Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il codice della crisi e dell'insolvenza: ovvero prove tecniche di requiem (di Umberto Apice (già Avvocato Generale presso Corte di Cassazione))


 Il presente lavoro è destinato alla Raccolta di studi in memoria di Michele Sandulli.

La legge delega n. 115/2017, proponendosi la riforma integrale delle procedure concorsuali, ha dettato alcune nuove direttrici di marcia anche in materia di concordato preventivo. È noto che, a partire dalla decisione n. 1521/2013 delle Sezioni Unite della Cassazione, si è formata una consolidata giurisprudenza, secondo cui al Tribunale spetta valutare, su un piano strettamente giuridico, se le prospettive di soddisfazione – quali illustrate dalla relazione del professionista attestatore – siano state legittimamente formulate. Senonché, la legge delega n. 115/2017 ha riaperto il dibattito, riconoscendo al Tribunale “ poteri di verifica della fattibilità anche economica ”, mentre la bozza di decreto attuativo (“Codice della crisi e dell’insolvenza”), anziché indicare le richieste “modalità di accertamento”, si limita a ribadire un generico potere di “verifica della fattibilità”. Ne risulta comunque ridimensionato il ruolo dell’attestatore: soprattutto se si considera che, ai sensi dell’art. 92, 2° comma del menzionato Codice, la presentazione di una relazione attestatrice redatta da un professionista indipendente sarebbe, ora, meramente facoltativa. Il modello autoritativo tornerà a prevalere su quello negoziale? Così sembrerebbe. E scomparirà la stessa figura dell’attestatore (ove l’iter della riforma dovesse concludersi), considerata – nella nuova logica – la sua inutilità; come anche scomparirà il concordato nella sua forma liquidatoria, dato che saranno ammissibili solo quei concordati che rispetteranno determinate (e quasi impossibili) soglie ex lege prefissate.

The delegation-law n. 115/2017, proposing the full reform of the insolvency proceedings, has dictated some new guidelines also on the subject of preventive agreement. It is known that, starting from decision n. 1521/2013 of the Suprema Corte riunited in United sections, a consolidated case-law was formed, according to which the court is to assess, on a strictly legal level, whether the prospects of satisfaction – as illustrated by the report of the attester – have been lawfully formulated.

As well, the delegation-law n. 115/2017 has reopened the debate, recognizing the Court “powers to verify the feasibility of the economic situation”, while the draft implementing decree (“Code of the Crisis and insolvency”), instead of indicating the requests “mode of investigation”, merely reiterates a generic power of “verifiability verification”. However, the role of the attester is resized: especially considering that, according to art. 92, 2° paragraph, of the abovementioned code, the submission of a report attesting to an independent professional would, now, be merely optional.

Will the authoritarian model prevail over that negotiation? So it would seem. And the same figure of the attester will disappear (where the reform process should end), considered – in the new logic – its futility. As also disappears the agreements in its liquidatoria form, since only those agreed will be eligible to respect certain (and almost impossible) thresholds ex lege prefixed.

SOMMARIO:

1. La riforma organica delle procedure concorsuali e gli interrogativi sul de­stino dell'attestatore - 2. La figura professionale e i compiti dell'attestatore - 3. Il valore probatorio dell'attestazione e i poteri di sindacato del Tribunale - 4. La legge delega e la bozza di Codice - 5. Osservazioni conclusive - NOTE


1. La riforma organica delle procedure concorsuali e gli interrogativi sul de­stino dell'attestatore

La legge delega n. 115/2017, che ha avviato la riforma organica delle procedure concorsuali, si è prefissa alcuni dichiarati e ben precisi obiettivi: introdurre gli stru­menti per una tempestiva emersione della crisi, la distinzione dei concetti di crisi e di insolvenza, il rafforzamento dei poteri del curatore, la disciplina ad hocper i gruppi di imprese, l’adozione di un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza, il riordino del regime dei finanziamenti alle imprese in crisi. Ma, ovviamente, il legislatore delegante era ben consapevole di tante criticità che erano insorte con riguardo a molti aspetti e momenti delle procedure concorsuali: ad esempio, quelle intorno alla figura dell’attestatore e alla sua “relazione” di cui all’art. 161, 3° comma, R.D. 16 marzo 1942, n. 267 [1](«Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo com­ma, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo»). Anzi, come qualcuno aveva preannunziato, al cospetto di un principio lasciato dalla legge delega volutamente aperto, l’attenzione, all’interno della Commissione incaricata della redazione dei decreti delegati, si era proprio concentrata sulla opportunità della sopravvivenza o meno della figura dell’attestatore nel concordato preventivo [2]. E questo era indubbiamente un grosso nodo da sciogliere. Come ce n’erano altri. Ad esempio: ha senso conservare una forma di concordato che offre ai creditori nient’altro che il ricavato derivante dalla liquidazione dei beni? E ancora con riguardo all’attestatore: quale valore probatorio ha la sua relazione? e, in merito ad essa, quali sono i poteri di valutazione del Tribunale? Oggi, trascorsi alcuni mesi dalla presentazione dei lavori della Commissione al Governo (Codice della crisi e dell’insolvenza e relativa Relazione, Modifiche al Codice civile e relativa Relazione, Lettera di accompagnamento a firma del Presidente Rordorf) [3], la domanda che ci si deve porre è: quali risposte sono state fornite? Ma, per la comprensione delle questioni in ballo, è opportuno un breve “riassunto delle [continua ..]


