Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili nella composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa (anche a proposito del “decreto dirigenziale”) (di Cristiano Cincotti, Professore associato di Diritto commerciale nell’Università di Cagliari)


Il contributo esamina la disciplina degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili dettata dal “Decreto Dirigenziale” per le imprese che accedono alla composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (D.L. n. 118/2021) e svolge alcune considerazioni sulla (limitata) portata sistematica delle relative previsioni.

 

The organizational, administrative and accounting structure of the company in the negotiated composition for the business crisis (“il decreto dirigenziale”)

The paper examines the legal framework of the organizational, administrative and accounting structures required by the “Decreto Dirigenziale” for enterprises that have access to the negotiated composition for the business crisis (D.L. n. 118/2021) and makes some remarks on the (limited) systematic impact of these provisions.

Keywords: D.L. n. 118/2021, negotiated composition, crisis, insolvency, corporate governance.

SOMMARIO:

1. Il tema dell’indagine - 2. L’organizzazione nell’impresa e il controllo organizzativo - 3. (Segue): sistema di controllo interno e assetti organizzativi, amministrativi e contabili - 4. Il monitoraggio dei rischi - 5. L’adeguatezza contabile - 6. La (limitata) portata sistematica delle indicazioni provenienti dal Decreto Dirigenziale - NOTE


1. Il tema dell’indagine

Il D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con L. n. 147/2021 (di seguito “D.L.”), introduce nel sistema il procedimento di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, gestito da un esperto e volto ad agevolare il superamento della crisi dell’impresa che ritiene di accedervi [1]. L’architrave del procedimento è il piano di risanamento che, redatto dall’imprenditore in crisi, viene sottoposto all’esperto, prospettato ai creditori dell’imprenditore e con questi ultimi negoziati, affinché gli stessi prestino eventualmente il proprio consenso in relazione a stralci o rimodulazioni del debito strumentali all’esecuzione del piano. L’art. 5, 5° comma, D.L., individua, quale condizione di procedibilità della composizione negoziata, l’accertamento da parte dell’esperto della sussistenza di concrete prospettive di risanamento in capo all’imprenditore in crisi. Tale giudizio, in evidente controtendenza rispetto all’impostazione adottata dal legislatore in materia di crisi d’impresa e di operazioni straordinarie [2], può essere pronunciato dall’esperto senza che questi sia tenuto a verificare – né tantomeno ad attestare – la corretta tenuta delle scritture contabili dell’imprenditore in crisi [3], ignorando sia i documenti contabili di primo grado [4] (ossia contratti, fatture, ricevute, lettere), sia i documenti di secondo grado, ossia le scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. La circostanza assume significativo rilievo sistematico là dove, nelle ipotesi di conclusione di un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori e dall’esperto ai sensi dell’art. 11, 1° comma, lett. c), D.L., che produce gli effetti dei piani attestati di cui all’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., per espressa scelta del legislatore “non occorre l’attestazione prevista dal medesimo articolo 67, terzo comma, lettera d)”. In altri termini, il legislatore ha introdotto nel sistema un “piano attestato senza attestazione”, che produce gli effetti protettivi del piano attestato disciplinato dalla legge fallimentare, senza tuttavia le garanzie proprie di quella fattispecie e, in particolare, senza che nessuno abbia verificato e attestato che le assunzioni e proiezioni poste a fondamento del piano si fondano su dati [continua ..]


2. L’organizzazione nell’impresa e il controllo organizzativo

Il Decreto Dirigenziale intitola il paragrafo 1 della Sezione II al requisito dell’organizzazione nell’impresa. Sotto il profilo funzionale, il menzionato paragrafo intende evidentemente esaminare i prerequisiti dell’impresa necessari per poter condurre il test di perseguibilità del risanamento e per redigere un piano di risanamento affidabile [6]. Per l’interprete, chiamato alla ricostruzione del sistema, si pone necessariamente il problema di coordinare le previsioni contenute nel Decreto Dirigenziale sull’organizzazione nell’impresa con quelle dettate dal legislatore in tema di organizzazione dell’impresa dagli artt. 2082 e 2555 c.c. [7], nonché dal recentemente novellato 2° comma dell’art. 2086 c.c. in tema di assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell’impresa in forma societaria o collettiva [8]. Esaminando il dettaglio delle previsioni contenute nel Decreto Dirigenziale, i §§ 1.1 e 1.2. si riferiscono alle risorse umane, nella corretta assunzione secondo cui nessun sistema organizzativo può funzionare efficientemente se le persone chiamate a svolgere le funzioni programmate non dispongono delle necessarie competenze [9]. Ben più rilevanti, ai fini che qui interessano, sono il successivo § 1.3, che richiede un monitoraggio continuativo dell’andamento aziendale, quantomeno mediante “con­fronto con i dati di andamento del precedente esercizio, in termini di ricavi, portafogli ordini, costi e posizione finanziaria netta”; il § 1.4., che richiede la previsione di indicatori chiave gestionali (KPI) che consentano “valutazioni rapide in continuo” e il §1.5., che richiede l’esistenza di un piano di tesoreria a 6 mesi, o quantomeno un prospetto delle stime di entrate e uscite finanziarie a 13 settimane per valutare l’andamento corrente a consuntivo. Il rispetto di queste procedure presuppone che l’impresa sia in grado di generare i dati necessari, tempestivamente e con un sufficiente grado di attendibilità, e sia altresì in grado di poterli adeguatamente elaborare, al fine di: (i) monitorare costantemente l’andamento della gestione (eventualmente di natura liquidatoria); (ii) su tali basi, predisporre un piano di risanamento attendibile e affidabile; (iii) accertare senza indugio ogni eventuale scostamento tra il piano e l’effettivo [continua ..]


