Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Accordi di ristrutturazione: la Cassazione si pronuncia sul divieto di iniziare azioni cautelari ed esecutive (di Massimo Falabella. Giudice presso la Corte di Cassazione)


Con la sent. n. 16161/20118 la Cassazione è tornata ad occuparsi degli accordi di ristrutturazione dei debiti e ha esaminato, in particolare, il provvedimento giudiziale con cui è vietato al debitore l’inizio di azioni cautelari o esecutive. La nota richiama alcuni dei principali contributi della dottrina e della giurisprudenza sul tema e registra come le affermazioni della Corte circa la natura del provvedimento e l’oggetto del sindacato di cui è investito il Tribunale non vi si discostino.

With the decision n. 16161 of 2018, The Supreme Court has returned to consider debt restructuring agreements and has examined, in particular, court orders which forbid debtors from taking precautionary or executive actions. The note recalls some of the principal contributions of the doctrine and the jurisprudence on the theme and records how the affirmation of the Court regarding the nature of the measure and the object of the analysis which the Tribunal has embraced do not differ from the original.

SOMMARIO:

1. Il tema - 2. Lo speciale procedimento ex artt. 182-bis e 182-ter L. Fall.: profili generali - 3. L’intervento del Tribunale e il suo contenuto - NOTE


1. Il tema

La sentenza annotata si segnala per l’affermazione di importanti principi sul tema delle misure protettive che possono adottarsi in vista della stipula di un accordo di ristrutturazione: la pronuncia si occupa, infatti, di quel segmento procedimentale delineato dal 6° e 7° comma dell’art. 182-bis L. Fall. (inseriti dal D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010, successivamente modificato dal D.L. n. 83/2012, convertito in L. n. 134/2012) con cui è stato disciplinato il divieto, fatto ai creditori, di introdurre o dare ulteriore corso ad azioni cautelari o esecutive, oltre che di acquisire titoli di prelazione se non concordati, ancor prima della pubblicazione nel registro delle imprese dell’accordo stesso (è solo con tale pubblicazione infatti, che ai creditori erano altrimenti precluse iniziative nel senso indicato, giusta l’art. 182-bis, 3° comma). La pronuncia si inserisce in un quadro in cui l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ha già fornito, in quasi dieci anni, estesi contributi sul piano della interpretazione della disciplina in esame, la quale è incentrata su un effetto di automatic stay che si produce con la pubblicazione dell’istanza proposta dal debitore presso il registro delle imprese e su di una successiva delibazione da parte del Tribunale circa l’esistenza sia dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti, con le maggioranza richiesta, sia delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare [1]. Può essere utile esaminare la sentenza in commento alla luce dei tratti più significativi del percorso seguito da studiosi e giudici per ricostruire l’istituto della misura protettiva introdotta con l’intervento legislativo del 2010: senza nessuna aspirazione di completezza, al solo fine di meglio valutare il portato della decisione che si annota.


2. Lo speciale procedimento ex artt. 182-bis e 182-ter L. Fall.: profili generali

Il fondamento della richiamata novella del 2010 è ben spiegato nella Relazione accompagnatoria del disegno di legge di conversione, ove si chiarisce che la prassi applicativa aveva evidenziato come fosse importante eliminare azioni di disturbo nel corso delle trattative, consentendo alle parti di fotografare con certezza i beni patrimoniali dell’impresa per determinare le misure concretamente realizzabili per la ristrutturazione dei debiti: in tal senso, come è stato da subito osservato, la novella legislativa attestava il rinnovato favor del legislatore verso l’accordo di ristrutturazione come strumento di soluzione della crisi d’impresa, agevolandolo fin dalla fase delle trattative funzionali alla conclusione dell’accordo [2]. Proprio in considerazione della finalizzazione della tutela offerta dalle misure protettive rispetto alla conclusione dell’accordo da omologare, potrebbe credersi, a tutta prima, che la proposta che il debitore è onerato di depositare, unitamente al­l’altra documentazione prescritta dal 6° comma dell’art. 182-bis per l’ottenimento della cautela sia la proposta che costituirà oggetto dell’accordo da sottoporre al­l’esame del Tribunale. In effetti, si è rimarcato, in dottrina, come la dichiarazione del debitore sia diretta a certificare che egli sta trattando coi creditori per ottenere l’ade­sione a quella proposta con quel determinato contenuto, e non ad altra proposta o altro contenuto [3]. In senso contrario è stato osservato, in giurisprudenza, come la pen­denza delle trattative in cui si inserisce la proposta implica l’eventualità di modifiche o integrazioni rese necessarie dal raggiungimento della percentuale di creditori aderenti fissata dal 1° comma dell’art. 182-bis; e si è pure evidenziato come la scelta riservata all’imprenditore nel periodo di operatività della moratoria in ordine alle modalità di risoluzione della crisi (tra cui è oggi ricompreso il concordato preventivo) faccia ritenere che quel soggetto possa modulare in modo vario la proposta destinata a confluire nell’accordo definitivo, potendo quest’ultimo non coincidere, nel contenuto, con quello prospettato con la domanda di inibitoria [4]. L’oggetto della cautela è costituito, come si è detto, dal [continua ..]


3. L’intervento del Tribunale e il suo contenuto

Un punto chiave della disciplina è indubbiamente rappresentato dall’accerta­mento demandato al Tribunale chiamato a pronunciarsi sull’istanza protettiva. La sentenza annotata se ne è occupata specificamente proprio per il rilievo assunto dalla questione: infatti pur concludendo per l’inammissibilità del ricorso per cassazione, che aveva investito un provvedimento non impugnabile, come si dirà, la Corte ha ritenuto opportuno pronunciare il principio di diritto a norma dell’art. 363 c.p.c. sul tema della verifica che il Tribunale è tenuto a porre in atto in base all’art. 182-bis, 7° comma. Afferma la S.C. che la norma presuppone una valutazione circa la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze previste dalla legge e delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori estranei e che tale valutazione, da attuarsi con la cognizione sommaria (stante la natura cautelare del provvedimento) «deve essere svolta nella prospettiva di ragionevole attendibilità che le trattative si definiscano positivamente in ragione di quanto specificato nella dichiarazione del debitore (avente valenza di autocertificazione) e di quanto emergente dalla relazione del professionista in ordine all’idonei­tà della proposta, se accettata». Il provvedimento, per quanto emesso all’esito di un giudizio a carattere sommario e di natura prognostica, non consegue peraltro a un controllo solo formale sulla sussistenza della documentazione richiesta, ma presuppone da parte del giudice una verifica anche sostanziale sulla ricorrenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al 1° comma, nonché delle attestate condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare. Sul punto la pronuncia risulta pienamente aderente al dato normativo e allineata alle concordi indicazioni della dottrina [17] e della giurisprudenza di merito [18]. La predetta verifica sostanziale, d’altro canto, deve svolgersi – precisa la Corte – allo stato degli atti e in base alla documentazione acquisita, senza che possano effettuarsi «supplementi istruttori che sarebbero in contrasto con la sommarietà della [continua ..]


NOTE