2. La figura professionale e i compiti dell'attestatore

Il professionista attestatore fece la sua comparsa nel panorama delle procedure concorsuali insieme al vento di riforma iniziato nel 2005 e che investì inizialmente, con il D.L. n. 35/2005, il concordato preventivo e la revocatoria fallimentare. Questo nuovo protagonista delle procedure concorsuali – con i requisiti indicati nell’art. 67, 3° comma, lett. d) – può essere volta per volta incaricato: a) di redigere un piano di risanamento; b) di presentare una relazione che accompagna la proposta di concordato preventivo; c) di presentare una relazione giurata circa il valore di mercato di un bene sul quale sussiste una causa di prelazione quando la proposta concordataria non preveda la soddisfazione integrale del creditore privilegiato (in quest’ultimo caso: il professionista sarà designato dal Tribunale nella sola ipotesi di concordato fallimentare); d) di presentare una relazione che accompagna l’accordo di ristrutturazio­ne dei debiti di cui all’art. 182 bis L. Fall. L’innovazione era conforme allo spirito della riforma 2005 (e del successivo D.Lgs. n. 5/2006), che si muoveva in un’ottica prevalentemente negoziale, volendosi incentivare al massimo le soluzioni di crisi aziendali basate sugli accordi tra debitore e creditori. In particolare, l’obiettivo del legislatore era stato quello di trasformare il concordato preventivo da strumento “elitario”, adattabile a pochi casi di insolvenza, a strumento generalizzato, comprensivo anche dei casi di semplice crisi, e con l’eliminazione degli ostacoli che normalmente precludevano l’accesso alla procedura [4]. Quanto ai requisiti dell’attestatore, il legislatore maturò in un secondo momento una maggiore messa a fuoco della specificità dei suoi compiti, e, con il primo intervento modificativo della riforma, cioè con il D.Lgs. n. 169/2007, precisò che il professionista abilitato deve avere i requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b) (in pratica: i professionisti o studi professionali o società tra professionisti che possono essere nominati curatori fallimentari, sempreché siano anche iscritti nel registro dei revisori contabili). Quale debba essere la funzione dell’attestatore nel concordato preventivo risulta dall’art. 161 nel suo insieme, che disciplina la domanda di concordato, e, in particolare, dal 3° comma. [continua ..]


3. Il valore probatorio dell'attestazione e i poteri di sindacato del Tribunale

Non altrettanto agevole è il discorso sul valore probatorio della relazione. Che non abbia valore di prova legale è convinzione diffusa e avvalorata dalla giurisprudenza (v. Cass. n. 18864/2011). C’è chi propende a ravvisare il valore di una consulenza di parte [9]. Ma a distinguerla nettamente dalla consulenza di parte è la sua peculiarità di essere destinata a perseguire più interessi: certamente quello del debitore designante, ma anche quello dei creditori. Di qui ad equipararla a una consulenza d’ufficio, tuttavia, corre un vuoto incolmabile: il soggetto da cui l’atto promana, non essendo nominato dal giudice, non potrà in alcun modo considerarsi un ausiliare del giudice [10]. Riteniamo, allora, che si debba propendere per un atto sui generis, proveniente dalla sfera di autonomia privata, che è munito però – per le finalità che si prefigge la legge – di una particolare forza probatoria: tale comunque da non escludere (proprio perché non è una prova legale) prova contraria e, al limite, l’esperimento di altre indagini tecniche. È chiaro che un discorso sul valore probatorio della relazione dell’attestatore non può che involgere quello dei poteri di sindacato spettanti al Tribunale, che saranno correlativamente circoscritti o estesi a seconda della pregnanza probatoria che si attribuisca alla relazione. Un originario contrasto di opinioni riscontratosi all’en­trata in vigore del decreto n. 35/2005 è stato presto superato. La dizione originaria dell’art 163, 1° comma, che, facendo perno sulla “completezza e regolarità della do­cumentazione”, autorizzava a dedurne un controllo meramente “notarile”, è stata prov­vidamente corretta dal decreto n. 169/2007, che ha abrogato l’inciso, facendo cadere ogni giustificazione a un controllo limitato al mero (e, francamente, ridicolo) conteggio dei documenti. A dire il vero, i Tribunali, già prima che intervenisse il decreto correttivo, si erano spinti verso un controllo di merito che inglobava anche la ragionevolezza e persuasività della relazione e, talvolta, persino la fattibilità del piano. Anzi, in tutti questi anni, il punctum dolens della materia è stato proprio questo: appartiene o no ai poteri del Tribunale il sindacato [continua ..]


