Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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Accordo del sovraindebitato: gli atti in frode, la semantica e il progressivo avvicinamento al concordato preventivo (di Davide De Filippis, Assegnista di ricerca in Diritto commerciale nell’Università di Bari “LUM”)


Il provvedimento del Tribunale di Pescara delimita i poteri attribuiti al giudice chiamato a decidere sull’ammissibilità dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento in presenza di atti commessi in frode ai creditori. Procedendo in controtendenza rispetto a precedenti arresti giurisprudenziali, la decisione esclude, in tale fase, un vaglio quando il debitore abbia denunciato la commissione dell’atto fraudolento. In questa specifica tipologia di soluzione della crisi, a parere della Corte di merito di Pescara, il giudice deve svolgere esclusivamente un’attività di accertamento, giammai di verifica.

Over-indebted agreement: Acts in fraud, semantics and the progressive approach To the arrangement with creditors

The provision of the Court of Pescara delimits the powers attributed to the judge called to decide on the admissibility of the settlement agreement of the over-indebtedness crisis in the presence of acts committed in fraud to creditors. Going against the trend of previous decisions, the court ruling excludes, at this stage, a check when the debtor has reported the commission of the fraudulent act. In this kind of solution to the crisis, the court must carry out only an assessment and not a verification activity.

Keywords: over-indebtedness – acts of fraud – arrangement with creditors

TRIBUNALE DI PESCARA, 25 SETTEMBRE 2020 Pres. A. Bozza, Rel. L.T. Marganella (Art. 10, L. 27 gennaio 2012, n. 3; art. 173 L. Fall.) Il compimento di un atto di disposizione del patrimonio, ove disvelato dal debitore, non comporta che la proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento debba essere necessariamente dichiarata inammissibile, dovendo il giudice, in tale caso, svolgere un’attività di accertamento analoga a quella di cui all’art. 173 L. Fall. per il concordato preventivo. (Omissis). Accordando le ragioni esposte in seno al reclamo, si palesa la preliminare necessità di muovere da una lettura sistematica delle regole normative che ordinano il regime della ristrutturazione dei beni del debitore sovraindebitato a mezzo di accordo con i creditori, al fine di scorgere la primigenia ratio legislativa che impedisce di assegnare al concetto di “fraudolenza” una supina sovrapposizione della diversa nozione di “atti dispositivi compiuti nel quinquennio”. Invero, la considerazione che la legge 3/12 in tutte le tre figure di sovraindebitamento prescriva che il debitore indichi gli atti di natura dispositiva compiuti nel­l’ultimo quinquennio aggiungendo a ciò la necessità di allegare una relazione del­l’OCC che verifichi le cause del sovraindebitamento, la diligenza mostrata nell’as­sumere le obbligazioni, le ragioni che hanno impedito di assolverle, la solvibilità del debitore negli ultimi cinque anni e gli atti impugnati dai creditori, non porta quale logico corollario una medesima interpretazione della sanzione che la legge assegna al rinvenimento di atti in frode ai creditori. Il Collegio è consapevole che una parte della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Prato 28/09/2016, Trib. Milano 18/11/2016, Trib. Verona 09/05/2018) perviene a negare la sussistenza della meritevolezza verso la procedura, nel caso sia stato compiuto un atto di disposizione effettuato con finalità protettiva, a nulla valendo il suo palesamento. Tale giurisprudenza, abbracciata dal primo Giudice, ritiene che il significato così attribuito alla nozione di “atti in frode” sia comune a tutti e tre gli istituti del sovraindebitamento e che nella L. 3/12 il legislatore abbia operato in controtendenza rispetto a quanto preveduto nel concordato preventivo, ove, invece, all’art. 173 l.f. la sanzione dell’arresto della procedura consegue all’accerta­mento da parte del C.G. di un atto di frode nascosto dal debitore con la finalità sottesa di alterare ai creditori la percezione della situazione patrimoniale ostacolando la conoscenza delle reali prospettive di soddisfacimento che potrebbero derivare dalla soluzione della liquidazione fallimentare. Ebbene, tale impostazione (e conclusione) non coglie nel segno. L’atto di disposizione patrimoniale fraudolento, invero, nel caso di specie [continua..]
SOMMARIO:

1. La vicenda giudiziaria - 2. I precedenti difformi: critica - 3. Il ruolo della semantica nel ragionamento del giudice pescarese - 4. Il progressivo avvicinamento dell’accordo al concordato preventivo - 5. L’oggetto dell’accertamento: l’“atto” e la “frode” - 6. Qualche suggestione conclusiva - NOTE


