Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Le novità in materia di sovraindebitamento alla luce della l. 19 ottobre 2017, n. 155 e del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (di Valentina Baroncini. Dottore di ricerca in Diritto processuale civile nell’Università di Parma)


Il presente scritto si propone di illustrare le novità che la legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 e il c.d. Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza apportano in materia di composizione della crisi da sovraindebitamento, la cui disciplina risulta oggi affidata alla L. 27 gennaio 2012, n. 3.

This paper aims to show the new rules introduced by the law n. 155 of October, 19th, 2017 and by the Code of Crisis and Insolvency on the issue of the composition of the crisis by over-indebtedness, today ruled by the law n. 3 of January, 27th, 2012.

SOMMARIO:

1. Le finalità perseguite dalla legge delega in materia di sovraindebitamento: il riordino e la semplificazione della disciplina - 2. I rinnovati presupposti di ammissibilità alle PCC - 2.1. Il presupposto soggettivo di ammissibilità alle nuove PCC - 2.1.1. In particolare: la sorte del socio illimitatamente responsabile - 2.2. Il presupposto oggettivo di ammissibilità alle nuove PCC - 3. L’Organismo di Composizione della Crisi - 4. Brevi cenni sull’applicabilità degli strumenti di allerta all’impresa agricola e all’impresa minore - 5. Il procedimento per l’accesso alle PCC - 5.1. Le misure previste a protezione del patrimonio del debitore richiedente l’ammissione a una PCC - 6. Il c.d. sovraindebitamento familiare - 7. Le novità interessanti le singole procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento - 7.1. La ristrutturazione dei debiti del consumatore - 7.2. Il concordato minore - 7.3. La liquidazione controllata del sovraindebitato - 7.3.1. L’esdebitazione di diritto - 8. Il c.d. debitore incapiente - NOTE


1. Le finalità perseguite dalla legge delega in materia di sovraindebitamento: il riordino e la semplificazione della disciplina

Chiunque, pratico o studioso, abbia occasione di accostarsi quotidianamente alla materia concorsuale, sta vivendo, negli ultimi anni, un periodo connotato da una grande incertezza, provocata dalla costantemente imminente riforma delle discipline della crisi dell’impresa e dell’insolvenza: una riforma i cui principi direttivi si trovano tratteggiati nella delega approvata con L. 19 ottobre 2017, n. 155, e la cui concretizzazione ha trovato espressione in diverse e successive bozze di c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi anche «CCI») [1]; l’ultima di tali versioni, approvata dal Consiglio dei Ministri in data 10 gennaio 2019, è diventata legge dello Stato grazie all’approvazione del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, ancorché la sua entrata in vigore venga posticipata al diciottesimo mese dalla data della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (art. 389, 1° comma, CCI). Il complesso dei testi normativi appena menzionati è destinato a toccare anche la materia della composizione delle crisi da sovraindebitamento di cui alla L. 27 gennaio 2012, n. 3: e proprio all’analisi delle novità interessanti tale disciplina sarà dedicato il presente scritto. Muovendo dal testo della legge delega, il relativo art. 9, 1° comma, precisa, in primo luogo, come la riforma debba provvedere «al riordino e alla semplificazione della disciplina» in materia di sovraindebitamento. Volendo effettuare un bilancio preliminare circa la riuscita di detto obiettivo, si può senz’altro anticipare come, mentre l’intento di provvedere al riordino della materia può dirsi effettivamente realizzato, dubbi assai maggiori è lecito nutrire con riguardo alla riuscita dell’istanza di semplificazione di tali procedure. Giusto per anticipare alcuni aspetti che verranno meglio analizzati nel corso delle prossime pagine, appare infatti dubbia l’opportunità – e, con essa, la finalità semplificatoria – della scelta di sottoporre anche l’accesso agli strumenti de quibus al­l’applicazione del c.d. procedimento per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza: ciò che, anzi, pare costituire un indubbio affaticamento processuale rispetto alla normativa attuale. Sono poi frequenti refusi, aporie e difetti di coordinamento tra [continua ..]


