Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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Il ruolo del tribunale nell'omologazione forzosa di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (di Alessandra Zanardo, Professore associato di Diritto commerciale nell’Università Ca’ Foscari Venezia)


Il presente commento analizza due provvedimenti del Tribunale di Ferrara aventi ad oggetto una proposta di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, il cui ricorso è stato dichiarato improcedibile. I provvedimenti commentati offrono l’occasione di soffermarsi sul cram down “fiscale” di recente introduzione e di interrogarsi – dato l’ambiguo testo normativo – sul significato da attribuire al comportamento del tribunale che, ai sensi dell’art. 12, 3°-quater comma, L. n. 3/2012, omologhi l’accordo nonostante il voto contrario dell’amministrazione finanziaria.

 

The role of the court in the compulsory confirmation of a debt settlement agreement under law no. 3/2012

This comment analyses two decisions taken by the Court of Ferrara concerning a proposal for a debt settlement agreement under Law No. 3/2012, whose petition was declared inadmissible. These decisions give the opportunity to focus on the newly introduced ‘tax’ cram-down and to wonder about the meaning to be attributed to the behaviour of the court that, according to article 12, para. 3-quater, of Law No. 3/2012, confirms the agreement despite the negative vote of the Revenue Agency – given the ambiguity of the above-mentioned legislative provision.

Keywords: over-indebtedness, confirmation, ‘tax’ cram down.

MASSIMA(1) Il meccanismo in forza del quale il giudice omologa la proposta di accordo di composizione della crisi a fronte della contestazione di uno o più creditori dissenzienti è previsto e possibile solo se il piano è stato approvato e vi è contestazione di un creditore dissenziente circa la convenienza della proposta. La mancata approvazione da parte dei creditori impedisce addirittura che si apra la fase della omologa.   PROVVEDIMENTO(1) (Omissis). Il G.D. (omissis), premesso che (omissis) ha presentato una proposta di accordo ex art. 7 l. 3 del 2012 inerente debiti derivanti dalla precedente attività di impresa, che i creditori coinvolti sono solamente tre: Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione e Prefettura di Ferrara, che tutti e tre i creditori hanno espresso voto negativo, che il Gestore della Crisi prima della udienza ex art. 10 l. sovr. ha depositato relazione in cui dà conto della mancata approvazione dell’accordo ma invoca comunque la omologa facendo richiamo al meccanismo di cram down previsto dal­l’art. 12 comma 2, OSSERVA Il meccanismo delineato dalla legge 3 del 2012 per la omologazione dell’ac­cordo, analogamente a quanto previsto per l’istituto concordatario predisposto per l’imprenditore maggiore dalla legge fallimentare (art. 180 comma 4), prevede che alla fase della omologa si possa accedere solo se la proposta ha ottenuto la approvazione della maggioranza dei creditori prevista dalla legge (nel caso dell’accordo il 60%). Il meccanismo in forza del quale il giudice omologa la proposta a fronte di una contestazione di uno o più creditori dissenzienti, se ritiene che – anche sulla scorta della relazione del gestore redatta dopo la approvazione del piano ai sensi dell’art. 12 comma 1 – tale creditore riceva dal piano un trattamento migliore di quello che riceverebbe nella ipotesi alternativa della liquidazione, è previsto e possibile solo se il piano sia stato approvato e vi sia una contestazione di un creditore dissenziente circa la convenienza della proposta. La mancata approvazione da parte dei creditori, passaggio centrale della procedura di accordo, impedisce addirittura che si apra la fase della omologa, analogamente a quanto previsto per il concordato preventivo: il potere del giudice di omologare il piano esiste solo se ed in quanto la fase negoziale si sia perfezionata. Deve pertanto, non potendosi scendere nel merito della proposta e della sua convenienza, dichiararsi la improcedibilità del ricorso. (Omissis).   (Artt. 11 e 12, 2° comma, L. n. 3/2012) TRIBUNALE DI FERRARA, 16 DICEMBRE 2020 – G.D. Ghedini   MASSIME del provvedimento(2): Affinché il Giudice possa effettuare la valutazione circa la maggiore convenienza dell’accordo di composizione della crisi per i creditori dissenzienti o esclusi rispetto all’alternativa [continua..]
SOMMARIO:

1. Il perimetro dell’indagine - 2. L’applicabilità dell’art. 12, 3°-quater comma, L. n. 3/2012 alle procedure pendenti - 3. Il giudizio di convenienza ex art. 12, 2° comma, L. n. 3/2012 - 4. Il ruolo del tribunale nel cram down “fiscale” - NOTE


