La Corte di Cassazione si è pronunciata sul valore probatorio della relazione ispettiva della Banca d’Italia nell’ambito del giudizio di risarcimento dei danni, accertati in sede di espletamento dell’attività di vigilanza ispettiva, dagli esponenti aziendali nei confronti di una banca in amministrazione straordinaria.
La banca attrice, sulla quale incombeva l’onere probatorio circa la dimostrazione e successiva quantificazione del danno, riteneva sufficiente, al fine di provare la responsabilità degli ex amministratori e sindaci della banca, il mero riferimento alla relazione ispettiva, in ragione dell’attendibilità e soprattutto della fede privilegiata di cui è munita la stessa.
Sul punto, la Suprema Corte si è limitata a ribadire quanto già affermato dalla Corte d’Appello, secondo cui il valore di prova legale ex art. 2700 c.c. del verbale ispettivo della Banca d’Italia riguarda i fatti che il pubblico ufficiale attesti avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, nonché della provenienza del documento stesso e delle dichiarazioni rese dalle parti, ma non si estende alle risultanze di carattere valutativo dotate, per loro natura, di un margine di discrezionalità.
Pertanto, potendo le valutazioni contenute nel verbale ispettivo essere contraddette dagli ordinari mezzi istruttori, la Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile e legittima l’assunzione di una c.t.u. che possa contestare i relativi accertamenti.
The Court of Cassation ruled on the probative value of the inspection report of the Bank of Italy relating to the compensation for damages, ascertained during the performance of the supervision activity, by the company representatives in relation to a bank in special administration.
The bank, on which the burden of proof concerning the demonstration and subsequent quantification of the damage lied, considered sufficient, in order to prove the responsibility of the former directors and statutory auditors of the bank, the mere reference to the inspection report, due to the reliability and above all of the preferential faith with which it is equipped.
On this point, the Supreme Court confined itself to reiterate what was already affirmed by the Court of Appeal, according to which the value of legal proof pursuant to art. 2700 c.c. of the Bank of Italy inspection report concerning the facts that the public official attests occurred in his presence or made by him or known without any margin of appreciation, as well as the origin of the document itself and the statements made by the parties, but does not extend to evaluative results endowed, by their nature, with a margin of discretion.
Therefore, being able the assessments contained in the inspection report to be contradicted by the ordinary measures of inquiry, the Court of Cassation has deemed admissible and legitimate the assumption of a c.t.u. that can challenge the related investigations.
1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. La giurisprudenza - 4. La dottrina - 5. La vigilanza ispettiva - 6. Il valore probatorio del rapporto ispettivo di vigilanza - NOTE
La sentenza in oggetto riguarda la condanna al risarcimento dei danni da mala gestio posti in essere dai componenti degli organi sociali di una banca, all’epoca in amministrazione straordinaria, a causa di condotte non conformi al prudente e diligente svolgimento dei propri incarichi, che consistevano nell’aver concesso finanziamenti, divenuti poi irrecuperabili, a beneficio di imprenditori insolventi e privi di capacità di rimborso e non essersi attivati, in un secondo momento, alla rimozione delle carenze organizzative che hanno influito gravemente sulla gestione e sui bilanci sociali. Tali contestazioni scaturivano dagli accertamenti ispettivi condotti dalla Banca d’Italia, la quale, nell’espletamento della funzione di vigilanza ispettiva cui è preordinata ai sensi dell’art. 54 TUB, effettuando ispezioni e visionando i documenti e gli atti sociali, aveva rilevato le condizioni negative in cui versava la banca. La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione di una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli che, anche a seguito dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, aveva escluso la mala gestio in riferimento ad alcune operazioni, ritenendo che quest’ultime rientrassero nei rischi connessi alle scelte imprenditoriali gestionali, non avendo, inoltre, la banca, a giudizio della Corte, offerto prova concreta del mancato recupero dei crediti, e non ritenendo, quindi, assolto l’onere probatorio (che incombe sulla parte attrice del giudizio) attraverso il mero rinvio alla relazione ispettiva della Banca d’Italia, la cui fede privilegiata, sempre a parere della Corte d’Appello, riguarda i fatti attestati dal pubblico ufficiale (avvenuti in sua presenza o da lui direttamente compiuti), non anche le considerazioni discrezionali, dotate di ampio margine di apprezzamento, tra l’altro smentite dalla c.t.u. disposta in precedenza dal giudice di secondo grado. La banca, pertanto, con ricorso incidentale, adduceva la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova: innanzitutto, ritenendo contraddittoria ed insufficiente la motivazione della Corte d’Appello circa la valenza probatoria della relazione ispettiva della Banca d’Italia, la cui attendibilità poi veniva disattesa dalla c.t.u., ed [continua ..]
