Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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In tema di effetti della domanda di concordato preventivo e di responsabilità del registro delle imprese per la tardiva iscrizione (di Emma Sabatelli, Professore associato di Diritto commerciale nell’Università di Bari)


Nella prima parte il saggio si sofferma sull’individuazione del dies a quo dal quale computare il decorso del “periodo sospetto” ai fini dell’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari nel caso di consecuzione fra procedure concorsuali, giungendo ad escludere che il suddetto termine decorra dal giorno del deposito nel Registro delle imprese della domanda di ammissione al concordato preventivo. Nella seconda parte viene esplorata la possibilità di esercitare un’azione risarcitoria nei confronti dell’Ufficio del Registro per i danni causati dalla tardiva iscrizione.

In the first part, this article establishes how to determine the dies a quo from which to compute the “suspect period” relevant for revocation action in bankruptcy in case of concurrent insolvency proceedings. It is argued that the above mentioned day cannot coincide with the date when the creditors’composition agreement is filed with the Companies Register. The second part considers the possibility to take compensatory action against the Companies Register for damages suffered as a result of late registration.

Keywords: bankruptcy avoidance action – procedures consecution – untimely registration – compensation for damage

SOMMARIO:

1. La fattispecie - 2. Effetti della richiesta di iscrizione della domanda di ammissione al con­cordato preventivo formulata dal cancelliere - 3. Questioni relative all’individuazione del dies a quo per il decorso del termine a ritroso - 4. Il procedimento di iscrizione della domanda di ammissione al concordato preventivo - 5. La Camera di commercio è responsabile per i danni conseguenti alla tardiva iscrizione della domanda di ammissione al concordato preventivo nel Registro delle imprese? - 6. La natura extracontrattuale della responsabilità “da ritardo” - 7. (Segue): l’interesse dei creditori concorsuali all’esercizio delle azioni revocatorie come situazione giuridica soggettiva protetta dall’ordina­mento - 8. (Segue): la quantificazione del danno e la sussistenza del nesso di causalità - 9. La situazione del responsabile del procedimento - NOTE


1. La fattispecie

Le riflessioni formulate in questo scritto ripropongono con qualche approfondimento il contenuto di un parere, che si è ritenuto di pubblicare, poiché la fattispecie che ha dato origine alle questioni che in esso vengono affrontate non risultano essere state oggetto di riflessione né da parte della dottrina, né da parte della giurisprudenza, pur ricorrendo con una certa frequenza nella pratica, anche se in misura assai meno “clamorosa” rispetto a quanto si è verificato in concreto. Il caso esaminato può essere così riassunto. Una s.r.l. propone domanda di ammissione al concordato preventivo, depositando il ricorso presso il Tribunale competente; benché il cancelliere abbia fatto tempestivamente richiesta di pubblicazione nel Registro delle imprese il giorno successivo al deposito, la domanda risulta pubblicata oltre sei mesi dopo la ricezione della richiesta da parte del Registro – come attestato dal protocollo apposto dal funzionario responsabile del procedimento – e addirittura un paio di settimane dopo la dichiarazione di fallimento nel frattempo sopravvenuta. Di conseguenza, il curatore fallimentare non è grado in avvalersi della retrodatazione del termine prevista dal 2° comma dell’art. 69-bis L. Fall., ai sensi del quale il dies a quo per il decorso del periodo sospetto per l’esercizio delle azioni revocatorie di cui agli artt. 64, 66 e 67 L. Fall. decorre dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese. Si è posto, dunque, innanzitutto l’interrogativo se, nonostante l’esplicita previsione della disposizione richiamata, la si possa interpretare, intendendo che il legislatore abbia voluto riferirsi, non all’iscrizione della domanda, bensì alla data del ricevimento della richiesta di iscrizione da parte dell’ufficio del Registro, come è stato affermato da una, sia pure isolata, pronuncia di merito [1], la quale, peraltro, non si riferisce al decorso del termine per l’esercizio delle azioni revocatorie, ma così interpreta il disposto dell’art. 168, 3° comma, L. Fall., che sancisce l’inefficacia, rispetto ai creditori, delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese. È intuibile che, se si potesse accettare l’opinione appena prospettata, il [continua ..]


