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I rapporti processuali del fallito: riflessioni a margine della transizione in atto dalla legge fallimentare al codice della crisi d'impresa

Federico Cappai, Professore associato di Diritto dell’economia nell’Università di Cagliari

L’articolo muove dalla constatazione della limitata incidenza del Codice della Crisi d’Im­presa sulla pregressa disciplina dei rapporti processuali del fallito, per ripercorrere il dibattito dottrinale sulla condizione processuale di tale soggetto e tentare di offrire una lettura ragionata della vasta ed eterogenea produzione giurisprudenziale interferente con il tema. Il lavoro evidenzia un procedere incerto della giurisprudenza rispetto alla fondamentale contrapposizione, emersa in letteratura, tra la tesi che postula l’incapacità processuale del fallito e la tesi che esclude che il fallimento sia di per sé ostativo alla coltivazione da parte di tale soggetto delle proprie liti. In chiave teorica si esprime una netta propensione per tale seconda costruzione, di cui si sottolinea la perdurante validità nonostante le novità apportate, in materia, dapprima dalla riforma del 2006 e da ultimo dal CCI.

Processual condition of bankrupt: observations on the sidelines of the approval of “codice della crisi d’impresa”

The paper, considered the modest innovation made by CCI with regard to trials of bankrupt, recalls the debate about processual condition of this figure and tries to read systematicly the related cases law. The author underlines that jurisprudence is not crearly aligned to the doctrinal debate. Among the traditional theories – the first assumes that bankrupt isn’t allowed to be part in trial while the opposite assumes the processual ability of bankrupt – the paper leans towards the second theory also after the regulatory reform of 2006 and after the approval of CCI.

Keywords: bankruptcy – Insolvency Code – processual condition of the bankrupt

Sommario:

1. L’evoluzione della disciplina - 2. Il dibattito tradizionale sulla condizione processuale del fallito - 3. La posizione della giurisprudenza nel periodo precedente la novella del 2006 - 4. I termini della questione dopo la novella del 2006 - 5. La legittimazione suppletiva del fallito nell’inerzia della curatela fallimentare - 6. La novità apportata dal Codice della Crisi - NOTE


1. L’evoluzione della disciplina

Tra i profili legati alla procedura fallimentare che il Codice della Crisi d’Im­presa, varato con D.Lgs. n. 14/2019 [1], regola in sostanziale continuità con la disciplina della legge fallimentare, vi è quello concernente i rapporti processuali del fallito. La comparazione tra il testo originario della disposizione dedicata alla materia nella legge fallimentare (l’art. 43), quello risultante dalla novella operata dal D.Lgs. n. 5/2006 [2], e il testo della corrispondente disposizione del Codice della Crisi (l’art. 143), denota che lo statuto normativo di riferimento si è evoluto per successive aggiunte rispetto ai nuclei di disciplina preesistenti. In occasione della riforma del 2006, il legislatore si era limitato ad aggiungere a quanto già allora disponeva l’art. 43 L. Fall., che «l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo» (art. 43, 3° comma), e in modo analogo, da [continua ..]

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2. Il dibattito tradizionale sulla condizione processuale del fallito

Il tema in esame ha avuto nel corso dei decenni una elaborazione dottrinale e giurisprudenziale faticosa, acuita dalla laconicità del dato normativo originario, da un lato, e dalla accentuata frammentazione della casistica di riferimento, dall’altro. In passato, finché l’art. 43 si limitava a statuire che nelle controversie relative a rapporti compresi nel fallimento dovesse stare in giudizio la curatela, se non si dubitava che la rappresentanza processuale degli interessi facenti capo ai creditori concorsuali non potesse che competere agli organi della procedura, era profondamente controverso se il fallito fosse da considerare o meno capace di agire o resistere in giudizio per la tutela dei propri interessi patrimoniali. In proposito, nei primi decenni successivi all’entrata in vigore della legge fallimentare ebbe ampia diffusione la convinzione che il fallimento determinasse, a carico del fallito, la perdita della possibilità di rivestire il [continua ..]

