stato ben consapevole del ruolo e della funzione dell’organo di controllo; ma – ed è questo il punto che si vuole qui approfondire – che ciò non giustificasse una revisione della sua disciplina codicistica. Infatti, a leggere la riforma, sembra che il legislatore abbia scelto di non toccarla, riadeguandone i compiti solo nel CCII e, soprattutto, in relazione alla rilevazione dei segnali di crisi ed alla promozione della procedure di allerta. Il dato emerge chiaramente, nel predetto Titolo II, dall’art. 14 CCII. Questo è composto da due [continua ..]


4. L’interpretazione letterale della legge delega

Al cospetto della concomitante revisione della disciplina codicistica dell’organo di gestione, tradizionale alter ego di quello di controllo, è anzitutto doveroso chiedersi perché la norma in questione non sia stata collocata nel Codice civile, ma nel CCII. Fermo restando che è poco più che una congettura ogni tentativo di ricavarne l’intenzione del legislatore delegato ricorrendo ad un giudizio controfattuale [27], è plausibile che la sua scelta di non introdurre delle dirette modifiche alla disciplina codicistica dell’organo di controllo sia stata fortemente influenzata dal dettato del­l’art. 14, L. n. 155/2017. In particolare, dalla constatazione che questo, elencando le norme del Codice direttamente novellabili dal successivo decreto legislativo, non indica quelle riguardanti le funzioni del collegio sindacale e degli omologhi organi di vigilanza. La sensazione, già di per sé netta, è indirettamente confermata dalla constatazione che l’art. 2477 c.c. – unica disposizione riguardante l’organo di controllo espressamente menzionata dall’art. 14, L. n. 155/2017 – è stato, invece, direttamente modificato dal legislatore delegato, seppur al solo scopo di individuare quali società a responsabilità limitata dovranno dotarsene. In altre parole, la mancata modifica della disciplina codicistica dell’organo di controllo potrebbe essere dipesa, più che da una scelta metodologica e sistematica, dalla convinzione o, per lo meno, dal dubbio che tale intervento non fosse consentito dalla delega o comunque estraneo all’intenzione del legislatore delegante [28]. Ricorrendo ad una facile metafora, si potrebbe quindi azzardare che il legislatore delegato abbia ritenuto di dover considerare l’organo di controllo alla stregua di un convitato di pietra, chiamato ad assistere pressoché silente ai profondi cambiamenti interessanti l’organo di gestione, non tanto perché mancasse la ragione di invitarlo a sedere, ma solo perché il tavolo della riforma codicistica non aveva previsto un suo posto. Se così fosse, la cautela del legislatore delegato potrebbe però essere stata eccessiva, visto che – come si vedrà subito appresso – una diversa interpretazione della legge delega e del rapporto tra tutti i suoi principi e criteri direttivi e [continua ..]


5. L’interpretazione a contrario della legge delega

Un altro argomento a suffragio della soluzione indicata può ricavarsi da un’altra disposizione della legge delega e, più esattamente, dall’art. 4, lett. c), L. n. 155/2017. Anche siffatto articolo, disciplinante le funzioni spettanti agli organi sociali in occasione dell’emergere dei fondati indizi di crisi che richiederebbero un tempestivo avvio delle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi [33], è composto da più disposizioni. Nella sua prima parte prescrive al legislatore delegato di porre «a carico degli organi di controllo societari, del revisore contabile e delle società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, l’obbligo di avvisare immediatamente l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi». Nella seconda parte, distinta dalla precedente, indica i criteri cui il legislatore dovrà attenersi nello stabilire i parametri di siffatti indizi. Come è agevole notare, la prima disposizione – qui rilevante – si occupa di sancire un dovere di iniziativa, ma nulla dice, invece, del dovere di vigilanza (o di verifica) che, pure, dovrebbe logicamente precederlo, visto che per rilevare gli indizi di crisi è necessario monitorare stabilmente e, quindi, anche prima del loro emergere, la situazione. In altre parole, il monitoraggio dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo del­l’impresa, del suo equilibrio economico finanziario e del prevedibile andamento della gestione – previsto dal già ricordato art. 14 CCII – sono attività sempre dovute dal­l’organo di controllo che, altrimenti, non potrebbe, tra l’altro, rilevare tempestivamente gli indizi di crisi e, forse, nemmeno lo stato di insolvenza. Insomma, tramite un’interpretazione a contrario [34], si può concludere che l’art. 4, lett. c), L. n. 155/2017 non si premura di normare un’attività di vigilanza funzionale anche alla rilevazione degli indizi di crisi per la semplice ragione che questa, di per sé comunque dovuta, rientra tra i doveri già generalmente imposti all’organo di controllo.


