Lo scritto esamina lo stato attuale della problematica relativa agli interventi di sostegno da parte del Fondi di garanzia dei depositanti per la risoluzione delle crisi bancarie, anche alla luce del “caso TERCAS”.
the paper examines the current state of the problem of support intervention by depositors’guarantee funds in banking crises, also in the light of the TERCAS case.
Keywords: guarantee fund – banking crisis – Tercas Affair – Tercas
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1. Le crisi bancarie in Italia - 2. Gli orientamenti comunitari ed il problema degli aiuti di Stato - 3. Il “caso Tercas”, la posizione della Commissione e le problematiche che ne sono derivate - 4. La decisione del Tribunale UE del 19 marzo 2019 - 5. Crisi bancarie e intervento dei fondi nel nuovo quadro normativo - NOTE
La soluzione delle crisi bancarie in Italia prima dell’attuazione della Direttiva UE 2014/59/UE sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi (meglio nota come BRRD, recepita in Italia con modifiche al TUB tramite il D.Lgs. 16 novembre 2015, n. 180) era integralmente affidata, dalla legge bancaria del 1936-38 prima, e dal Testo Unico Bancario del 1993 poi, allo svolgimento di un periodo di amministrazione straordinaria (il cosiddetto “commissariamento”) ed alla tradizionale procedura di liquidazione coatta amministrativa. La presenza di una disciplina speciale della crisi delle banche è sempre stata una costante dei principali ordinamenti giuridici, visti i particolari interessi che esse coinvolgono, e le conseguenze devastanti che una crisi bancaria può generare: la tutela dei risparmiatori, la stabilità del sistema finanziario, l’economia del territorio. La cosiddetta “corsa al ritiro dei depositi”, conseguenza del diffondersi delle notizie circa la possibile crisi di una banca, è un fenomeno pericoloso che si è sempre cercato di evitare. La soluzione utilizzata nella maggior parte delle crisi bancarie è stata quella di dare luogo ad una liquidazione coatta amministrativa con cessione di attività e passività ad altra banca più solida, ovviamente qualora tramite una amministrazione straordinaria non fosse possibile riportare la banca all’ordinaria gestione [1]. L’unica soluzione alternativa, devastante per i portatori degli interessi sopra ricordati, sarebbe quella della liquidazione coatta in senso proprio, quindi della cessazione dell’attività, della perdita dell’avviamento e di una gestione di tipo “fallimentare”. Per fortuna, su un centinaio di crisi bancarie verificatisi in passato nel vigore della suddetta normativa, si ricorda che solo tre hanno seguito quest’ultima strada; negli altri casi si è riusciti a garantire la sopravvivenza dell’azienda bancaria. Tralasciando i pochi casi italiani, relativi a banche di grandi dimensioni, in cui la soluzione della crisi è derivata da un intervento pubblico realizzato in varie forme, il superamento della crisi, o l’acquisizione da parte di altra banca più solida, ha dovuto fare i conti con alcuni ricorrenti problemi, ed in particolare: a) la crisi di liquidità; b) la presenza di perdite [continua ..]
