Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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La suprema corte limita il privilegio processuale in favore del credito fondiario (di Salvatore Ziino. Professore associato di Diritto processuale civile nell’Università degli Studi di Palermo)


Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha ristretto la possibilità per i creditori fondiari di partecipare alla distribuzione del ricavato della espropriazione individuale proseguita ai sensi dell’art. 41, 2° comma, TUB (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385). L’A., dopo avere ripercorso la disciplina positiva che regola i rapporti tra credito fondiario e fallimento, espone alcune considerazioni critiche sulla decisione.

A recent judgment of the Supreme Court narrows the rights of banks, as mortgagee creditors, to seize the assets of the debtor notwithstanding bankruptcy proceedings, according to paragraph 41, subsection 2, of the Italian Consolidated Law on Banking (D.Lgs. 1° September 1993, n. 385). The Author examines the relevant provision concerning the right of banks to satisfy their claims notwithstanding bankruptcy proceedings and outlines a different framework.

Cassazione civile, 28 settembre 2018, n. 23482 Pres. F. DE STEFANO, Est. A. TATANGELO Fallimento – Effetti sui creditori – Esecuzione individuale – Credito fondiario – Distribuzione del ricavato – Onere del giudice dell’esecuzione di provvedere in conformità ai provvedimenti emessi dagli organi fallimentari (Artt. 43, 51, 107 L. Fall.; D.Lgs. n. 385/1993, art. 41, 2° comma) La provvisoria distribuzione delle somme ricavate dalla vendita di un immobile pignorato dall’istituto di credito fondiario in una procedura esecutiva individuale, iniziata (o proseguita) ai sensi dell’art. 41, D.Lgs n. 385/1993 dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, deve essere operata dal giudice dell’esecuzione sulla base dei provvedimenti (anche non definitivi) che sono stati emessi dagli organi del fallimento ai fini dell’accertamento, della determinazione e della graduazione dei crediti. Fallimento – Effetti sui creditori – Esecuzione individuale – Credito fondiario – Distribuzione del ricavato – Onere del creditore fondiario di documentare la ammissione al passivo – Mancata pronuncia degli organi fallimentari sulla istanza di ammissione al passivo – Conseguenze (Artt. 43, 51, 107 L. Fall.; D.Lgs. n. 385/1993, art. 41, 2° comma) Nel caso di espropriazione individuale ex art. 41, D.Lgs n. 385/1993, per ottenere l’attribuzione in via provvisoria delle somme, il creditore fondiario – a prescindere dalla avvenuta costituzione del curatore nel processo esecutivo – deve documentare al giudice dell’esecuzione di avere proposto l’istanza di ammissione al passivo del fallimento e di avere ottenuto un provvedimento favorevole dagli organi della procedura (anche se non definitivo) e, laddove gli organi della procedura non si siano pronunciati sull’istanza di ammissione al passivo, il giudice dell’esecuzione deve differire le udienze per la approvazione del progetto di distribuzione avvalendosi dei poteri diretti al sollecito e leale svolgimento del procedimento esecutivo. Fallimento – Effetti sui creditori – Esecuzione individuale – Credito fondiario – Distribuzione del ricavato – Intervento del Curatore per crediti di massa prevalenti rispetto al fondiario – Ammissibilità – Fattispecie (Artt. 43, 51, 107 L. Fall.; D.Lgs. n. 385/1993, art. 41, 2° comma) Per ottenere la graduazione di eventuali crediti di massa maturati in sede fallimentare a preferenza di quello fondiario, e quindi l’attribuzione delle relative somme, con decurtazione dell’importo da attribuire all’istituto procedente nell’espropriazione individuale, il curatore deve costituirsi nel processo esecutivo e documentare l’avvenuta emissione da parte degli organi della procedura fallimentare di [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La disciplina speciale sul credito fondiario nel Testo Unico del 1905 e nella legge fallimentare del 1942 - 3. Le modifiche introdotte dal Testo Unico Bancario e dalla riforma della legge fallimentare del 2006 - 4. Il caso deciso da Cass. n. 23482/2018 - 5. Sintesi della motivazione della sentenza - 6. Sulla ammissione al passivo come condizione per la partecipazione al riparto: considerazioni critiche - 7. Sulla c.d. graduazione implicita o indiretta e sul rischio di “infruttuosità” nel caso di soddisfazione anticipata del creditore fondiario - 8. Cenni sull’oggetto delle contestazioni ex art. 512 c.p.c. - 9. Il credito fondiario nel Codice della crisi d’impresa - NOTE


