Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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Danno da abusiva concessione di credito e presupposto soggettivo del terzo-creditore: una problematica ricostruzione delle tutele (di Riccardo Fava. Dottore di ricerca in Diritto della procedure concorsuali ed esecutive nell’Università di Macerata)


CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I,

SENTENZA 14 MAGGIO 2018, N. 11696

Pres. AMBORSIO, Rel. MARULLI, P.M. ZENO (rigetto)

 

Amministrazione straordinaria – Abusiva concessione di credito – Responsabilità per abusiva concessione di credito – Tutela dell’affidamento del terzo inconsapevole ed incolpevole – Danno derivante dal ritardato fallimento – Sussistenza – Condizioni

(Art. 146 L. Fall.; artt. 2055 e 2932 c.c.)

In materia di concessione abusiva del credito, sussiste la responsabilità della banca, che finanzi un’impresa insolvente e ne ritardi perciò il fallimento, nei confronti dei terzi, che in ragione di ciò abbiano confidato nella sua solvibilità ed abbiano continuato ad intrattenere rapporti contrattuali con essa allorché sia provato che i terzi non fossero a conoscenza dello stato di insolvenza.

(Omissis) RAGIONI DELLA DECISIONE 2.1. Il ricorso – alla cui ammissibilità non osta la pregiudiziale opposta dalla controricorrente sull’assunto che la decisione qui impugnata si sarebbe conformata sulla questione di diritto oggetto di causa al dictum di SS.UU. 7029/2006 e 7030/2006, vero, al contrario, che detti precedenti si innestano in una diversa cornice fattuale e l’enunciato che vi figura, ed offre pretesto all’obiezione, costituisce un mero obiter – con il primo motivo, declinante una pluralità di censure, deduce, per gli effetti del­l’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., che il giudice del gravame sia incorso in errore per aver ritenuto insussistente il nesso di causalità tra il danno allegato dalla ricorrente ed il fatto imputato alla banca in ragione dei ricordati indici fattuali costituiti dall’essere controllata di Merker e dall’esserle state addebitati comportamenti infedeli dei propri dirigenti, nonché per aver ancora ritenuto che fosse onere probatorio di essa istante provare la propria ignoranza incolpevole. Più in dettaglio O.M.T. lamenta che, essendo l’abusiva concessione di credito fonte di illecito, non potrebbe perciò negarsi la sussistenza del nesso di causalità tra i finanziamenti indebiti concessi nell’occasione dall’intimata ed il pregiudizio da essa subito; non sarebbe decisivo il rapporto di controllo in ragione della sua terzietà e della sua autonomia soggettiva, così come non sarebbe parimenti decisivo l’eventuale compartecipazione dei suoi amministratori agli atti connessi all’erogazione dei finanziamenti, essendo errato trarre dalla eventuale consapevolezza del suo amministratore circa l’illiceità delle operazioni effettuate che essa ne avesse pure giuridica conoscenza; né la responsabilità dell’intimata potrebbe escludersi a causa dell’infedeltà del proprio amministratore, il contrario essendo stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte nella sentenza 13413/2010; né, infine, sarebbe condivisibile l’assunto in punto di prova, giacché sussistendo tutti gli elementi costitutivi dell’azione ovvero fatti, evento, nesso cau­salità e colpevolezza, la domanda era compiuta e l’onere probatorio assolto. 2.2. Attesa la molteplicità delle censure sviluppate, è bene, inizialmente, sgombe­rare il terreno dagli argomenti meno insidiosi su cui il motivo ha agio di soffermarsi. 2.3. Il pensiero corre, in primo luogo, all’idea di credere che la società viva di vita propria e non attraverso l’operato dei propri organi sociali e, primariamente, attraverso i suoi amministratori, tanto che della condotta di quest’ultimi essa non rispon­derebbe in ragione, appunto, della sua terzietà [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La posizione dei terzi-creditori - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. La novità del caso in esame - 5. Le problematiche sottese agli attuali orientamenti giurisprudenziali - 6. Spunti per una ricostruzione sistematica delle tutele - NOTE