La crisi finanziaria della fine degli anni 2000 ha costituito il punto di inizio di una maggiore attenzione dell’Unione Europea per il fenomeno delle crisi bancarie e finanziarie. I massicci interventi pubblici da parte dei vari stati dell’Unione per sostenere i sistemi bancari, ed in particolare per sostenere le grandi banche in crisi (fenomeno peraltro molto contenuto in Italia), ha posto il problema della ammissibilità degli aiuti di Stato e della loro compatibilità con la disciplina comunitaria della concorrenza contenuta nel Trattato. Nel 2013, facendo seguito ad una serie di precedenti comunicazioni, la Commissione dell’UE, quale autorità della concorrenza, ha pubblicato la Comunicazione 2013/C216/01, ove, pur riconoscendo l’importanza per il sistema economico del sistema bancario e quindi l’ammissibilità di discipline speciali e di deroghe in caso di crisi che possano danneggiare l’economia di uno Stato membro (come ammesso dall’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE), precisa peraltro che gli aiuti di Stato possono avere solo carattere residuale e limitato rispetto all’intervento dei soci e dei creditori subordinati, che devono in primo luogo sopportare i danni della crisi, ed essere inoltre condizionati ad un adeguato piano di ristrutturazione. Per quanto riguarda poi la posizione dei fondi di garanzia nazionali la Comunicazione (par. 64) precisa che l’intervento dei fondi non costituisce aiuto di Stato qualora sia rivolto al rimborso dei depositanti (affermazione peraltro assolutamente ovvia), mentre potrebbe esserlo se rivolto ad operazioni di ristrutturazione che, in quanto tali, potrebbero condurre ad una alterazione delle regole della concorrenza, e ciò anche qualora la provenienza dei fondi sia privata, ma l’intervento derivi da una decisione pubblica o sia sotto il controllo pubblico. In ordine a tali interventi la Commissione si riserva il potere di valutare caso per caso la compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato. Questa rigida posizione, già foriera delle future problematiche, è stata in parte ribadita dalla successiva Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 (2014/59/UE, meglio nota come BRRD) sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi e finanziari. La Direttiva, che interviene in modo innovativo sulla disciplina delle crisi bancarie introducendo il noto [continua ..]
La Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo (TERCAS) veniva posta in amministrazione straordinaria nel 2012. Nel 2013 i commissari straordinari intavolavano una trattativa con la Banca popolare di Bari per risolvere la crisi della TERCAS. La Banca popolare di Bari si era impegnata ad intervenire a patto che il FITD (Fondo interbancario di tutela dei depositi) coprisse il deficit patrimoniale. Fatti gli opportuni approfondimenti sull’onere da sostenere e sulle prospettive di risanamento, il FITD nel 2014 aveva deliberato l’intervento a sostegno dell’operazione, ottenendo l’autorizzazione della Banca d’Italia ai sensi dell’art. 96-ter, 1° comma, TUB. L’intervento, previsto dallo statuto del Fondo e dall’art. 96-quater TUB, sarebbe consistito nella copertura del deficit patrimoniale di TERCAS, ed avrebbe generato un “minor onere” rispetto a quello derivante da un eventuale rimborso dei depositanti a seguito di liquidazione coatta amministrativa. Con successiva decisione del 23 dicembre 2015 la Commissione concorrenza (2016/1208), nonostante la provenienza privata dei fondi, ha ritenuto aiuto di Stato, e quindi illegittimo in quanto in violazione del Trattato, l’intervento effettuato dal FITD a favore dell’operazione TERCAS, disponendone il recupero, e ciò in base alle seguenti argomentazioni, che qui si riportano sinteticamente: a) il FITD, pur essendo un fondo di diritto privato, alimentato con denaro privato perché proveniente dalle banche associate, svolge una funzione di interesse pubblico; b) tutte le operazioni poste in essere dal fondo, anche quelle non consistenti nel rimborso dei depositanti, sono soggette ad autorizzazione e controllo della Banca d’Italia, e quindi di un organo dello Stato, e vanno pertanto ritenute aiuti di Stato. Questa decisione, assolutamente formalistica, ha dato luogo a problemi di non poco rilievo negli anni successivi. L’impossibilità per i fondi di tutela dei depositanti di intervenire a sostegno di operazioni di riorganizzazione e/o di cessione ha reso enormemente difficile la soluzione della crisi di banche in difficoltà, ponendo momentaneamente fine ad una prassi virtuosa che aveva avuto effetti positivi per molti anni sulla stabilità del sistema bancario. Si è infatti dovuto ricorrere a sistemi alternativi appositamente creati, come i due Fondi Atlante, tendenti a [continua ..]