1. Premessa

La sentenza in esame, anche se afferma di porsi in continuità con le precedenti decisioni della Corte di Cassazione in materia di rapporti tra fallimento e credito fondiario, presenta una nuova interpretazione delle disposizioni vigenti. Per questa ragione dopo la pubblicazione della sentenza alcuni Tribunali hanno ritenuto opportuno emanare apposite circolari dirette ad illustrare le novità ai curatori fallimentari ed ai professionisti delegati nelle esecuzioni [1]. Prima di affrontare le singole questioni esaminate dalla sentenza, appare opportuno un breve excursus delle norme che regolano il credito fondiario, in modo da fornire al lettore alcune coordinate di riferimento.


2. La disciplina speciale sul credito fondiario nel Testo Unico del 1905 e nella legge fallimentare del 1942

La disciplina speciale in materia di credito fu introdotta dalla L. 14 giugno 1866, n. 2983, per consentire ad alcune banche di concedere speciali finanziamenti garantiti da iscrizione di ipoteca, con contestuale emissione di cartelle [2]. Negli anni successivi le norme sul credito fondiario vennero riformate ed estese agli altri istituti di credito; l’intera disciplina venne riordinata dal R.D. 16 luglio 1905, n. 646, recante il Testo Unico delle leggi sul credito fondiario. Le principali disposizioni speciali in materia processuale e fallimentare, che sono state mantenute dalla legislazione successiva, erano le seguenti: – l’ipoteca iscritta dall’istituto di credito non poteva essere impugnata con azione revocatoria se era iscritta almeno dieci giorni prima della sentenza di fallimento (art. 18 T.U. sul credito fondiario); – nel caso di vendita forzata l’aggiudicatario doveva versare direttamente all’istituto di credito «quella parte del prezzo che corrisponde al credito dell’Istitu­to in capitale, accessori e spese (...) salvo l’obbligo all’Istituto stesso di restituire a chi di ragione quel tanto coi rispettivi interessi per cui, in conseguenza della graduazione, non risultasse utilmente collocato» (art. 55 T.U. sul credito fondiario); – nel caso di fallimento dei mutuatari, il curatore era tenuto a versare all’istituto di credito le rendite dei beni ipotecati, «dedotte le spese di amministrazione ed i tributi pubblici, salvo l’obbligo all’Istituto stesso della restituzione a chi di ragione in conformità del disposto dall’art. 55» (art. 42, 1° comma, T.U. sul credito fondiario). L’art. 52, 2° comma, del Testo Unico sul credito fondiario confermava che le disposizioni speciali erano applicabili anche in caso di fallimento del debitore [3]. A seguito dell’entrata in vigore della legge fallimentare, R.D. 16 marzo 1942, n. 267, parte della dottrina manifestò dubbi sulla sopravvivenza del diritto dei creditori fondiari di iniziare o proseguire l’espropriazione individuale. Il principale argomento era costituito dall’art. 51 L. Fall., dove si legge che «sal­vo espressa disposizione di legge dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni [continua ..]


3. Le modifiche introdotte dal Testo Unico Bancario e dalla riforma della legge fallimentare del 2006

Il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia del 1993 (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, in avanti TUB) ha abrogato il Testo Unico sul credito fondiario [14] ed ha stabilito che rientrano nel credito fondiario tutte le operazioni di credito garantite da ipoteca su immobili [15]. L’estensione della disciplina sul credito fondiario a tutte le forme di finanziamento ipotecario ha suscitato dubbi di legittimità costituzionale, che sono stati dichiarati infondati dal giudice delle leggi [16]. Per quanto riguarda i rapporti tra esecuzione per credito fondiario e fallimento, il TUB ha sostanzialmente riprodotto le precedenti disposizioni. Nell’art. 41 TUB è stato riaffermato il potere del creditore fondiario di iniziare o proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati «anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore» ed è stata mantenuta la facoltà del curatore «di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento» (art. 41, 2° comma, TUB). È stata riprodotta la norma che consente all’istituto di credito di riscuotere le rendite del bene, anche nel caso di fallimento del debitore, «dedotte le spese di amministrazione e i tributi, sino al soddisfacimento del credito vantato» (art. 41, 3° comma, TUB). Il TUB ha pure mantenuto la soddisfazione anticipata del creditore fondiario mediante pagamento diretto alla banca, da parte dell’aggiudicatario, della «parte del prezzo corrispondente al complessivo credito della stessa» (art. 41, 4° comma, TUB). Il pagamento diretto però è stato limitato al caso di vendita forzata disposta dal «giudice dell’esecuzione» ed è stato abrogato nel caso di vendita fallimentare [17]. Il TUB non ha introdotto espressamente l’obbligo della banca di chiedere la am­missione al passivo, ma non si è dubitato che la banca avesse tale obbligo, in forza dei principi che regolano le procedure concorsuali e dell’art. 41, 2° comma, TUB, che attribuisce al fallimento le somme ricavate dall’esecuzione eccedenti la quota che «in sede di riparto risulta spettante alla banca» . Pertanto è stato subito chiarito che l’istituto di [continua ..]


