Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
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L'art. 83-bis l. fall. e gli effetti del fallimento sul patto compromissorio e sull'arbitrabilità della lite (di Diego Corapi (Professore emerito nell’Università di Roma Sapienza))


Le questioni poste dal rapporto tra arbitrato e procedure concorsuali non sono state risolte dalla legge fallimentare che, pur riconoscendo l’arbitrabilità nel fallimento, ha introdotto con l’art. 89-bis una norma che: (i) incoerentemente continua a sancire una disparità del procedimento arbitrale rispetto a quello ordinario; (ii) è contraria al principio dell’autonomia della clausola compromissoria; (iii) lascia senza risposta questioni applicative.

Issues arising from the relationship between arbitration and insolvency proceedings have not been solved by bankruptcy law, which – although admitting arbitrability during insolvency proceedings –has introduced with art. 89-bis a provision which: (i) inconsistently establishes a disparity between arbitral proceedings and ordinary ones; (ii) contradicts the principle of the autonomy of the arbitration clause; (iii) gives no answer to questions about its implementation.

 
SOMMARIO:

1. Arbitrato e procedure concorsuali nella legge fallimentare - 2. Applicabilità all’arbitrato dei principi dell’art. 52 e dell’art. 72 L. Fall. - 3. L’art. 83-bis L. Fall. rende inapplicabile all’arbitrato l’art. 75, 5° comma, L. Fall. - 4. La disposizione dell’art. 83-bis è criticabile - 5. Ragioni delle critiche: (i) l’art. 83-bis oblitera il carattere di procedimento giudiziale riconosciuto all’arbitrato - 6. (Segue): (ii) l’art. 83-bis è contrario al principio dell’autonomia della clausola compromissoria - 7. (Segue): (iii) l’art. 83-bis lascia senza risposta le questioni poste dalla sua applicazione - NOTE


1. Arbitrato e procedure concorsuali nella legge fallimentare

Superata la concezione della assoluta incompatibilità [1], resta però la difficoltà di riconoscere e definire con chiarezza il rapporto tra procedimenti arbitrali e procedure concorsuali. Non si può ritenere, invero, che la difficoltà sia stata superata a seguito delle recenti riforme della legge fallimentare, che si sono limitate: a menzionare espressamente all’art. 25, 1° comma, n. 7, il potere del giudice delegato di nominare arbitri (completando così l’indicazione dell’art. 35 secondo cui il curatore, con l’autorizza­zione del comitato dei creditori, può stipulare compromessi); e ad introdurre un nuovo art. 83-bis in tema di effetti del fallimento sul procedimento arbitrale pendente quando il contratto contenente una clausola arbitrale è sciolto. Invero ci si è limitati, da un lato, a ribadire che è ammissibile la partecipazione degli organi della procedura ad un procedimento arbitrale e, d’altro lato, a dettare una norma speciale sulla sorte del procedimento arbitrale in corso quando a seguito della dichiarazione di fallimento di una delle parti il rapporto contrattuale cui si riferisce è sciolto ex lege o dal curatore [2]. Certamente ci si può compiacere del fatto che con queste norme viene a contrario implicitamente confermata la legittimità di procedimenti arbitrali che il curatore inizia o prosegue nei confronti del terzo contraente in bonis quando sia subentrato nel contratto in luogo del fallito, ai sensi dell’art. 72 L. Fall. Ma ciò non toglie che questo intervento legislativo, lungi dall’essere un passo avanti, in realtà risulti un passo indietro nel cammino verso la definizione dei rapporti tra procedimenti arbitrali e procedimenti concorsuali. Preciso che questa affermazione e le argomentazioni su cui si basa e che seguono in questo scritto, si riferiscono alla clausola per un arbitrato rituale. Non viene qui in considerazione la clausola per un arbitrato irrituale, anche se il rapporto di questa con le procedure concorsuali presenta questioni non troppo dissimili da quelle qui esaminate.


