Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Trattamento di fine rapporto: sorte del credito nel caso di fallimento del cedente e continuazione del rapporto con il cessionario (di Antonio Caiafa, Professore di Diritto delle procedure concorsuali nell’Università di Bari LUM “Giuseppe Degennaro”)


Lo scritto si occupa della sorte del trattamento di fine rapporto, e della sua ammissione al passivo fallimentare, nel caso di fallimento del cedente e continuazione del rapporto con il cessionario di azienda.

The question is on the end-of-relationship treatment: the arrival of credit in case of failure of the seller and continuation of the relationship with the assignee.

Keywords: end-of-relationship treatment – guarantee fund – bankruptcy

Cassazione, ordinanza 27 febbraio 2020, n. 5376 Pres. C. De Chiara, Rel. M. Ferro (L. Fall. artt. 93, 3° comma, nn. 1, 2 e 3 e 96, 2° comma, n. 1; art. 2, legge n. 297/1982) La domanda volta a conseguire l’inserimento nel passivo con riserva del credito per TFR, oggetto di cessione da parte dei lavoratori alle dipendenze della fallita, non integra una ragione di inammissibilità del ricorso, qualora venga negato il requisito della condizionalità, ai sensi dell’art. 96, 2° comma, n. 1, L. Fall., per essere quelle di cui ai n. 1, 2 e 3 del 3° comma dell’art. 93 L. Fall. tassative e riferite ai soli ai casi di omissione o assoluta incertezza di uno dei requisiti. È possibile pervenire ad uno scrutinio negativo della richiesta ammissione quando, però, oggetto di essa è il credito per TFR, spettante al lavoratore, qualora sia ancora pendente il relativo rapporto, per inesistenza dei presupposti richiesti dalla disciplina normativa, ciò in quanto la fattispecie di cui all’art. 2, legge n. 297/1982 presuppone, perché possa aversi l’intervento del fondo di garanzia, la necessaria risoluzione del rapporto ai fini dell’applicazione della tutela. Il credito maturato per TFR, nell’ipotesi di cessione d’azienda, non può essere ammesso al passivo del fallimento del datore di lavoro cedente, in quanto esso non è ancora esigibile e, pertanto, nell’ipotesi in cui sia stato oggetto di cessione, l’ammissione potrà avvenire solo al momento della cessazione del rapporto seppur, in tal caso, il cessionario risponderà dell’intero ammontare anche per l’importo corrispondente maturato anteriormente alla cessione. (Omissis) FATTI DI CAUSA Rilevato che: 1. – FIDITALIA p.a. impugna il decreto Trib. Bergamo 14.10.2014, n.6608/14, R.G. 3597/2014 che ne ha rigettato il reclamo avverso il decreto di solo parziale ammissione al passivo del suo credito nel fallimento Lupini Targhe s.p.a., escluso per la parte vantata avendo riguardo al TFR, ceduto alla società (finanziatrice) da dipendenti-lavoratori della fallita per i quali il rapporto di lavoro non era ancora cessato, senza quindi maturazione del relativo diritto e nemmeno sussistendo i presupposti per un’ammissione con riserva; 2. – ha ritenuto il tribunale la eccezionalità dell’art.96 co.2 f., equivalendo invero l’ammissione, sia pur con riserva di avveramento della condizione, al riconoscimento del credito, mentre nella specie il TFR ceduto dai lavoratori a Fiditalia non poteva dirsi sorto, avendo gli stessi cedenti continuato a lavorare, senza soluzione di continuità, con un terzo, affittuario d’azienda della società fallita; precisava così il tribunale che la statuizione d’inammissibilità dell’insinuazione al passivo, per come emessa dal giudice delegato e [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Natura del credito per TFR - 3. La corretta soluzione offerta dalla Corte - NOTE


1. Premessa

La decisione affronta una pluralità di questioni risolte dalla Suprema Corte in modo incisivo e corrispondente al dettato normativo, avendo ritenuto, correttamente, essere erronea la statuizione assunta, in sede di ammissione al passivo, per avere il tribunale pronunciato la inammissibilità della domanda e non già il rigetto di essa, per essere stata chiesta l’ammissione del credito con riserva, ciò in quanto, per l’appunto, la pronuncia di inammissibilità è giustificata qualora, nella prima fase necessaria, a cognizione sommaria, prevista dal legislatore per la individuazione dei creditori concorrenti, in conseguenza della presentazione della apposita domanda, questa non abbia il contenuto prescritto dalla relativa norma, ovvero non contenga: i) l’indicazione della procedura cui si intende partecipare e le generalità del creditore; ii) la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo; iii) la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda. Il legislatore ha, difatti, stabilito il contenuto necessario della domanda ed i precisi requisiti che essa deve avere, tanto che l’omissione, con assoluta incertezza, del petitum e della causa petendi, non potranno che comportare la inammissibilità, ricorrendo il relativo presupposto, qualora risulti essere omesso, o assolutamente incerto, quanto indicato, rispettivamente, ai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 93 L. Fall. [1]. Con riferimento, poi, all’art. 96, 2° comma, L. Fall. i giudici di legittimità hanno ritenuto ed affermato che il credito, ancorché avesse natura condizionale, non poteva essere oggetto della proposta domanda poiché, invero, seppur la sua insorgenza coincide con la instaurazione del rapporto – tant’è che il titolare ne può disporre, come nel caso di specie, attraverso la cessione – tuttavia, venendo esso ad esistenza solo al momento della risoluzione, non ne poteva essere scrutinata la relativa esistenza prima del verificarsi di tale evento. Seppur la non condivisione della parte ricorrente, in ordine alla operata qualificazione, in astratto, della domanda da essa proposta, in ragione del negato requisito della condizionalità, ancorché condiviso, non poteva integrare alcune delle ipotesi di inammissibilità del ricorso, tipizzate dall’art. 93, 4° [continua ..]