La decisione della Commissione è stata impugnata nel 2016 con separati ricorsi sia dalla Repubblica italiana, sia dalla Banca popolare di Bari, sia dal FITD. Anche la Banca d’Italia è intervenuta ad adiuvandum. Di conseguenza il Tribunale dell’UE si è trovato a dover decidere sul caso specifico, cioè se l’intervento del FITD a favore della TERCAS dovesse ritenersi un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE, ma rendendo una decisione di portata generale, in grado di influenzare il comportamento dei fondi di garanzia negli anni a venire [13]. Il Tribunale, con una lunga e complessa decisione, e dopo aver risolto una serie di problemi processuali, affronta tale problema ripercorrendo i motivi in base ai quali la Commissione ha ritenuto l’intervento del FITD un aiuto di Stato lesivo della concorrenza, concludendo in senso contrario a quanto deciso dalla Commissione, e riformandone la decisione. L’impressione che si ha peraltro dalla lettura della sentenza non è quella di un disconoscimento totale delle argomentazioni della Commissione. Il Tribunale afferma infatti che non basta, di fronte di un soggetto di natura privata e che gestisce fondi privati, che esso sia sottoposto a controlli pubblici perché un suo intervento possa qualificarsi come aiuto di Stato, ma che occorre una prova rigorosa da parte della Commissione, nel singolo caso concreto, che le risorse derivino da una normativa pubblica e che l’intervento sia quindi imputabile direttamente allo Stato. Prova che, nel caso specifico, il Tribunale ritiene che sia mancata. Il Tribunale peraltro, va qui sottolineato, svolge comunque una serie di interessanti considerazioni, delle quali due appaiono particolarmente rilevanti, ed in particolare: a) se è vero che i fondi di tutela dei depositi svolgono come attività principale una funzione pubblica cogente circa il rimborso dei depositanti, l’intervento invece a favore di banche in difficoltà non è, per i fondi medesimi, un obbligo, bensì una scelta volontaria; b) di conseguenza, la prevista autorizzazione della Banca d’Italia ha solo fini di verifica della sana e prudente gestione, e la presenza dell’autorizzazione non comporta un obbligo del fondo di effettuare l’intervento, e quindi non può parlarsi di un “mandato pubblico”. Se è vero quindi che la [continua ..]
Nel nuovo quadro normativo della disciplina delle crisi bancarie delineato dalla Direttiva 2014/59/UE (BRRD), i fondi di garanzia dei depositanti (SGD) continuano a svolgere una funzione di particolare importanza. In primo luogo ai fini del rimborso dei depositanti in caso di liquidazione coatta della banca, ma anche per finanziare le procedure di risoluzione previste dalla BRRD, in particolare ristorando i depositanti delle perdite subite in caso di bail in o di altre procedure di risoluzione, pur se nell’ambito del limite di 100 mila euro previsto dalla normativa (art. 11 della Direttiva 2014/49/UE) [14]. Su questi interventi, e sulla loro ammissibilità, non sembra che le vicende del “caso TERCAS” abbiano avuto alcun riflesso, anzi è stata l’occasione per gli organi comunitari di ribadire la loro legittimità in ogni caso. L’art. 11 della Direttiva 2014/49/UE sugli SGD prevede anche gli interventi volontari e preventivi dei fondi di garanzia (come quello del “caso TERCAS”), a condizione che la banca beneficiaria, ovviamente non in risoluzione, sia sottoposta ad una controllo da parte del fondo, e che le somme utilizzate rispettino il requisito del “minor costo”, cioè che risultino inferiori a quelle che il fondo dovrebbe sborsare in caso di rimborso dei depositanti, e previa consultazione dell’autorità di risoluzione e delle ulteriori autorità competenti, come la Commissione europea come autorità per la concorrenza. Interventi che sono peraltro dalla ulteriore Direttiva 2014/59/UE (BRRD) obbligati a “rispettare le disposizioni in materia di aiuti di Stato”. In conclusione, ci troviamo di fronte ad un quadro non perfettamente limpido. Da un canto la normativa comunitaria prevede la possibilità di interventi volontari e preventivi da parte degli SGD nazionali, ma dall’altro li sottopone alla disciplina degli aiuti di Stato e della concorrenza, con la necessità di individuare in concreto un difficile punto di equilibrio. Nel “caso TERCAS” la Commissione ha espresso una posizione assolutamente rigida, tale da rendere di fatto inutilizzabili tali interventi. Il Tribunale dell’UE, riformando la decisione della Commissione, ha mostrato invece, pur in una sentenza fondata prevalentemente sull’assenza di prova, una importante apertura, riconoscendo la natura privata dei fondi ed il carattere [continua ..]