1. La vicenda giudiziaria

Un imprenditore agricolo, trovandosi in una situazione di sovraindebitamento, decideva di depositare una proposta di composizione della crisi ex artt. 6 ss. della L. 27 gennaio 2012, n. 3, con contestuale deposito dell’attestato di fattibilità del piano. La proposta dell’imprenditore sovraindebitato consisteva, partitamente, nella pro­secuzione indiretta dell’attività d’impresa e la liquidazione di gran parte del compendio aziendale e dell’intero (e ingente) patrimonio personale. Nella proposta il debitore non si sottraeva – come, del resto, la legge prescrive – dall’indicare il com­pimento, quasi cinque anni addietro, di un atto di donazione di due beni immobili ai propri figli, specificando, tra l’altro, che l’atto di disposizione in questione era stato posto in essere nell’ambito di una transazione stipulata per porre fine ad una controversia insorta parecchio tempo prima. A proposito di quest’atto dispositivo, il gestore non evidenziava particolari criticità. Tuttavia, il Tribunale dichiarava inammissibile la proposta, rinvenendo proprio nell’atto di liberalità un elemento ostativo alla prosecuzione dell’iter previsto per gestire la situazione di crisi del sovraindebitato. Le argomentazioni adoperate dal Tribunale, a suffragio della decisione assunta nel senso dell’inammissibilità, possono così riassumersi: (a) la donazione dei due immobili ai propri figli da parte del debitore sarebbe stata connotata da un intento fraudolento perché diretta a sottrarre il ricavato della vendita dei due cespiti alla garanzia generica dei creditori; (b) nella valutazione di una siffatta condotta, non sarebbero rilevanti i principi elaborati dalla giurisprudenza che si è formata intorno all’art. 173 L. Fall.; (c) ad assumere rilievo sarebbe, invece, la necessità di interpretare l’espressione “atti in frode”, contenuta nelle diverse modalità di composizione della crisi da sovraindebitamento, allo stesso modo tanto con riferimento al c.d. debitore civile, quanto avendo riguardo all’imprenditore (non fallibile) sovraindebitato [1]; (d) intrapresa questa via, nessun pregio avrebbe la circostanza che, nell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, i creditori – al pari di quanto si verifica nella procedura di concordato preventivo – sono [continua ..]


2. I precedenti difformi: critica

Colpisce, innanzitutto, come la decisione del giudice pescarese si ponga in sostanziale distonia con i precedenti editi in argomento. Difatti, in presenza di un atto fraudolento commesso dal debitore nel quinquennio precedente alla proposizione della domanda, l’orientamento costante della giurisprudenza di merito si segnala per essere – tendenzialmente (ma v. infra) – sfavorevole alla qualificazione in termini di ammissibilità della proposta di accordo. In precedenti occasioni, la giurisprudenza [2] è parsa alquanto unitaria nel trattare allo stesso modo le tre diverse soluzioni della crisi del sovraindebitato [3]; e ciò nonostante le (oggettive) differenze sul piano letterale. Per le tre fattispecie (accordo di composizione della crisi, piano del consumatore e liquidazione del patrimonio), le proposizioni normative appaiono formulate in modo non completamente sovrapponibile. Per l’art. 10, 3° comma, L. n. 3/2012 (dettato per l’accordo di composizione della crisi), «all’udienza (fissata con il decreto di cui all’art. 10, 2° comma) il giudice, accertata la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone la revoca del decreto di cui al 1° comma (…)»; per l’art. 12-bis, 1° comma (dettato per il piano del consumatore), «il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli articoli 7, 8 e 9 e verificata l’assenza di atti in frode ai creditori (…)»; infine, per l’art. 14-quinquies, 1° comma (dettato per la procedura di liquidazione dei beni) «il giudice, se la domanda soddisfa i requisiti di cui all’articolo 14-ter, verificata l’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni (…)». Nonostante l’uso di participi passati eterogenei (accertata e verificata), nel­l’affrontare la questione che ci occupa, l’orientamento dei giudici è stato quasi sempre nel senso di escludere – indiscriminatamente – la meritevolezza del debitore in presenza di atti in frode ai creditori posti in essere negli ultimi cinque anni [4]. L’ar­gomento che si trova sovente utilizzato tiene conto dell’impossibilità (rectius, irragionevolezza) di ritenere che «la medesima espressione – atti di frode – che ricorre sia nell’art. 10 che negli artt. 12-bis e 14-quinquies della legge in esame [continua ..]


