Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il compenso del commissario giudiziale nel concordato preventivo di società pubbliche alla luce del TUSP e del nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza (di Domenico Spagnuolo. Professore associato di Diritto commerciale nell’Università di Roma Tre)


La regolazione della crisi nelle società pubbliche impone il coordinamento tra le norme concorsuali, ora introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, e quelle del TUSP. Nel concordato preventivo, il regime dei compensi da corrispondersi al commissario giudiziale deve essere coordinato con la previsione di limiti di remunerazione per gli organi sociali, dettata dall’art. 11, 6° comma, TUSP. Nel caso di sottoposizione a concordato preventivo di una società pubblica l’analisi delle disposizioni specificamente dettate per il compenso degli organi delle procedure concorsuali e le peculiari funzioni assegnate al commissario giudiziale sembrano condurre alla conclusione della inapplicabilità del suddetto limite di remunerazione per il commissario.

The crisis regulation regarding companies participated by public bodies requires coordination between the insolvency rules and TUSP. In the composition with creditor, the so-called “concordato preventivo”, the remuneration limits for the corporate bodies, provided by art. 11, § 6 TUSP, seems to influence the receiver’s (the “commissario”) fees regulation. In this sense, the negative conclusion about the enforceability of these rules results from the analytical verification of the receiver’s functions and their structural incompatibility with the complex provisions of bankruptcy law.

SOMMARIO:

1. L’art. 11 TUSP ed i limiti ai compensi - 2. I soggetti ai quali si applica il limite di remunerazione - 3. La liquidazione del compenso del commissario giudiziale - 4. Il commissario giudiziale come pubblico ufficiale - 5. La disciplina dei compensi degli ausiliari del giudice - 6. Le funzioni del commissario giudiziale - 7. Inapplicabilità del limite remunerativo al commissario giudiziale - NOTE


1. L’art. 11 TUSP ed i limiti ai compensi

L’art. 14 del D.Lgs. 19 luglio 2016, n. 175, recante il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP), ha previsto, al 1° comma, che «Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (…)». Si è così uniformato il regime di tutte le società pubbliche alle regole del diritto concorsuale comune, che disciplinano la crisi delle imprese commerciali, superando i contrasti e­mersi in giurisprudenza ed in dottrina circa la sottoponibilità al fallimento – ed alle altre procedure concorsuali – delle società partecipate dallo Stato o da enti pubblici [1]. Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), sostituendo la legge fallimentare, però, ha espressamente riconosciuto la specialità delle disposizioni dettate per le società pubbliche anche per quanto riguarda la regolazione della crisi (art. 1, 3° comma, Cod. Crisi), per cui occorre comunque procedere ad una verifica di compatibilità delle norme concorsuali comuni con le eventuali disposizioni settoriali riguardanti le società a partecipazione pubblica. Costituisce certamente una norma speciale per le società a controllo pubblico l’art. 11 dello stesso TUSP, che al 6° comma ha previsto che i compensi erogati «agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti» non possano eccedere la misura individuata con decreto del Ministro del­l’economia e delle finanze, il quale dovrà indicare tale limite distinguendo le diverse società in cinque fasce, in base ad indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi [2]; in ogni caso il compenso «non potrà comunque eccedere il limite massimo di euro 240.000 annui, al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario … Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal decreto». Si prevede, altresì, che concorrono al raggiungimento del predetto importo massimo anche i «compensi corrisposti [continua ..]