La sentenza di cui in oggetto si sofferma su una tematica di importanza fondamentale non solo sul piano processuale ma anche, e soprattutto, civilistico. Difatti, la questione su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Suprema di Cassazione affronta il tema relativo all’azione di responsabilità, ex artt. 2393 e 2396 c.c., nei confronti di amministratori e direttori generali di banca, i quali erogando finanziamenti e concedendo credito in favore di soggetti sprovvisti di idonee garanzia di rimborso, hanno causato considerevoli pregiudizi, che, conseguentemente, hanno avuto un impatto negativo sugli aspetti organizzativi e gestionali. Per quanto attiene al profilo del risarcimento del danno, l’ammontare e l’esistenza dello stesso, nonché il fondamento del fatto da cui è scaturito, devono essere provati, ai sensi dell’art. 2697 c.c., da colui che intende far valere in giudizio il proprio diritto, essendo in capo a colui che eccepisce l’inefficacia di tali fatti dare dimostrazione dell’esistenza concreta di fatti estintivi e modificativi del diritto azionato. Inoltre, l’art. 1218 c.c., in tema di responsabilità contrattuale, non modificando l’onus probandi, pone una presunzione di colpevolezza in capo al debitore, il quale sarà tenuto al risarcimento del danno, nel caso in cui non provi che l’inadempimento sia dovuto a cause a lui non imputabili. Le criticità, relative al comportamento tenuto da coloro che ricoprivano cariche di responsabilità all’interno della banca, si erano palesate a seguito di una verifica ispettiva condotta dalla Banca d’Italia, nell’esercizio delle funzioni di vigilanza cui è preordinata ai sensi dell’art. 4 e, più specificatamente, dell’art. 54 TUB, il quale ammette la possibilità che la Banca d’Italia effettui ispezioni presso le banche e richieda l’esibizione di documenti e altri atti che ritenga necessari. Sulla base di questa attività ispettiva, la Banca d’Italia, attraverso i propri organi, è tenuta a redigere una relazione ispettiva che esponga in maniera chiara quanto riscontrato in sede di ispezione. Sul piano processuale, emerge la necessità di valutare tali accertamenti ispettivi, sia ai fini della natura giuridica sia ai fini valenza [continua ..]