2. I rinnovati presupposti di ammissibilità alle PCC

Procediamo ora con l’analisi della disciplina positiva delle nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, così come ridisegnate dalla legge delega n. 155/2017 e, soprattutto, dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, nella ver­sione da ultimo approvata. Seguendo una scansione tradizionale, l’indagine muoverà dall’analisi dei presupposti, soggettivo e oggettivo, di ammissione agli strumenti in esame.


2.1. Il presupposto soggettivo di ammissibilità alle nuove PCC

Iniziando dal presupposto soggettivo di accesso alle procedure in commento, l’art. 65 CCI, dedicato all’ambito di applicazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, individua quali soggetti che possono accedere a detti strumenti – ivi compresa la liquidazione controllata di cui al Titolo V, Capo IX [2] – «i debitori di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c)»: disposizione, que­st’ultima, in cui è racchiusa la definizione di sovraindebitamento [3]. A tal riguardo è opportuno svolgere alcune considerazioni di ordine generale, anche inerenti alla tecnica normativa adottata dal legislatore delegato: la scelta di affidare la determinazione dell’ambito soggettivo di applicazione delle PCC alla disposizione che ne definisce il presupposto oggettivo, infatti, già di per sé appare discutibile: nel contesto di una totale riscrittura della materia, anzi, era forse lecito aspettarsi una soluzione legislativa più felice. Ad ogni modo, nel menzionato art. 2, 1° comma, lett. c), CCI vengono individuati, quali soggetti ammessi a fruire delle PCC, «il consumatore, il professionista, l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo, le start-up innovative di cui al D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 e ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza». La prima impressione è quella per cui si assista a una sorta di passaggio dalla definizione puramente in negativo oggi vigente – nella misura in cui l’attuale art. 6, 1° comma, L. n. 3/2012 vuole attratte all’area applicativa delle PCC tutte le «situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate» dalla L. n. 3/2012 medesima –, a una definizione che potremmo chiamare “mista”, ossia almeno in parte in positivo, in quanto connotata da una espressa menzione dedicata a specifiche figure assoggettabili agli strumenti de quibus. Questa valutazione prima facie, però, appare destinata ad essere superata non appena si rivolga l’attenzione alla disposizione di chiusura della norma, la quale, riferendosi a «ogni altro debitore non [continua ..]


2.1.1. In particolare: la sorte del socio illimitatamente responsabile

All’interno della lett. e) poc’anzi esaminata è possibile inoltre rinvenire l’attua­zione di una delle direttive presenti nella legge delega. La lett. a) dell’art. 9 della stessa, infatti, prescrive come criterio direttivo la necessità di «comprendere nella procedura i soci illimitatamente responsabili». La previsione appare evidentemente finalizzata a risolvere l’attuale e perdurante contrasto giurisprudenziale intorno alla possibilità per tali soggetti di avere accesso in proprio a una PCC. Alcuni tribunali, infatti, escludono che la possibilità per il socio illimitatamente responsabile di essere dichiarato fallito per estensione ai sensi dell’art. 147 L. Fall. implichi la sua soggezione a una procedura concorsuale diversa da quelle regolate dalla L. n. 3/2012 e dunque integri una circostanza ostativa al­l’accesso alle PCC, consentendo così allo stesso di fruire di tali strumenti [8]; un differente indirizzo ha invece affermato che il fallimento per estensione integri assoggettabilità del socio illimitatamente responsabile a una procedura concorsuale diversa da quelle regolate dalla L. n. 3/2012, negando conseguentemente a tale soggetto la possibilità di accesso a una PCC [9]. La riforma in commento avrebbe dovuto dunque rappresentare l’occasione per definitivamente risolvere tale questione: come si vedrà a breve, tuttavia, tale obiettivo non può dirsi completamente raggiunto. La menzionata lett. e) dell’art. 2 CCI, infatti, si limita a ricomprendere nella nozione di consumatore, come poco sopra tratteggiata, le persone fisiche che siano soci illimitatamente responsabili di s.n.c., s.a.s. e s.a.p.a., «per i debiti estranei a quelli sociali»: in altri termini, ci si limita a prevedere che il socio illimitatamente responsabile persona fisica può essere qualificato come consumatore, con conseguente accesso alle PCC a tale soggetto riservate, ma unicamente allo scopo di provvedere alla composizione dei propri debiti diversi da quelli sociali. Tale previsione si presta ad alcune riflessioni. Anzitutto, dev’essere evidenziato come la possibilità di regolare la crisi del socio illimitatamente responsabile, qualificato come consumatore, con esclusione dei soli debiti sociali, significa ammettere che nella PCC avviata dal consumatore possono essere presi in considerazione (non solo [continua ..]


