La nomina degli amministratori prefettizi determina una separazione delle competenze e non realizza segregazione patrimoniale piena, bensì una gestione separata temporalmente e funzionalmente, anche in ipotesi di società di scopo, dove gli amministratori di diritto mantengono le competenze di carattere generale.
The appointment of prefectural administrators consists in a separation of powers and does not achieve full asset segregation, but rather a separate management timely and functionally, even in the case of purpose companies, where the directors keep the general competences.
Keywords: prefectural administrators – receivership – purpose company
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1. Il caso - 2. La natura latamente “cautelare” del termine ex art. 161, 6° comma, L. Fall. - 3. Organi sociali e amministratori di nomina prefettizia - 4. La “soggettività” limitata della “gestione commissariale” - NOTE
La vicenda in esame presenta connotati di unicità nel panorama giurisprudenziale; mentre sono frequenti le situazioni di accesso a procedure concorsuali di società in regime di amministrazione giudiziaria o di commissariamento prefettizio rispetto ad un contratto o ad un ramo di attività, a quanto consta non è mai accaduto che il commissariamento avvenga nei confronti dell’intera azienda, quando questa afferisce ad una società di scopo, costituita con oggetto sociale esclusivo per gestire una concessione pubblica, nel caso di specie il servizio idrico integrato. Per fronteggiare l’imponente debito aziendale il consiglio d’amministrazione, mentre sono in carica gli amministratori di nomina prefettizia, decide di avviare la procedura di concordato preventivo, depositando una domanda con riserva. I commissari prefettizi si oppongono, ritenendo che gli amministratori non vi sarebbero legittimati, in quanto totalmente spossessati della gestione dell’azienda, stante che in una società di scopo non residuano poteri di gestione in capo agli amministratori, poiché l’intera azienda è in regime di commissariamento prefettizio e in ogni caso tutte le risorse della società sono sottratte agli amministratori per essere rimesse alla gestione commissariale, sicché il concordato non sarebbe in ogni caso fattibile. Il tribunale di Agrigento, con una articolata motivazione ammette la società alla fase interinale, pur riservandosi di assumere ogni provvedimento ad esito del deposito della documentazione integrale. I passaggi salienti della decisione del tribunale sono i seguenti: non vi è alcun automatismo tra la richiesta del termine ex art. 161, 6° comma e la sua concessione, va in ogni caso valutata, anche in punto di legittimazione, l’ammissibilità in astratto della proposta; la misura di commissariamento prefettizio non scalfisce la titolarità aziendale né esautora gli organi sociali per ciò che non attiene strettamente l’esecuzione del contratto in concessione; pur essendo vero che l’oggetto sociale della società di scopo si identifica interamente con l’oggetto del commissariamento, non vi sono confini sicuri attraverso cui determinare “l’estensione del perimetro delle norme applicabili e, quindi, il grado di recessione delle norme di stampo più tipicamente [continua ..]
Sul tema dell’automatismo del termine si registra varietà di opinioni in dottrina [1] ed emergono tre diversi orientamenti giurisprudenziali. Secondo il primo il tribunale dovrebbe limitarsi a sindacare la propria competenza e la sola condizione di ammissibilità, di cui all’art. 161, 9° comma, L. Fall. e concedere il termine a semplice richiesta del ricorrente [2]; altra giurisprudenza ritiene che il giudice nel concedere il termine, oltre alla condizione di ammissibilità del 9° comma, debba sindacare i presupposti dell’azione e della legittimazione della domanda [3]; secondo altra parte il giudizio di ammissibilità dovrebbe ricomprendere anche il sindacato sulla non strumentalità del ricorso, ossia il fumus boni iuris, considerato che la domanda in bianco non dovrebbe essere piegata ad usi dilatori [4]. Il tribunale di Agrigento ritiene di dover svolgere un controllo in via astratta circa la legittimazione degli organi della ricorrente. Nell’assumere tale posizione il tribunale tuttavia non risolve il tema della competenza per la presentazione della domanda di concordato, se non rispetto all’esigenza di evitare che la mancata ammissione si traduca in un pregiudizio irreparabile. Il tribunale, pertanto, lascia del tutto aperto il tema della legittimazione attiva e risolve la questione in maniera essenzialmente cautelare, ritenendo che sul fumus boni iuris, cioè l’astratta legittimazione, degli amministratori, vi sia obiettiva incertezza, ma neppure ciò sia stato radicalmente negato, specie in assenza di una demarcazione ad opera dei commissari prefettizi dei propri poteri, e che invece ricorrerebbe il periculum in mora, cioè il pregiudizio grave ed irreparabile che dalla mancata concessione del termine potrebbe derivare alla ricorrente. Ciò d’altra parte è coerente con il principio che eventuali provvedimenti di natura cautelare che sospendano o impediscano azioni esecutive debbano essere rimesse al giudice della procedura concorsuale, non essendovi al contrario da parte del giudice dell’esecuzione alcun dovere di sospendere pregiudizialmente la propria attività in pendenza di una procedura concorsuale [5]. Assunta pertanto l’attitudine del provvedimento del Tribunale Fallimentare ad incidere su azioni esecutive, determinandone la sospensione, deve ritenersi che il [continua ..]
