Il contributo affronta la problematica della “concorrenza” tra l’organo amministrativo della società, l’amministratore giudiziario nominato in sede penale e il commissario giudiziale, nella procedura di concordato preventivo in continuità. Traendo spunto dal provvedimento in commento, al momento privo di precedenti in termini, l’Autore ricostruisce i poteri spettanti all’amministratore giudiziario – differenziando tra sequestro di azienda e di partecipazioni sociali (ed escludendo l’esistenza del sequestro di società) – e le possibili interazioni con gli organi sociali e della procedura concorsuale.
The contribution deals with the “competition” between the corporate directors, the judicial administrator appointed in criminal proceedings and the judicial commissioner, in the procedure of arrangement with creditors. By commenting the decision, without precedent, the Author reconstructs the powers of the judicial administrator – differentiating between seizure of a farm and of social participations (and excluding the existence of the seizure of company) – and the possible interactions with the corporate directorsand the judicial commissioner.
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1. L’assenza del legislatore nei rapporti tra sequestro penale e concordato preventivo - 2. Gestione dell’impresa e rappresentanza sociale. L’inesistenza del sequestro di società e l’indifferenza dell’organizzazione corporativa rispetto alla misura reale del sequestro - 3. La permeabilità al sequestro del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori in sede di concordato - 4. L’interazione tra organi nella decisione del Tribunale di Benevento: critiche - NOTE
Il provvedimento in commento affronta una tematica che, per quanto consta, è inedita in giurisprudenza: la funzione e i rapporti tra organi della società, della procedura concorsuale di concordato preventivo e dell’autorità penale che ha disposto il sequestro sui beni dell’imprenditore. La questione è inedita anche da un punto di vista legislativo. La circostanza non sorprende atteso che il legislatore solo recentemente (nel c.d. Codice antimafia, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, artt. 63 e 64, prima e nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, artt. 317 ss., poi) è intervenuto per disciplinare i rapporti tra sequestro e fallimento, che pure è stato oggetto di un annoso dibattito sia a livello dottrinario che giurisprudenziale [1]. In tale ambito i problemi erano legati alla necessità di stabilire i poteri spettanti agli organi coinvolti (fallimentari, penali, sociali), atteso che l’assoggettamento a sequestro penale preventivo dei beni della società non è di ostacolo alla dichiarazione di fallimento e viceversa [2]. Più in generale, giova segnalare come il legislatore abbia sancito la prevalenza della misura cautelare penale rispetto al fallimento [3]. Ed, infatti, l’apposizione del vincolo di natura penale ha come effetto la sottrazione del bene sequestrato alla massa fallimentare e, in caso sia vincolato l’intero patrimonio, la procedura concorsuale viene dichiarata chiusa [4]. Nel merito della vicenda, la società prevenuta era destinataria di provvedimento di sequestro conservativo finalizzato alla confisca “obbligatoria” del profitto derivante dai reati tributari, disciplinato dall’art. 321, 2° comma, c.p.p. in combinato disposto con l’art. 12-bis, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in forza del quale venivano vincolati i seguenti beni: denaro, beni mobili e immobili, veicoli, partecipazioni e titoli nella diretta disponibilità della società prevenuta, con facoltà di disposizione e d’uso esclusivamente da parte dell’amministratore giudiziario e per finalità di ufficio, dei rapporti bancari, del denaro e dei beni strumentali strettamente collegati all’esercizio dell’impresa. Il provvedimento disponeva, ulteriormente, il sequestro della società. Successivamente [continua ..]
Il sequestro di azienda, in quanto misura reale, non può avere effetti sull’organizzazione societaria, nel senso di sostituzione ovvero revoca dell’organo amministrativo [5], né può determinare un vincolo di indisponibilità sulle partecipazioni della società, né ancora il blocco dell’iscrizione del mutamento di cariche sociali [6]. Invero, nella giurisprudenza, in ragione anche di una non felice formulazione dell’art. 104-bis disp. att. c.p.p. che annovera tra i beni suscettibili il sequestro la società, si era giunti a riconoscere l’esistenza del sequestro di società (locuzione che è presente anche nel provvedimento di sequestro relativo al procedimento in analisi). Invero, tale “figura” non è ammissibile poiché la società non è oggetto ma soggetto di diritto: l’imprenditore. Al riguardo “dovrebbe essere quasi superfluo precisare che l’imprenditore è il soggetto che esercita l’attività economica organizzata per produrre beni e servizi per il mercato (art. 2082 c.c.), l’impresa è tale attività economica, la società è il soggetto (persona giuridica se di capitali) imprenditore collettivo che esercita l’attività. Lo strumento per esercitare l’attività d’impresa è l’azienda (art. 2555) che non è l’imprenditore individuale o collettivo, non è la società, non è l’impresa, ma è un bene complesso, ossia il complesso dei beni e dei rapporti utilizzati dall’imprenditore individuale o dalla società per l’esercizio dell’impresa” [7]. Il sequestro, in quanto misura cautelare reale, può avere ad oggetto soltanto una res: dunque, per quanto di interesse in questa sede, azienda ovvero partecipazioni sociali. L’imprenditore è il soggetto che esercita l’attività di impresa avvalendosi dell’azienda, mentre le partecipazioni sociali sono un bene giuridico e rappresentano il grado di partecipazione del socio all’impresa sociale. Sul punto la giurisprudenza, differentemente da quanto disposto nel provvedimento di sequestro in commento, negli anni, è giunta ad escludere [continua ..]