1. Il perimetro dell’indagine

La scelta di commentare i due provvedimenti del Tribunale di Ferrara sopra riportati deriva dal fatto che gli stessi, in particolare il provvedimento di rigetto del reclamo avverso il decreto di improcedibilità, rappresentano una delle prime occasioni in cui i giudici di merito si sono trovati a decidere sull’applicazione dell’ormai noto cram down dei debiti verso l’amministrazione finanziaria. Questo istituto è stato introdotto negli ultimi mesi del 2020 sia nella legge fallimentare sia nella L. 27 gennaio 2012, n. 3, ad opera, rispettivamente, dell’art. 3, 1°-bis comma, D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 (così come convertito, con modificazioni, dalla L. 27 novembre 2020, n. 159), e dell’art. 4-ter D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 (così come convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176); i quali hanno di fatto anticipato l’entrata in vigore di corrispondenti norme contenute nel codice della crisi d’impresa e dell’in­sol­venza (in particolare, art. 48, 5° comma, e art. 80, 3° comma, c.c.i.i.). Il commento dei due provvedimenti offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni sulla novella legislativa, nonostante – lo si anticipa sin d’ora – l’argomento realmente conferente ai fini delle decisioni in oggetto sia un altro, sulla cui condivisibilità è assai difficile questionare. L’iter processuale della vicenda in esame si dipana in due procedimenti: il primo conclusosi con un decreto che ha dichiarato improcedibile un ricorso, ex art. 7 L. n. 3/2012, avente ad oggetto un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento; il secondo con il rigetto del reclamo proposto dalla debitrice avverso il decreto di improcedibilità. Più precisamente, pur avendo la proposta di accordo riportato il voto negativo di tutti e tre i creditori pubblici, il gestore della crisi ne chiedeva l’omologazione invocando il giudizio di convenienza ex art. 12, 2° comma, L. n. 3/2012, a norma del quale il giudice omologa l’accordo anche quando uno dei creditori dissenzienti o che risulta escluso o qualunque altro interessato ne abbia contestato la convenienza, se ritiene che il credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore all’alter­nativa liquidatoria. Il giudice delegato, rilevato che alla fase della omologa dell’ac­cordo si può accedere solo se la [continua ..]


2. L’applicabilità dell’art. 12, 3°-quater comma, L. n. 3/2012 alle procedure pendenti

Nonostante nel giudizio di reclamo il Tribunale non abbia considerato l’aspetto processuale, è necessario spendere qualche parola sull’applicabilità del nuovo art. 12, 3°-quater comma, L. n. 3/2012 alle procedure pendenti, valutando poi se, nel caso di specie, si rientri nell’ipotesi di “procedura pendente”. L’art. 4-ter, 2° comma, D.L. n. 137/2020, diversamente dal D.L. n. 125/2020 e dalla relativa legge di conversione – che non contengono alcuna disposizione di diritto transitorio che ne definisca l’ambito temporale di applicazione – prevede espressamente che «le disposizioni di cui al 1° comma [leggasi: le modificazioni alla L. n. 3/2012] si applicano anche alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Peraltro, pure in assenza di una siffatta previsione, si condivide l’opinione prevalente secondo cui le norme che introducono meccanismi di cram down, in quanto norme processuali [2], si applicano anche alle procedure in corso o pendenti, rispetto alle quali non si sia già esaurita la fase procedimentale interessata dalla novella. In virtù del principio “tempus regit actum”, infatti, gli atti processuali sono regolati dalla legge sotto il cui imperio sono posti in essere [3]. Avvalora detta conclusione l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in favore della natura e rilevanza processuale delle norme dettate in materia concorsuale [4]. Quanto poi all’individuazione della fase procedimentale in relazione alla quale la novella sarebbe applicabile, la stessa coincide, a nostro avviso e nonostante qualche opinione difforme, con l’omologazione dell’accordo ex art. 12 L. n. 3/2012 (o la dichiarazione di improcedibilità), poiché è precisamente in questo momento che viene posto in essere il relativo atto processuale [5]. Nel caso di specie, però, essendosi già conclusa la fase dell’omologazione dell’accordo di composizione della crisi – seppur con decreto (ancora) reclamabile – al momento dell’entrata in vigore della disposizione [6], sembra corretto ritenere, anche alla luce degli effetti del relativo decreto, che l’art. 12, 3°-quater comma, L. n. 3/2012 non possa trovare applicazione (diversamente da quanto sostenuto dalla parte [continua ..]


