Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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Risoluzione di concordato preventivo con cessione dei beni per mancanza di qualità promesse ex art. 1497 c.c. (di Stefano Nicita. Avvocato in Roma)


TRIBUNALE DI ROMA, SENTENZA 10 OTTOBRE 2017

Pres. LA MALFA, Est. DI SALVO

Concordato preventivo – Risoluzione per inadempimento ai sensi dell’art. 186 L. Fall. – Cessione dei beni – Mancanza di qualità promesse ex art. 1497 c.c.

(Artt. 182, 186 L. Fall.; artt. 1490, 1497, 1977 c.c. ss.)

La mancanza di qualità del patrimonio, promessa nel piano di concordato, integra ex art. 1497 c.c. una ipotesi di risoluzione per inadempimento di non scarsa importanza.

 

Concordato preventivo – Risoluzione per inadempimento ai sensi dell’art. 186 L. Fall. – Cessione dei beni – Percentuale del pagamento

(Artt. 182, 186, 161, 2° comma, lett. e), 160, 4° comma L. Fall.; artt. 1490, 1497, 1977 c.c. ss.)

Resta escluso che, nel concordato con cessione dei beni (in cui l’entità del soddisfacimento deriva dal risultato della liquidazione, sul quale non può esservi alcuna preventiva certezza), i creditori, i quali abbiano approvato la proposta, possano richiedere la risoluzione nell’ipotesi in cui la somma ricavata dalla vendita dei beni si discosti, anche notevolmente, da quella necessaria a garantire il pagamento dei loro crediti nella percentuale indicata (non potendosi configurare inadempimento rispetto ad un’obbligazione che il debitore non ha assunto).

(Omissis) FATTO Il Banco di Sardegna S.p.A. con istanza ex art. 186 L.F. ha chiesto la risoluzione per inadempimento del concordato preventivo della I.C.R. S.R.L. in LIQ deducendo che: – in data 14 maggio 2012 la S.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per l’am­missione alla procedura di concordato preventivo; – che il piano concordato prevedeva il pagamento integrale dei creditori privilegiati e delle spese della procedura oltre che il pagamento dei creditori chirografari, nella misura del 60,18% nel termine massimo di 36 mesi dall’omologazione della pro­posta di concordato, mediante la cessione ai creditori di tutti beni esistenti nel patrimonio sociale alla data di presentazione della domanda; – con provvedimento del 4/4/2013 il Tribunale di Roma ha omologato il concordato preventivo proposto riducendo la previsione di soddisfacimento dei creditori chirografari al 54,31%. Ciò posto, all’udienza del 7/6/2017, è stata disposta la riunione del presente pro­cedimento e il procedimento R.G. N 23360 del 2017, relativo ad analoga domanda di risoluzione proposta dalla banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. In seguito, all’udienza del 18/9/2017, sono comparse le parti istanti Banco di Sardegna S.p.A. e Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., le quali hanno insistito nella domanda di risoluzione; sono altresì comparsi il commissario giudiziale liquidatore giudiziale il quale ultima ha relazionato sullo stato attuale di esecuzione del piano di concordato precisando che per poter fronteggiare le sole spese in prededuzione e i crediti privilegiati occorrerebbe la somma di euro 4.000.000,00 circa, mentre l’at­tivo disponibile, ricavato dalla cessione dei beni, ammonta ad euro 300.000,00 circa, aggiungendo altresì che le possibilità concrete di recupero di ulteriori crediti riguardano esclusivamente un credito di euro 50.000,00 vantato nei confronti del Ministero dell’Interno, mentre ulteriori crediti sono tutti oggetti di contestazione giudiziale con previsione negativa di recupero a causa del disordine amministrativo e contabile che la società ha palesato negli ultimi mesi di gestione in bonis; la causa è stata pertanto trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Nel concordato con cessione dei beni imprenditore assume l’obbligo di porre a disposizione dei creditori l’intero patrimonio dell’impresa e non di garantire il pagamento dei crediti in una misura percentuale prefissata. L’indicazione della percentuale di soddisfacimento dei crediti è necessaria al fine di consentire creditori di valutare la concretezza della convenienza della proposta, non­ché la sua fattibilità economica ma, a meno di un’espressa previsione in tal senso, non costituisce manifestazione di una volontà negoziale [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La soluzione. Risoluzione di concordato preventivo con cessione dei beni per mancanza di qualità promesse ex art. 1497 c.c. - 3. La risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori - 4. Mancanza di qualità promesse e natura della cessione dei beni ai creditori - NOTE


