Dopo aver vittoriosamente esperito l’azione revocatoria ordinaria, il curatore del fallimento del dante causa chiede la sospensione dell’esecuzione immobiliare che si sta svolgendo sul bene oggetto dell’atto di disposizione revocato. A sostegno della sua istanza il curatore afferma la precedenza della trascrizione della domanda giudiziale rispetto all’iscrizione del pignoramento.
Il giudice dell’esecuzione rigetta l’istanza sul presupposto che l’accoglimento dell’azione ex art. 2901 c.c. non determini il rientro del bene di cui si è disposto nel patrimonio del dante causa, ma solo la possibilità per il creditore vittorioso di intraprendere esecuzione forzata sul bene medesimo; perciò, non può di per sé escludersi il concorso tra i creditori del dante causa e quelli dell’avente causa: infatti, seppur i primi hanno priorità nella soddisfazione sul bene per una sorta di privilegio che si è creato a seguito dell’accoglimento della revocatoria, ai secondi non può essere negata la possibilità di soddisfarsi sull’eventuale residuo. Conseguentemente, ai primi è dato di intervenire nell’esecuzione forzata in corso, senza alcuna necessità che questa venga interrotta.
Per stabilire se condividere o meno questa posizione è necessario ricostruire l’istituto dell’azione revocatoria ordinaria, almeno per quel che interessa al tema trattato e verificare se essa mantenga intatti i suoi caratteri anche nel momento in cui si trasferisce all’interno del fallimento o liquidazione giudiziale secondo il nuovo regime.
Si è ritenuto opportuno completare la trattazione mediante l’esame dell’ipotesi in cui la soddisfazione dei creditori del dante causa fallito/insolvente vittoriosi in revocatoria debba avvenire nei confronti di un avente causa fallito/insolvente anche esso.
After victoriously carrying out the ordinary revocation action, the liquidator of the bankruptcy of the assignor asks the suspension of the real estate execution that is taking place on the property subject of the revoked disposition act. In support of his application, the trustee affirms the precedence of the transcription of the judicial request/reguard with respect to the registration of the distraint.
The execution judge rejects the request on the assumption that the acceptance of the action pursuant to ex art. 2901 civil code it does not determine the return of the asset which has been disposed of in the property of the assignor, but only the possibility for the victorious creditor to undertake forced execution on the asset itself; therefore, the competition between the creditors of the assignor and those of the assignee cannot in itself be excluded: in fact, although the former have priority in satisfying the good for a sort of privilege that was created following the acceptance of the revocation, the latter cannot be denied the opportunity to satisfy themselves on any residual. Consequently, the former are given the opportunity to intervene in the forced execution in progress, without any need for it to be interrupted.
To establish whether or not to share this position it is necessary to reconstruct the institution of the ordinary revocatory action, at least for what concerns the subject matter and to verify if it maintains its characteristics intact even when it moves into bankruptcy or judicial liquidation under the new regime.
It was deemed appropriate to complete the discussion by examining the hypothesis in which the satisfaction of the creditors of the bankruptcy / insolvent victorious in revocation must take place against a bankrupt / insolvent claimant too.
Keywords: bankruptcy – ordinary avoidance action – avoidance action – revocatory action – executive action
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1. Il caso di specie - 2. Le caratteristiche dell’azione revocatoria ordinaria - 3. L’azione revocatoria ordinaria nel fallimento - 4. L’eventuale concorso tra creditori del dante causa fallito e creditori dell’avente causa in bonis nell’esecuzione individuale - 5. L’eventuale concorso tra creditori del dante causa fallito e creditori dell’avente causa fallito - NOTE
A seguito del vittorioso esperimento dell’azione revocatoria ordinaria, il curatore del dante causa fallito chiede al giudice dell’esecuzione di dichiarare improcedibile l’esecuzione immobiliare promossa da un creditore dell’avente causa sul bene immobile oggetto dell’atto di diposizione revocato. A sostegno della sua istanza il curatore afferma che il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria, con domanda trascritta anteriormente alla trascrizione del pignoramento immobiliare, avrebbe reso inopponibile nei confronti del ceto creditorio del dante causa l’atto di conferimento del bene immobile esecutato; inoltre, questo risultato avrebbe determinato l’improcedibilità dell’esecuzione con diritto della procedura concorsuale di procedere sul bene in sede fallimentare. Il giudice dell’esecuzione per decidere sull’istanza del curatore parte dal presupposto che l’azione revocatoria sia un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale e in quanto tale, se vittoriosamente esperita, non comporti l’invalidità dell’atto di disposizione erga omnes, con il conseguente rientro del bene nel patrimonio del debitore, ma solo l’inefficacia nei confronti della parte attrice dell’atto posto in essere dal disponente in pregiudizio delle sue ragioni. Per aggredire il bene oggetto dell’atto di disposizione come se questo non fosse mai uscito dal patrimonio del suo debitore, il creditore vittorioso può promuovere l’azione esecutiva ai sensi dell’art. 602 ss. c.p.c. e nell’ambito di essa potranno partecipare sia altri creditori del disponente, che abbiano esperito con esito positivo l’azione revocatoria, sia i creditori del soggetto che ha acquistato il bene. Il concorso che in tal modo naturalmente si crea tra creditori del dante causa e dell’avente causa viene risolto dal giudice dell’esecuzione sulla base del principio della priorità delle trascrizioni, trattandosi di esecuzione forzata immobiliare. Anche nel caso di specie il giudice ritiene che si debba procedere sulla base di questi stessi principi: la dichiarazione di fallimento non esclude il concorso tra i creditori del dante causa fallito e quelli dell’avente causa in bonis. La priorità della trascrizione della domanda di revocatoria, successivamente accolta, consentirebbe ai creditori fallimentari di [continua ..]
