Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Scissione totale e fallimento della società scissa dichiarato entro l'anno dalla cancellazione dal registro delle imprese (di Giuseppe Positano, Ricercatore di Diritto commerciale nell’Università del Salento)


La Corte di Cassazione ammette il fallimento della società scissa pronunciato entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese. La Corte attraverso un articolato percorso argomentativo supera gli ostacoli frapposti da una parte della dottrina e della giurisprudenza alla fallibilità della società scissa, ravvisando in particolare nell’opposizione alla scissione un rimedio non sostitutivo, ma solo aggiuntivo, a tutela dei creditori sociali.

The Court of Cassation admits the bankruptcy of the demerged company pronounced within the year of the cancellation from the register of companies. Through an articulated argumentative path, the Court overcomes the obstacles posed by part of the doctrine and jurisprudence to the fallibility of the demerged company, recognizing in particular in the opposition to the split a non-substitute, but only additional remedy, to protect social creditors.

Keywords: division of companies – bankruptcy – divided company

CORTE DI CASSAZIONE 21 febbraio 2020, n. 4737 Pres. Didone-Est. Dolmetta (Artt. 2504-quater, 2506, 2506-bis, 2506-ter, 2506-quater; 2901 c.c.; art. 10, 11 L. Fall.) Nel caso di scissione totale la società scissa è assoggettabile a fallimento entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese ed alla sua dichiarazione di fallimento non è di ostacolo il fatto che nessuno dei suoi creditori abbia formulato opposizione alla disaggregazione dell’ente ex art. 2506-ter, 5° comma, c.c. e art. 2503 c.c., non costituendo lo strumento dell’opposizione alla scissione un rimedio “sostitutivo e necessario”, ma solo “aggiuntivo”. (Omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con sentenza depositata in data 6 aprile 2016, il Tribunale di Ivrea ha dichiarato, su istanza formulata dalla Procura, il fallimento della s.p.a. (omissis), società cancellata dal registro delle imprese l’(omissis), a seguito di scissione totale con patrimonio assegnato alla s.r.l. (omissis) e alla s.p.a. (omissis). 2. Avverso questa sentenza la società (omissis), F.L., C.E. e Co.Gi., in proprio e quali amministratori della medesima, hanno proposto reclamo L. Fall., ex art. 18 avanti alla Corte di Appello di Torino che lo ha respinto con sentenza pubblicata in data 26 luglio 2016. 3. In punto di fallibilità della società scissa, nel caso di scissione totale, la Corte torinese ha rilevato, in primo luogo, che l’“utilità” di una simile procedura concorsuale è “indubbia”: “a prescindere dal rilievo dell’identità del patrimonio, costituito dalla sommatoria dei patrimoni delle due società, non può non attribuirsi rilievo al carattere illimitato della responsabilità della società ‘madre’ e alla possibilità, per la curatela, di esercitare azioni, quali quelle connesse alle revocatorie fallimentari precluse alla curatela delle società ‘figlie’”. Ha rilevato, inoltre, che lo “scioglimento senza liquidazione”, di cui all’art. 2506 c.c., comma 3, “è connaturato a un evento dissolutivo totale, coincidente con l’estinzione della società e con la cessazione della sua attività, intendendosi come tale l’attività esercitata direttamente dall’operatore economico”. La società scissa “deve naturalmente avere una cessazione in concomitanza del trasferimento o assegnazione ad altro soggetto del suo patrimonio”: altrimenti, “rimarrebbe un soggetto solo formalmente in essere, essendosi di fatto dissolto nelle derivazioni societarie”. Nel caso di scissione totale – ha concluso al riguardo la pronuncia – “non è dato prospettare una mera vicenda modificativa (come nell’ipotesi della fusione per incorporazione) ricorrendo una vera e propria [continua..]
SOMMARIO:

1. La vicenda giudiziaria - 2. Le ragioni della decisione della Corte - 3. La questione della fallibilità della società scissa - 4. La diversa prospettiva della società fusa per incorporazione - 5. Spunti ricostruttivi a sostegno della fallibilità della società scissa ex art. 10 L. Fall. - 6. I rimedi societari quali strumenti aggiuntivi e non preclusivi della tutela concorsuale - 7. Verso un sistema “aperto” di tutele a protezione dei creditori: la revocabilità della scissione societaria - NOTE -