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3. La posizione della giurisprudenza nel periodo precedente la novella del 2006

Indicare quale delle due contrapposte chiavi di lettura sia stata recepita nel diritto vivente prima della riforma ad opera del D.Lgs. n. 5/2006, non è agevole [14], non soltanto perché la giurisprudenza ha avallato, in relazione alla vasta ed eterogenea casistica di riferimento, soluzioni non univoche, ma anche perché la sua complessiva elaborazione si rivela a tratti disallineata rispetto all’opera di concettualizzazione profusa dalla dottrina. Limitandoci alle linee di tendenza generali, va anzitutto evidenziato che la dichiarazione di fallimento di una parte in causa era considerata suscettibile di condurre all’interruzione del processo, già sotto la vigenza del quadro normativo originario, quando ancora nessun riferimento esplicito all’interruzione era presente nella legge fallimentare. In passato, tuttavia, era opinione comune che ove il fallimento colpisse una parte già costituita in giudizio, l’interruzione si [continua ..]

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4. I termini della questione dopo la novella del 2006

Il panorama sia dottrinale che giurisprudenziale si evolve a seguito della riforma messasi in moto a cavallo degli anni 2005-2006, e dell’inserimento, nel corpo del­l’art. 43 L. Fall., della esplicita statuizione della efficacia interruttiva del fallimento ad opera del D.Lgs. n. 5/2006. La previsione, che nel suo tenore letterale avrebbe potuto essere letta come meramente confermativa dell’appartenenza del fallimento al novero delle vicende in grado di provocare l’interruzione del processo, che già allora costituiva, come detto, diritto vivente, venne intesa, sulla scorta della relazione di accompagnamento al testo normativo, come indicativa della volontà del legislatore di svincolare, da lì in avanti, la vicenda interruttiva del fallimento dal carattere di “relatività” che, fino a quel momento, le era stato riconosciuto dalla giurisprudenza prevalente. La disposizione introdotta dalla novella venne, nello [continua ..]

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5. La legittimazione suppletiva del fallito nell’inerzia della curatela fallimentare

L’impressione complessiva è che la riforma del diritto fallimentare abbia determinato un riposizionamento della giurisprudenza nella soluzione di specifiche questioni applicative, senza essere stata dalla stessa intesa quale portatrice di un radicale mutamento di paradigma rispetto al passato nella materia oggetto di trattazione. L’impres­sione, ad esser più precisi, è che la giurisprudenza mostrasse già in passato maggior predilezione per il modello teorico alludente al fallito quale soggetto processualmente incapace, e che tuttavia soltanto a seguito delle più recenti riforme sia approdata ad indirizzi applicativi maggiormente coerenti con quel modello teorico. Il tutto però al di fuori di una rigorosa e meditata opera di raccordo tra elaborazione teorica (professata talvolta con formule di stile) e approdi pratici volta per volta avallati. Una conferma si ricava dalla continuità temporale, alla quale si è [continua ..]

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6. La novità apportata dal Codice della Crisi

Il problema operativo più immediato al quale ha dato luogo la regola dell’au­tomatica interruzione dei giudizi in corso affermatasi a seguito della novella del 2006 è stato, come noto, quello di individuare il momento di decorrenza del termine trimestrale previsto ex lege per la riassunzione del processo interrotto. In proposito, dopo iniziali contrasti, si è affermato come prevalente in giurisprudenza, l’indirizzo secondo il quale la riassunzione deve avvenire entro tre mesi dalla data in cui la parte interessata alla prosecuzione del giudizio acquisisca la conoscenza “in forma legale” dell’evento interruttivo e del processo su cui lo stesso viene ad incidere [41]. In merito alla nozione di conoscenza legale, la stessa viene, nello specifico, ancorata alla dichiarazione o notificazione dell’evento interruttivo e del processo pendente, effettuata secondo la previsione dell’art. 300 c.p.c., ovvero, se anteriore, [continua ..]

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NOTE

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