2. I soggetti ai quali si applica il limite di remunerazione

La figura del commissario liquidatore (come degli altri soggetti che ricoprono cariche nell’ambito delle procedure concorsuali alle quali è sottoposta la società) non figura tra quelle indicate dalla norma come destinatarie del precetto. Tuttavia, la stessa potrebbe ritenersi ricompresa nella fattispecie, da un lato, in base ad un’in­terpretazione estensiva delle specifiche tipologie di soggetti ivi elencati, valorizzando le funzioni gestorie o di controllo da essi esercitate, e perciò indipendentemente dalla specifica qualifica rivestita; dall’altro, in base di un’interpretazione teleologica della norma, in ragione delle finalità di interesse pubblico sottese alle disposizioni (ora sostituite dall’art. 11 TUSP) che limitano i compensi quando gli stessi sono posti a carico di una qualsiasi pubblica amministrazione o di una società da questa partecipata. Sotto quest’ultimo profilo, l’incidenza dell’onere economico della remunerazione su un patrimonio riferibile alla pubblica amministrazione (con lo scopo di salvaguardia dell’economicità dei costi a carico di questo patrimonio) assumerebbe carattere prevalente rispetto alla natura del compenso ed al contesto in cui esso è erogato, se cioè in una fase di gestione ordinaria ovvero in una fase di gestione della crisi dell’impresa: l’azione di contenimento dei complessivi costi, posti a carico delle società partecipate dallo Stato o da enti pubblici, risponde a principi di economicità ed efficienza, che debbono caratterizzare la gestione dei soggetti che operano con fondi pubblici, in qualsiasi circostanza [4]. Questa conclusione, però, non appare appropriata alla formulazione della richiamata norma del TUSP, la quale non prevede un generale limite all’erogazione di remunerazioni a terzi da parte della società partecipata, ma identifica specifiche figure destinatarie del precetto, e cioè: gli amministratori, i titolari e componenti degli organi di controllo, i dirigenti e i dipendenti. L’estensione al commissario giudiziale dei limiti di remunerazione deve necessariamente procedere per una verifica della riconducibilità della funzione a quelle che connotano i soggetti presi in considerazione dall’art. 11, 6° comma. Certamente non è possibile ricondurre la figura del commissario giudiziale a quella di un [continua ..]


3. La liquidazione del compenso del commissario giudiziale

Di recente, la giurisprudenza, sia del giudice contabile [5] che della corte di legittimità [6], ha escluso l’estensione applicativa dell’art. 11 TUSP al commissario giudiziale, valorizzando il dato normativo recato dall’art. 165 L. Fall. (ora trasfuso nell’art. 92 Cod. Crisi), che specificamente prevede le modalità di determinazione del compenso a tale soggetto. L’art. 165 L. Fall., così come l’art. 92 Cod. Crisi, fanno rinvio alle corrispondenti disposizioni concernenti il curatore (art. 137 Cod. Crisi e, prima, art. 39 L. Fall.): il compenso è liquidato dal tribunale fallimentare «secondo le norme stabilite con decreto del Ministro della giustizia», ad oggi vigente il D.M. 25 gennaio 2012, n. 30 [7]. La legge fallimentare, ed analogamente ora il Codice della crisi d’impresa e del­l’insolvenza, delinea, quindi, un quadro normativo autonomo e sostanzialmente esaustivo della disciplina del compenso del commissario giudiziale, impermeabile alle disposizioni dettate dal corpus normativo delle società pubbliche: è stato perciò ritenuto che «lo stesso Tribunale, pertanto, non ha piena discrezionalità in ordine al “quantum” della liquidazione, essendo vincolato ai criteri di calcolo predeterminati nel decreto ministeriale. A maggior ragione è dunque da escludersi una discrezionalità del­l’ente nel ridurre unilateralmente» il compenso liquidato dal tribunale [8]. Tale argomentazione, però, non sembra appropriata per espungere il compenso del commissario giudiziale dai vincoli di finanza pubblica. La disposizione speciale dell’art. 11 TUSP va ad integrare, e non già a sostituire, le previsioni dell’art. 39 L. Fall., ed ora dell’art. 137 Cod. Crisi, costituendo una fonte esterna prioritaria ed integrativa rispetto al parametro cui questo fa rinvio. La disposizione della legge concorsuale, rendendo omologa al commissario giudiziale la disciplina dei compensi dettata per il curatore, si limita ad attribuire al giudice fallimentare la competenza alla liquidazione, e rinvia alla fonte regolamentare l’individuazione dei criteri e la determinazione quantitativa. Peraltro, alla luce dell’art. 1, 3° comma, Cod. Crisi, l’eventuale conflitto tra la norma concorsuale e quella speciale dettata per le [continua ..]