4. Il caso deciso da Cass. n. 23482/2018

Questi erano gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza quando è stata emessa la sentenza in esame [23], che trae origine da un procedimento di espropriazione immobiliare promosso dal creditore fondiario nei confronti del debitore in bonis e proseguito dopo la dichiarazione di fallimento. Il curatore fallimentare interveniva nell’espropriazione e chiedeva di partecipare alla distribuzione del ricavato per la soddisfazione di alcuni crediti prededucibili: ICI relativa all’immobile, oneri condominiali e compensi spettanti alla curatela. Nel progetto di distribuzione non veniva riconosciuta la prededuzione richiesta dal curatore. Il giudice dell’esecuzione con ordinanza ex art. 512 c.p.c. rigettava le contestazioni mosse dal curatore al progetto di distribuzione. Il curatore proponeva opposizione agli atti esecutivi, rigettata dal Tribunale sulla base di due argomenti: – il giudice dell’esecuzione, in sede di distribuzione all’esito della procedura ese­cutiva individuale proseguita dal creditore fondiario, non deve tener conto delle vicende intervenute nella procedura fallimentare, in quanto l’attribuzione operata in sede esecutiva è provvisoria e gli organi della procedura fallimentare possono sempre ottenere la restituzione degli importi eventualmente ricevuti in eccesso dall’isti­tuto di credito fondiario; – i crediti concretamente vantati dalla curatela non erano privilegiati in sede esecutiva. Avverso questa decisione la curatela del fallimento proponeva ricorso per Cassazione «limitatamente al profilo riguardante l’importo pagato per l’ICI e quello relativo agli oneri condominiali per la conservazione del bene (cfr. pag. 9 e 10 del ricorso)». Il procedimento veniva rimesso alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., e il pubblico ministero nelle conclusioni scritte chiedeva il rigetto del ricorso. Successivamente veniva disposta la trattazione in pubblica udienza. La Corte di Cassazione con la sentenza in esame, dopo avere svolto una ampia disamina dei rapporti tra credito fondiario e procedura fallimentare, accoglie il ricorso e detta alcune “norme di comportamento” per i giudici dell’esecuzione [24].


5. Sintesi della motivazione della sentenza

La prima parte della decisione contiene un paragrafo dedicato alla “Ricostruzione sistematica della disciplina dei rapporti tra esecuzione individuale promossa per credito fondiario e fallimento” e imputa al giudice del merito di non avere correttamente applicato i principi affermati in materia dalla Suprema Corte, principi ai quali la sentenza invece vuole dare continuità; queste affermazioni saranno approfondite più avanti, in quanto sembra che sia stata invece proprio la sentenza in esame ad invertire la rotta rispetto ad orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati [25]. Prima di decidere l’unico motivo di ricorso, la Suprema Corte afferma che la possibilità per il curatore di ottenere dal creditore fondiario la restituzione delle somme ricevute in eccesso non esclude la rilevanza degli accertamenti e della «graduazione già avvenuti in sede fallimentare». Aggiunge che «laddove tali accertamenti e tale graduazione siano in qualche modo già avvenuti nella sede ad essi deputata, sebbene non in modo definitivo (essendo la procedura concorsuale ancora pendente), al fine di determinare la somma da attribuire in via provvisoria al creditore fondiario nell’esecuzione individuale eccezionalmente proseguita, di tali accertamenti debba certamente tenersi conto». In particolare, prosegue la sentenza, il giudice dell’esecuzione deve tenere conto dei provvedimenti definitivi di rigetto della domanda di ammissione al passivo, o di accoglimento per importi inferiori rispetto alle somme riscosse e «va escluso che il creditore fondiario possa trattenere le somme riscosse dall’aggiudicatario in misura superiore all’importo per cui sia stato ammesso al passivo del fallimento, anche in pendenza di una opposizione allo stato passivo volta a rivendicare l’ammissione per una somma maggiore». In questo modo sarebbero ridotti i rischi collegati alla successiva azione di ripetizione che è «incerta nella fruttuosità del suo esito». Dopo queste premesse, la Suprema Corte osserva che il giudice dell’esecuzione, oltre a liquidare le spese del processo esecutivo individuale, deve «verificare se esistano provvedimenti degli organi della procedura fallimentare che abbiano – direttamente o indirettamente – operato l’accertamento, la quantificazione e la graduazione [continua ..]