1. Il caso

Nel 2012, una S.r.l. in liquidazione propone ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo attraverso un piano concordato che, nel termine mas­simo di 36 mesi dall’omologazione, prevederebbe il pagamento integrale dei creditori privilegiati e delle spese della procedura oltre che al pagamento dei creditori chirografari, nella misura del 60,18%. Lo strumento giuridico individuato per l’attuazione del piano è la cessione ai creditori di tutti beni esistenti nel patrimonio sociale alla data di presentazione della domanda [1]. Il Tribunale di Roma omologa il concordato preventivo, approvato dalla massa creditizia, ma riduce la previsione di soddisfacimento dei creditori chirografari al 54,31%. Nel 2017, però, due Istituti bancari creditori chiedono, con istanza ex art. 186 L. Fall., la risoluzione per inadempimento del concordato preventivo. In effetti, il com­missario giudiziale comparso in udienza, da una parte, rende noto che, ormai scaduto il tempo dell’adempimento, le somme ricavate dalla vendita dei beni ceduti non so­no sufficienti a soddisfare integralmente i creditori privilegiati e le spese pre-dedu­cibili, né possono tacitare, anche minima parte, i creditori chirografari. Da altra parte, il commissario specifica che non può prevedersi esito positivo dei giudizi in corso, a causa del grave disordine amministrativo e contabile degli ultimi mesi di gestione della società in bonis.


2. La soluzione. Risoluzione di concordato preventivo con cessione dei beni per mancanza di qualità promesse ex art. 1497 c.c.

Con la pronuncia in oggetto, il Tribunale di Roma dichiara risolto il concordato preventivo ai sensi dell’art. 1497 c.c. e provvede con separata sentenza, a norma degli artt. 186 e 137 L. Fall., in ordine alla dichiarazione di fallimento. L’iter motivazionale della sentenza riconduce la figura del concordato con cessione dei beni ad un negozio giuridico privato in cui l’imprenditore si obbliga unicamente a porre a disposizione dei creditori l’intero patrimonio dell’impresa senza garantire il pagamento dei crediti in una misura percentuale prefissata (salvo clausole espresse in tal senso). Un piano liquidatorio così concepito, quindi, trasferisce ai creditori l’alea dei risultati della liquidazione. Secondo tale interpretazione, l’indicazione della percentuale di soddisfacimento dei crediti ha soltanto lo scopo di consentire ai creditori di valutare la convenienza della proposta in termini di concretezza e la sua fattibilità economica ma non costituisce manifestazione di una volontà negoziale vincolante, sulla quale si forma il consenso o l’accettazione [2]. A ben guardare, in effetti, anche secondo le Sezioni Unite: «il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti. Il menzionato controllo di legittimità si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo, e si attua verificandosene l’ef­fettiva realizzabilità della causa concreta: quest’ultima, peraltro, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi del­l’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro» [3]. Ancora di recente, la stessa Suprema Corte ha ribadito che, in sede di [continua ..]