4. Il commissario giudiziale come pubblico ufficiale

Parimenti insufficiente ad escludere l’estraneità della figura del commissario giudiziale dalla disciplina pubblicistica limitativa dei compensi è la qualifica di “pubblico ufficiale”, che gli attribuisce l’art. 92, 1° comma, Cod. Crisi (come prima l’art. 165 L. Fall.). Tale ruolo non apporta alcun effettivo contributo scriminante alla individuazione della relazione intercorrente con il soggetto-società pubblica, e quindi con la specifica disciplina dei compensi prevista dall’art. 11 TUSP. La qualifica di pubblico ufficiale, o di incaricato di pubblico servizio, si assomma a quella di amministratore di società (o di altra figura che intrattiene con la società rapporti di lavoro o di controllo), allorquando l’attività della società sia riconducibile all’agire pubblico: la qualifica di pubblico ufficiale ben può essere riconosciuta in capo a quei soggetti che rivestono incarichi all’interno di società pubbliche, in base ai caratteri propri dell’attività esercitata, quando vi è «il contributo determinante dell’agente alla formazione e manifestazione della volontà della pubblica amministrazione», o sono attribuiti allo stesso soggetto «poteri autorizzativi e certificativi» [9]. Come puntualizzato dalla Suprema Corte, in base all’art. 357 c.p., per il riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale deve essere esclusa la rilevanza del rapporto di dipendenza dallo Stato o da altro ente pubblico, occorrendo adottare un criterio di distinzione funzionale-oggettivo, per cui è sufficiente l’e­sercizio, anche disgiunto, del potere autorizzativo o certificativo [10]. L’identificazione della “funzione pubblica” si basa su una concezione oggettiva, in luogo di quella soggettiva che aveva trovato accoglimento nella originaria formulazione dell’art. 357 c.p.: quando si tratta di un soggetto privato, l’indice rilevatore della pubblica funzione va ricercato nella disciplina normativa dell’attività da esso svolta, se cioè evidenzi finalità di interesse pubblico. Tale criterio oggettivo si traduce in una particolare «connotazione funzionale dell’attività concretamente esercitata» e «in tale prospettiva è essenziale la ricerca e l’individuazione della disciplina [continua ..]


5. La disciplina dei compensi degli ausiliari del giudice

L’applicabilità al commissario giudiziale dell’art. 11 TUSP deve, invece, essere verificata sia alla luce dei compiti specifici assolti dallo stesso nell’ambito della procedura concordataria, sia rispetto alla relazione che intercorre tra il soggetto nominato dal tribunale e la società. Va certamente escluso che il commissario (come anche il curatore), possa essere inquadrato tra gli “ausiliari del giudice”, in considerazione della sua particolare posizione. Il commissario, pur agendo nell’interesse della giustizia e sotto la vigilanza del giudice delegato, non svolge un’attività riconducibile a nessuna delle fattispecie di cui agli artt. 61 ss. c.p.c., né si può considerarlo esperto in una determinata arte o professione o come persona idonea, ai sensi dell’art. 68 c.p.c., da cui il giudice si faccia assistere, nei casi previsti dalla legge, nel compimento di atti che non è in grado di compiere da sé solo. La Corte di Cassazione ha specificamente escluso l’applicazione al commissario giudiziale delle regole previste dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per quanto concerne proprio i compensi previsti per agli ausiliari del giudice, facendo leva, oltre che sulla diversità ontologica della figura del commissario rispetto a quella del­l’au­siliare, anche sulla considerazione che il combinato disposto degli artt. 92 e 137 Cod. Crisi (prima artt. 165 e 39 L. Fall.) delinea una disciplina autonoma ed esaustiva del procedimento di liquidazione, del tutto differente (e perciò incompatibile) da quella contemplata dal d.P.R. n. 115/2002 [12].