2.2. Il presupposto oggettivo di ammissibilità alle nuove PCC

Passiamo ora all’analisi del presupposto oggettivo di ammissione alle PCC, che, anche nell’ambito del nuovo CCI, viene identificato nella situazione di «sovraindebitamento» in cui versa il debitore. Di sovraindebitamento, tuttavia, la lett. c) del più volte richiamato art. 2 CCI provvede a fornire una nuova nozione. In particolare, non si fa più ricorso – come avviene mediante l’attuale art. 6, 2° comma, lett. a), L. n. 3/2012 – a una nozione autonoma e indipendente rispetto a quelle di crisi e insolvenza tradizionalmente note all’ordinamento concorsuale, bensì tale definizione viene individuata proprio facendo riferimento allo stato di crisi o di insolvenza: per la precisione, ai sensi del nuovo CCI costituisce sovraindebitamento «lo stato di crisi o di insolvenza» in cui versa uno dei soggetti identificati quali aventi diritto all’accesso a una PCC. Tale novità non è soltanto lessicale, ma è destinata ad avere riflessi anche di natura sostanziale: l’attuale nozione di sovraindebitamento, infatti – non senza discussioni –, viene generalmente fatta coincidere con quella di insolvenza di cui all’art. 5 L. Fall. [11], con la conseguenza per cui, nell’ambito della rinnovata disciplina, la nozione di sovraindebitamento risulterà senz’altro ampliata, sino a comprendervi anche lo stato di crisi. La scelta appare del tutto condivisibile: da un lato, infatti, si elimina il ricorso a una nozione autonoma e inedita all’ordinamento concorsuale, che già si era prestata ad alcune criticità e difformità interpretative; dall’altro, la nuova nozione si rivela maggiormente funzionale alla natura stessa delle PCC, che comprendono anche procedure di tipo recuperatorio, tradizionalmente legate alla ricorrenza di uno stato di mera crisi.


3. L’Organismo di Composizione della Crisi

Assai opportuno, poi, è dedicare un cenno all’Organismo di Composizione della Crisi (d’ora in poi, anche «OCC»), ossia l’organo istituzionalmente deputato a intervenire nelle situazioni di sovraindebitamento. Anzitutto, occorre chiarire che la loro presenza, quali organismi incaricati della composizione della crisi da sovraindebitamento, viene confermata all’in­terno del nuovo CCI; così come la loro regolamentazione – anche in punto di re­quisiti e obblighi formativi – resta affidata al vigente D.M. 24 settembre 2014, n. 202. Sicuramente da apprezzare è la precisazione svolta dall’art. 6del CCI, norma in materia di prededucibilità dei crediti, laddove si provvede a ribadire che i crediti relativi a spese e compensi per le prestazioni rese dall’OCC sono, per l’appunto, prededucibili. La previsione è sicuramente da salutare con favore, essendo evidentemente destinata a lasciare meno dubbi rispetto alle correnti indicazioni rinvenibili agli artt. 13, 4°-bis comma e 14-duodecies, 2° comma, L. n. 3/2012 [12]. Passando alle novità portate dalla riforma, occorre dar conto alle nuove competenze di cui gli OCC (e dunque, naturalmente, i singoli gestori della crisi) risulteranno investiti, in particolare nell’ambito delle nuove procedure di allerta, che, come si vedrà meglio tra breve, saranno destinate a trovare applicazione anche nei riguardi delle imprese minori. Il nuovo CCI, all’art. 12, 7° comma, prevede infatti che gli OCC siano competenti in ordine alla gestione della fase successiva a quella di impulso della procedura di allerta, ossia alla segnalazione degli indizi di crisi, ovvero all’istanza presentata dal debitore (impresa agricola o impresa minore), andando a conformare un dualismo di organi tra quello ordinariamente competente a intervenire in materia di allerta e quello istituzionalmente incaricato della gestione del sovraindebitamento. Da ultimo, è opportuno segnalare come la versione del CCI da ultimo approvata scongiuri, assai opportunamente, una criticità che, almeno in via ipotetica, era destinata a emergeredalladisciplinarecatanelleprecedentiversionidellostesso. Queste ultime, infatti, prevedevano l’abrogazione implicita della L. n. 3/2012 e, con essa, pure di quel 9° comma dell’art. 15 che oggi consente, nei circondari in cui manca un OCC [continua ..]