L’approccio della giurisprudenza in esame, sia pur nei limiti di una cognizione parziale e sommaria, appare quello di delimitare i poteri dei commissari e degli amministratori rispetto alla portata del provvedimento prefettizio. Se, come nel caso di specie, la misura si applica all’intera attività, in quanto oggetto esclusivo di una società di scopo, non dovrebbe residuare alcuno spazio per gli organi sociali in carica, eccettuato il Collegio sindacale, di cui nulla la norma dice e che, sulla scorta di un condivisibile, sia pur limitato, orientamento giurisprudenziale e dottrinale prosegue nelle proprie funzioni [6]. Il problema nasce, ad avviso di chi scrive, dall’infelice terminologia della norma, che parla di “amministratori temporanei di nomina prefettizia”, istituto che evoca la loro sostituzione, parziale o totale, agli amministratori di diritto ma che, in relazione ad un limitato spossessamento ai soli fini dell’esecuzione dell’appalto o della concessione, mal si concilia con la ratio della disciplina di riferimento. Occorrerebbe altrimenti ammettere che la sostituzione avvenga in maniera parziale, lasciando convivere due tipologie di amministratori ugualmente in carica, con la difficoltà di individuare quale delle due sia titolata a compiere determinate attività. Anche nell’ipotesi, apparentemente più semplice, di commissariamento della società di scopo, non è affatto così scontato che ogni dovere facente capo agli amministratori si trasferisca su quelli di nomina prefettizia; in questo caso, infatti, esattamente come nell’altro e più comune, si registrerebbe eventualmente una differenza quantitativa, ma non qualitativa, dei poteri, stante che la disciplina di riferimento è la medesima. In altri termini non sarebbe ragionevole ritenere che in un caso si realizzi un regime di compresenza di amministratori e nell’altro di sostituzione, in assenza di una norma che lo preveda, con l’effetto di sovvertire, tacitamente, l’assetto organizzativo della società di capitali. Gli stessi amministratori temporanei, nella prassi, come si evince dal provvedimento commentato, usano peraltro qualificarsi quali “commissari prefettizi”, artefici di una gestione distinta rispetto alla società. Si tratterebbe nel caso di specie di un’attività di pubblico interesse, [continua ..]
Altro tema sicuramente assai delicato è quello della autonomia patrimoniale della gestione ad opera dei commissari, specie rispetto alle conseguenze che sulla continuità del servizio pubblico potrebbe sortire il grave indebitamento pregresso. Viene in rilievo l’ipotesi, apparentemente negata (sia pur incidenter tantum) dal Tribunale Fallimentare, che venga a costituirsi un’entità autonoma, distinta anche in termini di responsabilità patrimoniale, rispetto alla società. Il tema deve essere scrutinato anzitutto rispetto all’esistenza di una disciplina esplicita che disponga una deroga al principio della responsabilità patrimoniale generale dell’art. 2740, individuato dagli amministratori prefettizi nella norma del 7° comma dell’art. 32, che testualmente recita: “… l’utile d’impresa derivante dalla conclusione dei contratti d’appalto di cui al comma 1, determinato anche in via presuntiva dagli amministratori, è accantonato in apposito fondo e non può essere distribuito né essere soggetto a pignoramento, …”. In effetti da tale norma, che non dispone un generale divieto di azioni esecutive, ma le limita rispetto agli utili successivi alla data di insediamento dei commissari [14]; non sembra potersi inferire un regime di autonomia patrimoniale perfetta ciò anche se la gestione viene svolta nell’interesse delle pubbliche amministrazioni committenti [15]. Non mancano tuttavia spunti nel senso del riconoscimento di una qualche forma di soggettività [16]. D’altra parte secondo l’insegnamento della S.C., l’assenza di personalità giuridica non sarebbe d’ostacolo al riconoscimento di limitate forme di segregazione patrimoniale; con il termine “soggettività” non si intende infatti una situazione identica alla “personalità”, avendo il primo termine carattere meramente riassuntivo dell’insieme di effetti giuridici stabiliti da specifiche norme di diritto positivo ed il secondo carattere prescrittivo, poiché con il suo utilizzo il legislatore pone una regola di capacità generale [17]. Non può quindi negarsi che la disciplina di legge abbia creato, sia pure a limitati effetti, un distinto centro di imputazione i cui effetti però restano molto limitati. Coerentemente con le [continua ..]