Il tema del valore probatorio del rapporto di vigilanza è stato oggetto di dibattito giurisprudenziale e ha interessato diverse pronunce, sia amministrative che civili. L’orientamento maggioritario, creatosi nell’ambito dei giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative pecuniarie, negava efficacia di prova legale al verbale amministrativo, ammettendo tale valenza probatoria solo alle parti di esso nelle quali il pubblico ufficiale rappresentava fatti compiuti o accaduti in sua presenza. Le altre disposizioni del verbale (di carattere valutativo), invece, potevano, tutt’al più, ritenersi presunzioni semplici, e come tali costituivano oggetto di prova contraria attraverso i mezzi istruttori ordinari [1]. Riguardo le valutazioni del verbalizzante, quindi, la giurisprudenza sembrerebbe ammettere la c.t.u. per permettere al giudice di comprendere meglio il materiale probatorio introdotto nel processo. Tuttavia, la c.t.u., essendo un mezzo istruttorio (sebbene non in senso proprio, in quanto sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice) e non una vera e propria prova, non può consistere in un mezzo utilizzato dalla parte per esonerarla dal fornire concreta dimostrazione di quanto assume, ovviando alla mancanza delle proprie allegazioni [2]. Nell’ordinamento bancario, la tematica relativa al valore probatorio degli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia riveste particolare importanza, soprattutto nella materia della crisi, delle sanzioni ed anche nei giudizi di responsabilità nei confronti dei componenti degli organi sociali. Infatti, gli esiti delle verifiche poste in essere dalla Banca d’Italia vengono utilizzati per l’adozione del decreto che dispone l’amministrazione straordinaria o la liquidazione coatta amministrativa (previa proposta al Ministero dell’Economia e delle Finanze), per l’irrogazione di sanzioni ex art. 144 TUB, per l’avvio di azioni di responsabilità nei confronti di esponenti aziendali, per accertare lo stato di insolvenza ex art. 82 TUB. La giurisprudenza di merito, pertanto, ha affrontato la problematica in occasione della fondatezza del reclamo avverso il decreto di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie ai sensi dell’art. 145 TUB, dell’entità del danno [continua ..]
Il dibattito sull’efficacia probatoria degli accertamenti ispettivi compiuti dalla Banca d’Italia nell’adempimento della funzione di vigilanza ha ricevuto scarsa elaborazione dottrinale; da ciò emerge l’impatto essenziale che sulla materia ha avuto la giurisprudenza. Pertanto, sulla scorta delle pronunce giurisprudenziali relative ad azioni di responsabilità nei confronti di organi di amministrazione e controllo avviate in seguito alle risultanze emergenti dai verbali ispettivi, la dottrina ha tentato di inquadrare la natura giuridica di tali atti nonché la loro efficacia probatoria. Se per il primo aspetto sussistono pochi dubbi [8], in quanto la dottrina in modo (quasi) unanime riconduce i verbali ispettivi ad atti pubblici redatti da pubblico ufficiale, che, pertanto, fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti che lo stesso pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza [9]. Per quanto riguarda il secondo profilo, l’efficacia probatoria degli accertamenti ispettivi, invece, si mostra più articolata, prestandosi a diverse riflessioni e soluzioni di carattere sistematico. Se da un lato, non si può disconoscere che la preparazione specifica di cui sono dotati gli ispettori della Banca d’Italia consenta al giudice chiamato a decidere quella determinata controversia di valutare le risultanze dei verbali ispettivi in termini di attendibilità [10], dall’altro lato, in fede al principio del contraddittorio, la parte contro la quale siano utilizzate le risultanze del verbale ispettivo, deve essere messo nelle condizioni di poter proporre contestazioni e provare la loro confutabilità. Diversamente, le parti non avrebbero modo di controbattere alle deduzioni presentate dagli ispettori della Banca d’Italia, nell’esercizio della funzione di vigilanza. Soprattutto nei giudizi di responsabilità avviati nei confronti degli organi sociali, non consentire l’ingresso nel giudizio di una prova contraria che contesti le valutazioni ispettive degli accertamenti della Banca d’Italia significherebbe sacrificare la garanzia costituzionale dei diritti [11]. Le risultanze della Banca d’Italia sono sì dotate di un elevato grado di attendibilità e specificità, ma non possono e non devono esonerare il tribunale dal giudicare riportandosi sic et simpliciter ad esse, [continua ..]