3. Il giudizio di convenienza ex art. 12, 2° comma, L. n. 3/2012

L’art. 11, 2° comma, L. n. 3/2012 dispone, ai fini dell’omologazione di cui all’art. 12, che l’accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, mentre l’art. 12, 2° comma, prevede che il giudice omologhi l’accor­do quando, risolta ogni altra contestazione, abbia verificato il raggiungimento della percentuale di cui all’art. 11, 2° comma, e l’idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili. A detta disposizione se ne aggiunge un’al­tra, introdotta dall’art. 18 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221), a norma della quale, quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell’accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito possa essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria. L’intervento legislativo dell’ottobre del 2012 ha così esteso all’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento l’istituto del c.d. cram down, ossia, come si legge nella relazione illustrativa di accompagnamento, un giudizio, operato dal tribunale, «di convenienza del piano in relazione alle possibilità di realizzo offert[e] dal­l’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda». Entrambe le norme appena citate non sembrano sollevare alcun problema di interpretazione, almeno sul fatto – l’unico, come si è visto, rilevante nei giudizi de quibus – che il giudizio di convenienza espresso dal giudice presupponga il raggiun­gimento di un accordo con la maggioranza dei creditori: in assenza di accordo (per l’esito negativo della votazione), il giudice non può procedere con l’omologazione e non v’è spazio per contestazioni della convenienza della proposta e, quindi, per la valutazione di quest’ultima da parte del giudice [8]. Il punto è pacifico, come è stato giustamente rilevato in entrambi i provvedimenti qui commentati, che sottolineano la chiarezza e l’inequivocità del dettato normativo, in linea con quanto prescritto dall’art. 180 L. Fall. in materia di concordato preventivo (il cui 4° comma, secondo per., nel disciplinare il [continua ..]


4. Il ruolo del tribunale nel cram down “fiscale”

Si è detto che, nel caso di specie, la novella legislativa di dicembre 2020 non trova applicazione (v. supra, par. 2). Tuttavia, poiché il Tribunale, nel provvedimento di rigetto del reclamo, si pronuncia, su richiesta della reclamante, sulla ricorrenza dei presupposti del cram down fiscale senza preliminarmente esprimersi sulla questione processuale, è doverosa qualche considerazione sulle sue conclusioni. Secondo i giudici del reclamo, l’art. 12, 3°-quater comma, L. n. 3/2012 si applica all’ipotesi in cui, essendo stata espressa l’adesione alla proposta da una parte dei creditori, manchi l’adesione dell’amministrazione finanziaria, la quale sarebbe decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale stabilita dalla legge, consentendo così al tribunale di disattendere il voto contrario di un creditore [11]. Nel caso di specie, nessun creditore aveva espresso voto favorevole o mantenuto il silenzio sulla proposta e, pertanto, – rileva il Tribunale – anche se fosse stato disatteso il voto contrario dell’Agenzia delle entrate sarebbe rimasto quello contrario espresso dagli altri due creditori (l’uno dei quali, in realtà, anch’esso qualificabile come “amministrazione finanziaria”, trattandosi dell’Agenzia delle entrate-Riscos­sione), che avrebbe impedito l’omologazione. Non è chiaro dal provvedimento quale fosse la percentuale dei crediti ammessi al voto rappresentata dall’Agenzia delle entrate: se cioè la sua adesione sarebbe stata decisiva a prescindere dal voto degli altri creditori (perché il suo credito rappresentava almeno il 60% dei crediti ammessi al voto); o se invece lo sarebbe stata solo se sommata al voto di un altro creditore aderente. Sembra però, dalla lettura del provvedimento, che il Tribunale ritenga necessario che una parte dei creditori manifesti la propria adesione per poter omologare il piano nonostante il voto negativo dell’amministrazione finanziaria. Questa conclusione, tutt’altro che scontata, stimola alcune riflessioni, partendo dal dato letterale della norma. L’art. 12, 3°-quater comma, L. n. 3/2012 pone due condizioni per il cram down fiscale: la decisività dell’adesione dell’amministrazione finanziaria ai fini del raggiungimento della prescritta maggioranza [12] e la convenienza della proposta di soddisfacimento [continua ..]


NOTE