2. Effetti della richiesta di iscrizione della domanda di ammissione al con­cordato preventivo formulata dal cancelliere

La tesi che si esamina muove da una interpretazione dell’art. 161, 5° comma, L. Fall., prima frase [2], che non trova corrispondenti, né in dottrina, né in giurisprudenza. La norma richiamata prevede che «la domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero ed è pubblicata, a cura del cancelliere, nel Registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria»; da questa espressione poco felice l’estensore del provvedimento deduce che, avendo il cancelliere tempestivamente richiesto l’iscrizione del ricorso nel Registro delle imprese e in ciò «concretizzandosi ed esaurendosi la condotta dal medesimo esigibile», l’obbligo pubblicitario previsto dall’art. 161 L. Fall. «possa ragionevolmente ritenersi adempiuto», in ragione del «chiaro tenore letterale» della norma, nonché dei «principi generali di legittimo affidamento e di certezza del diritto». In realtà, all’inciso sul quale tutta l’argomentazione di fonda («pubblicata a cura del cancelliere nel registro delle imprese») viene attribuito un significato che non può essere condiviso, perché non è del tutto vero che i compiti del cancelliere si esauriscono con la richiesta dell’iscrizione – espressione, che viene interpretata come “il momento nel quale da questi è stato effettuato il deposito della domanda di ammissione al concordato presso l’ufficio del Registro”; infatti, benché non sia nor­mativamente prevista alcuna altra attività in capo a costui, si deve precisare che, qualora il cancelliere si limitasse soltanto a depositare la domanda di ammissione al concordato, non avrebbe pienamente adempiuto ai suoi doveri. Anche a voler ammettere che con la formula riportata si sia inteso ellitticamente fare riferimento non soltanto al deposito del ricorso per l’ammissione al concordato, ma anche al deposito della richiesta di iscrizione redatta secondo il modello ministeriale di cui all’art. 11, 1° comma, d.P.R. n. 581/1995, recante il «Regolamento di attuazione del Registro delle imprese», si dovrebbe considerare che il mero deposito di tale documentazione null’altro sarebbe, se non un “fatto”, al quale non sarebbe possibile riconoscere alcuna rilevanza giuridica, se non fosse accompagnato dalla [continua ..]


3. Questioni relative all’individuazione del dies a quo per il decorso del termine a ritroso

Ad oggi, le rarissime pronunce di legittimità e di merito relative a fattispecie sottoposte alla disciplina attuale [3], nonché i richiami alla normativa vigente contenuti nelle sentenze, che hanno affrontato il problema in rapporto a casi regolati dalla legislazione anteriore [4], pacificamente aderiscono all’interpretazione rigorosamente letterale della disposizione citata. E lo stesso può dirsi rispetto agli sporadici apporti dottrinali di cui è possibile disporre. Ciononostante l’art. 69-bis, 2° comma, L. Fall. merita un’ulteriore riflessione non fosse altro perché rappresenta la prima presa di posizione del legislatore in materia; infatti, fino all’emanazione di tale disposizione, le diverse soluzioni prospettate relativamente alla individuazione del dies a quo per il decorso del “periodo sospetto”, non soltanto in caso di consecuzione fra procedure concorsuali, ma anche rispetto alla dichiarazione di fallimento, devono essere ascritte non ad una precisa disposizione di legge, bensì esclusivamente alla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Diverso sarà in un futuro prossimo, quando entrerà in vigore il d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), che, con radicale mutamento di approccio, non contiene una disposizione corrispondente all’attuale art. 69-bis L. Fall., ma detta una regolamentazione unitaria per il computo del termine a ritroso, prevedendo che per tutte le azioni revocatorie ivi regolamentate (artt. 163, 164, 166) esso decorra dalla data di deposito della domanda cui è seguita l’aper­tura della liquidazione giudiziale, che – come è noto – è la nuova denominazione attribuita dal legislatore all’attuale fallimento. Ci si trova di fronte, dunque, ad un quadro normativo e dottrinale del quale non è semplice individuare la ratio. Si consideri che già in occasione della riforma della legge fallimentare, di cui ai d.lgs. n. 5/2006 e n. 169/2007, il dies a quo dal quale far decorrere il termine per l’esercizio delle revocatorie a seguito della dichiarazione di fallimento fu oggetto di discussione, poiché una parte della dottrina fin da allora sosteneva che esso dovesse essere anticipato alla data del deposito dell’istanza. L’opinione si fondava su motivazioni di carattere pratico, poiché si osservava [continua ..]