4. Brevi cenni sull’applicabilità degli strumenti di allerta all’impresa agricola e all’impresa minore

Come accennato nel corso del precedente paragrafo, i nuovi strumenti di allerta disciplinati al Capo I del Titolo II del nuovo CCI trovano applicazione anche nei riguardi dell’impresa agricola e dell’impresa minore. A prima lettura, la prevista applicazione dello strumento a tali categorie debitorie potrebbe apparire viziata da eccesso di delega, e ciò in quanto nessuna previsione dell’art. 9 della L. n. 155/2017 – norma, come noto, dedicata al sovraindebitamento – provvede a introdurre tale novità. In realtà, è sufficiente spostarsi sull’art. 4 della legge delega, che alla lett. a) del 1° comma definisce l’ambito di operatività delle istituende procedure di allerta escludendo unicamente le società quotate in borsa o in altro mercato regolamentato e le grandi imprese come definite dalla normativa dell’Unione Europea: con la conseguenza per cui nulla si oppone alla possibilità di assoggettare anche l’impresa agricola e quella minore a tali misure. Chiarito tale aspetto, può apparire utile evidenziare, sebbene in sintesi estrema, le peculiarità proprie degli strumenti di allerta nell’eventualità in cui abbiano ad oggetto tali tipologie di imprese [13]. La prima peculiarità, cui già si è fatto cenno poco sopra, riguarda la duplicità degli organi chiamati a intervenire nella procedura: viene espressamente previsto, infatti, che l’Organismo di Composizione della Crisi d’Impresa (d’ora in poi, anche «OCRI»), ossia l’organo istituzionalmente investito di competenze in materia di allerta, resti competente per quanto riguarda la fase iniziale della procedura stessa, ossia quella deputata alla raccolta della segnalazione degli indici di crisi ovvero del­l’istanza avanzata direttamente dal debitore; ma una volta che il referente del­l’OCRI abbia verificato che si tratta, appunto, di impresa agricola ovvero minore, la convocazione del debitore ai fini della sua audizione e dell’eventuale prosecuzione della procedura di composizione assistita della crisi deve avvenire davanti all’OCC, cui è appunto attribuita la competenza a gestire tale fase. Per il resto, le misure di allerta si presentano quali strumenti estremamente flessibili, idonei a condurre il debitore a vari esiti: e dunque, alla stipulazione di un accordo di [continua ..]


5. Il procedimento per l’accesso alle PCC

Una delle novità destinate a ripercuotersi in maniera più incisiva sulla prassi in materia di sovraindebitamento è senz’altro rappresentata dalla prevista applicazione (artt. 65, 2° comma e 270, 5° comma, CCI), anche agli strumenti in commento, delle disposizioni disciplinanti il c.d. «procedimento per l’accesso alle procedure di re­golazione della crisi o dell’insolvenza». La scelta, almeno a prima lettura, non appare pienamente condivisibile, e per una pluralità di motivi. Assoggettare l’accesso alle PCC alle forme proprie di tale procedimento, infatti, rappresenta senz’altro un affaticamento processuale rispetto alla normativa attuale che non appare in linea con l’istanza di semplificazione e­spressa dalla legge delega. In secondo luogo, tale procedimento è stato pensato e formulato, dai redattori del CCI, con precipuo riguardo all’accesso al concordato preventivo, agli accordi di ristrutturazione dei debiti e alla liquidazione giudiziale: ne deriva, giocoforza, che la sua applicazione all’accesso alle PCC richiede uno sforzo interpretativo di adattamento della disciplina generale a quella speciale. Da ultimo, manca del tutto un raccordo – e, anzi, sono presenti diversi difetti di coordi­namento – tra tale disciplina e le norme speciali che, con riguardo alle singole PCC, disciplinano i successivi step procedurali. Il quadro che ne deriva è, prevedibilmente, poco chiaro, con conseguenti incertezze applicative che di sicuro non gioveranno al successo dell’istituto, già oggi discusso. Esauriti tali rilievi, passiamo all’analisi della disciplina propria di tale procedimento, così come applicato alla fase introduttiva alle PCC. La domanda di accesso alla ristrutturazione dei debiti del consumatore o al concordato minore è proposta con ricorso del debitore, mentre l’apertura della procedura di liquidazione controllata è domandata con ricorso del debitore ovvero, in pendenza di procedure esecutive, anche da un creditore e, quando l’insolvenza riguardi l’imprenditore, dal pubblico ministero: con riguardo a quest’ultima procedura, dunque, notiamo, rispetto alla disciplina attuale, un’estensione dei soggetti legittimati a richiederne l’apertura ai creditori e al pubblico ministero. Per quanto concerne la competenza, essa viene radicata presso [continua ..]