L’azione revocatoria disciplinata dall’art. 2901 ss. c.c. ha come scopo quello di reintegrare la generica garanzia patrimoniale posta dal codice civile a favore di qualunque credito (art. 2740 c.c.), quando il debitore abbia fraudolentemente depauperato il suo patrimonio [1]. La legittimazione ad agire è prevista in capo a chi afferma di essere creditore. L’azione ha presupposti soggettivi e oggettivi, che debbono essere allegati e provati da chi agisce. Le condizioni soggettive consistono nella conoscenza del pregiudizio alle ragioni creditorie da parte del debitore (consilium fraudis) ovvero nell’eventuale preordinazione della lesione delle stesse ragioni ove l’atto sia anteriore al sorgere del credito; se l’atto di disposizione è a titolo oneroso, deve essere aggiunta la conoscenza del pregiudizio da parte del terzo ovvero la partecipazione alla preordinazione dolosa (partecipatio fraudis). La giurisprudenza [2] e la dottrina [3] distinguono la situazione psicologica del debitore a seconda che l’atto di disposizione sia precedente o successivo alla nascita del credito, utilizzando un linguaggio che appartiene al diritto penale: se l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, è necessario il “dolo specifico”; mentre se l’atto è successivo al sorgere del credito, è sufficiente il dolo generico. In altre parole, nel primo caso sarebbe necessaria una forte “volontà” di pregiudicare le ragioni del creditore, perché l’atto verrebbe ordito con lo scopo di porre in essere un futuro illecito; nel secondo caso sarebbe sufficiente la generica “consapevolezza” del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore [4]. La dolosa preordinazione ovvero la conoscenza del pregiudizio del debitore ed eventualmente del terzo, non può che essere riferito ad una precisa ragione o a precise ragioni di credito, presenti o future che siano, non a qualsiasi generica pretesa [5]. Quest’ultima è l’interpretazione preferibile, perché evita un’eccessiva compressione della posizione giuridica del terzo, ma soprattutto è imposta dal tenore letterale della norma, che prefigura le ragioni del creditore come oggetto specifico dello stato psicologico dei soggetti coinvolti. Perciò, se il credito o i crediti che il [continua ..]
Passiamo ora a verificare come cambia, se cambia l’azione revocatoria ordinaria nel momento in cui deve essere esercitata all’interno della procedura concorsuale [12]. Dal tenore letterale dell’art. 66 L. Fall., trasfuso senza particolari modifiche nell’art. 165 cod. cr. ins., sembrerebbe proprio che l’azione attribuita al curatore soggiaccia agli stessi presupposti dell’azione prevista dal codice civile, ma è inevitabile che l’istituto subisca le modifiche dovute al suo innesto all’interno di una procedura collettiva, il cui scopo è quello dell’equa soddisfazione di tutti i creditori dell’imprenditore dichiarato insolvente [13]. In questo contesto, è sicuramente vera l’affermazione che lo scopo perseguito con tale azione è a favore di tutta la massa dei creditori, come per la revocatoria fallimentare (nel sistema del nuovo codice della crisi d’impresa revocatoria concorsuale), ma le modalità con cui tale fine viene perseguito e l’ampiezza dei risultati conseguibili sono ben differenti. L’accoglimento dell’azione revocatoria fallimentare o concorsuale comporta l’automatico ampliamento dei beni sui quali tutta la massa dei creditori può soddisfarsi, perché, almeno idealmente, torna a far parte del patrimonio del debitore l’intero bene oggetto dell’atto di disposizione revocato. La portata dei risultati conseguibili con la revocatoria ordinaria esercitata in modalità collettiva è in diretto collegamento con i suoi presupposti: infatti, solo i crediti che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 2901 c.c. possono giovarsi del “privilegio” di estendere l’esecuzione forzata nei confronti del bene del terzo, che comunque è estraneo alla procedura concorsuale ed è parte di un negozio giuridico ancora valido. Sarebbe iniquo, oltre che contrario alla lettera della legge, consentire alla massa dei creditori di estendere indistintamente la procedura concorsuale su tutto il bene del terzo: se così fosse, il terzo sarebbe costretto a subire un procedimento esecutivo più invasivo in maniera a volte incolpevole, perché questa eventualità dipenderebbe dalla stabilità economica del debitore, che potrebbe non essere nota al terzo al momento del compimento del negozio. Infatti, dalla norma di [continua ..]
