Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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La legittimazione del fallito a proporre opposizione all'esecuzione individuale intrapresa dal creditore fondiario (di Giulia Ricci (Dottoranda di ricerca nell’Università degli Studi Roma Tre))


Il Tribunale di Monza ha riconosciuto la legittimazione processuale del fallito a proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. nei confronti del creditore fondiario. Nonostante l’art. 43 L. Fall. disponga che la legittimazione processuale relativa ai beni acquisiti al fallimento spetti, in via esclusiva, al curatore, secondo la pronuncia in epigrafe il fallito mantiene la legittimazione esclusiva nel procedimento espropriativo individuale, se l’acquisizione del bene non sia stata prospettata nel procedimento medesimo.

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This case note is concerned with a decision of the Tribunal of Monza on the bankrupt man legal standing. The Tribunal declared the bankrupt man may lodge an opposition, referred to in art. 615 of the Code of Civil Procedure, against the enforcement proceeding initiated by a land creditor. In the present case the art. 43 of the Bankruptcy Act, reserving the exclusive legal standing for the insolvency administrator, was not applied, since the receivership failed to specifically reveal the asset acquisition.

 
TRIBUNALE DI MONZA, ORD. 9 MARZO 2018 G.E. CRIVELLI Fallimento – Effetti sui creditori – Esecuzione individuale – Credito fondiario – Opposizione all’esecuzione – Fallito – Legittimazione processuale – Sussistenza (Artt. 43, 51 L. Fall.; D.Lgs. n. 385/1993, art. 41, 2° comma) Nella procedura esecutiva individuale instaurata dal creditore fondiario ed avente ad oggetto un bene acquisito al fallimento, il fallito è legittimato a proporre opposizione ex art. 615 c.p.c. nel caso in cui non sia stata prospettata in giudizio l’acquisizione al fallimento del bene oggetto di espropriazione.   (Omissis) In primo luogo deve verificarsi la legittimazione processuale dell’opponente Adriano Catozzi (mentre è pacifica quella dell’altra debitrice esecutata Gloria Ciampi), dichiarato fallito come da sentenza trascritta presso i RRII, in quanto in linea astratta in base all’art. 43 l.f. lo stesso è privo di capacità processuale con riferimento ai diritti patrimoniali compresi nel fallimento, per i quali la legittimazione spetta curatore, tale difetto può essere rilevato solo ove sia prospettata la legittimazione del curatore, pertanto ove sia allegata l’acquisizione del bene al fallimento. In questo caso non v’è dubbio che il bene aggredito – o perlomeno la quota del 50 % dello stesso (la restante quota appartenendo al debitore non fallito) – astrattamente rientri nella massa fallimentare, e ciò nonostante la liquidazione del bene sia lasciata al giudice dell’esecu­zione trattandosi di procedimento attivato su impulso di creditore fondiario. È noto che sul punto non esiste univocità in giurisprudenza, nel senso che almeno in base ad un risalente indirizzo la S.C. aveva ritenuto che la legittimazione all’opposi­zione all’esecuzione spettasse al debitore ancorché fallito (cfr. Cass. 2532/1987). Successivamente il S.C. ha sempre ritenuto, in tutti i casi concretamente affrontati, la legittimazione del solo curatore. In particolare Cass. 12115/2003 ha affermato che spetta al curatore di opporsi ex art. 615 c.p.c. all’esecuzione promossa dal creditore fondiario, per affermare che invece il bene debba essere liquidato in sede concorsuale, attuando così la prevalenza del disposto dell’art. 51 l.f. e l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 41 TUB per la prosecuzione dell’azione esecutiva individuale nonostante la declaratoria di fallimento del debitore. (Omissis) È proprio la sentenza in parola che continua segnalando che “Se, dunque, il curatore era legittimato ad opporsi all’esecuzione, egli, e non anche la società fallita, era anche l’unico legittimato giacché l’art. 43 l.f. dispone che nelle [continua..]
SOMMARIO:

1. La fattispecie - 2. Il quadro normativo - 3. Universalità oggettiva e legittimazione processuale - 4. Universalità soggettiva e legittimazione processuale - 5. La deroga al divieto di azioni esecutive in favore dei crediti fondiari - 6. L’intervento della curatela nella procedura esecutiva individuale - 7. Legittimazione del fallito ad opporsi all’esecuzione individuale - NOTE