4. Il procedimento di iscrizione della domanda di ammissione al concordato preventivo

Dal momento che lo spropositato ritardo con il quale è stata pubblicata la domanda di ammissione al concordato ha causato la perdita per decadenza delle azioni revocatorie, che il curatore del fallimento avrebbe potuto esercitare, è legittimo chiedersi se sia ipotizzabile l’esercizio di un’azione risarcitoria nei confronti della Camera di commercio per i danni causati alla procedura – e segnatamente ai creditori concorsuali – dal suddetto ritardo. A tal fine è opportuno ripercorrere gli specifici passaggi normativi che conducono all’iscrizione della domanda di ammissione al concordato nel registro delle imprese. Ai sensi dell’art. 161, 4° comma, L. Fall., per le società – come è nel caso in esame, in cui la fallita è una s.r.l. – la domanda, prima di essere depositata presso la cancelleria del tribunale del luogo dove è collocata la sede principale dell’impresa, «deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’art. 152», il quale, dopo aver previsto al 2° comma, lett. b), che nelle società di capitali e nelle cooperative la decisione in ordine ad essa spetta agli amministratori, nell’ultimo comma stabilisce che «in ogni caso la decisione o la deliberazione… deve risultare da verbale redatto da notaio ed è depositata e iscritta nel registro delle imprese a norma dell’art. 2436 del codice civile». Ai sensi del primo comma di quest’ultima disposizione, che disciplina la pubblicità delle modifiche statutarie, il notaio verbalizzante deve procedere al deposito della delibera presso il registro delle imprese, entro trenta giorni dalla verbalizzazione, dopo aver verificato il rispetto delle condizioni stabilite dalla legge, richiedendone contestualmente l’iscrizione e allegando altresì le eventuali autorizzazioni richieste. Il secondo comma, poi, stabilisce che l’ufficio del Registro, dopo aver verificato la regolarità formale della documentazione, iscrive la delibera nel Registro. Come si è rammentato in precedenza, la prima parte del 5° comma dell’art. 161 L. Fall., in maniera più articolata, prevede che la domanda di concordato deve essere comunicata al pubblico ministero e deve essere pubblicata, a cura del cancelliere, nel Registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria. Secondo quanto qui si [continua ..]


5. La Camera di commercio è responsabile per i danni conseguenti alla tardiva iscrizione della domanda di ammissione al concordato preventivo nel Registro delle imprese?

Al fine di dare risposta a questo interrogativo, è opportuno rammentare da subito che l’iscrizione nel Registro delle imprese, la cui natura di atto amministrativo è indiscussa [14], costituisce l’esito di un procedimento che non lascia margini di discrezionalità all’Autorità amministrativa, non potendo questa rifiutare l’iscrizione una volta che abbia verificato la regolarità formale della documentazione. È indubbio, dunque, che il ritardo con il quale l’iscrizione è avvenuta debba essere considerato come un’ano­malia nella condotta dell’ufficio del Registro – che nello svolgimento della sua attività è certamente tenuto a rispettare la tempistica stabilita dalla legge – a seguito della quale si è persa per decadenza la possibilità di esercitare le azioni revocatorie nel fallimento, con pregiudizio della completa ricostruzione dell’attivo fallimentare. Il primo punto che deve essere chiarito concerne, pertanto, la posizione dei privati che siano stati lesi da una condotta colposa o dolosa imputabile alla Pubblica amministrazione. Che la pretesa dei privati debba essere qualificata in termini di interesse legittimo – e non di diritto soggettivo – è un dato di così palese evidenza, che non è il caso di soffermarsi a lungo su di esso, poiché l’interesse di cui si discute non è oggetto di tutela immediata e diretta da parte dell’ordinamento, ma è tutelato in via riflessa rispetto all’interesse primario costituito dal regolare svolgimento dell’attività am­ministrativa. Come è noto, il riconoscimento della legittimazione dei privati ad esercitare l’azione di risarcimento per i danni subiti in conseguenza dell’attività irregolarmente svolta da un soggetto pubblico, qual è, appunto, il Registro delle imprese, costituisce l’approdo di un lungo percorso, le cui tormentate vicende non possono essere compiutamente esposte in questa sede [15]. Infatti, dopo anni di disconoscimento di ogni tutela della lesione degli interessi legittimi dei privati, una svolta determinante si è avuta con l’emanazione della storica Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, che estese la tutela giurisdizionale anche agli interessi legittimi, non esclusi quelli di tipo pretensivo, sancendo il principio [continua ..]