2. Applicabilità all’arbitrato dei principi dell’art. 52 e dell’art. 72 L. Fall.

Il suddetto giudizio negativo certamente non nasce dalla constatazione che la disposizione dell’art. 83-bis impone che i procedimenti arbitrali, per così dire, cedano il passo di fronte alle esigenze delle procedure concorsuali. Ciò è previsto che avvenga anche per i procedimenti davanti ai giudici ordinari e riflette, invero, una esigenza fondamentale delle procedure concorsuali. È noto, infatti, che in tutti gli ordinamenti, per garantire il rispetto della par condicio creditorum (pari passu principle – per gli ordinamenti di common law) e, più in generale, un trattamento fair and equitable degli interessi coinvolti, le normative in materia di procedure concorsuali prevedono non solo che l’autonomia contrattuale dei debitori e dei creditori sia limitata, ma anche che le azioni giudiziali di qualsiasi natura (e quindi anche quelle in arbitrato) siano subordinate all’interesse di assicurare che, salvo alcune eccezioni, le vertenze relative al patrimonio dell’insol­vente (e alla conseguente ripartizione tra i creditori del ricavato derivante dalla sua liquidazione e/o dalla eventuale prosecuzione della attività) siano esclusivamente sottoposte alla procedura di accertamento in sede concorsuale [3]. È evidente, infatti, che se tali azioni fossero svolte fuori dal rito fallimentare, determinerebbero una alterazione del fondamentale principio di parità di trattamento dei creditori del concorso. Nel nostro ordinamento questo principio di esclusività è sancito dall’art. 52 L. Fall. e da ciò deriva che i giudizi aventi ad oggetto rapporti patrimoniali del fallito non possono proseguire e il relativo credito dovrà essere accertato nelle forme del­l’accertamento del passivo: così l’art. 72, 4° comma [4]. Le azioni del terzo creditore in bonis sono considerate improcedibili, in quanto non idonee a condurre ad una pronuncia opponibile al fallimento. Viene meno l’in­teresse ad agire, salvo che la parte non alleghi un distinto interesse alla pronuncia della sentenza [5]. Solo quando, nel caso di rapporti pendenti alla data della dichiarazione di fallimento, il curatore dichiara di subentrare nel contratto, assumendone tutti i relativi ob­blighi, le azioni relative potranno essere iniziate o proseguite dal curatore [continua ..]


3. L’art. 83-bis L. Fall. rende inapplicabile all’arbitrato l’art. 75, 5° comma, L. Fall.

Il principio di esclusività e le norme in cui viene tradotto dovrebbero applicarsi negli stessi termini e con gli stessi limiti non solo ai giudizi ordinari ma anche a quelli arbitrali. Orbene, così non è. Mentre è indubbio che la norma dell’art. 72 sul subentro del curatore in un contratto ancora non eseguito o non completamente eseguito alla data della dichiarazione di fallimento si applica anche quando tale contratto prevede una clausola compromissoria [8], l’art. 83-bis ha disposto, invece, che se il contratto in cui è contenuta una clausola compromissoria è sciolto per effetto del fallimento, il procedimento arbitrale pendente non può in nessun caso essere proseguito. Non si può, quindi, applicare l’art. 72, 5° comma: né l’azione di risoluzione né le altre che la giurisprudenza ha a questa assimilato, insomma nessuna delle azioni pregiudiziali di accertamento o costitutive prodromiche ad azioni restitutorie o risarcitorie, può proseguire se sono state proposte in sede arbitrale. La ratio di questo diverso regime è resa esplicita dalla Relazione Ministeriale, secondo cui con esso si è inteso “evitare che il giudizio arbitrale sopravviva al regolamento di interessi convenzionali travolto dal fallimento e che era destinato a risolvere”.


4. La disposizione dell’art. 83-bis è criticabile

Il mio giudizio sulla norma dell’art. 83-bis è negativo e la disparità tra la disciplina dei procedimenti arbitrali e quella dei procedimenti ordinari è criticabile, perché: (i) oblitera il carattere di vero e proprio procedimento giurisdizionale riconosciuto all’arbitrato, così sacrificando il fondamentale diritto alla ragionevole durata del processo; (ii) è contraria al principio dell’autonomia della clausola compromissoria, cardine della concezione dell’arbitrato negli ordinamenti attuali; e infine (iii) lascia comunque senza risposta delicate questioni applicative che essa pone.


5. Ragioni delle critiche: (i) l’art. 83-bis oblitera il carattere di procedimento giudiziale riconosciuto all’arbitrato

La disparità tra procedimenti ordinari e procedimenti arbitrali pendenti sancita dall’art. 83-bis quando un contratto è sciolto per l’intervenuto fallimento di una delle parti è criticabile anzitutto perché è incoerente rispetto alla collocazione sistematica dell’arbitrato nel nostro ordinamento. Nel nostro ordinamento è stato, infatti, definitivamente riconosciuto che il procedimento arbitrale ha carattere giurisdizionale equivalente a quello dei procedimenti ordinari [9] e in base a questo riconoscimento vengono quindi risolte le questioni poste dall’interpretazione e applicazione delle norme in tema di arbitrato [10]. Non c’è invero alcun motivo, è anzi contraddittorio che si sancisca che l’azione di risoluzione o anche – secondo la richiamata giurisprudenza – tutte quelle di accertamento pregiudiziale o soltanto prodromico ad azioni risarcitorie o restitutorie, possano proseguire solo se spiegate davanti ai giudici ordinari e non anche se spiegate davanti ad un tribunale arbitrale. Del resto, sul piano concreto, anche per il caso in cui tali azioni fossero state promosse prima del fallimento, davanti ad un tribunale arbitrale anziché davanti ad un tribunale ordinario dovrebbe valere il rilievo formulato dalla citata sentenza n. 13226/2016 della Corte di Cassazione, secondo cui, se non si applicasse il principio di cui all’art. 75, 5° comma e anche rispetto a tali azioni il giudizio dovesse essere, invece, attratto dal giudizio sulla azione risarcitoria o restitutoria e quindi svolto secondo il rito speciale dell’art. 52, “si imporrebbe all’attore, inutilmente, di ricominciare tutto il giudizio daccapo in sede fallimentare”. Anche in questo caso, questo risultato è contrario al principio della ragionevole durata del processo, che, come già ricordato, è riconosciuto come diritto fondamentale dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla nostra Costituzione. Si badi che di questa conseguenza negativa può risentire anche il curatore che, quando il contratto in cui è contenuta la clausola compromissoria è sciolto, ex lege o per sua decisione di non subentrare in esso, potrebbe anche egli avere interesse a proseguire (per ragioni di economia di costi e di tempo: quando, ad esempio, l’arbi­trato [continua ..]


