Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Sulla sorte, in caso di sopravvenuto fallimento, dei pagamenti effettuati in base a decreto ingiuntivo non definitivo (di Massimo Montanari. Professore ordinario di Diritto processuale civile nell’Università di Parma)


La giurisprudenza non ha ancora pronunciato una parola definitiva sulla fondatezza delle pretese restitutorie che le curatele fallimentari sovente accampano nei confronti di creditori che, in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, abbiano riscosso pagamenti in base a decreti ingiuntivi tuttora soggetti ad opposizione al momento dell’apertura del concorso nei confronti del debitore ingiunto. Il presente lavoro intende offrire un contributo alla soluzione della rilevante questione.

This paper deals with the question if the creditor who received the payment due in execution of an interlocutory injunction should return the sum collected in case of bankruptcy of the debtor.

 
SOMMARIO:

1. La questione - 2. La posizione tradizionale della Suprema Corte - 3. Il revirement successivamente intervenuto - 4. Il reale significato della postulata inopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo - 5. L'immediata ripetibilità dei versamenti effettuati in esecuzione del decreto ingiuntivo come corollario della (pretesa) improcedibilità della re­lativa opposizione - NOTE


1. La questione

Assai scarsa attenzione è stata ad oggi prestata dalla dottrina a una questione che, viceversa, ha registrato significative – anche se, almeno per quanto è dato vedere, inavvertite – divaricazioni in seno alla giurisprudenza di legittimità: la questione se i pagamenti effettuati in esecuzione, non importa se spontanea o coattiva, di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo o, comunque, non ancora divenuto irretrattabile [1] risultino o meno, siffatti pagamenti, automaticamente ripetibili per effetto della sopravvenuta apertura, nei confronti del debitore ingiunto, di una procedura fallimentare. La non trascurabile frequenza con cui, in questi anni, la Suprema Corte ha dovuto confrontarsi con la questione è sufficiente attestato della rilevanza pratica della medesima e, al contempo, della inspiegabilità del silenzio sostanzialmente osservato al riguardo nella dottrina fallimentaristica [2]: il presente lavoro trae, dunque, stimolo e sollecitazione da queste considerazioni, nell’intento di colmare, per quanto possibile, quel deficit di attenzioni e interesse di cui ora s’è detto.


2. La posizione tradizionale della Suprema Corte

Per quanto graniticamente attestata sul postulato dell’inopponibilità alla massa fallimentare del decreto ingiuntivo che, alla data della declaratoria di fallimento del debitore ingiunto, ancora non sia divenuto definitivo [3], a cagione della perdurante pendenza del giudizio di opposizione promosso nei suoi confronti o dei termini assegnati per l’instaurazione di quel giudizio [4], la Cassazione si è ben guardata, per lungo tempo, dallo svolgere quel principio nel senso di quella che sarebbe una risposta affermativa al quesito posto in apertura, vale a dire nel senso della effettiva e immediata ripetibilità, a favore della curatela del sopravvenuto fallimento, delle somme incassate dal creditore a séguito del pagamento eseguito dal debitore ingiunto, prima della sottoposizione alla procedura concorsuale, in ottemperanza alla pronuncia giudiziale provvisoriamente esecutiva emessa nei suoi confronti. Come recita Cass. 4 giugno 2001, n. 7539 [5], «nessuna rilevanza ha il fatto che l’ingiunzione, alla data del decreto che aveva ordinato la liquidazione coatta, sarebbe divenuta inopponibile, in quanto non è del provvedimento giudiziale che deve essere valutata l’efficacia nel momento in cui la procedura concorsuale si aprì, ma dell’atto solutorio effettuato prima di essa». E identica posizione è assunta dalla suc­cessiva Cass. 12 settembre 2003, n. 13444 [6], dove si legge che «inopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo non significa … revoca del decreto stesso» ovverosia, detta più estesamente, che «il fatto che l’accertamento sommario compiuto dal giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo non sia opponibile alla massa dei creditori e che la pretesa del creditore sia [conseguentemente] soggetta alle regole del concorso formale è circostanza assolutamente irrilevante per qualificare come indebita la prestazione ottenuta sulla base del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ma opposto o ancora opponibile». Insomma, manca, nella fattispecie, «un contrario accertamento che consenta di qualificare come non dovuta la prestazione ed a tale accertamento non si può equiparare il diverso fatto che il titolo esecutivo, senza che ne sia accertata l’ingiustizia, è divenuto inefficace verso la massa dei creditori dopo l’apertura della [continua ..]


3. Il revirement successivamente intervenuto

Le cose cambiano radicalmente con le successive Pronunce 20 marzo 2006, n. 6098, e 12 febbraio 2013, n. 3401 [8]. Anche in quelle occasioni l’attenzione della Corte è focalizzata sulla regola di inopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo non ancora trascorso in rem iudicatam alla data del fallimento. Ma ben diverse sono le conclusioni che se ne traggono per quanto qui, direttamente, interessa. Come recita la prima delle decisioni testé menzionate, «se il decreto ingiuntivo non è opponibile alla massa, eguale inopponibilità subiscono, necessariamente, tutte le situazioni consequenziali, che trovano radice nella provvisoria vigenza che il decreto esplica nei confronti del debitore, ma non anche della massa». L’inopponibi­lità del provvedimento monitorio al fallimento non si risolve insomma, come tradizionalmente professato (e come meglio si vedrà tra breve), nel mero assoggettamento del credito che ne sia oggetto ai consueti oneri di verificazione endofallimentare e nel conseguente, necessario, abbandono delle vie della cognizione ordinaria che si erano dianzi intraprese. All’opposto, come più nitidamente puntualizzato nella successiva Pronuncia n. 3401/2013, essa vale a determinare una situazione «del tutto analoga a quella … della sentenza di primo grado riformata in appello con sentenza non ancora passata in giudicato», onde l’applicabilità, su base analogica, alla fat­tispecie in esame della disciplina dettata, a quest’ultimo riguardo, dall’art. 336, 2° comma, c.p.c., nel testo novellato dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 («la riforma … estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata»): disciplina che, nella prospettiva dei pagamenti eseguiti, volontariamente o coattivamente, sulla scorta del titolo giudiziale dipoi caducato in sede di gravame, è correntemente ricostruita nel senso della automatica e immediata ripetibilità di quei pagamenti medesimi, in nome di un’esigenza di restaurazione dello status quo ante che in toto prescinde dagli sviluppi del giudizio sul rapporto sostanziale controverso e, dunque, dall’accertamento che quei pagamenti fossero o meno dovuti [9]. Sebbene con effetti circoscritti alla massa, il sopravvenuto fallimento del debitore ingiunto si [continua ..]