2. Natura del credito per TFR

L’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, in ottemperanza alla Direttiva CEE 20 ottobre 1980, n. 987, attraverso l’istituzione, presso l’Inps, di uno speciale “Fon­do di garanzia per il trattamento di fine rapporto”, ha garantito ai lavoratori, o loro aventi diritto, il pagamento delle indennità di cui all’art. 2120 c.c. nei casi di insolvenza del datore di lavoro e, in particolare, per l’ipotesi di fallimento [2]. Nel testo legislativo, la precedente indennità di anzianità ha assunto la nuova denominazione di trattamento di fine rapporto ed il Fondo è tenuto al pagamento, non solo, delle somme dovute per tale titolo, ma anche dei “crediti accessori” (interessi moratori e rivalutazione monetaria), che dovranno essere computati sino al momento dell’effettivo pagamento, indipendentemente dall’importo che sia stato ammesso al passivo della procedura [3]. Tant’è che si permette di realizzare un accollo ex lege con assunzione dello stesso debito del datore di lavoro e conseguente surrogazione nei diritti vantati dal lavoratore nei confronti della procedura [4]. È anche per tale ragione che il credito deve essere rivalutato sino al momento dell’effettivo pagamento e, non già, sino alla data dello stato passivo definitivo [5], dovendosi osservare, a tal proposito, che un siffatto limite temporale se, certamente, è logico e trova una sua sistemazione nell’ambito della procedura concorsuale per la necessità di garantire la par condicio creditorum è, tuttavia, inapplicabile al rapporto che si viene ad instaurare tra lavoratore e Fondo a seguito della richiesta dal primo inoltrata per ottenere il pagamento del credito ammesso. E difatti, l’art. 2 della predetta legge intende assicurare, attraverso l’intervento del Fondo, una copertura totale e tempestiva della posizione creditoria del lavoratore; e, d’altronde, ove si ragionasse diversamente, la norma risulterebbe essere irragionevole e, in quanto tale, non sfuggirebbe ad un possibile giudizio di incostituzionalità, atteso che, attraverso una siffatta interpretazione, si realizzerebbe una disparità di trattamento tra i lavoratori dei datori di lavoro sottoposti a procedure concorsuali rispetto ai dipendenti dei datori non insolventi per i quali, non valendo il limite temporale del computo della [continua ..]


3. La corretta soluzione offerta dalla Corte

I giudici di legittimità, nel decidere sull’ammissione al passivo del credito maturato per TFR, quante volte vi sia stata continuazione del rapporto di lavoro, in ragione della intervenuta cessione dell’azienda da parte del cedente, assoggettato a fallimento, hanno ritenuto che non possa essere pronunciata la domanda di ammissione con riserva, così come postulata dalla parte ricorrente, sul presupposto della possibile scomposizione della quota maturata anteriormente alla intervenuta cessione, dal momento che il dovere del Fondo di garanzia, costituito presso l’Inps, di procedere al pagamento dell’importo ammesso al passivo, sorge in conseguenza del verificarsi dei presupposti indicati all’art. 2 della legge n. 297/1982, che oltre a chiedere che sia venuto ad esistenza l’obbligo del pagamento, per essere intervenuta per l’appunto la cessazione del rapporto, stabilisce quale ulteriore condizione che il datore di lavoro sia stato dichiarato insolvente, con la conseguenza, quindi, che il TFR non può essere preteso se non alla cessazione del rapporto di lavoro, presupposto per l’applicazione della tutela fino a non potersi considerare il credito stesso esigibile, quand’anche esso fosse stato ammesso al passivo nel fallimento dichiarato del datore di lavoro cedente, non potendo tale statuizione vincolare l’Istituto previdenziale, che è estraneo alla procedura e non può, dunque, poter contestare il credito in ragione della non esigibilità, neppure in parte, dello stesso. Con la stessa sentenza la Corte, peraltro, ha anche risolto la questione se la domanda potesse essere, comunque, scrutinata in sede di ammissione al passivo con riserva, sul presupposto della condizionalità del credito stesso, ed è pervenuta alla conclusione che essendo le ipotesi tipizzate, qualora si ritenga inesistente il fatto costitutivo del diritto e gli elementi giuridici che ne integrerebbero il titolo, la pronuncia non può che essere di reiezione della domanda e non già di inammissibilità, potendo tale pronuncia trovare ancoraggio, unicamente, nei casi di omissione o assoluta incertezza di uno dei requisiti di cui ai nn. 1, 2 e 3, 3° comma, dell’art. 93 L. Fall. Conclusivamente, il diritto al trattamento di fine rapporto, seppur matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale, tuttavia, ciò non consente di [continua ..]


NOTE