1. Il caso

Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione ritorna sul tema dell’abusiva concessione di credito [1] occupandosi del presupposto soggettivo dell’azione risarcitoria promossa dal terzo-creditore danneggiato dalla ritardata dichiarazione di fallimento [2]. Il Commissario straordinario di una società per azioni assoggettata ad amministrazione straordinaria agiva [3] contro un istituto di credito per l’abusiva concessione di credito erogata in favore di altra e diversa società (già insolvente) con cui la ricorrente aveva continuato ad intrattenere rapporti commerciali. Per via della ritardata dichiarazione di insolvenza di quest’altra società erano proseguite le relazioni commerciali fra essa e la ricorrente, che aveva quindi maturato nei confronti del­l’impresa finanziata un ingente credito, il quale, dopo che la debitrice era stata an­ch’essa assoggettata all’amministrazione straordinaria, veniva ammesso al passivo concorsuale solo in via chirografaria. Secondo il Commissario straordinario della ricorrente, se la società debitrice non avesse beneficiato dei finanziamenti erogati dall’istituto di credito convenuto, la dichiarazione di insolvenza sarebbe stata anticipata e, quindi, la terza-creditrice (i.e. la ricorrente) non avrebbe continuato ad intrattenere rapporti commerciali con quest’ul­tima, maturando così un ingente credito non recuperabile. Nei giudizi di merito la domanda era stata respinta sia dal Tribunale di primo grado, sia dalla Corte d’Appello territoriale. Così analogamente anche in sede di legittimità. La Corte di Cassazione, infatti, confermando le decisioni dei precedenti gradi di giudizio, ha affermato che nel caso di specie non poteva essere accolta l’a­zione di responsabilità per “abusiva” concessione di credito in quanto non poteva sussistere il presupposto soggettivo dell’azione in parola inteso come l’ignoranza incolpevole del terzo-creditore circa la situazione di insolvenza della debitrice-fi­nanziata, quindi, il legittimo affidamento di esso nella solvibilità della contraente. L’elemento soggettivo veniva escluso in quanto tra la società ricorrente (terzo-cre­ditore) e la società debitrice-finanziata sussisteva un rapporto di controllo e, soprattutto, vi era la coincidenza dei soggetti [continua ..]


2. La posizione dei terzi-creditori

Dunque, muovendo dal punto di vista oggettivo (i.e. l’incidenza casuale della condotta della banca che, finanziando l’impresa insolvente, consente di ritardare artificiosamente la dichiarazione di fallimento) la lesione subita dai terzi-creditori è astrattamente identica sia per le ragioni di credito sorte prima del periodo in cui l’impresa è stata artificiosamente mantenuta in vita [7], sia per le ragioni di credito sorte dopo la concessione del credito al fine di ritardare la dichiarazione di fallimento [8]. Il pregiudizio derivante dalla condotta della banca che finanzi un’impresa insolvente e, perciò, ne ritardi l’accertamento dell’insolvenza, si concretizza nella possibile riduzione dell’aspettativa di soddisfacimento delle pretese creditorie – anche se non della totalità – nel successivo riparto concorsuale [9]. La concessione del finanziamento all’impresa insolvente – anche assumendo in via teorica l’assenza di nuovi rapporti commerciali con i terzi – potrebbe originare una lesione alle aspettative di soddisfacimento dei creditori anteriori rispetto al periodo in cui l’impresa è stata artificiosamente mantenuta in vita se, ad esempio, il finanziamento è erogato al fine di consolidare/trasformare passività preesistenti con il medesimo istituto di credito ed è assistito da garanzia reale; ovvero, è destinato a soddisfare in via preferenziale creditori che beneficiano dell’esonero dall’azione revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall.; ovverosia, è impiegato per soddisfare creditori pregressi al fine di consolidare pagamenti e garanzie, così da sottrarre tali atti dispositivi dall’orbita dell’azione revocatoria fallimentare ex art. 67, 1° e 2° comma, L. Fall.; oppure per ritardare la dichiarazione di fallimento per consolidare operazioni societarie straordinarie in danno dei creditori, come una scissione societaria con attribuzione del più redditizio ramo d’azienda alla newco. In tali ipotesi, il patrimonio dell’impresa da destinare al soddisfacimento delle ragioni dei creditori concorsuali anteriori alla concessione del finanziamento o viene preferenzialmente attribuito ad un solo creditore (per effetto della garanzia reale), oppure, si riduce (per effetto della [continua ..]