1. La vicenda giudiziaria

Il Tribunale di Ivrea con sentenza emessa il 6 aprile 2016, su richiesta del P.M., ha dichiarato il fallimento di una società per azioni che si era scissa mediante attribuzione dell’intero patrimonio in favore di due società, una in forma di società per azioni, l’altra di società a responsabilità limitata, e successivamente cancellata dal registro delle imprese. L’insolvenza della società scissa era stata rilevata dalla Procura (art. 7, 1° comma, n. 1, L. Fall.) nel corso di un procedimento penale avviato a seguito di verifiche fiscali che avevano accertato un giro di operazioni ritenute inesistenti per diversi milioni di euro. Poiché il fallimento è stato dichiarato dal Tribunale dopo la cancellazione (sia pure entro l’anno) e comportando – come noto – la cancellazione l’estinzione della società e la caducazione degli organi societari [1] (con l’eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 L. Fall.) [2], il reclamo avverso la sentenza di fallimento è stato proposto da tre ex-amministratori in proprio, nonché da uno di essi quale legale rappresentante della società scissa [3]. Il principale motivo posto a fondamento del reclamo ha riguardato la natura giuridica della scissione totale che dovrebbe essere considerata, secondo i reclamanti, non come una vicenda estintiva – successoria, bensì come un’operazione «evolutiva modificativa» assimilabile alla fusione societaria (nella versione successiva alla riforma del 2003) [4], con conseguente inapplicabilità dell’art. 10 L. Fall. alla società scissa. Anzi, una volta eseguite le iscrizioni dell’atto di scissione nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2506-quater c.c. [5] e con gli effetti di cui all’art. 2504-quater c.c. [6] (richiamato dall’ultimo comma dell’art. 2506-ter c.c. [7]), gli unici soggetti fallibili sarebbero le società beneficiarie della scissione e non più la società che si scinde che «di fatto continua» nelle scissionarie, solidalmente responsabili dei debiti della scissa rimasti insoluti, sia pure nei limiti del 3° comma dell’art. 2506-quater c.c. [8]. La Corte di Appello di Torino, con sentenza del 26 luglio 2016 [9] ha rigettato il reclamo ravvisando nella scissione [continua ..]


2. Le ragioni della decisione della Corte

Secondo la Corte, i ricorrenti con i primi tre motivi vengono, in buona sostanza, a svolgere quattro gruppi di rilievi. Il primo involge la natura giuridica della scissione societaria, che non darebbe vita a un fenomeno successorio e perciò estintivo della società scissa, bensì determinerebbe solo una «modificazione dell’atto costitutivo». In tale direzione militereb­be non solo l’art. 2506, 1° comma, c.c., che definisce la scissione come una «operazione di assegnazione del patrimonio», ma anche le norme in materia di fusione delle quali si predica una «lettura estensiva – o quanto meno analogica». Il secondo gruppo riguarda l’asserita inapplicabilità dell’art. 10 L. Fall., il quale presupporrebbe la cessazione dell’attività d’impresa che invece nel caso di scissione (in genere e in particolare in quella totale) proseguirebbe senza soluzione di continuità in capo alle società beneficiarie, e la cancellazione della scissa coinciderebbe sostanzialmente con la costituzione delle nuove società. Il terzo ordine di rilievi attiene al profilo della responsabilità delle società beneficiarie della scissione, che ai sensi dell’art. 2506-bis, 3° comma, c.c., sarebbero le sole a dover rispondere in via solidale degli «elementi del passivo non desumibili dal progetto di scissione», pur se nel «limite del valore del patrimonio netto ad esse trasferito»; responsabilità che si aggiungerebbe a quella solidale prevista dall’art. 2506-quater, 3° comma, c.c., «per i debiti non soddisfatti dalla società a cui fanno carico» [15]. L’ultimo rilievo mette, invece, in contestazione l’affermazione del Giudice di se­conde cure relativa all’asserita «utilità» di una sentenza di fallimento pronunciata ai danni di una società scissa, che non attribuirebbe alcun vantaggio ai creditori, avendo la società fallita interamente devoluto il suo patrimonio alle società beneficiarie. La Corte, nel rigettare i tre motivi del ricorso, motiva la propria decisione con un articolato e sostanzialmente condivisibile percorso argomentativo, che si spinge anche oltre i motivi di doglianza sollevati nel ricorso in cassazione. In primo luogo, con riferimento alla questione relativa alla natura giuridica della [continua ..]


