Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Aspetti della crisi d'impresa (di Nicola Rocco di Torrepadula. Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università di Salerno)


Il presente scritto riproduce (omesse le parole di circostanza ed aggiunti alcuni riferimenti bibliografici) la relazione tenuta a Napoli, all’Università “Federico II”, il 15 maggio 2018, nell’ambito del ciclo di seminari “Imprese, banche e mercati tra crisi e riforme” organizzati dalla Prof.ssa Marilena Rispoli Farina nell’ambito del corso di Diritto commerciale per l’a.a. 2017/2018.

L’esatta individuazione dei presupposti di apertura e di chiusura di una procedura concorsuale è operazione necessaria cui l’interprete è chiamato per determinare la finalità concreta che la procedura stessa è destinata a raggiungere. Tale operazione risulta ancor più fondamentale quando riferita a nozioni – come quella di “crisi” – rispetto alle quali il legislatore ha preferito non fornire alcun supporto esplicativo.

L’analisi dell’Autore è orientata, pertanto, ad evidenziare i passaggi essenziali per una costruzione del concetto di “crisi” orientata. Ciò nell’esigenza – sempre più marcata nell’attuale contesto normativo – di ricondurre la definizione dello stato di crisi entro il perimetro di giusto equilibrio tra funzione di prevenzione e tutela dei creditori, come da ultimo ribadito nella legge delega di riforma delle procedure concorsuali (L. 19 ottobre 2017, n. 155).

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To identify exactly the conditions of an insolvency or collective proceeding is a necessary operation in order to detect the actual aim of that proceeding. Such an operation is all the more vital when referring to concepts – like “crisis” – for which the legislator did not provide any further criteria for interpretation.

The Author focuses the analysis on pointing out the core issues to give a proper definition of “crisis”, accordingly with the need of a balance between prevention tasks and creditors’prevention from abuses as recently reaffirmed by the “Rordorf reform” (Law n. 155, 19th October 2017).

 
SOMMARIO:

1. Crisi dell'imprenditore versus impresa in crisi - 2. La prevenzione e l'agire degli amministratori durante la crisi - 3. Segue - 4. La crisi come rischio d'insolvenza: il calcolo della probabilità - NOTE


1. Crisi dell'imprenditore versus impresa in crisi

La prima domanda da porsi è perché focalizzare l’attenzione sulla crisi? Per una ragione molto banale, perché la crisi costituisce il presupposto oggettivo di varie pro­cedure concorsuali (il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione, i piani attestati previsti dall’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall.) [1]. In sintesi, le procedure che occupano lo spazio di tempo che precede il fallimento hanno come presupposto oggettivo lo stato di crisi. E ciò significa, in concreto, che queste procedure si possono aprire (anche) qualora ci sia un accertamento giudiziale, o, comunque, un riscontro oggettivo dell’esistenza di questo presupposto. Sul punto va aperta una breve parentesi. È noto che, se si vuole indagare sulla concreta finalità di una procedura basta mettere, a fuoco quando si apre e quando si chiude. In sostanza, i presupposti di apertura e di chiusura permettono di identificare l’obiettivo che quella procedura è destinata a raggiungere. Ad esempio, il fallimento si apre allorché l’imprenditore non è più grado di pagare regolarmente i propri debiti e si chiude quando i creditori sono stati soddisfatti o, comunque, non possono esserlo più. Ciò lascia intendere chiaramente che il fallimento è una procedura destinata al soddisfacimento dei creditori. O, se si preferisce, una procedura esecutiva collettiva. In sostanza, il messaggio da tenere ben presente è che inquadrare esattamente un presupposto di una procedura serve ad individuare la finalità della stessa. Ciò significa che comprendere l’effettivo contenuto della parola crisi permette di porre le basi per indagare sulla portata delle procedure che precedono il fallimento. A meno che, ovviamente, non si voglia ricondurre tutto banalmente all’insolvenza. Un’altra piccola premessa è necessaria. Se si parla di crisi dell’imprenditore non si sbaglia, perché la crisi viene espressamente riferita all’imprenditore. Ciò va bene, tuttavia, nella visione del vecchio legislatore fallimentare del 1942. Un legislatore più recente, quello dell’amministrazione straordinaria, ha preferito parlare di grandi imprese insolventi, ponendo in rilievo soprattutto l’aspetto oggettivo. E quindi, non crisi dell’imprenditore, ma crisi [continua ..]


2. La prevenzione e l'agire degli amministratori durante la crisi

Ora, per non andar troppo per le lunghe, è evidente che, fatte queste premesse e considerato che la crisi è un presupposto oggettivo di alcune procedure, è colui che ne deve fare applicazione e lo studioso che sono costretti a fornirne un’interpretazione. È necessario, quindi, capire, come in un noto refrain, cos’è questa crisi. In realtà, devo dire che la sensazione è che pochi la studiano, pochi l’interpre­tano e, ancor peggio, pochi l’accertano. Quanto agli studiosi, va osservato che, pur se nella legislazione concorsuale si è parlato spesso di crisi, non è stata data la dovuta attenzione alla sua nozione. Di frequente ci si è fermati ad uno stadio generico e descrittivo, non tenendo conto, forse, che non si tratta solo di una categoria astratta ma anche di un presupposto di fatto da accertare. Basti considerare come il termine più usato per spiegarne il contenuto sia quello di «difficoltà»: l’imprenditore in crisi è colui che è in difficoltà. Il che indubbiamente esprime un concetto ampio, ma dai contorni poco chiari. Qualcuno ha parlato di «malessere economico-finanziario dell’imprenditore», altri di «contenitore di situazioni eterogenee» che non rappresenta «nessuna specifica patologia dell’im­presa», o, ancora, di elemento che preannuncia l’insolvenza, sia esso definitivo e non. Per altri, infine, si tratterebbe di «avvenimenti di breve periodo» che rappresentano «cause contingenti» e che, comunque, sono «meno gravi» dell’insolvenza. E, più di recente, qualcuno ha preferito utilizzare i termini di insufficienza patrimoniale (ex art. 2447 c.c.) o di perdita della continuità aziendale. La molteplicità di opinioni trova giustificazione nel fatto che il legislatore ha preferito non fornire, contrariamente all’insolvenza, alcun supporto esplicativo al fine di lasciare ampia libertà interpretativa e, così, rendere tutto molto elastico. Quanto ai Tribunali che ne fanno applicazione, è semplice rilevare come difficilmente si riscontri un accertamento dello stato di crisi. Il che finisce per essere un grave errore d’impostazione. Perché è un errore? La risposta è che in questo modo [continua ..]