Il divieto di azioni esecutive individuali, sancito dall’art. 51 L. Fall., nonché dal suo successore art. 150 cod. cr. ins. ha lo scopo di evitare che alcuni creditori del debitore si avvantaggino rispetto ad altri, ad esempio quelli che non sono ancora in possesso di titolo esecutivo, evitando in tal modo i rischi connessi allo stato di insolvenza. Se così non fosse, tali creditori avrebbero la possibilità di soddisfarsi per intero, mentre gli altri potrebbero rimanere privi di qualunque bene da aggradire. Come è logico, tale divieto non può riguardare le azioni esecutive che i creditori dell’insolvente possano proporre nei confronti di un terzo, ad esempio perché obbligato in solido nei loro confronti, che non si trovi in stato di insolvenza. In questo caso, infatti, il creditore si va a soddisfare su un patrimonio diverso, con un positivo effetto collaterale per gli altri creditori, che così sono in meno a dividere il ricavato del patrimonio “concorsuale”. Perciò, non c’è alcuna ragione per cui il creditore che abbia vittoriosamente agito per la revoca di un atto pregiudizievole, prima della dichiarazione di fallimento/insolvenza o anche dopo nell’inerzia del curatore [17], non debba intraprendere l’esecuzione forzata nei confronti del terzo avente causa in bonis. Lo scopo dell’art. 51 L. Fall., art. 150 cod. cr. ins. fa sì che il suo raggio di azione riguardi solo i creditori dell’insolvente, non certo i creditori di terzi che incidentalmente siano coinvolti nella procedura concorsuale; perciò, non ci può essere alcun ostacolo a che i creditori del terzo aggrediscano i suoi beni personali. Né tale conclusione muta se l’esecuzione promossa dal creditore di un terzo ha ad oggetto un bene del quale l’insolvente abbia indebitamente disposto a scapito dei propri creditori, sia che il procedimento esecutivo si concluda prima dell’esperimento dell’azione revocatoria, sia che esso si trovi in corso all’atto dell’accoglimento della domanda di revoca. In ultima analisi, i creditori del dante causa, vittoriosi in revocatoria, è come se fossero anch’essi creditori dell’avente causa muniti di un particolare privilegio, che nell’esecuzione forzata sul bene “conteso” posterga ad essi tutti i debitori del terzo, salvo il disposto [continua ..]
Per completezza, si deve considerare anche l’ipotesi in cui oltre al dante causa anche l’avente causa sia fallito o insolvente. Nonostante un recente intervento delle Sezioni Unite [19], vi sono ancora incertezze in ordine all’ammissibilità dell’azione in revoca contro l’avente fallito/insolvente. In particolare, parte della giurisprudenza ha negato tale possibilità o perché ha classificato l’azione come esecutiva, quindi vietata dall’art. 51 L. Fall. [20], o perché l’ha considerata contraria al principio di cristallizzazione della massa passiva, dato che il positivo esito domanda porterebbe alla creazione di un nuovo titolo di privilegio, ammissibile al massimo ove la domanda giudiziale fosse iscritta prima della dichiarazione di fallimento [21]. Nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite menzionate [22], la Prima Sezione ha etichettato l’azione revocatoria come “azione di accertamento con effetti costitutivi”, proprio per superare le obiezioni legate alla qualificazione della sentenza di revoca come costitutiva e considerarne possibile l’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria anche nei confronti dell’avente causa fallito. A suggello di questa posizione, secondo la Corte, vi sarebbe l’art. 91, D.Lgs. n. 270/1999, inserito nella disciplina della procedura di amministrazione straordinaria e relativo alla regolamentazione dei rapporti tra imprese di un gruppo, quando una di esse venga dichiarata insolvente. La norma ammette l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, da parte del commissario straordinario e del curatore dell’impresa insolvente nei confronti delle altre imprese del gruppo, tra le quali siano intervenuti atti di disposizione; la disposizione non sembra precludere la possibilità di agire nel caso in cui l’altra impresa del gruppo sia stata dichiarata fallita a sua volta. Questa possibilità è stata estesa per interpretazione analogica anche all’azione revocatoria ordinaria esercitata in modalità collettiva. Le Sezioni Unite interpellate si sono pronunciate nel 2018, negando in linea di principio la proponibilità dell’azione revocatoria avverso un terzo fallito. La Cassazione ha spiegato che con l’azione revocatoria, sia essa ordinaria che fallimentare, si fa valere un diritto potestativo; [continua ..]