L’indisponibilità, giuridica e/o materiale del bene, risulta essere «la caratteristica comune del genus sequestro, quale che sia il settore dell’ordinamento nel quale esso viene a operare» [22]. E, in effetti, l’apposizione del sequestro determina una limitazione più o meno penetrante dei poteri normalmente esercitabili dal possessore ovvero dal proprietario del bene vincolato [23]. L’apposizione del vincolo ha come effetto la separazione del patrimonio sequestrato dal destinatario del provvedimento e, dunque, la creazione di un patrimonio separato. Invero, è ricorrente in giurisprudenza [24] l’affermazione secondo cui i beni sequestrati costituiscono un patrimonio separato di cui il custode è il rappresentante. In effetti, seppur molto risalente, la giurisprudenza di Cassazione a Sezioni Unite, aveva considerato come separato il patrimonio sottratto all’amministrazione del titolare [25]. A differenza del fallimento, l’apertura del concordato preventivo non determina lo spossessamento dei beni in danno dell’imprenditore istante il quale non perde la disponibilità del proprio patrimonio [26]. In tal senso depone l’art. 167, 1° comma, L. Fall. in base al quale, durante la procedura di concordato, il debitore «conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa», e il nuovo art. 46, 1° comma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza a tenore del quale «dopo il deposito della domanda di accesso e fino al decreto di apertura di cui all’articolo 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale». Pertanto, dalla presentazione dell’istanza e per tutta la durata della procedura, l’imprenditore subisce il c.d. spossessamento attenuato, in quanto la disponibilità dei beni è sottoposta al controllo giudiziale e limitata agli atti di ordinaria amministrazione. Dunque, l’imprenditore può liberamente proseguire l’esercizio dell’impresa durante la procedura, purché l’attività sia finalizzata all’attuazione del concordato [27]. L’ammissione al concordato preventivo da parte di una società di [continua ..]
Il commento del provvedimento in epigrafe non può esulare dal provvedimento di sequestro, in quanto elemento interpretativo necessario per stabilire i poteri dell’amministratore giudiziario nominato. Ed, invero, tale provvedimento ha disposto il sequestro del «denaro, dei beni mobili e immobili, dei veicoli e delle partecipazioni e dei titoli nella diretta disponibilità della società prevenuta, con facoltà di disposizione e d’uso esclusivamente da parte dell’amministratore giudiziario e per finalità di ufficio, dei rapporti bancari, del denaro e dei beni strumentali strettamente collegati all’esercizio dell’impresa». Oltre ciò, il provvedimento ha disposto anche il sequestro della società. Ad avviso della dottrina e della giurisprudenza, per aversi sequestro di azienda è necessario che il provvedimento cautelare abbia ad oggetto non il singolo bene, ma tutti quei beni che siano funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività di impresa [40]. Senza ovviamente entrare nel merito della vicenda, potrebbe prospettarsi, nel caso analizzato, un sequestro d’azienda, con conseguente potere di gestione dell’attività di impresa. Tanto più che è stato disposto, ulteriormente, il sequestro della società, che potrebbe in astratto interpretarsi come sequestro di azienda e di partecipazioni sociali [41]. Il criterio del nomen utilizzato è assai poco affidabile in quanto nel nostro ordinamento la qualificazione formale data al rapporto giuridico ha scarso valore e quel che rileva è il contenuto dell’atto, anche se nella fattispecie trattandosi di provvedimento giudiziale la detta qualificazione non può che essere legata ad un errore giuridico [42]. Il Tribunale, in un’ottica di preservazione dell’impresa, dispone un affievolimento/snaturamento della misura cautelare apposta, in favore dell’esecuzione del concordato preventivo in continuità, con conseguente conservazione dell’azienda. Ed, invero, di fatto il vincolo di indisponibilità viene meno, trasformandosi in una sorta di amministrazione controllata. Infatti, le conclusioni a cui giunge il Giudice beneventano sono nel senso di attribuire all’amministratore giudiziario un potere di mero [continua ..]