5.1. Le misure previste a protezione del patrimonio del debitore richiedente l’ammissione a una PCC

Un discorso più articolato meritano le misure protettive previste a vantaggio del patrimonio del debitore richiedente l’ammissione a una delle procedure in commento. La prima norma a venire in rilievo è l’art. 46, 5° comma, secondo periodo, del CCI – disposizione compresa tra quelle dedicate all’accesso ai procedimenti di regolazione della crisi, applicabile alla materia de qua in virtù del richiamo compiuto dal­l’art. 65, 2° comma, CCI –, il quale prevede, a carico dei creditori concorrenti, il divieto di acquisto di nuovi diritti di prelazione e l’inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la data della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso al concordato preventivo o al giudizio per l’omo­lo­gazione degli accordi di ristrutturazione: il limite della compatibilità, operante nel­l’applicabilità di tale norma alle procedure in esame, implica evidentemente la possibilità di applicare tale disciplina esclusivamente alla ristrutturazione dei debiti del consumatore e al concordato minore. Peraltro, un primo problema innescato da tale norma è dato dal dies a quo prescelto che, debitamente coordinato con la materia del sovraindebitamento, indurrebbe a pensare che la norma possa trovare applicazione solo nei confronti dell’impresa agricola o minore, lasciando impregiudicata la questione con riguardo alle ipotesi in cui il debitore non sia un imprenditore. Per l’impatto che tale disposizione poteva avere nell’ordinamento, vale la pena menzionare una novità prevista dalla prima versione apparsa del nuovo CCI. L’art. 69, 4° comma, di tale testo prevedeva infatti, con riguardo alle PCC stricto sensu intese, il decorso del c.d. automatic stay [15]: più precisamente, era ivi sancito che la proposizione di una domanda di accesso a una di tali procedure comportasse la sospensione automatica dei procedimenti esecutivi individuali fino all’emanazione del provvedimento di omologazione del piano o del concordato minore, salvo diversa disposizione del giudice competente – il quale, dunque, veniva abilitato a limitare, modificare o impedire, tramite un provvedimento giudiziale, il divieto operante ex lege [16]. Tale previsione è scomparsa sin dalla seconda versione del CCI, dove [continua ..]


6. Il c.d. sovraindebitamento familiare

Tra le disposizioni di carattere generale disciplinanti le PCC stricto sensu intese vi è una norma inedita, ossia l’art. 66 CCI, che costituisce diretta attuazione della legge delega: la lett. a), art. 9, L. n. 155/2017, infatti, richiede espressamente l’in­dividuazione di «criteri di coordinamento nella gestione delle procedure per sovra­indebitamento riguardanti più membri della stessa famiglia», direttiva sfociata, appunto, nella menzionata previsione in tema di procedure familiari o altrimenti collegate. La genericità dell’indicazione contenuta nella legge delega, peraltro, poteva indurre a ipotizzare una duplice possibilità per il legislatore: la previsione di meri strumenti di coordinamento tra procedure avviate da più membri della stessa famiglia, procedure comunque destinate a rimanere autonome; ovvero, su imitazione del modello statunitense, prevedere la possibilità per più membri della stessa famiglia di presentare un ricorso congiunto di accesso a una PCC al fine di regolamentare il dissesto mediante un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento [18]. Il legislatore delegato ha scelto di attuare entrambe le alternative, sicché, nell’ambito del nuovo CCI, sarà possibile, per i membri di una stessa famiglia, sia presentare un ricorso congiunto di accesso a una PCC [19], sia adottare strumenti di coordinamento – che, evidentemente, saranno volta per volta disposti dal giudice adito – tra le molteplici e separate richieste di risoluzione della crisi da sovraindebitamento presentate da ciascuno di essi. Viene peraltro mantenuto fermo il principio, già affermato dallo stesso CCI in materia di gruppi di imprese [20], inerente alla distinzione tra le masse attive e passive riconducibili a ciascun membro della famiglia: ciò che indurrebbe a pensare che, comunque, lo stato di sovraindebitamento debba essere riscontrato con riferimento a ciascun membro della famiglia, anche in caso di presentazione di unico ricorso. Per il caso in cui uno dei debitori non rivesta la qualità di consumatore, si prevede poi che al progetto unitario di risoluzione della crisi da sovraindebitamento familiare si applichino le disposizioni in materia di concordato minore: tale procedura, in altri termini, avrà valore assorbente rispetto allo strumento fruibile dal consumatore.