6. La natura extracontrattuale della responsabilità “da ritardo”

Il legislatore ha sposato, dunque, la tesi, poi seguita dalla giurisprudenza praticamente unanime [17], la quale qualifica come extracontrattuale la responsabilità da ritardata assunzione del provvedimento. Tale qualificazione comporta, ai fini del riconoscimento del risarcimento, rilevanti oneri probatori a carico del richiedente, il quale deve dimostrare a) di essere titolare di un interesse giuridicamente rilevante; b) il dolo o la colpa della condotta della Pubblica Amministrazione; c) il rapporto di causalità fra tale comportamento e la lesione della situazione giuridica tutelata; d) l’ingiustizia del danno subìto e l’entità dello stesso. In punto di individuazione del titolare della situazione giuridica soggettiva al regolare svolgimento dell’attività pubblicitaria di cui è incaricato il Registro delle imprese deve essere evidenziata una peculiarità del caso in esame. Essa è costituita dalla circostanza per cui la richiesta di iscrizione della domanda di ammissione al concordato preventivo – intorno alla cui tardività ruota l’intera questione – è proposta dal debitore, poi fallito, del quale nessuno potrebbe dubitare che sia titolare di un interesse legittimo, riconosciuto e tutelato dall’ordinamento, al regolare svolgimento della procedura, e, dunque, anche al rispetto della tempistica stabilita dalla legge per l’iscrizione della domanda nel Registro delle imprese. Di conseguenza, egli ben potrebbe esercitare un’azione risarcitoria per i danni subiti a seguito del ritardo con cui è avvenuta l’iscrizione: si pensi, per esempio, ai danni conseguenti alla mancata attivazione degli effetti protettivi sul patrimonio, che, ai sensi dell’art. 168 L. Fall., sono correlati all’iscrizione della domanda di am­missione al concordato nel Registro delle imprese. Evidentemente fuori dall’area degli interessi del debitore è, invece, la perdita della possibilità di esercitare le azioni revocatorie, alla cui sopravvivenza egli non ha alcun interesse, perché mai da lui potrebbero essere esercitate, e non soltanto per il fatto che tali azioni, per così dire, “non esistono” anteriormente al fallimento, ma soprattutto per il fatto che, quando divengono esperibili a seguito della dichiarazione di fallimento, non sono comunque esercitate nell’interesse del [continua ..]


7. (Segue): l’interesse dei creditori concorsuali all’esercizio delle azioni revocatorie come situazione giuridica soggettiva protetta dall’ordina­mento

Sulle caratteristiche di questo interesse è necessario, però, soffermarsi, per verificare se si tratti effettivamente di una situazione giuridica soggettiva, che l’ordina­mento ritiene meritevole di tutela, in quanto, affinché il diritto al risarcimento possa essere vantato, è necessario che «l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’in­teresse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo» [18]. Secondo l’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza pubblicistica, il «bene della vita», di cui qui si tratta è costituito da qualsivoglia estrinsecazione della personalità umana, che può assumere la natura più varia (lavorativa, imprenditoriale, familiare, ma anche chance di natura economica…), trovando, però, fondamento in un valore costituzionalmente riconosciuto. Ai fini della risarcibilità del danno, deve essere verificato, inoltre, un ulteriore passaggio, che non attiene più alla natura dell’interesse, bensì al rapporto fra attività della pubblica amministrazione ed evento dannoso. È necessario, infatti, che la fruibilità di tale bene transiti attraverso il corretto svolgimento dell’attività amministrativa, di tal che possa riconoscersi l’esistenza di un collegamento diretto fra l’oggetto del provvedimento e il soddisfacimento dell’interesse di cui il soggetto è portatore. Se, dunque, la spettanza del bene della vita non sia accertata ovvero manchi un rapporto di causalità diretta – non meramente fattuale, si badi, ma giuridicamente rilevante – fra il pregiudizio subito dal suddetto bene e l’attività amministrativa, per giurisprudenza [continua ..]