6. (Segue): (ii) l’art. 83-bis è contrario al principio dell’autonomia della clausola compromissoria

La disposizione dell’art. 83-bis è altresì criticabile perché contrasta anche con il principio cardine della disciplina dell’arbitrato, ormai universalmente riconosciuto, quello dell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al contratto cui si riferisce [11]. L’art. 83-bis infatti postula e presuppone che la clausola compromissoria debba sempre e comunque seguire le sorti del contratto in cui è contenuta. Se ne è dedotto che questa esclusione dell’autonomia del patto compromissorio rispetto al rapporto sostanziale cui si riferisce, costituisca una conferma che lo scioglimento del contratto conseguente al fallimento di una delle parti comporta sempre l’inefficacia della clausola compromissoria, non potendo il curatore mantenere in vita esclusivamente la seconda [12]. A dire il vero è stato correttamente osservato che la norma non afferma espressamente che la convenzione arbitrale si estingue con il contratto, ma più semplicemente stabilisce soltanto che il processo arbitrale non può essere “proseguito” [13]. Questa formulazione della norma però, se pure in tesi si ritenesse che non tocca la autonomia della clausola compromissoria, la svuoterebbe comunque di ogni efficacia, essendo evidente che, secondo tale norma, se il processo arbitrale in corso non può essere proseguito, tanto meno esso potrà essere iniziato, né dal terzo ma neppure dal curatore. In dottrina ci si è avveduti che la norma conduce in ogni caso a questo risultato e, forzando il suo dettato letterale, si è sostenuto che non c’è motivo di ritenere che la disposizione dell’art. 72, 5° comma non valga quando l’azione di risoluzione ovvero le altre azioni definite neutre (quali l’annullamento o la nullità) siano pendenti non davanti ai giudici ordinari ma davanti agli arbitri. Secondo questa tesi, l’art. 83-bis non si applicherebbe in quanto sarebbe superato dall’art. 72, 5° comma, ritenuto disposizione speciale [14]. È difficile poter condividere questa pur generosa interpretazione. Essa ha il pregio di muovere dalla consapevolezza che la contraria interpretazione che si ricava dalla lettera e dalla ratio della norma come esplicitata dalla Relazione Ministeriale al decreto di riforma, costituisce [continua ..]


7. (Segue): (iii) l’art. 83-bis lascia senza risposta le questioni poste dalla sua applicazione

Infine, l’art. 83-bis è criticabile perché lascia aperte diverse questioni, tra cui in primo luogo quella del suo ambito di applicazione. Ancorché la norma si riferisca espressamente solo alla clausola compromissoria, sembra che non ci sia motivo per escludere che, così come la disposizione dell’art. 72, anche quella dell’art. 83-bis si applichi anche nel caso in cui il procedimento arbitrale pendente sia svolto in base non ad una clausola ma ad un patto compromissorio oggetto di una separata pattuizione. Questo tipo di patto compromissorio, come già ricordato [15], non è un contratto sostanziale, ma processuale, per cui anche da esso, come dalla clausola compromissoria inserita in un contratto, non derivano rapporti obbligatori tra le parti, ma solo effetti processuali relativi al rapporto cui fa riferimento. Nell’applicazione dell’art. 83-bis, non si può distinguere, dunque, tra clausola com­promissoria e patto compromissorio. In entrambi i casi le pattuizioni sono autonome rispetto ai contratti cui si riferiscono, in entrambi i casi i procedimenti arbitrali già in corso o da instaurare sono strumentali rispetto al rapporto sostanziale cui si riferiscono, sia nel caso che in tale rapporto subentri il curatore, sia nel caso in cui tale rapporto sia da lui o ex lege sciolto. È ragionevole ritenere, dunque, che sia indifferente che il procedimento arbitrale pendente sia stato originato da un patto o da una clausola compromissoria, in quanto in entrambi i casi la controversia che con esso va decisa riguarda un rapporto contrattuale rispetto al quale il compromesso è una pattuizione autonoma ma comunque strumentale [16]. Conclusione opposta deve però sostenersi in quei casi in cui la convenzione di arbitrato costituisca un vero e proprio contratto a sé stante, così ad esempio nel caso in cui la convenzione di arbitrato, ai sensi dell’art. 808 c.p.c., abbia ad oggetto “controversie future relative a uno o più rapporti non contrattuali determinati” [17]. In questo caso, invero, la convenzione per così dire “contrattualizza” il rapporto ovvero sia il suo oggetto definisce le controversie relative al rapporto di natura extra contrattuale e non soltanto i suoi effetti processuali. In secondo luogo, la norma dell’art. [continua ..]


NOTE