3. La questione della fallibilità della società scissa

La questione della fallibilità della società scissa, all’esito di un’operazione di scissione totale, inevitabilmente impinge con la vexata quaestio della natura giuridica della scissione, in ordine alla quale – come è noto – si contrappongono due orientamenti: il primo che vi ravvisa un fenomeno estintivo di tipo successorio [24], il secondo che la risolve in una vicenda modificativa dell’atto costitutivo [25]. La Corte d’Appello di Torino del 26 luglio 2016, infatti, individua nell’art. 10 L. Fall. quasi un corollario del carattere dissolutivo – estintivo della scissione totale, che determinando l’estinzione della società scissa (arg. ex art. 2506, 3° comma, c.c.: «scioglimento senza liquidazione») la renderebbe assoggettabile a fallimento (ove naturalmente insolvente al momento della scissione) entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese [26]. La società scissa, del resto, una volta cancellata ed estintasi come soggetto di diritto in forza dell’art. 2495 c.c. [27], resterebbe assoggettata a liquidazione giudiziale in puntuale applicazione dell’art. 10 L. Fall. [28], che áncora il dies a quo di decorrenza dell’anno al momento formale dell’estinzione dell’ente e non a quello sostanziale (eventualmente differente) della cessazione dell’attività d’impresa [29]. Viceversa, ove si ravvisasse nell’operazione di scissione (totale) una vicenda – dal punto di vista soggettivo – meramente evolutiva – modificativa, non vi sarebbe spazio per la dichiarazione di fallimento della società scissa [30], essendo possibile solo dichiarare il fallimento delle società beneficiarie nelle quali la prima si è risolta [31].


4. La diversa prospettiva della società fusa per incorporazione

Del resto anche la tormentata tematica [32] della fallibilità della società fusa per incorporazione (art. 2501, 1° comma, c.c.) è stata condotta avendo riguardo alla qualificazione giuridica dell’atto di fusione. Tanto è vero che, sino a quando – nel vigore del regime anteriore alla riforma societaria del 2003 – si è ravvisato nella fusione un fenomeno estintivo – successorio [33], non si è dubitato della fallibilità della società incorporata in applicazione dell’art. 10 L. Fall. [34] Il fallimento della società incorporata è stato inteso come conseguenza della sua insolvenza e del mancato decorso dell’anno dalla sua estinzione per fusione, prescindente dalla solvibilità o meno della società incorporante, che può semmai costituire ragione di eventuale soggezione di quest’ultima a procedura concorsuale [35]. La norma dell’art. 10 L. Fall. risponde peraltro ad una chiara esigenza di rafforzamento della tutela dei creditori nel caso di cessazione dell’impresa, sia pure nei limiti dell’anno [36]. In base a questa impostazione, la sottrazione della società incorporata alla dichiarazione di fallimento nell’anno successivo alla sua cancellazione avrebbe ridotto la protezione accordata dalla disciplina concorsuale ai creditori, violando in tal guisa il principio costituzionale di uguaglianza per via della concessione di una possibilità di sottrazione dell’imprenditore collettivo a fallimento, rispetto all’imprenditore individuale che, invece, potrebbe essere dichiarato fallito anche dopo il decesso [37] (art. 11 L. Fall.) [38]. Quando, invece, a seguito della riforma delle società del 2003, che ha sostituito nel testo dell’art. 2504-bis c.c. il vecchio riferimento alle «società estinte» con quello delle «società partecipanti all’operazione», la giurisprudenza ha optato (per le operazioni successive al 1° gennaio 2004) [39] per la natura meramente evolutivo – modificativa della fusione [40], si è conseguentemente negato che la società incorporata potesse essere dichiarata fallita in applicazione dell’art. 10 L. Fall. Poiché la fusione non comporta l’estinzione della società incorporata, quest’ultima non può essere [continua ..]


5. Spunti ricostruttivi a sostegno della fallibilità della società scissa ex art. 10 L. Fall.

Invero, pur nella consapevolezza di doversi comunque confrontare con la questione dell’inquadramento giuridico della scissione in termini di vicenda dissolutiva – e­stintiva, appare probabilmente più proficuo un approccio ermeneutico che – scevro da concettualismi – cerchi di trarre elementi a supporto della tesi della fallibilità della società scissa dall’indagine degli interessi coinvolti in questa operazione di riorganizzazione societaria, a cominciare proprio da quello dei creditori ante-scissione. In altri termini, occorre verificare se i rimedi endosocietari apprestati dal legislatore a presidio delle ragioni dei creditori della società che si scinde (quali il diritto di opposizione dell’art. 2503 c.c. e il rimedio risarcitorio dell’art. 2504-quater, 2° comma, c.c., entrambi richiamati dall’art. 2506-ter, ultimo comma, c.c., nonché la responsabilità solidale delle società beneficiarie di cui all’art. 2506-bis, 3° comma, c.c. e art. 2506-quater, 3° comma, c.c.) [43] siano preclusivi della tutela concorsuale dell’art. 10 L. Fall. ovvero se il fallimento della società scissa copra degli spazi di tutela della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. [44] che diversamente resterebbero scoperti. Ed è nella prospettiva da ultimo delineata che la sentenza della Suprema Corte, che si annota, si lascia particolarmente apprezzare, perché ricostruisce e individua l’«utilità» dell’assoggettamento a fallimento della società scissa proprio operando sul piano della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.).