3. (Segue): sistema di controllo interno e assetti organizzativi, amministrativi e contabili

Il sistema di controllo interno è menzionato dal codice civile solo nell’ambito della disciplina del sistema di amministrazione monistico, allorquando l’art. 2409-octiesdecies, 5° comma, c.c., prevede che il comitato per il controllo sulla gestione deve “vigilare sull’adeguatezza del sistema di controllo interno”. Per le società quotate, l’art. 149, 1° comma, lett. c), TUF, prevede che il collegio sindacale debba vigilare sull’adeguatezza del sistema di controllo interno (il successivo 4°-bis comma della norma in parola demanda la competenza relativa al consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico); l’art. 150, 4° comma, TUF, nel disciplinare i flussi informativi verso il collegio sindacale, prevede che i preposti al controllo interno riferiscano al collegio su loro iniziativa spontanea o su richiesta del collegio [15] e l’art. 123-bis, 2° comma, lett. b), TUF, prevede che la relazione sul governo societario riporti le informazioni riguardanti “le principali caratteristiche dei sistemi di gestione dei rischi e di controllo interno”. Ancora, in materia di società quotate, banche e imprese di assicurazione (cc.dd. enti di interesse pubblico), l’art. 19, lett. c), D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, affida al collegio sindacale (ovvero al consiglio di sorveglianza o al comitato di controllo interno, in funzione del sistema di amministrazione prescelto) l’incarico di controllare l’efficacia dei sistemi di controllo interno. Manca, tuttavia, nel sistema una previsione generalizzata dell’obbligo di adottare un sistema di controllo interno nello svolgimento dell’attività d’impresa e, anzi, mentre la dottrina maggioritaria ritiene che un tale obbligo possa essere desunto in via interpretativa per le società per azioni, a prescindere dal modello di amministrazione adottato [16], si dubita della sua configurabilità per le imprese di minori dimensioni o caratterizzate da una notevole semplicità degli affari [17]. Per contro, la prima conclusione che può trarsi dalla lettura del Decreto Dirigenziale è evidentemente nel senso che ogni impresa, anche in forma individuale, così come le società di persone, là dove intenda accedere alla composizione negoziata disciplinata dal D.L., deve dotarsi di un sistema di controllo interno, il cui contenuto minimo [continua ..]


4. Il monitoraggio dei rischi

Una volta definiti gli assetti, il secondo livello del sistema di controllo interno così come definito dal CoSO Framework è rappresentato dal c.d. risk assessment [20]. Se, infatti, la predisposizione di un sistema di controllo interno presuppone una programmazione strategica che possa fungere da parametro di giudizio per l’esame dei risultati della rendicontazione periodica, a sua volta, l’individuazione degli obiettivi dell’impresa presuppone la previa identificazione e il governo dei rischi che si frappongono al loro conseguimento [21]. Nello stesso senso, il sistema delineato dal Decreto Dirigenziale prevede, al § 5, che l’esperto sottoponga a stress test il piano, alla luce dei fattori di rischio e di incertezza ai quali l’impresa è maggiormente esposta, al fine di verificare ex ante la ragionevolezza degli obiettivi fissati e, dunque, della prospettiva di risanamento. Così come si è osservato esaminando il problema dell’obbligatorietà della previsione e formalizzazione di un sistema di controllo interno, manca nell’ordinamento un obbligo generalizzato di adozione del sistema di controllo e gestione dei rischi, sì che questo dovrebbe essere eventualmente desunto in via interpretativa, sulla base delle caratteristiche della fattispecie concreta, dalla clausola generale dell’ade­guatezza degli assetti di cui all’art. 2086, 2° comma, c.c. [22]. Vi è però una chiara indicazione da parte del legislatore circa la dimensione dell’impresa che richiede la necessaria formalizzazione di un sistema di controllo e gestione dei rischi, quale pendant dell’assenza dell’obbligo di redigere la relazione sulla gestione. L’art. 2328, 1° comma, c.c., infatti, impone l’obbligo di descrivere “i principali rischi e incertezze cui la società è esposta” [23] e deve ritenersi che gli assetti della società che redige la relazione sulla gestione non possano considerarsi adeguati ove i rischi e le incertezze, formalmente mappati in forza del citato obbligo di legge, non siano stati prevenuti e, nei limiti del possibile, gestiti mediante procedure anch’esse necessariamente formalizzate [24]. Parallelamente, l’art. 3 del D.Lgs. n. 254/2016 impone agli enti di interesse pubblico, come definiti dal D.Lgs. n. 39/2010, di predisporre una dichiarazione [continua ..]