7. Le novità interessanti le singole procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Addentriamoci ora nell’analisi delle singole PCC, analisi che troverà il proprio svolgimento mediante una illustrazione delle principali differenze che la nuova disciplina presenta rispetto a quella attualmente vigente. Peraltro, a una di tali differenze già si è avuto modo di accennare, ossia la circostanza per cui l’accesso a tali procedure avverrà, nell’ambito del nuovo CCI, secondo le scansioni proprie del c.d. procedimento unitario. Vale la pena anticipare sin d’ora come la linea generale perseguita dal legislatore – e che si provvederà prontamente a evidenziare, laddove emergente in singoli aspetti normativi – è un generale incremento del favor verso il debitore e le sue possibilità di accedere, con buon esito, a una PCC.


7.1. La ristrutturazione dei debiti del consumatore

Prendiamo le mosse dalla ristrutturazione dei debiti del consumatore, la quale, come detto, è destinata a sostituire l’attuale piano del consumatore. Anzitutto, e in diretta attuazione dell’art. 9, lett. d) della legge delega, il CCI prevede che il relativo piano possa comprendere anche la sistemazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del TFR o della pensione. Si tratta di una previsione molto importante, tramite la quale il legislatore prende espressamente posizione sulla questione, oggi assai sentita, inerente alla sorte dei ratei oggetto della cessione: secondo alcuni tribunali, infatti, la cessione opererebbe come fuoriuscita del credito ceduto al finanziatore dal patrimonio del debitore, con la conseguenza per cui i ratei maturati successivamente al­l’apertura della PCC spetterebbero al finanziatore stesso – che verrebbe così soddisfatto fuori concorso –, e, soprattutto, senza che il debitore possa disporre degli stessi, quali elementi del proprio attivo patrimoniale, nella predisposizione del piano [21]. Con il nuovo CCI, invece, nel momento in cui si ammette che il piano di ristrutturazione dei debiti debba provvedere anche alla sistemazione di quelli derivanti dalle operazioni in esame – con la conseguenza per cui il finanziatore deve essere necessariamente soddisfatto all’interno del concorso – si sceglie di aderire a quel­l’orientamento secondo cui i singoli ratei maturati successivamente all’apertura della PCC non sono da considerarsi quali elementi già fuoriusciti dal patrimonio del debitore al momento della stipula del contratto di cessione, bensì quali elementi rientranti a pieno titolo nell’attivo concorsuale, dei quali, pertanto, il debitore ben potrà servirsi per elaborare il proprio piano di composizione della crisi [22]. In occasione dell’approvazione del CCI, inoltre, è stato inserito un nuovo 5° comma all’art. 67 ora in esame, mediante il quale si consente di prevedere nel piano anche il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull’abitazione principale del debitore se lo stesso, alla data del deposito della domanda, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale e interessi scaduto a tale data. Anche [continua ..]