1. La fattispecie

In un giudizio di opposizione al processo di esecuzione individuale instaurato da un creditore fondiario, con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Monza ha respinto l’istanza di sospensione avanzata dall’opponente ex art. 615 c.p.c. per affermata usurarietà del credito. In via preliminare, il Tribunale ha dichiarato la legittimazione processuale dell’opponente, dichiarato fallito ad esecuzione già avviata. In deroga al divieto di cui all’art. 51 L. Fall., l’espropriazione individuale era proseguita nei confronti del fallito secondo il disposto dell’art. 41, 2° comma, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (TUB). Nell’ordinanza si richiama il contrasto giurisprudenziale sulla legittimazione a proporre le opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c. da parte del fallito soggetto al procedimento di esecuzione individuale. Da un lato, alcune pronunce risalenti avevano affermato la legittimazione esclusiva del debitore esecutato, ancorché fallito, ad agire in opposizione all’esecuzio­ne [1]. Dall’altro, la giurisprudenza successiva ha costantemente affermato che tale legittimazione spetta, in via esclusiva, alla curatela fallimentare che intenda contestare l’an della procedura esecutiva individuale, per insussistenza dei presupposti per l’ap­plicazione dell’art. 42, 2° comma, R.D. 16 luglio 1905, n. 646 (abrogato e sostituito dall’art. 41, 2° comma, TUB), che consentono la deroga al divieto ex art. 51 L. Fall. [2]. Quest’ultimo orientamento viene condiviso dall’ordinanza in epigrafe, che, tuttavia, lo ritiene inapplicabile al caso di specie. Secondo il Tribunale, infatti, il limite negativo per l’affermazione della legittimazione esclusiva del curatore a proporre le opposizioni esecutive consiste nella mancata prospettazione dell’avvenuta acquisizione del bene al fallimento; da ciò deriva la permanenza, in capo al fallito, della legittimazione processuale c.d. vicaria o suppletiva [3].


2. Il quadro normativo

Dalla pronuncia in epigrafe emerge la stretta connessione del risvolto processuale dei principi dell’universalità oggettiva (di cui agli artt. 42 e 43 L. fall.) e soggettiva (artt. 51 e 52 L. Fall.) che sorreggono la procedura fallimentare. La combinazione di tali disposizioni mira infatti a garantire che l’esecuzione concorsuale coinvolga la totalità dei creditori del debitore fallito secondo le regole del concorso sostanziale [4]. Per tale motivo, si ritiene che per comprendere la portata del principio obiter dictum sia necessario esaminare separatamente i tratti della legittimazione processuale del fallito emergenti dal combinato disposto degli artt. 42 e 43 L. Fall., e quelli desumibili dagli artt. 51 e 52 L. Fall., per giungere ad una conclusione che tenga conto di entrambi.


3. Universalità oggettiva e legittimazione processuale

Nella sezione della legge fallimentare dedicata agli effetti del fallimento nei confronti del fallito, l’art. 43 L. Fall. rappresenta il risvolto processuale dello spossessamento di cui all’art. 42 L. Fall., in quanto dispone che il fallito non può stare in giudizio, come attore né convenuto, rispetto ai rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento [5]. La dichiarazione di fallimento determina, dunque, una perdita della legittimazio­ne processuale da parte del fallito relativamente ai beni ricompresi nel fallimento, cui è correlata l’insorgenza della legittimazione processuale della curatela [6]. Tale previsione è finalizzata a tutelare l’interesse dei creditori, in modo che i provvedimenti emessi contro il fallito, anche se il procedimento è stato instaurato pri­ma della dichiarazione di fallimento, non siano opponibili al fallimento se non vi sia stata l’attivazione del curatore. Allo stesso fine, il 3° comma dell’art. 43 L. Fall., come modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, dispone che il fallimento determina l’interruzione (automatica) dei giudizi pendenti. Sulla questione si sono contrapposti gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza. Diverse pronunce dei giudici di legittimità, infatti, hanno affermato che la perdita della legittimazione processuale del debitore fallito non ha carattere assoluto ma deve intendersi come relativa alla massa fallimentare. Per tale motivo, la contestazione dell’incapacità del fallito risulta riservata esclusivamente alla curatela, mentre se ne esclude la rilevabilità d’ufficio o su eccezione della controparte [7]. Da ciò la giurisprudenza ha tratto l’ulteriore conseguenza per cui, in caso di inerzia del curatore relativamente ad un giudizio pendente, permane la legittimazione del fallito ad agire e resistere a tutela del rapporto dedotto in giudizio. Si tratta di una legittimazione di tipo vicario o suppletivo, che può essere sorretta dall’interesse del fallito ad impedire che il terzo si munisca di un titolo spendibile contro di sé nell’e­ventualità del ritorno in bonis [8]. Resta inteso che, in tal caso, la pronuncia è inopponibile al fallimento [9]. Diversamente, ove il curatore abbia attivato la propria legittimazione processuale, la [continua ..]