3. Segue

Sulla base di questa prima conclusione, che lega la crisi alla prevenzione, sono necessarie altre considerazioni. L’uso del termine «crisi» nella legislazione concorsuale, come visto, è abbastanza diffuso. Ha assunto un significato pregnante, però, solo con la riforma del 2005, allorché è stato previsto (art. 160 L. Fall.) che l’imprenditore possa accedere alla procedura di concordato preventivo non solo quando è insolvente, ma anche quando è in crisi. Tutto ciò è stato ribadito nella legge delega di riforma delle procedure concorsuali (L. 19 ottobre 2017, n. 155) e dovrebbe trovare applicazione con i decreti delegati, le cui bozze, come anticipato, sono in circolazione. Qualche cenno sul punto può essere utile. In questi articolati emerge, in più parti, l’obiettivo del legislatore di agevolare il superamento tempestivo della crisi. Ciò si scontra, però, con vari condizionamenti, quali, ad esempio: il mantenimento della continuità aziendale; l’eventuale sostituzione dell’imprenditore; il soddisfacimento dei creditori; la tutela del valore dei beni. Alla ribalta, tuttavia, è posto il miglior soddisfacimento dei creditori, che può es­sere visto come il limite assoluto all’azione imprenditoriale. Soddisfacimento che o­rienta l’intervento e che va comparato sia alla liquidazione giudiziale, sia all’esecu­zione individuale. Come visto, quindi, la prevenzione è finalizzata ad evitare ulteriori danni. Essa è prevista nell’interesse dei creditori, ma anche nell’interesse dello stesso imprenditore. Dal punto di vista dei creditori appare chiaro che il loro credito si trova in una posizione di pericolo. La situazione può peggiorare, può degenerare definitivamente, ma una cosa non dovrebbe accadere: che il tempo decorra inutilmente, danneggiando la posizione dei creditori, e ciò a partire dal momento in cui sono palesi i primi sintomi che portano a dire che l’impresa è in crisi. Questo significa, in concreto, che ai creditori va assicurato, quanto meno, il soddisfacimento che avrebbero ottenuto nel momento in cui la crisi si è concretizzata. Soluzione che diviene necessaria se si ha a cuore il rispetto del principio di responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.): non è mai [continua ..]


4. La crisi come rischio d'insolvenza: il calcolo della probabilità

Giunti a questo punto non resta che addentrarsi nell’indagine sulla nozione di crisi. Di primo acchito si è soliti rapportare la crisi all’insolvenza e porre in luce le differenze. In realtà, questo modo di procedere può avere un senso purché si abbia ben chiaro che crisi ed insolvenza, com’è stato dimostrato, sono concetti diversi. Si tratta di due fenomeni, sia sotto il profilo causale, sia sotto quello temporale, non necessariamente legati tra loro. Di certo, la crisi precede l’insolvenza (e non viceversa), ma può accadere che la manifestazione dell’insolvenza non sia preannunciata da alcun sintomo di crisi. È quanto può succedere, ad esempio, nell’ipotesi di distruzione, per evento accidentale, dell’opificio industriale: circostanza che può condurre l’imprenditore, da un giorno all’altro, all’impossibilita di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. In definitiva, le due situazioni possono essere slegate tra loro e finanche non contigue. Questa conclusione trova conferma anche sul piano positivo. Qualora, infatti, il concordato preventivo sia dichiarato inammissibile, per la successiva dichiarazione di fallimento è sempre necessario il previo accertamento dello stato d’insolvenza. Altro dato certo è che la nozione di crisi è più ampia di quella d’insolvenza. Co­me del resto quest’ultima è più estesa di quella di cessazione dei pagamenti o d’ina­dempimento. Ciò che più conta, tuttavia, è porre in luce che la crisi ha dei caratteri propri. Ad esempio, la crisi può essere generata da fattori interni all’impresa. A differenza di quanto accade per l’insolvenza, che necessita della manifestazione, la crisi può non esteriorizzarsi, non divenendo conoscibile ai terzi e rimanendo nella stretta sfera del­l’imprenditore. Il che giustifica il fatto che il concordato preventivo è una procedura nell’esclusiva disponibilità di quest’ultimo. Solo l’imprenditore, che è consapevole della crisi, può fare ricorso ad esso. Il tutto trova spiegazione in una logica sistematica per cui, mentre la prima fase di regolazione amichevole della crisi è rimessa in via esclusiva all’iniziativa del debitore, nella successiva fase coattiva [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2018