4. La legge delega e la bozza di Codice

Veniamo ai problemi di oggi. Anzi: ai presumibili problemi di un indeterminato domani, stante l’incognita che ineluttabilmente accompagna il cambio di legislatura intervenuto nella pendenza del termine per l’emanazione, da parte del Governo, dei decreti legislativi in attuazione della delega. Nei suoi principi e criteri direttivi, la legge delega ha, tra l’altro, previsto (art. 6, lett. e) del Capo II): – che si dia priorità di trattazione alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, «purché la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano»; – che si riducano i costi e la durata delle procedure concorsuali; – che, quanto al concordato preventivo, si fissino le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano, con la determinazione dei poteri del Tribunale al riguardo, fermo restando che al Tribunale saranno riconosciuti «poteri di verifica di fattibilità anche economica». Il primo punto che viene indicato (superamento della crisi attraverso la continuità aziendale) è quello più qualificante della riforma: tra l’altro, esso trova la sua rispondenza nel Regolamento europeo 20 maggio 2015, n. 848 e mostra perciò anche l’obiettivo di armonizzazione della legislazione italiana con la normativa sovranazionale. Su questo punto i conditores dei decreti hanno dimostrato, a modo loro, di voler dare concretezza all’intenzione (sacrosanta) di eliminare il concordato meramente liquidatorio, visto che nella nuova visione delle procedure concorsuali un concordato basato sulla cessione dei beni non si differenzierebbe – nelle sue cause e nei suoi effetti – dalla liquidazione giudiziale. Quello che va annotato – ma solo sul piano della curiosità semantica – è uno strano linguaggio trionfalisticamente icastico: si legga nell’art. 89, 4° comma del Codice la voce verbale “aumenta”, che sembra voler esorcizzare l’improbabilità della fattispecie («Nel concordato liquidatorio l’apporto di risorse esterne aumenta di almeno il dieci per cento il soddisfacimento dei creditori chirografari, che non può essere in ogni caso inferiore al venti per cento dell’am­montare complessivo dei crediti [continua ..]


5. Osservazioni conclusive

Cosa resta da considerare? Che il Tribunale si troverà ad avere (in caso di conclusione dell’iter legislativo in corso) tutti i poteri di controllo in ordine alla veridicità dei dati e alla fattibilità del piano, sembra essere un dato ormai acquisito. Né, con riguardo all’estensione dei poteri, inciderà l’esistenza o meno della relazione attestatrice. Il controllo che verrà esercitato sarà di primo grado, direttamente rivolto alla proposta e al piano (e quindi: non indirizzato alla coerenza e attendibilità “interna” della relazione, quest’ultima potendo addirittura non esserci). Ci sem­bra, poi, di poter ritenere che la fattibilità vada intesa nel senso più ampio possibile, ivi comprese non solo valutazioni giuridiche, ma anche valutazioni economiche. E ciò nonostante l’understatement ostentato al riguardo dalla Commissione Rordorf, che, quasi en passant («il tribunale, verificate le condizioni ... anche con riferimento alla fattibilità»), si limita a un generico rimando. E infatti è la stessa legge delega (lett. e) dell’art. 6) che ci tiene a precisare – addirittura sfidando allitterazioni e cacofonie – che l’attribuzione dei poteri di controllo al Tribunale do­vrà concernere «anche poteri di verifica in ordine alla fattibilità anche economica dello stesso [il piano], tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale»: l’ine­leganza del testo è la spia della vera preoccupazione del legislatore delegante, che era quella di fare piazza pulita di tanti contrasti interpretativi e di identificare nel Tribunale il soggetto che, senza tanti se e ma, potrà dire la parola significativa (e definitiva) sulla fattibilità del piano. È evidente che, rispetto al dictum delle Sezioni Unite del 2013, si tratta di un vero e proprio capovolgimento di visione, di un ritorno alla concezione del giudice come perno della procedura concorsuale. È la reviviscenza del Padre, del Sovrano, dopo averne desiderato la morte: una controprova è l’aumento dei poteri in capo al curatore fallimentare. Non si diceva – a partire dal 2005 – che doveva essere il mercato il vero protagonista affidatario della gestione della crisi? E ora? Come interpretare la volontà di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2018