3. Il ruolo della semantica nel ragionamento del giudice pescarese

Facendo leva proprio sulla portata dei vocaboli adoperati (accertata, nell’art. 10, e verificata, negli artt. 12-bis e 14-quinquies), il giudice pescarese perviene ad una decisione innovativa, che pare inaugurare un contrario indirizzo giurisprudenziale. Invero, ancora prima della decisione che si annota, era stato osservato [7] come, mentre gli atti in frode sono invocati quale requisito di ammissibilità del piano del consumatore e della liquidazione del patrimonio, nell’accordo tali atti debbono emergere in corso di procedura per essere rilevanti ai fini dell’ammissibilità. In questa prospettiva, sarebbe proprio il diverso lessico adoperato dal legislatore ad acquisire una valenza determinante: (i) nel piano del consumatore e liquidazione del patrimonio, la verifica identificherebbe l’esigenza di stabilire il grado di responsabilità del debitore riguardo alla genesi e alla gestione delle proprie obbligazioni. In tal caso, pertanto, il giudice dovrebbe essere chiamato a individuare eventuali divergenze fra i dati offerti dal debitore in sede di domanda con quelli enucleati dal gestore e riversati nella relazione, disponendo nell’eventualità l’arresto della procedura; (ii) in presenza di un accordo, all’opposto, mancando una relazione del gestore tesa ad esprimere valutazioni sulla responsabilità del debitore nell’inadempimento delle proprie obbligazioni, il legislatore, facendo ricorso al termine “accertare”, avrebbe rimesso al giudice il compito di appurare, nel corso della procedura, qualcosa che (ancorché commesso antecedentemente all’accordo) sia stato occultato [8]. Le tre procedure di gestione della crisi del sovraindebitato si “biforcherebbero”, quindi, di fronte alla constatazione di un atto in frode: quest’ultimo costituirebbe un requisito di ammissibilità esclusivamente per il piano del consumatore e per la liquidazione del patrimonio; al contrario, nell’accordo, l’atto fraudolento dovrebbe essere “disvelato” nel corso della procedura, essendo altrimenti rimessa ai creditori la valutazione circa la lesività (per le loro ragioni) dell’atto medesimo. Una soluzione di questo tipo si presta ad essere maggiormente aderente al lessico adoperato dal legislatore per cui deve essere condivisa per una pluralità di ragioni, illustrate di seguito. In apicibus una [continua ..]


4. Il progressivo avvicinamento dell’accordo al concordato preventivo

Sotto questo profilo, il convincimento del giudice pescarese si rafforza in virtù del parallelismo dallo stesso operato tra l’accordo del sovraindebitato e il concordato preventivo. Più nello specifico, si guarda a una recente pronuncia del Giudice di legittimità [13] per trarne qualche rilievo utile per l’indagine condotta. L’arresto citato dal giudice, pur occupandosi di una questione diversa (l’ammissibilità della moratoria ultrannuale per i creditori privilegiati nel piano del consumatore), viene invocato mercé l’affermazione, ivi contenuta, secondo cui «è netta nella disciplina normativa la similitudine con l’istituto del concordato preventivo. La composizione della crisi difatti è una procedura che mira all’omologazione giudiziale di una proposta di accor­do, che il debitore in stato di sovraindebitamento, non suscettibile di essere dichiarato fallito (art. 1 L. Fall.), formula ai propri creditori». Nella condivisione della natura concorsuale e concordataria si ravvisa quindi un primo (e fondamentale) tassello nel percorso di (progressivo) avvicinamento tra accordo e concordato preventivo [14]; e ciò fa, per così dire, da pendant – nel ragionamento del giudice pescarese – all’applicazione all’accordo di composizione dell’art. 173 L. Fall. al fine di ricavarne (ulteriori) argomenti nel senso del differente significato dei termini “accerta” e “verifica” (e, come si vedrà infra, per la ricostruzione del concetto di frode). Si prende, difatti, atto di come sia l’art. 10, 2° comma, L. n. 3/2012 sia l’art. 173 L. Fall. utilizzino il verbo “accerta” [15]. Il che equivale a dire che, nell’accordo come nel concordato preventivo, la commissione degli atti in frode viene in evidenza in corso di procedura, non essendo rimesso al giudice un controllo (se non nei limiti – per il concordato preventivo – dell’art. 161, 6° comma, ult. cpv.) in sede di ammissibilità della domanda. Nondimeno, qualche precisazione va fatta in ordine ai presupposti di applicazione della norma dettata per il concordato preventivo. Tra le altre cose, nella pronuncia annotata si evidenzia il riferimento al diverso organo deputato a dare impulso al procedimento che può portare alla revoca della procedura concordataria, vale [continua ..]