6. Sulla ammissione al passivo come condizione per la partecipazione al riparto: considerazioni critiche

La motivazione della sentenza in esame non sembra addurre i necessari argomenti che avrebbero potuto giustificare il cambio di rotta rispetto ai precedenti della Suprema Corte nella stessa materia. Due affermazioni contenute nella sentenza si pongono in continuità con la giurisprudenza precedente e sono certamente da condividere: a) davanti al giudice dell’esecuzione hanno rilevanza gli accertamenti definitivi e la graduazione già avvenuti in sede fallimentare[27]; b) l’attribuzione delle somme al creditore fondiario nella espropriazione singolare ha natura provvisoria. Invece altri passaggi della motivazione della sentenza non convincono. Innanzitutto, non sembra potersi condividere la affermazione secondo la quale l’ammissione al passivo sarebbe un elemento costitutivo del diritto del creditore fondiario di soddisfarsi nella espropriazione singolare [28]. Va al riguardo tenuto presente che la facoltà della banca di iniziare o proseguire l’espropriazione è prevista dalla legge e le disposizioni vigenti non subordinano il diritto del creditore fondiario alla preventiva ammissione al passivo. Sul punto la giurisprudenza precedente era costante. D’altronde l’art. 41 TUB consente espressamente al creditore fondiario il potere di iniziare o proseguire «l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari (...) anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore». È vero che l’art. 52, 3° comma, L. Fall., nel testo in vigore dopo la riforma del 2006, prevede l’onere del creditore fondiario di chiedere la ammissione al passivo, ma nessuna disposizione subordina l’azione esecutiva per credito fondiario alla preventiva ammissione al passivo. Dopo avere affermato che la ammissione al passivo è il “fatto costitutivo” del diritto del creditore fondiario di agire esecutivamente in pendenza di fallimento, la Suprema Corte affronta alcune conseguenze pratiche derivanti dalla nuova ricostruzione dei rapporti tra espropriazione per credito fondiario e fallimento, nel caso in cui il processo esecutivo sia giunto alla fase della distribuzione del ricavato, ma la verifica fallimentare sia ancora in corso. Per disciplinare il rapporto tra i due procedimenti la Suprema Corte fa leva sul potere del giudice di direzione del processo ed afferma che il giudice dell’esecuzio­ne [continua ..]


7. Sulla c.d. graduazione implicita o indiretta e sul rischio di “infruttuosità” nel caso di soddisfazione anticipata del creditore fondiario

Altro punto della sentenza, che va approfondito, è costituito dalla affermazione secondo la quale il giudice dell’esecuzione, nella fase della distribuzione del ricavato, dovrebbe verificare se esistano provvedimenti degli organi della procedura falli­mentare «che abbiano – direttamente o indirettamente – operato l’accertamento, la quantificazione e la graduazione del credito posto in esecuzione (nonché di quelli eventualmente maturati in prededuzione nell’ambito della procedura fallimentare, purché già accertati, liquidati e graduati dagli organi competenti con prevalenza su di esso)». L’argomento è ripreso in altri passaggi della motivazione, dove si legge che il giudice dell’esecuzione, su istanza del curatore, dovrà occuparsi della «graduazione dei crediti». Per i debiti della massa occorre che il pagamento sia già avvenuto e «che esso sia stato in qualche modo già graduato dal giudice delegato (o dagli altri organi della procedura fallimentare competenti (la sottolineatura è aggiunta, n.d.r.) con prevalenza sul credito dell’istituto fondiario. Tale graduazione (...) può essere in alcuni casi anche implicita o indiretta». Cosa debba intendersi per graduazione implicita o indiretta non è affatto chiaro [33]; allo stesso modo non si comprende la affermazione secondo la quale la graduazione potrebbe essere effettuata da organi fallimentari diversi rispetto al giudice delegato [34]. Nel fallimento la graduazione costituisce l’esito di un procedimento, che prevede la formazione del piano di riparto e il suo esame da parte dei creditori; semplici provvedimenti che dispongono spese non possono sostituire la approvazione del piano di riparto, che è accompagnata da specifici rimedi in favore dei creditori [35]. Non va neppure trascurato che l’affermazione della sentenza, secondo la quale si dovrebbe attribuire rilevanza nell’espropriazione singolare alla c.d. graduazione implicita (che è soltanto una prognosi di futura graduazione), appare in contrasto con l’art. 41, 2° comma, TUB, il quale stabilisce espressamente che l’obbligo di restituzione scatta soltanto dopo la approvazione del piano di riparto nel fallimento: se la graduazione dovesse avere luogo nella espropriazione [continua ..]