7.2. Il concordato minore

Già si è avuto modo di ricordare, in apertura del presente lavoro, come l’attuale accordo di composizione della crisi venga sostituito, nell’ambito del nuovo CCI, dal concordato minore. Una prima, rilevante differenza rispetto alla normativa di cui alla L. n. 3/2012 riguarda l’ambito soggettivo di applicazione di tale procedura, in quanto l’accesso alla stessa viene limitato ai «debitori di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) […] escluso il consumatore». La novità risiede, evidentemente, nell’esclusione, per il consumatore, della possibilità di accedere allo strumento in esame: dunque, se oggi tale categoria di debitore può scegliere se avvalersi del piano allo stesso dedicato ovvero dell’accordo di composizione della crisi, nell’ambito del nuovo CCI tale soggetto potrà avere accesso solo alla procedura che gli viene riservata, ossia la ristrutturazione dei debiti poc’anzi illustrata [29]. In termini generali, il concordato minore viene pensato e strutturato come sottospecie del concordato preventivo: circostanza suggerita non solo dalla nuova denominazione assunta dalla procedura [30], ma anche, e soprattutto, dalla prevista applicabilità delle disposizioni contenute nel Capo III del CCI in materia, appunto, di concordato preventivo. Questa circostanza, tuttavia, solleva nuove perplessità circa la riuscita dell’istanza di semplificazione della materia, in quanto la ricostruzione della disciplina complessiva del concordato minore vede, in definitiva, l’applica­zione simultanea e delle norme sul procedimento unitario di accesso allo strumento di regolazione della crisi, di quelle in tema di concordato preventivo, e di quelle speciali dettate con riguardo a tale PCC. Tornando alla derivazione, impressa dal legislatore, del concordato minore dal concordato preventivo, tale rapporto è palesato dal contenuto che può assumere la relativa proposta: il CCI, infatti, si premura di specificare anche con riguardo ad essa come la stessa debba consentire la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale svolta, limitando le ipotesi di concordato c.d. liquidatorio solo al caso in cui la relativa proposta contempli «l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori» [31]. Per il caso di continuità [continua ..]


7.3. La liquidazione controllata del sovraindebitato

Da ultimo, passiamo a esaminare la procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato, che nel nuovo CCI verrà a sostituire l’attuale liquidazione del patrimonio di cui alla Sez. II della L. n. 3/2012. Già si è accennato circa la scelta, sicuramente condivisibile, di separare la relativa disciplina da quella dedicata alle PCC stricto sensu intese (ossia, ristrutturazione dei debiti del consumatore e concordato minore) e di collocarla in calce alla normativa dedicata alla liquidazione giudiziale: ciò, evidentemente, a segnare la diretta derivazione da quest’ultima della procedura liquidatoria destinata al soggetto sovraindebitato. È utile, poi, ricordare come, dal comb. disp. degli artt. 55 e 268, 1° comma, del CCI, ad essa possano accedere «i debitori di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c)», ovviamente che si trovino «in stato di sovraindebitamento»:si tratta, vale la pena precisarlo, di tutti i debitori non assoggettabili a liquidazione giudiziale, senza distinzioni di sorta. Un accenno è già stato compiuto anche all’ampliamento che la riforma, in attuazione della legge delega (art. 9, 1° comma, lett. h) – nonché in sintonia con quanto previsto in materia di liquidazione giudiziale – ha apportato al novero dei legittimati ad avviare tale procedura: non più, come previsto oggi, soltanto il debitore – che, anche in questo caso, viene espressamente legittimato a stare in giudizio personalmente, con l’assistenza dell’OCC –, ma, in pendenza di procedure esecutive individuali, anche i creditori e, quando l’insolvenza riguardi un imprenditore, il pubblico ministero [32]. Per quanto riguarda il condizionamento cui viene sottoposta la legittimazione dei soggetti da ultimo menzionati, la circostanza per cui il creditore può richiedere l’apertura della liquidazione controllata solo in pendenza di procedure e­secutive pare indicare una sorta di gradualità nelle iniziative che egli può intraprendere nei confronti del debitore inadempiente, in particolare precludendo che possa richiedersi direttamente l’apertura di una procedura liquidatoria, di natura concorsuale, senza che nessuno si sia previamente attivato con una esecuzione ordinaria; la circostanza, poi, che il pubblico ministero possa attivarsi solo laddove il debitore sia [continua ..]