Prima di approfondire la questione circa la valenza probatoria degli accertamenti ispettivi, si ritiene necessario inquadrare la funzione di vigilanza ispettiva della Banca d’Italia, in ossequio alle disposizioni dell’art. 54, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, il quale attribuisce il potere di accertamento alla Banca d’Italia, affidandole non solo la disciplina delle modalità di esercizio del controllo di aspetti di natura prettamente tecnica, ma anche tale funzione pubblica che rende il medesimo organo super partes rispetto agli interessi in gioco. L’attività ispettiva costituisce uno strumento qualificante per l’esercizio della vigilanza bancaria, in quanto garantisce un accertamento diretto e “sul posto” dei fatti oggetti di indagine; essa è connotata dal rispetto di due principi fondamentali costituiti dall’oggettività e dalla trasparenza nei confronti dell’intermediario e degli esponenti aziendali e mira alla tutela di un interesse generale: la tutela del credito e del risparmio [17]. Le ispezioni rispondono allo scopo di acquisire elementi conoscitivi su aspetti fondamentali e sono volte ad accertare che l’attività dell’intermediario finanziario sia improntata a criteri di sana e prudente gestione e sia espletata nell’osservanza delle disposizioni in materia creditizia, essendo l’accertamento ispettivo volto a valutare in generale la situazione tecnica e organizzativa dell’intermediario, verificando anche che le informazioni che lo stesso fornisce alla Banca d’Italia siano veritiere ed attendibili. Lo svolgimento della funzione ispettiva non è episodico, ma rappresenta, il più delle volte, il risultato di una programmazione da parte della Banca d’Italia. Gli accertamenti differiscono in base all’obiettivo che l’organo ispettivo vuole perseguire e raggiungere; pertanto, potranno riguardare la complessiva situazione aziendale (c.d. “a spettro esteso”), specifici rami, settori aziendali o comparti di attività (“mirati”, “tematiche” se svolte presso più intermediari o “settoriali” se disposte per verificare il rispetto di determinate operazioni), oppure la conformità di eventuali azioni correttive poste in essere dall’intermediario a seguito di eventuali carenze o disfunzioni gestionali (“follow [continua ..]
L’attività di vigilanza della Banca d’Italia ha una sua rilevanza non solo al fine di promuovere azioni di responsabilità nei confronti di coloro che non abbiano adempiuto ai loro doveri ma anche sotto il profilo dell’accertamento e dell’onere probatorio per la quantificazione del danno, posto che la giurisprudenza, in primis, ed anche la dottrina tendono ad attribuire valore fidefaciente alle risultanze dei verbali ispettivi. La questione sul valore probatorio dei verbali ispettivi deve essere affrontata in relazione alle pronunce giurisprudenziali che si interrogano se attribuire loro efficacia probatoria exartt. 2699 e 2700 c.c., in quanto atti pubblici, se, indipendentemente dalla qualificazione come atti pubblici, abbiano comunque valore probatorio pieno, se, invece, offrano (soltanto) il fumus di quanto in essi riportato, in mancanza di puntuali elementi di segno contrario. Se è pacifico, come sembrerebbe, il riconoscimento al verbale ispettivo di atto pubblico, il quale fa piena prova fino a querela di falso, tuttavia, con riferimento ad altre circostanze, come apprezzamenti e valutazioni del verbalizzante non accertate secondo criteri di oggettività e di non diretta percezione del funzionario, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria si mostrano restie ad estendere la fede privilegiata, in quanto dotate di carattere valutativo che implica un certo margine di apprezzamento da parte dell’autore stesso, potendo, pertanto, costituire oggetto di prova contraria. Sul piano processuale, la riconosciuta affidabilità di tali accertamenti non è sufficiente a far ritenere il verbale ispettivo una fonte di prova privilegiata, tale da determinare un’inversione dell’onere probatorio, in quanto, laddove ciò fosse, porrebbe l’amministrazione in una situazione di indebito vantaggio processuale. A tal punto, si ritiene necessario precisare che la fede privilegiata piena riguarda pur sempre i fatti attestati dal pubblico ufficiale nella relazione ispettiva come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti o conosciuti senza alcun apprezzamento, nonché la provenienza del documento e le dichiarazioni rese dalle parti, non anche valutazioni, giudizi o opinioni del tutto soggettive, che, per loro natura, hanno margini più o meno ampi di discrezionalità. Tale ultima precisazione, pertanto, negando valore di prova [continua ..]