8. (Segue): la quantificazione del danno e la sussistenza del nesso di causalità

Come si vede, si tratta di una materia scivolosissima, che rapportata alla situazione in esame presenta un’ulteriore complicazione, in quanto il danno da perdita di chances dovrebbe essere calcolato tenendo conto del mancato incremento dell’atti­vo derivante dall’impossibilità per il curatore di esercitare le revocatorie per decadenza del termine, tenendo conto per ciascuna delle probabilità di esito positivo. Questo primo passaggio è ineludibile, poiché la ragionevolezza e la presumibile fondatezza della pretesa, che sono alla base dell’azione revocatoria costituiscono il presupposto fattuale (l’an) su cui il risarcimento del danno da perdita di chances si fonda; una volta verificata la sussistenza di tale presupposto, si deve procedere, poi, all’operazione di quantificazione del danno. Nella fattispecie in esame la quantificazione del danno da perdita di chances può, dunque, essere effettuata, benché presenti una maggiore complessità rispetto a quanto già normalmente avviene. La prima fase passa attraverso la collaborazione fra curatore e giudice delegato, potendo il primo avviare l’azione soltanto previa autorizzazione del secondo. È necessario, dunque, che sia preliminarmente valutata la potenzialità di successo, che ciascuna azione avrebbe avuto, qualora fosse stata esercitata. In un secondo momento si dovrebbe procedere alla quantificazione del danno, costituito dalla sommatoria di quanto il fallimento avrebbe ricavato alla conclusione di ciascuna singola azione potenzialmente esercitabile. È evidente che si tratta di una valutazione estremamente aleatoria; ancor più aleatoria di quanto sovente avviene quando si calcola il danno da perdita di chances, perché discende da una doppia valutazione probabilistica: quella relativa alle potenzialità di successo di ciascuna azione e quella concernente la valutazione del vantaggio economico che da ciascuna sarebbe derivato, qualora fosse stata esperita. Di conseguenza, tranne ipotesi eccezionali, si deve ritenere che una precisa dimostrazione dell’entità del danno (il quantum) sia impossibile; tuttavia, appare del tutto legittimo, perché inevitabile, il ricorso alla valutazione equitativa prevista dall’art. 1226 c.c. Infatti, per giurisprudenza costante del Consiglio di Stato, in caso di impossibilità o di rilevante difficoltà [continua ..]


9. La situazione del responsabile del procedimento

Resta da esaminare, infine, la posizione del responsabile del procedimento, la cui responsabilità è sancita addirittura dall’art. 28 Cost., che, peraltro, risente nella formulazione dell’epoca in cui la Carta è stata varata. Infatti, letteralmente, la responsabilità deriva dalla violazione di diritti; mentre, a seguito della citata Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, la tutela giurisdizionale è stata estesa anche alla lesione degli interessi legittimi. Inoltre, l’ultima parte della norma recita: «In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli enti pubblici», quasi che la responsabilità della Pubblica amministrazione si configuri come un ampliamento di quella del funzionario o del dipendente. Tuttavia, come recentemente ha ricordato Cass. Sez. Un., 16 maggio 2019, n. 13246 [25], «superate le prime tesi sulla natura meramente sussidiaria della responsabilità di Stato od ente pubblico rispetto a quella del­l’agente, è invalso il riconoscimento della natura concorrente o solidale delle due responsabilità, ricostruita quella dello Stato od ente pubblico come diretta, in forza dei principi sull’immedesimazione organica dovendo escludersi che l’attività posta in essere al di fuori dei compiti istituzionali dal pubblico funzionario o dipendente potesse imputarsi allo Stato o ente pubblico», a condizione, però, che sussista «un nesso di occasionalità necessaria tra esercizio delle incombenze e danno al terzo (quale ultimo elemento costitutivo della fattispecie, oltre al rapporto di preposizione ed all’illiceità del fatto del preposto): nesso che è stato ritenuto sussistente non solamente se il fatto dannoso derivi dall’esercizio delle incombenze, ma pure nell’ipo­tesi in cui tale esercizio si limiti ad esporre il terzo all’ingerenza dannosa del preposto ed anche se questi abbia abusato della sua posizione od agito per finalità diverse da quelle per le quali le incombenze gli erano state affidate». Attualmente, dunque, la responsabilità diretta della Pubblica amministrazione è un fatto definitivamente acquisito anche sul piano normativo, al più tardi a partire dall’entrata in vigore del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104; essa non incide, però, facendola venir meno, su quella della persona fisica alla [continua ..]


NOTE