7.3.1. L’esdebitazione di diritto

È noto come, nelle procedure concorsuali di natura liquidatoria, la liberazione del debitore dai debiti residui e non pagati sia subordinata a un successivo provvedimento di esdebitazione: così è con riferimento alla liquidazione del patrimonio di cui alla L. n. 3/2012, e così sarà anche per la liquidazione controllata del sovraindebitato disciplinata nel nuovo CCI. La rinnovata disciplina, tuttavia, prevede una rilevante novità rispetto a quella oggi vigente. Ivi si prevede, infatti, che l’esdebitazione operi di diritto, ossia che il relativo effetto si produca ex lege, senza necessità per il debitore di presentare apposita istanza in tal senso. Più precisamente, l’art. 282 CCI dispone che l’esdebitazione si produca, automaticamente, a seguito del provvedimento di chiusura della procedura di liquidazione controllata, ovvero, in ogni caso, una volta che siano decorsi tre anni dalla sua apertura. L’intervento del tribunale avviene unicamente al fine di certificare un effetto esdebitatorio già prodottosi ex lege – sicché il relativo decreto avrà efficacia meramente dichiarativa –, e appare funzionale all’effettuazione della relativa pubblicità nel registro delle imprese (disposizione, questa, da ritenersi valevole esclusivamente per l’ipotesi in cui il soggetto ammesso alla liquidazione controllata sia un imprenditore). Costituisce causa ostativa al prodursi dell’effetto esdebitatorio esclusivamente la condanna, con sentenza passata in giudicato, per reati di bancarotta fraudolenta e gli altri previsti dalla lett. a) del precedente art. 280 CCI [37]: in tal caso, evidentemente, il tribunale dichiarerà con decreto che nessun effetto esdebitatorio si è prodotto a vantaggio del debitore, a causa, appunto, del riscontro di tale preclusione [38]. La norma, rispetto alla disciplina attuale, appare ovviamente orientata a favore del debitore, e almeno per un duplice motivo: anzitutto, come già rilevato, la produzione dell’effetto esdebitatorio, e la pronuncia del relativo provvedimento dichiarativo, sono automatici e non subordinati all’attivazione del debitore; in secondo luogo, le cause ostative e le condizioni richieste ai fini del prodursi di tale effetto sono fortemente ridotte rispetto a quelle previste dalla L. n. 3/2012. Peraltro, non essendo prevista alcuna [continua ..]


8. Il c.d. debitore incapiente

In conclusione del presente lavoro, non si può evitare di dedicare un cenno a un istituto inedito, presumibilmente destinato a prestare il fianco ad alcune critiche. Il riferimento è alla previsione racchiusa nell’art. 283 CCI, inserito in diretta attuazione di quanto previsto nell’art. 9, 1° comma, lett. c), della legge delega, e dedicato al c.d. debitore incapiente. Tale soggetto è identificato nel «debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura», e si consente allo stesso di accedere, per una sola volta nella vita, al­l’esdebitazione. In altri termini, si consente a un soggetto totalmente incapiente di essere liberato dai propri debiti “a costo zero” e per il solo fatto di essere “meritevole”. A parziale equilibrio di tale disciplina fortemente premiante nei confronti del debitore – nonché fortemente derogatoria rispetto ai principi vigenti in materia, dove l’esdebitazione è tradizionalmente connessa alla soddisfazione, almeno in parte, del ceto creditorio –, è stabilito che l’obbligo di provvedere al pagamento del debito permanga per i quattro anni successivi alla pronuncia del provvedimento di esdebitazione, laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei crediti in misura non inferiore al 10% [40]. La domanda di esdebitazione è presentata tramite l’OCC al giudice competente, unitamente a una serie di documenti [41] nonché a una relazione particolareggiata redatta dall’OCC medesimo [42], dai quali dovrà emergere, tra l’altro, una valutazione circa la condotta tenuta dal debitore in relazione all’insorgenza del sovraindebitamento, che evidentemente servirà da supporto al giudice nella sua valutazione attorno alla sussistenza del requisito della meritevolezza in capo all’istante. L’esdebitazione è concessa dal giudice con decreto (opponibile dai creditori), revocabile nel caso in cui il debitore ometta di depositare una dichiarazione annuale relativa alle eventuali sopravvenienze acquisite, adempimento, questo, evidentemente finalizzato a verificare la possibilità per tale soggetto di provvedere, nell’arco del quadriennio, all’obbligo di soddisfare i creditori. Già [continua ..]


NOTE