4. Universalità soggettiva e legittimazione processuale

La legittimazione processuale del curatore acquista particolare rilevanza nell’ac­certamento del passivo fallimentare previsto dagli artt. 93 ss. L. Fall., il quale rappresenta lo svolgimento procedimentale del principio dell’universalità soggettiva sancito dagli artt. 51 e 52 L. Fall. Mentre l’art. 52 L. Fall. assoggettale pretese creditorie al procedimento del sistema concorsuale (vis attractiva concursus), l’art. 51 L. Fall. sancisce il divieto di instaurare o proseguire azioni esecutive individuali nei confronti del fallito, facendo espressamente salvi i casi previsti dalla legge. Le forme predisposte per l’accertamento dello stato passivo sono dunque volte a tutelare, in primo luogo, l’interesse collettivo della massa dei creditori. In questa sede, poiché tale interesse generale è espresso dall’organo del curatore, la legittimazione processuale di questo assume un ruolo fondamentale. Ne deriva che nel giudizio di accertamento del passivo fallimentare il curatore è il legittimo contraddittore in via esclusiva rispetto alle pretese creditorie avanzate nei confronti del fallito, aventi ad oggetto beni acquisiti al fallimento [18]. La pronuncia in epigrafe, a nostro avviso, impone di verificare se la legittimazione processuale vicaria o suppletiva del fallito, derivante dalla totale inerzia della curatela, possa affermarsi anche rispetto ai procedimenti pendenti aventi natura esecutiva, direttamente incidenti sulla fase di realizzazione dell’esecuzione concorsuale.


5. La deroga al divieto di azioni esecutive in favore dei crediti fondiari

La ratio dell’art. 51 L. Fall. si individua nella tutela della par condicio creditorum in funzione dello scopo liquidatorio e satisfattivo del fallimento, prevalente rispetto all’interesse del singolo creditore ad agire in executivis [19]. In questo caso, dunque, è la legittimazione attiva del creditore ad essere ricostituita, per effetto del fallimento, in via esclusiva in capo alla curatela [20]. Tra le deroghe previste al divieto di cui all’art. 51 L. Fall., l’art. 41, 2° comma, TUB rappresenta senza dubbio la manifestazione più rilevante. La disposizione, che ha sostituito l’art. 42, 2° comma del previgente R.D. n. 646/1905, prevede infatti che l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari «può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore» [21]. Le ragioni sottese all’introduzione della disposizione sono riconducibili ad esigenze di tutela del pubblico risparmio [22]. Il codice del commercio del 1882, infatti, escludeva nell’art. 700 la possibilità per il creditore fondiario di procedere individualmente contro il debitore dichiarato fallito. Tuttavia, poiché il sistema di raccolta del risparmio si basava, in quel tempo, sul c.d. metodo delle cartelle, che imponeva un puntuale rimborso secondo il principio del «riscosso per il non riscosso», la norma rappresentava un ostacolo alla realizzazione dello scopo istituzionale degli Istituti di credito fondiario [23]. Dopo l’introduzione dell’art. 42, 2° comma, R.D. n. 646/1905, è intervenuto un profondo mutamento del sistema degli Istituti abilitati al credito fondiario nel senso della loro despecializzazione, con cui è venuto meno il tipico sistema di raccolta del risparmio improntato al principio del «riscosso per il non riscosso». Per tale motivo, parte della giurisprudenza aveva posto in dubbio la legittimità costituzionale della disposizione richiamata, a causa della disparità di trattamento in violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., dubbi che il giudice delle leggi ha ritenuto infondati [24]. Sulla natura giuridica del privilegio riconosciuto al creditore fondiario dall’art. 41, 2° comma, TUB, è attualmente pacifico che l’esenzione dal [continua ..]