3. I precedenti giurisprudenziali

A tal proposito occorre ripercorre brevemente gli sviluppi giurisprudenziali sino ad oggi noti. Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione dichiara apertamente l’inten­to di sviluppare il “seme” (cit.) che «era in nuce già presente» nell’obiter dictum delle Sez. Un. n. 7030/2006 [12]. Va subito osservato che l’azione promossa dal Commissario straordinario nella sentenza qui annotata e l’azione incardinata dal Curatore fallimentare che ha dato origine alle citate Sezioni Unite del 2006 hanno struttura diversa, sebbene apparentemente entrambe postulino la richiesta di risarcimento del danno per abusiva concessione del credito. Nel caso deciso dalle citate Sezioni Unite del 2006 l’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito era stata proposta dal Curatore fallimentare per tutelare l’interesse dell’intera massa dei creditori dell’impresa fallita al maggior riparto possibile. La richiesta di risarcimento veniva avanzata con riferimento sia ai creditori anteriori al compimento dell’illecito, sia a quelli successivi. Come noto, le Sez. Un. n. 7030/2006 dichiararono inammissibile l’azione promossa da Curatore fallimentare per difetto della legittimazione attiva, non potendosi ritenere l’azione volta al ristoro del danno da abusiva concessione di credito un’azione “di massa” [13]. Nel negare la legittimazione del Curatore fallimentare le Sezioni Unite hanno rilevato che nel caso di specie non venne però allegato autonomamente un danno al patrimonio della società, ma solo un indistinto elemento di “danno alla massa”. La Corte affermò che un danno diretto ed immediato al patrimonio della fallita, quale presupposto dell’azione risarcitoria che al Curatore spetterebbe in qualità di successore nei rapporti del fallito e titolare dei diritti sorti in capo a questi, non venne in realtà mai de­dotto in quella vicenda processuale. Nel solco così tracciato dalle Sez. Un. n. 7030/2006 si innestò Cass. n. 13413/ 2010 che, sempre in obiter dictum, ripropose l’argomento che il Curatore fallimentare avrebbe potuto agire per il ristoro del danno cagionato dall’abusiva concessione di credito in qualità di avente causa o successore, ovvero di “subentrante ex [continua ..]


4. La novità del caso in esame

Nel caso della sentenza in commento, invece, l’azione risarcitoria per abusiva concessione di credito è stata promossa direttamente dal terzo-creditore che si affermava leso dalla condotta della banca finanziatrice. Si trattava, a ben vedere, di un’azione a tutela del singolo creditore, estraneo al rapporto contrattuale di finanzia­mento sorto tra la banca e l’impresa insolvente. Nel caso in esame, l’azione proposta non era finalizzata a tutelare il patrimonio da destinare al soddisfacimento creditori dell’impresa fallita leso dall’abusiva concessione di credito. L’azione tendeva ad ottenere la tutela del singolo credito leso dalla riduzione delle aspettative di soddisfacimento in sede concorsuale; il Commissario straordinario agiva contro l’istituto di credito per il risarcimento del danno cagionato dall’ingannevole apparenza della solvibilità debitrice. Così intesa, l’azione di responsabilità per abusiva concessione di credito – quale species del più ampio genus della tutela aquiliana del credito – rappresenterebbe uno strumento di tutela per terzi-creditori posteriori alla condotta della banca, quale stru­mento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, similmente all’azione ex art. 2395 c.c. [16]. L’evento produttivo del danno sarebbe in questo caso rappresentato dalla lesione della libertà contrattuale dei terzi-creditori posteriori che hanno contrattato con l’impresa il cui stato di insolvenza sarebbe stato artificiosamente celato dall’erogazione abusiva del credito [17]. La condotta attiva dell’erogazione delle nuove linee di credito integrerebbe, dunque, l’elemento oggettivo della fattispecie risarcitoria azionabile dai creditori che siano stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori, insieme ai quali può essere chiamato a rispondere, in concorso, l’istituto di credito (art. 2055 c.c.). Per contro, i terzi-creditori anteriori alla condotta della banca non avrebbero la possibilità agire direttamente con l’azione di responsabilità per abusiva concessione di credito così intesa. Per costoro residuerebbe la possibilità di ottenere il ristoro – in via mediata – nell’ipotesi in cui la condotta [continua ..]