6. L’interpretazione sistematica e la tecnica della riduzione dell’assurdo nel­la legge delegata

Un altro argomento, stavolta di carattere più sistematico che letterale, può trarsi dallo stesso art. 14 CCII. Come si è già avuto modo di ricordare, questo, per quanto inserito nel Titolo II, riguardante le procedure di allerta, chiede agli organi di controllo societari, al revisore contabile ed alla società di revisione di verificare, nell’ambito delle rispettive fun­zioni, che «l’organo amministrativo valuti costantemente» l’adeguatezza dell’asset­to organizzativo dell’impresa, il suo equilibrio economico finanziario e l’andamento della sua gestione. Rinviando ad un successivo paragrafo alcune riflessioni in merito all’avverbio utilizzato dal legislatore, ai fini qui in esame si osserva che se la valutazione operata dall’organo amministrativo deve essere “costante”, anche la verifica di siffatta valutazione da parte dei soggetti indicati dall’art. 14 CCII e, specie dall’organo di controllo, dovrà essere altrettanto “costante” o, per lo meno, comunque abituale [35]. Diversamente, si giungerebbe all’assurda conclusione di ritenere che siffatta verifica andrebbe fatta a posteriori, allorché, in presenza dei segnali di crisi, l’organo di controllo cercherà di capire se e quanto l’organo amministrativo abbia in precedenza costantemente valutato il predetto assetto, l’equilibrio e l’andamento dell’impresa Si trae da ciò utile conferma, a fini interpretativi [36], del fatto che il dovere in questione integra una funzione abituale dell’organo di controllo, al pari delle altre indicate dall’art. 2403 c.c.


7. Il vantaggio di un’interpretazione orientata dalla collocazione codicistica

Come si spera di essere riusciti a dimostrare, nulla ostava (ed osterebbe) ad inserire nel Codice civile la norma “costretta” all’interno del CCII. Opzione tutt’altro che indifferente, visto che l’efficacia della norma ne avrebbe certo tratto giovamento, tanto per la maggiore stabilità derivantele dal rango codicistico, quanto per le sinergiche relazioni con le altre norme già formanti l’inglobante “sistema” di corporate governance. A tale ultimo proposito è appena il caso di ricordare che la collocazione di una norma contribuisce alla sua interpretazione sistematica [37]. Pertanto, ove si accoglies­se l’ipotesi qui affermata e la norma ora ubicata nell’art. 14 CCII venisse inserita nell’art. 2403 c.c. [38]. il nuovo dovere di verifica si aggiungerebbe agli altri doveri di vigilanza già previsti dal medesimo articolo. Prescindendo da ogni maggiore considerazione in merito alle differenze correnti tra i verbi “vigilare” e “verificare” [39], che andrebbero preferibilmente eliminate, ma che fino ad allora potrebbero essere contenute tramite un’interpretazione del verbo “verificare” orientata dall’intero art. 2403 c.c., merita sottolineare che, in tal modo, anche il nuovo obbligo costituirebbe un dovere organico del collegio sindacale, con delle non trascurabili differenze. Anzitutto, si tratterebbe di un dovere da adempiere con la diligenza imposta dal­l’art. 2407, 1° comma, c.c., avvalendosi dei poteri attribuiti dall’art. 2403-bis c.c. e che consentirebbe di ricorrere, nel caso in cui dalla verifica emergano delle gravi violazione dell’organo amministrativo, ai rimedi previsti dagli art. 2406, 2° comma, c.c. e dall’art. 2409 c.c. In secondo luogo, si tratterebbe di una ulteriore funzione abituale e non eccezionale, della quale andrebbe tenuto quindi conto nella fissazione della retribuzione ai sensi dell’art. 2402 c.c. ed un dovere che, se non esattamente adempiuto, esporrebbe i sindaci ad una possibile revoca ai sensi dell’art. 2400, 2° comma, c.c. In terzo luogo, si tratterebbe di una funzione del cui adempimento il collegio sindacale dovrebbe riferire – senza dubbi di sorta – nella relazione prevista dall’art. 2429 c.c. Infine, dato il necessario coordinamento con le altre novità [continua ..]


8. Le conseguenze della mancata collocazione codicistica: l’antinomia con l’art. 2381 c.c.

Come si è appena detto, ai sensi dell’art. 2086 c.c., l’organo amministrativo «ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale». Sull’op­posto versante, come già si ricava dall’art. 14 CCII – o si ricaverebbe dall’art. 2403 c.c. ove la norma venisse lì ubicata – l’organo di controllo deve verificare che «l’or­gano amministrativo valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale è il prevedibile andamento della gestione». Coordinando – come sarà comunque necessario fare – le due norme, si deve perciò ritenere che l’organo di controllo dovrà verificare che l’«assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell’impresa istituito dall’organo amministrativo sia ade­guato alla sua natura e alle sue dimensioni, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale», e che il me­desimo organo amministrativo debba valutare «costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, l’adeguatezza del predetto assetto, l’equilibrio finanziario e il prevedibile andamento della gestione». Se è tutto sommato semplice immaginare l’applicazione di tali regole ad un am­ministratore unico, è molto più complesso adattarle ad un consiglio di amministrazione organizzato ai sensi dell’art. 2381 c.c. [40]. A tal proposito si osserva anzitutto che, in assenza di un’esplicita indicazione, non è chiaro se l’istituzione dell’assetto organizzativo funzionale alla rilevazione tem­pestiva della crisi dell’impresa e della perdita di continuità aziendale sia compito dell’intero organo consiliare o dell’organo delegato. A dispetto della mancata precisazione, sembrerebbe comunque logico ritenere che l’organo delegato debba “curare” anche tale assetto, come gli altri già indicati nell’art. 2381 [continua ..]


NOTE