6. L’intervento della curatela nella procedura esecutiva individuale

L’art. 41, 2° comma, TUB prevede che il curatore possa intervenire nell’ese­cuzione individuale, al fine di tutelare in quella sede l’interesse della massa dei creditori, dovuto alla previsione per cui «la somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento». Tramite l’intervento, dunque, il curatore può controllare, da un lato, che l’at­tribuzione delle somme al creditore fondiario sia conforme a quanto oggetto di verifica in sede di concorso fallimentare [30], e, dall’altro, che il bene non venga venduto ad un prezzo eccessivamente ribassato, idoneo a soddisfare unicamente il credito fondiario [31]. In passato, peraltro, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato l’opposto principio secondo cui, nella procedura esecutiva individuale, la legittimazione passiva spetta in via esclusiva in capo al debitore esecutato, anche dopo la dichiarazione di fallimento, con conseguente legittimazione esclusiva del fallito a proporre le opposizioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c. [32]. In particolare, in relazione all’opposizione agli atti esecutivi, la Suprema Corte aveva affermato che il debitore fallito è l’unico destinatario legittimo delle notificazioni degli atti del processo esecutivo, motivo per cui i termini di cui all’art. 617 c.p.c. decorrono soltanto dal momento del perfezionamento di tali notificazioni al fallito. Si escludeva espressamente, inoltre, l’interesse della curatela a proporre opposizione ex art. 617 c.p.c., in quanto le questioni inerenti la procedibilità dell’ese­cuzione individuale non avrebbero inciso sul concorso fallimentare, considerato che il creditore fondiario avrebbe dovuto, in ogni caso, prendervi parte al fine di rendere definitiva l’attribuzione ricevuta nell’espropriazione individuale [33]. La motivazione su cui si basava tale orientamento si rinviene nell’eventualità che la procedura esecutiva individuale resti autonoma rispetto alla procedura fallimentare, eventualità che si verifica nel caso in cui il creditore fondiario scelga dinon insinuarsi nel fallimento. La mancata insinuazione al passivo del credito fondiario, secondo la Suprema Corte, avrebbe escluso il principio di universalità della procedura concorsuale, e, [continua ..]


7. Legittimazione del fallito ad opporsi all’esecuzione individuale

La conclusione cui perviene il Tribunale di Monza costituisce una sintesi di alcuni degli orientamenti finora richiamati, mentre contrasta con il principio consolidato che riconosce la legittimazione esclusiva a proporre le opposizioni esecutive in capo alla curatela [39]. Il presupposto da cui muove la decisione in commento è rappresentato dall’o­rientamento di legittimità, contrastato dalla prevalente dottrina, secondo cui la perdita di capacità del fallito relativamente ai diritti acquisiti al fallimento di cui all’art. 43 L. Fall. non ha carattere assoluto ed è rilevabile in giudizio soltanto se sia prospettata la relativa legittimazione della curatela, con espressa allegazione dell’acqui­sizione del bene al fallimento [40]. Si riconosce che, se il curatore ha contestato l’an dell’espropriazione individuale per mancanza dei presupposti di applicabilità dell’art. 41, 2° comma, TUB, lo stesso curatore è il soggetto legittimato in via esclusiva nel procedimento espropriativo individuale. Il Tribunale inserisce, peraltro, una rilevante deviazione dalla regola af­fermando che, quando nella procedura esecutiva individuale non viene allegata l’av­venuta acquisizione del bene al fallimento tramite intervento del curatore, permane in capo al fallito la legittimazione processuale esclusiva, con conseguente ammissibilità dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. Nel giudizio coì instaurato, inoltre, non è necessaria l’integrazione del contraddittorio, fermo restando il diritto di intervenire della curatela. Secondo la pronuncia in epigrafe, dunque, anche se il bene oggetto di espropriazione individuale risulta acquisito al fallimento, come dimostra la trascrizione della sentenza di fallimento, il mancato intervento del curatore nella relativa procedura costituisce il presupposto della permanenza della legittimazione processuale del fallito a contestare l’esecuzione ex art. 615 c.p.c., per motivi diversi dall’applicabilità dell’art. 41, 2° comma, TUB. Tale conclusione è astrattamente riconducibile all’impostazione della giurisprudenza secondo cui – anche dopo le modifiche intervenute nell’art. 43, 3° comma, L. Fall. – è ipotizzabile una legittimazione processuale suppletiva o vicaria del fallito, relativamente ai beni [continua ..]


NOTE