5. Le problematiche sottese agli attuali orientamenti giurisprudenziali

Il quadro sopra tracciato lascia tuttavia emergere una sistematica della fattispecie dell’abusiva concessione di credito e, in particolare, dello specifico strumento di tutela, che appare fonte di una irragionevole disparità di trattamento tra terzi-creditori. Da un verso, la tutela per i terzi-creditori posteriori alla concessione abusiva finirebbe per essere concretamente inefficace. Infatti, i terzi-creditori (posteriori) dan­neggiati dall’apparente solidità creata dall’abusiva concessione del credito dovrebbero agire autonomamente e ciò con notevoli difficoltà di coordinamento tra le singole azioni eventualmente proposte, in quanto i creditori avranno contrattato con l’imprenditore in tempi diversi e pertanto dovrebbero fornire elementi di prova diversi a seconda del pregiudizio arrecato [19]. Il danno derivante dall’attività di sovven­zione abusiva dovrebbe essere valutato caso per caso nella sua esistenza ed entità, con il limite poi, posto anche dalla sentenza in commento, di valutare la meritevolezza della tutela per la consapevolezza dello stato di insolvenza a prescindere dalla natura del creditore (cioè se fornitore, prestatore d’opera, ovvero finanziatore). Dall’altro verso, va osservato che ammettendo la legittimazione del Curatore fallimentare ai sensi del combinato disposto degli artt. 146 L. Fall., 2393 c.c. e 2055 c.c., ad agire anche contro il finanziatore che abbia concorso negli atti di mala gestio degli amministratori, tale azione non risulta in alcun modo influenzata dall’ap­parente solidità diffusa nel mercato [20], né presuppone l’accertamento del presupposto soggettivo dell’ignoranza incolpevole in capo al terzo-creditore anteriore (il che sarebbe illogico, essendo appunto anteriore) [21], come invece preteso dalla sentenza in commento per la tutela dei terzi-creditori posteriori.


6. Spunti per una ricostruzione sistematica delle tutele

In altra occasione [22], si era già mostrata la necessità di giungere ad una ricostruzione unitaria dell’istituto focalizzando l’attenzione sul danno arrecato al patrimonio da destinare ai creditori concorsuali derivante dall’abusiva concessione di credito. In questo stesso senso è ora rintracciabile anche nella giurisprudenza di legittimità [23] un recente orientamento tendente a superare [24] il tradizionale principio [25] secondo cui ogni pretesa risarcitoria che abbia fondamento in un “illecito”, pur riguar­dando il patrimonio del fallito, sfugge alla logica dell’universalità e della concorsualità tipiche delle azioni esecutive di massa. Non è mancato infatti chi, mutatis mu­tandis, ha rilevato che il comportamento “illecito” del finanziatore può essere dotato di autonoma efficacia causale, ove teleologicamente funzionale a ritardare la dichiarazione di insolvenza, e tale autonomia sia idonea a produrre un conseguente depauperamento del patrimonio dell’impresa da destinare alla soddisfazione dei creditori [26]. L’erogazione del credito, effettuata in violazione della corretta valutazione del merito creditizio, in base ad informazioni adeguate ai principi di sana e prudente gestione (ex art. 5 TUB) [27], può cagionare dunque un danno a tutti i terzi-creditori dell’impresa insolvente. Il Curatore fallimentare, quale successore nei rapporti del fal­lito [28] – e solo tale organo – sarebbe quindi legittimato ad agire [29] per il risarcimento del danno “diretto e immediato” causato al patrimonio (i.e. la massa attiva) dell’im­presa e, di riflesso, alle aspettative di soddisfacimento dei creditori in sede di riparto (i.e. la massa passiva). È stato infatti osservato che la funzione delle “azioni di massa” non risiede nel vantaggio individuale conseguibile o meno dal singolo creditore, ma nell’utilità alla ricostituzione del patrimonio assoggettato alla soddisfazione dei creditori, onde riportare questo alla consistenza che esso aveva al tempo della manifestata insolvenza, perché tutti i creditori, nel concorso, siano in grado di esercitarvi le proprie pretese individuali [30]. In questo senso, a ben vedere, si erano [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2018