6. Le funzioni del commissario giudiziale

Ancorché rimessa al tribunale, la nomina del curatore nella liquidazione giudiziale (come prima nel fallimento) è prevista direttamente dalla legge, la quale gli attribuisce poteri propri ai fini dell’ammini­stra­zione del patrimonio del debitore assoggettato a liquidazione giudiziale, nonché poteri d’indagine e d’impulso ai fini del recupero e della liquidazione dell’attivo. Analogamente, nella procedura di concordato preventivo il commissario giudiziale è dotato di poteri propri, che non possono essere assolti direttamente da parte del giudice: si pensi alla verifica dell’elenco dei debitori e dei creditori e comunicazione a questi ultimi le proposte del debitore (art. 104 Cod. Crisi); alla redazione dell’inven­tario del patrimonio e della relazione sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore e sul contenuto della proposta di concordato (art. 105 Cod. Crisi); alla formulazione di parere motivato sull’omologazione del concordato (art. 49 Cod. Crisi) e all’attività di sorveglianza sull’esecuzione (art. 118 Cod. Crisi). Le prerogative e i compiti del commissario giudiziale sono del tutto autonomi sia dai poteri del giudice, ma anche rispetto ai creditori [13] e, soprattutto, rispetto al debitore, di cui non assume alcun ruolo di rappresentanza. Anche la posizione processuale assunta dal commissario giudiziale va, piuttosto, configurata come di «rap­presentanza naturale degli interessi della procedura, con conseguente legittimazione a contraddire rispetto ad iniziative processuali suscettibili di forzare o snaturare il contenuto della proposta o del piano» [14]. Nel vigore della disciplina della legge fallimentare del 1942 si erano manifestate in dottrina opinioni contrapposte circa la natura giuridica del commissario giudiziale: taluni qualificandolo come organo dello Stato, altri quale ausiliario del giudice. In entrambe le prospettive era valorizzato il concetto di “officium” che la legge gli riservava, ma sottolineando il contenuto quasi meramente esecutivo delle decisioni del giudice delegato e del tribunale [15]. Altra parte della dottrina [16] aveva posto l’attenzione sui molteplici compiti e sulla diversa natura delle funzioni da assolvere in campo sostanziale e processuale, e soprattutto sulle responsabilità assegnate al commissario giudiziale, assimilandolo sotto [continua ..]


7. Inapplicabilità del limite remunerativo al commissario giudiziale

La disposizione recata dall’art. 11 TUSP si rivela, poi, inapplicabile al commissario giudiziale anche per la incompatibilità “strutturale” con le caratteristiche della remunerazione dello stesso. La predeterminazione dell’importo massimo, come fissato dal decreto ministeriale e, in ogni caso, dalla legge in 240.000 euro, si riferisce al «trattamento economico annuo omnicomprensivo» dei soggetti destinatari della misura contenitiva della spesa; lì dove l’emolumento sia stabilito in modo complessivo per l’incarico di durata pluriennale, è stato chiarito che il limite deve essere verificato rispetto alla quota di emolumento calcolata su base annua e secondo un criterio di competenza [25]. Il compenso del commissario, invece, è determinato in modo unitario, per l’in­tera durata dell’incarico, del tutto avulso dalla durata della procedura, e perciò non scomponibile per gli anni di svolgimento dell’incarico stesso. Peraltro, è un compenso determinato ex post, al termine della procedura, sulla scorta di parametri relativi alla complessiva attività svolta ed al patrimonio del debitore (attivo e passivo della massa concordataria); resta irrilevante il fattore “tempo” (se non quale elemento espressivo della complessità della procedura). La remunerazione riconosciuta al commissario giudiziale, quindi, non può ritenersi parametrata o frazionabile “per anno”, né ripartibile annualmente secondo un criterio di competenza, con conseguente inconciliabilità con il parametro indicato dalla legge. Ulteriore aspetto di incompatibilità della disciplina limitativa del compenso rispetto ai profili di specialità della figura del commissario giudiziale può rinvenirsi nel fatto che la nomina di quest’ultimo, al pari di quella del curatore, è una prerogativa del tribunale concorsuale ed è connotata dalla relazione fiduciaria rispetto al­l’organo giudiziario, tal che il primo può essere revocato «in ogni tempo» (art. 134 Cod. Crisi). La Suprema Corte ha ripetutamente affermato, anche dopo la Riforma del 2006, che la nomina a curatore del fallimento (ed ora nella liquidazione giudiziale), e la permanenza nell’incarico, rispondono ad un interesse pubblicistico correlato allo svolgimento della procedura: «la posizione [continua ..]


NOTE