4. Il reale significato della postulata inopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo

Come agevolmente desumibile dal precorso excursus giurisprudenziale, la chiave della questione su cui verte il presente lavoro riposa tutta nel modo in cui deve essere inteso il concetto di “inopponibilità alla massa”, ovviamente in quello che è il suo operato riferimento al decreto ingiuntivo pronunciato nei confronti del debitore fallito [14] e, alla data di apertura della procedura concorsuale, non ancora passato in giudicato [15]. Orbene, non v’è dubbio che, se tale inopponibilità, o inefficacia, verso la massa fosse espressamente comminata dalla legge, al modo in cui avviene, a norma del­l’art. 44 L. Fall., per gli atti compiuti dal fallito in pendenza di procedura o per i pagamenti dallo stesso ricevuti o effettuati (sempre in quella fase temporale), non v’è dubbio, dicevo, o, almeno, sarebbe ragionevole sostenere, che essa andrebbe effettivamente risolta nei termini che preludono all’automatica ripetibilità, a vantaggio del fallimento, dei pagamenti eseguiti sulla base del decreto ingiuntivo che ne sia interessato: ed invero, se gli atti del fallito di cui l’appena citato art. 44 formalmente de­creta l’inefficacia verso i creditori fallimentari sono per ciò stesso da riguardare tam­quam non essent per i creditori medesimi, lo stesso dovrebbe essere, a fronte di analoga comminatoria di inefficacia, per il decreto ingiuntivo opposto o tuttora opponibile, con tutto quanto ne consegue in termini di applicabilità – a beneficio, ovviamente, della sola massa dei creditori e, dunque, del curatore che ne ha l’istituzionale rappresentanza – dell’art. 336, 2° comma, c.p.c. ed insorgenza dell’autonomo credito di restituzione che da quella norma trae fondamento. Il fatto è, però, che di una disposizione che apertis verbis sancisca l’inopponibi­lità/inefficacia verso i creditori del provvedimento in questione, non è traccia nel sistema fallimentare: e se, egualmente, v’è ragione di parlarne, questo è, esclusivamente, in conseguenza dell’interpretazione a contrariis verbis di una norma di legge che a ben vedere, in termini di opponibilità o efficacia di un determinato atto o provvedimento nei confronti della procedura fallimentare, non si esprime affatto. Il riferimento è di [continua ..]


5. L'immediata ripetibilità dei versamenti effettuati in esecuzione del decreto ingiuntivo come corollario della (pretesa) improcedibilità della re­lativa opposizione

Acclarato che, valutata in rigorosa aderenza al suo fondamento testuale – quale oggi incarnato dall’art. 96, 2° comma, n. 3, L. Fall., in sostanziale corrispondenza alle previsioni del “vecchio” art. 95, 3° comma, della stessa legge –, la c.d. inopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo non ancora definitivo alla data del fallimento non viene automaticamente a risolversi nel diritto del curatore alla restituzione dei pagamenti in precedenza effettuati, sulla base del provvedimento monitorio, dal debitore ingiunto, occorre peraltro segnalare come, secondo la dianzi cit. Cass. 12 febbraio 2013, n. 3401, tale diritto sarebbe da porre in raccordo anche con il regime di improcedibilità cui verrebbe necessariamente a sottostare il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sorpreso in itinere dalla sopravvenuta dichiarazione di fallimento. Come si legge nella richiamata sentenza, «una volta escluso il decreto ingiuntivo dall’ambito di operatività della L. Fall., art. 95 (nel testo anteriore alla riforma), con la conseguente inopponibilità alla massa dei creditori dello stesso decreto ingiuntivo, non si può ipotizzare che il pagamento intervenuto resti fermo e che la restaurazione della situazione patrimoniale precedente debba avvenire ad opera di un giudice diverso da quello che ha accertato l’inefficacia del titolo giudiziale e sulla base di una vera e propria azione di ripetizione di indebito, la quale soltanto, in quanto azione recuperatoria già nel patrimonio dell’imprenditore insolvente, potrebbe giustificare l’accertamento dell’insussistenza del debito in una sede diversa da quella deputata all’accertamento del passivo». Volendo scandire meglio il ragio­namento della Corte, questo può essere articolato attraverso i seguenti passaggi: a) l’i­nopponibilità alla massa del decreto ingiuntivo si traduce nell’improcedibilità dell’op­posizione avviata prima del fallimento; b) l’accertamento dell’insussistenza del credito dedotto con l’azione monitoria può essere perseguito, allora, soltanto per il tramite di un’autonoma azione di ripetizione dell’indebito; c) l’introduzione in sede ordinaria di questo giudizio arreca lesione al principio di esclusività del rito della verifica per la cognizione dei [continua ..]


NOTE
Fascicolo 6 - 2018