6. I rimedi societari quali strumenti aggiuntivi e non preclusivi della tutela concorsuale

Come già esposto nel precedente paragrafo 2, uno dei motivi che hanno indotto la Corte a rigettare il ricorso risiede nell’esigenza di evitare che la scissione della società possa costituire un espediente per pregiudicare le ragioni dei creditori sociali. In effetti, la previsione della responsabilità solidale delle società beneficiarie per i debiti della «scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico» di cui all’art. 2506-quater, 3° comma, c.c., non mette del tutto al riparo i creditori anteriori di fronte ad operazioni più o meno fraudolente della società debitrice [45]. La previsione normativa in parola, infatti, comporta che degli elementi del passivo risultanti dal progetto di scissione [46] debba rispondere, in prima istanza, illimitatamente la società beneficiaria alla quale il debito è stato assegnato. Nel caso di sua inadempienza, di quel debito potranno essere chiamate a rispondere in via solidale [47] le altre società partecipanti alla scissione, ma nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad esse assegnato [48] (ove si tratti di altra società beneficiaria) o rimasto (ove si tratti della società scissa) [49]. Previsione che se, da un lato, limita la portata della solidarietà delle beneficiarie [50], dall’altro, certamente comprime i diritti dei creditori della scissa [51]. Infatti, se è pur vero che la norma mira ad evitare che i creditori della scissa possano trarre indebitamente beneficio dall’operazione, accrescendo le garanzie patrimoniali che avevano prima del perfezionamento dell’operazione [52], è parimenti vero che la scissione può essere insidiosa per i creditori. Non è escluso infatti che la società destinataria del debito risulti insolvente e il patrimonio rimasto o assegnato alle altre società risulti inferiore rispetto all’ammontare del credito [53]. Per effetto della ripartizione del patrimonio tra più società beneficiarie e della limitazione del debito che queste sono legittimate ad opporre, ben potrebbe accadere che i beni più facilmente liquidabili siano assegnati ad una beneficiaria per la quale il limite di responsabilità (fissato dall’art. 2506-quater, 3° comma, c.c.) sia inferiore all’ammontare del credito azionabile, con [continua ..]


7. Verso un sistema “aperto” di tutele a protezione dei creditori: la revocabilità della scissione societaria

Quello della revocabilità dell’atto di scissione, alla quale la pronuncia in commento accenna «per completezza di esposizione», sembra costituire nel ragionamento della Corte l’ultimo (non certamente per importanza) [59] tassello mancante verso l’apertura ai rimedi generali del sistema interno di tutele predisposto dal legislatore societario a salvaguardia dei creditori della società scissa. Eppure, la tesi della c.d. «tipicità ristretta dei rimedi societari» [60] riguardati come un sistema di norme speciali chiuso ed autosufficiente è largamente diffusa nella giurisprudenza di merito ed ha costituito la principale ragione per escludere l’ammissibilità della revocatoria della scissione [61]. Nondimeno, disattendendo sul punto anche l’opinione contraria della più autorevole dottrina [62], la Corte di Cassazione prima [63] e la Corte di Giustizia EU poi [64], hanno affermato che l’actio pauliana non può dirsi preclusa [65] né dall’esperibilità del­l’opposizione ex art. 2503 c.c. [66], né dalla irretrattabilità degli effetti della scissione [67] e dai rimedi risarcitori di cui all’art. 2504-quater c.c. (norme applicabili alla scissione in forza dell’art. 2506-ter c.c.), né tantomeno dalla responsabilità solidale (ma limitata) delle società scissionarie prevista dall’art. 2506-quater, 3° comma, c.c. [68]. La regola della irregredibilità degli effetti della (fusione e) scissione, introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 15, D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, in attuazione delle Direttive 9 ottobre 1978, n. 855 – 1978/855/CEE (art. 22, III Direttiva) e 17 dicembre 1982, n. 891 – 1982/891/CEE (art. 19, VI Direttiva) «presuppone una fusione o scissione efficace, supera la distinzione fra nullità e annullabilità, accomunate nella nozione di invalidità, e mira ad evitare la demolizione dell’operazione di trasformazione e la reviviscenza delle società originarie, ma appare pienamente compatibile con la natura e gli effetti dell’azione revocatoria, strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, che agisce sul registro della mera inopponibilità dell’atto al creditore pregiudicato» [69]. In difetto di adeguato fondamento [continua ..]


NOTE

[1] Da ultimo cfr. Cass. 22 gennaio 2020, n. 1392, in www.ilcaso.it, per la quale «[c]ome le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito con la sentenza n. 6070 del 2013, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, che ha in particolare modificato l’art. 2495 cod. civ., qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo». Ed ancora «La cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con l’eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 L. Fall.); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.; qualora l’evento non sia stato fatto constatare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constatare in tali modi non sarebbe più stato possibile, [continua ..]