5. L’oggetto dell’accertamento: l’“atto” e la “frode”

Un’affermazione di questo tipo merita adeguata ponderazione, potendosi altrimenti ingenerare qualche equivoco, specialmente ove non si inquadri correttamente l’estremo del paragone di cui si sta ragionando, ovvero l’atto in frode. E, al fine di una migliore intelligenza di quest’ultimo, sul piano (ancora una volta) ermeneutico appare più conveniente esaminare separatamente l’atto, da una parte, e la frode, dal­l’altra. In effetti, l’oggetto dell’accertamento del giudice all’udienza fissata con il decreto di cui all’art. 10, 2° comma, L. n. 3/2012 è rappresentato da «iniziative o atti in frode ai creditori», palesandosi – già a primo acchito – un ambito di indagine più vasto di quello previsto dall’art. 173 L. Fall., che si riferisce (testualmente) ai soli «atti in frode»; diversamente, per l’accordo con i creditori [23], facendosi riferimento anche alle «iniziative», non è da escludere che vengano in rilievo comportamenti caratterizzati da intento frodatorio, pur non tradottisi in atti [24]. Ancora. A connotare l’atto (o l’iniziativa) non dovrebbe essere bastevole la (semplice) natura dispositiva dell’atto medesimo: quando un atto (di disposizione) del patrimonio del debitore abbia pregiudicato le ragioni del creditore, la tutela di quest’ultimo deve essere affidata ad uno strumento (o, secondo le parole del giudice pescarese, «un’azione di reazione») – l’azione revocatoria – che consente di ottenere una dichiarazione di inefficacia dell’atto nei propri confronti, assumendo in tal caso l’elemento soggettivo «una connotazione ed intensità diversa a seconda della natura dell’atto (oneroso – gratuito) e del momento in cui lo stesso viene compiuto (anteriormente – successivamente al sorgere del credito)» [25]. D’altro canto, non è detto che l’atto di disposizione, si ragiona ancora nella sentenza annotata, sia idoneo a diminuire il grado di soddisfazione dei creditori. L’accordo proposto ai creditori potrebbe – anche in presenza di un atto che abbia diminuito la garanzia del creditore – consentire un appropriato soddisfacimento delle pretese dei creditori stessi. In questa prospettiva, si fa presente che la recente giurisprudenza di [continua ..]


6. Qualche suggestione conclusiva

Accingendoci alle battute conclusive, è difficile resistere a una tentazione, vale a dire provare a misurare le conclusioni cui si è pervenuti a proposito dell’inquadra­mento degli atti in frode all’interno della disciplina dell’accordo con il trattamento dei medesimi atti nell’ambito dell’omologa fattispecie che, a partire dall’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza [45], andrà a sostituirla. Prima, tuttavia, appare utile svolgere qualche considerazione di carattere generale. Con la recente sopravvenienza normativa, può in effetti dirsi portato a coronamento quel percorso di progressivo avvicinamento, che si è enucleato nei paragrafi precedenti, dell’accordo con i creditori verso il concordato preventivo. Già volgendo lo sguardo ai profili nominalistici, la scelta del legislatore di optare per la denominazione di concordato minore conferma la stretta affinità tra i due strumenti messi a disposizione per la regolazione della crisi [46]. E, superando l’aspetto formale, la continuità è tangibile anche sul piano della disciplina: l’art. 74, 4° comma, del Codice non lascia dubbi all’interprete nel ricorrere alle disposizioni del concordato preventivo per colmare le (eventuali) lacune riscontrate nell’applicazione delle nor­me sul concordato minore, nei limiti, beninteso, della compatibilità [47]. Sta di fatto, però, che potrebbe non essere necessario attingere alle disposizioni del concordato preventivo quando si configurino atti in frode commessi dal debitore che chieda di accedere al concordato minore. L’impressione è che, da questo punto di vista, il legislatore della riforma abbia costruito un (sotto)sistema che pare assurgere a una propria autonomia in termini di presupposti e di casistica. Detto con altri termini: le previsioni contenute negli artt. 77 e 82 sembrano rendere la disciplina applicabile (il sottosistema) autosufficiente, precludendo la necessità di ricorrere al­le norme del concordato preventivo quando si tratti di “sanzionare” gli atti commessi in frode ai creditori. In particolare, a mente dell’art. 77 «la domanda di concordato minore è inammissibile se mancano i documenti di cui agli articoli 75 e 76, se il debitore presenta requisiti dimensionali che eccedono i limiti di [continua ..]


NOTE