Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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Responsabilità degli amministratori per la prosecuzione dell´attività successivamente al verificarsi di una causa di scioglimento ... (di Roberto Rosapepe. Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università di Salerno)


Prendendo spunto dalla recente decisione del Tribunale di Milano in ordine alla responsabilità degli amministratori per le operazioni compiute successivamente al verificarsi di una causa di scioglimento della società, il commento si sofferma sull’interpretazione della nuova formulazione dell’art. 2486 c.c., introdotta dall’art. 378 del Codice della crisi e dell’insolvenza.

Moving from the recent decision of the Milan Tribunal, which deals with managers’ liability for the business deal following the winding up, the A. studies the new criteria for the assessment of damages, pursuant to art. 2486 Civil Code, modified from article 378 of the newly approved Code of enterprises crisis and insolvency.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La responsabilità degli amministratori in caso di violazione dell’obbligo di gestione ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale - 3. I criteri di quantificazione del danno - NOTE


1. Premessa

La recente decisione del Tribunale di Milano che si commenta conferma l’o­rientamento già espresso in altre decisioni dello stesso Tribunale e della giurisprudenza di legittimità secondo il quale – come si legge nella massima – in caso di «illecita prosecuzione dell’attività di impresa caratterizzata da innumerevoli nuove operazioni e di conseguente difficoltà di ricostruire ex post il risultato netto (costi/ricavi) di singole operazioni non conservative, è possibile procedere alla determinazione del danno mediante criteri presuntivi o equitativi, quale quello della differenza dei netti patrimoniali, che consiste nella comparazione dei patrimoni netti (determinati secondo criteri di liquidazione previa, se del caso, rettifica delle voci di bilancio scorrette) registrati alla data della (doverosa) percezione del verificarsi della causa di scioglimento da parte degli organi sociali e alla data di messa in liquidazione della società (o di fallimento della stessa)» [1]. La massima offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni in ordine alla nuova disposizione contenuta nel 3° comma dell’art. 2486 c.c., introdotto dall’art. 378 c.c.i., in attuazione di quanto previsto dall’art. 14, lett. e), della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 [2].


2. La responsabilità degli amministratori in caso di violazione dell’obbligo di gestione ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale

La norma citata detta la disciplina della responsabilità degli amministratori per la violazione dell’obbligo di gestione della società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale di cui al 1° comma dello stesso art. 2486 c.c. Ai sensi della nuova disposizione «quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura» [3]. Prima ancora di soffermarsi sui criteri di liquidazione del danno, cui è dedicata la disposizione in esame, pare opportuno sottolineare che la nuova formulazione della norma, laddove nella parte finale si riferisce all’ipotesi dell’apertura della procedura concorsuale, fuga ogni dubbio in ordine alla legittimazione anche del curatore al­l’esperimento dell’azione prevista dall’art. 2486 c.c. Dubbio sollevato [4] in considerazione del fatto che l’analitica indicazione delle azioni esperibili dal curatore, contenuta nell’art. 255 c.c.i. potrebbe essere intesa nel senso di escludere la sua legittimazione nella specie. Il che deve invece escludersi in considerazione sia della disposizione di chiusura contenuta nella lett. e) dell’art. 255 c.c.i., secondo cui spettano al curatore «tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge», sia appunto dal riferimento alle procedure concorsuali contenuto nell’art. 2486 c.c.


3. I criteri di quantificazione del danno

È noto che il tema della liquidazione dei danni risarcibili dagli amministratori è stato oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale [5] culminato con la posizione assunta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2015 [6], le quali, dopo avere chiarito la portata dell’onere probatorio in capo all’attore [7], si sono espresse in ordine alla legittimità del criterio della differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare, ammettendolo unicamente «al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accerta­mento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta del­l’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto». Le Sezioni Unite non si occuparono specificamente del tema oggetto della nuova previsione normativa, della responsabilità cioè degli amministratori per le operazioni compiute successivamente al verificarsi di una causa di scioglimento, ma già in sede di commento della sentenza si osservò che «rispetto a tale situazione (...), è lecito immaginare che, in evoluzione del criterio del deficit, ci si possa rifugiare al riparo del netto differenziale tra il patrimonio netto della società nel momento in cui sono state accertate le condotte illecite degli amministratori e quello esistente al mo­mento del fallimento» opportunamente sottolineando, tuttavia, la necessità di «dimostrare che gli atti compiuti successivamente al formarsi della causa di scioglimento siano relativi ad operazioni non conservative e che, comunque, abbiano prodotto una lesione del patrimonio» [8]. La stessa giurisprudenza poi, ancora recentemente, ha avuto modo di sottolineare che «per liquidare il danno derivante da una gestione della società condotta in spregio dell’obbligo di cui all’art. 2449 cod. civ. (vecchio testo), ovvero dell’attuale art. 2486 cod. civ., il giudice può ricorrere in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della [continua ..]


NOTE