3. La risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori

La pronuncia in esame offre spunti di riflessione sotto vari aspetti: la nozione di inadempimento che determini la domanda di risoluzione del concordato preventivo; la rilevanza della percentuale di pagamento; la natura “privatizzata” del nuovo concordato con cessione dei beni; le peculiarità della risoluzione contrattuale ex art. 1497 c.c. Il vigente art. 186 L. Fall. (modificato dal D.Lgs. n. 169/2007) regola la risoluzione del negozio concordatario armonizzandola con il superamento della precedente impostazione pubblicistica. Prima della riforma del 2007, infatti, l’effetto costitutivo del vincolo concordatario derivava dal provvedimento di omologazione del Tribunale, la risoluzione poteva essere richiesta dal commissario e poteva essere dichiarata anche d’ufficio dal Tribunale [5]. Il nuovo regime allinea l’istituto del concordato con cessione alla norma codicistica per cui la risoluzione è ammissibile ove vi sia un inadempimento di non scarsa importanza (art. 1455 c.c.). Nel nuovo concordato con cessione dei beni, quindi, la traslazione ha effetto im­mediatamente liberatorio e soltanto il mancato trasferimento dei beni ai creditori de­termina l’inadempimento con conseguente possibile risoluzione del vincolo concordatario. La regola del nuovo art. 186 L. Fall. è considerata coerente alla c.d. “contrattualizzazione” del concordato con cessione. In merito alla nozione di inadempimento del concordato con cessione, nel tempo, si sono sviluppati due orientamenti. Per una prima risalente impostazione, la risoluzione può conseguire al mancato pagamento in una qualsiasi percentuale, anche minima, dei chirografari, ed al mancato soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati [6]. Secondo tale interpretazione, il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori deve essere risolto, a norma dell’art. 186 L. Fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione, quando (in base al prudente apprezzamento del giudice del merito, secondo una ragionevole previsione) le somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti si rivelino insufficienti a: (a) soddisfare, anche in minima parte, i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati [7], ovvero (b) quando venga accertata l’obiettiva im­possibilità sopravvenuta di attuare le condizioni minime previste [continua ..]


4. Mancanza di qualità promesse e natura della cessione dei beni ai creditori

Secondo l’orientamento seguito dalla pronuncia in esame, la mancanza di qualità preesistenti all’approvazione del piano può comportare la risoluzione del concordato ex art. 1497 c.c. [18]. Per ottenere la risoluzione, ai sensi dell’art. 1497 c.c., sarebbe, però, comunque essenziale che il patrimonio ceduto ai creditori si riveli in concreto privo di quelle qualità promesse, sulla base delle quali i creditori avevano valutato l’affare e ritenuto di esprimere (attraverso il voto) la volontà di aderire alla proposta concordataria. La mancanza di una veritiera rappresentazione della realtà economica dell’impresa, infatti, avrebbe impedito una corretta previsione del soddisfacimento e della convenienza complessiva della proposta, avrebbe determinato una non corretta indicazione dei rischi connessi alla liquidazione e delle qualità del patrimonio del debitore e, in conclusione, giustificherebbe l’accoglimento della domanda di risoluzione ex art. 1497 c.c. Tale soluzione, individuata dalla giurisprudenza, tuttavia, non va esente da dubbi. In effetti, storicamente la cessione di beni ai creditori concorsuali ha costituito la più radicale ed esaustiva forma di soluzione dell’insolvenza dell’imprenditore. D’al­tronde, la causa concreta del contatto di concordato con cessione dei beni non sembra riconducibile allo schema della compravendita, nella quale ad un prezzo dovuto corrisponde la traslazione di beni e, segnatamente, di beni che abbiano i requisiti es­senziali per l’uso cui è destinata e non presentino difformità tra le qualità promesse e quelle che la cosa effettivamente possiede. Come accennato, la stessa ratio legis del rimedio di cui all’art. 1497 c.c. (mancanza di qualità) è concettualmente legata alla funzione tipica del contratto di compravendita. Nella cessione dei beni l’idoneità all’uso cui la cosa ceduta è destinata, però, costituisce solo un mezzo, che ne orienti la liquidazione, e non già lo scopo che, una volta raggiunto, valga a realizzare la causa concreta dello specifico concordato preventivo. Riferendosi, d’altronde, all’omologa disciplina civilistica (la quale, comunque, per Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521: «costituisce modello di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2018