8. Cenni sull’oggetto delle contestazioni ex art. 512 c.p.c.

Nella parte finale della motivazione la Corte di Cassazione afferma che l’op­posizione agli atti esecutivi è un giudizio di impugnazione di un atto del processo esecutivo e, quindi, «a carattere meramente rescindente» ed aggiunge che il giudice dell’opposizione deve limitarsi ad annullare l’ordinanza del giudice dell’ese­cuzione. Sulla base di questa premessa la sentenza in esame decide nel merito ed annulla l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva risolto le contestazioni ex art. 512 c.p.c.; afferma inoltre che il giudice dell’esecuzione avrà «il potere-dovere di rinnovare l’atto esecutivo dichiarato nullo, conformandosi ai principi di diritto indicati nella presente decisione». Anche questi passaggi della decisione richiedono un approfondimento. In primo luogo non può sfuggire che la sentenza ha enunciato una serie di principi che vanno ben oltre la fattispecie decisa. Il ricorso per cassazione aveva avuto ad oggetto soltanto la questione relativa alla prededuzione dei crediti della curatela per ICI ed oneri condominiali. Per gli ulteriori crediti la curatela non aveva proposto impugnazione e si era formato un giudicato interno. Pertanto si deve ritenere che il giudice dell’esecuzione dovrà limitare i suoi accertamenti alla verifica della sussistenza dei crediti per ICI e per oneri condominiali. Va ancora considerato che l’impugnazione dei provvedimenti del giudice dell’e­secuzione che decidono le controversie in materia di distribuzione del ricavato ha caratteristiche peculiari rispetto alle ordinarie opposizioni agli atti esecutivi. In particolare, la pronuncia del giudice dell’esecuzione che decide l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza ex art. 512 c.p.c. non ha un carattere meramente rescindente e deve accertare l’esistenza dei crediti e delle cause di prelazione, con efficacia endoprocessuale. A questo riguardo, valga ricordare che, ai sensi dell’art. 512 c.p.c., il giudice dell’esecuzione risolve con ordinanza le controversie tra i creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’am­montare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione. La disposizione aggiunge che l’ordinanza [continua ..]


9. Il credito fondiario nel Codice della crisi d’impresa

Sulla Gazzetta Ufficiale del 14 febbraio 2019 è stato pubblicato il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, che ha riformato le procedure concorsuali ed ha sostituito il termine fallimento con quello di liquidazione giudiziale. L’entrata in vigore del Codice della crisi è prevista dopo il decorso di diciotto mesi dalla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e pertanto il 14 agosto 2020 (art. 389 del Codice). La disciplina transitoria stabilisce che le procedure fallimentari pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, nonché le procedure che saranno aperte a seguito della definizione di ricorsi già pendenti alla stessa data, saranno definite secondo le disposizioni della legge fallimentare (art. 390 del Codice della crisi). Nonostante le previsioni della legge delega, il Codice della crisi ha confermato il privilegio riservato al creditore fondiario: in particolare il Governo non si è avvalso della disposizione contenuta nell’art. 7, 4° comma, della legge delega, che gli consentiva di «escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari». L’art. 41 TUB non è stato modificato. Gli artt. 150 e 151 del Codice della crisi, che aprono le disposizioni sugli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale per i creditori [38], riproducono il contenuto degli artt. 51 e 52 L. Fall. e hanno mantenuto la deroga in favore del creditore fondiario. In particolare, l’art. 150, che stabilisce il «Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali», continua a prevedere che «salvo diversa disposizione della legge», dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante la liquidazione giudiziale, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura. Nel successivo art. 151, 1° comma, si legge che la liquidazione giudiziale apre il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore e che ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ogni diritto reale o personale, mo­biliare o immobiliare, deve essere accertato nel procedimento di formazione [continua ..]


NOTE