5. L’adeguatezza contabile

La prima e originaria funzione della contabilità è render conto della gestione svolta [27] e, in questi termini, l’adeguatezza degli assetti contabili impone la tenuta di una ordinata contabilità ai sensi dell’art. 2219 c.c. [28] e, ai sensi dell’art. 2214, 2° comma, c.c., richiede che l’organo amministrativo individui in concreto i libri contabili richiesti “dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa”, là dove il sistema mobile [29] adottato dal legislatore italiano rimette all’imprenditore l’apprezzamento dei mezzi da adoperare per conseguire l’intendimento di una compiuta contabilità [30]. Al riguardo, fermo l’obbligo di tenere le scritture contabili imposte dalla normativa tributaria e dall’eventuale normativa speciale di settore [31], si pone evidentemente il problema della portata precettiva dell’art. 2214 c.c. [32] – e, dunque, degli eventuali limiti alla discrezionalità nella cura del sistema contabile – là dove è stato addirittura affermato che nessuna scrittura contabile innominata potrebbe essere ritenuta effettivamente indispensabile e, quindi, obbligatoria, giacché i libri contabili nominati sarebbero sempre di per sé soli sufficienti alla ricostruzione – benché laboriosa – del corso degli affari dei quali è intessuta la vita dell’impresa [33]. Questa risalente impostazione deve essere tuttavia ripensata alla luce delle innovazioni legislative nelle more intervenute, in particolare con riferimento all’obbligo di curare l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili imposti alle imprese in forma collettiva dall’art. 2086, 2° comma, c.c. Il principale parametro di rifermento cui si può ricorrere per dare contenuto concreto al precetto è rappresentato dalle indicazioni fornite dai principi di revisione che guidano, ormai con valenza normativa [34], l’operato dei revisori legali dei conti. In particolare, il principio di revisione nazionale n. 500 “Gli elementi probativi della revisione” chiarisce come il revisore contabile debba in primo luogo valutare le risultanze del lavoro svolto dai revisori interni, al fine di verificare “il rischio di errori significativi a livello di bilancio e di asserzioni”, valutando inoltre se [continua ..]


6. La (limitata) portata sistematica delle indicazioni provenienti dal Decreto Dirigenziale

È stato evidenziato nelle pagine che precedono che le previsioni contenute nel Decreto Dirigenziale si distaccano significativamente, sia come metodo, sia nel merito delle singole scelte, rispetto all’approccio normalmente adottato dal legislatore nell’affrontare i temi legati agli assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Nel dettaglio, la previsione dell’obbligo di istituire un sistema di controllo interno avente alcune caratteristiche minime (supra § 3); l’obbligo di prevedere un sistema di Risk Assessment idoneo quantomeno a riscontrare tempestivamente i rischi di insuccesso del piano (supra § 4) e le previsioni in materia di scritture ed assetti contabili, con particolare riferimento alla contabilità di magazzino e alla registrazione ed elaborazione del momento finanziario della gestione (supra § 5), rappresentano un onere che non trova riscontro negli obblighi imposti alle imprese di minori dimensioni e la cui cogenza è assai discutibile. Certo, il documento in esame ha cura di precisare che i principi e le regole descritte non devono essere intese come precetti assoluti, giacché “gli effettivi contenuti del singolo piano dipenderanno infatti da una serie di variabili, e vi influiranno, tra le altre cose, la tipologia dell’impresa e dell’attività svolta, la dimensione e la complessità dell’impresa e le informazioni disponibili”, così adottando un approccio in linea con l’utilizzo delle clausole generali che caratterizza gli interventi del legislatore al riguardo. Ancora, la Sezione II del Decreto dirigenziale evidenzia che per le imprese di minori dimensioni i flussi finanziari possono essere stimati attraverso un processo semplificato e il § 15 della Sezione II, prevede regole peculiari per le imprese “sotto soglia”. Il provvedimento esprime così una chiara consapevolezza circa i problemi di implementazione degli standard proposti da parte delle imprese di minori dimensioni. Fatto sta che al momento di dettare i requisiti oggetto di controllo preliminare da parte dell’esperto, descrivendo gli obblighi per tutte le imprese che accedono alla composizione negoziata, in ragione dell’impossibilità di individuare minimo comun denominatore per le imprese in crisi di natura e dimensioni significativamente differenti, il Decreto Dirigenziale sceglie espressamente di recepire le [continua ..]


NOTE