Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Due provvedimenti sulla destinazione dei flussi finanziari nel concordato preventivo con continuità aziendale: Tesi e antitesi (di Diego Manente, Avvocato in Venezia, Professore a contratto di Diritto commerciale nell’Università Cà Foscari Venezia)


I due provvedimenti in rassegna affrontano il tema della destinazione dei flussi finanziari nel concordato preventivo con continuità aziendale diretta ex art. 186 bis L. Fall., pervenendo a so­luzioni tra loro opposte. Il Tribunale di Padova ritiene che, anche nella disciplina di questo concordato, i principi generali dell’universalità della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.) e della natura vincolante delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.) devono essere rispettati e trovare piena applicazione. La Corte d’Appello di Venezia, per converso, ammette che nel concordato in continuità diretta, una volta soddisfatta la condizione del maggior soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria, il surplus concordatario è liberamente distribuibile dal debitore alla stregua di finanza esterna. L’A. procede schematicamente a coordinare i punti essenziali della tematica.

The two court pronouncements taken into consideration deal with the destination of financial assets in cases of preliminary arrangement to ensure direct economic continuity ex art. 186 bis. The two pronouncements envision opposite solutions. The Padua Court believes that, in such preliminary arrangements, the general principles of universal responsibility (art. 2749 c.c.) and the binding nature of legitimate causes of pre-emption must fully apply. The Venice Appelate Court, on the contrary, allows that in such agreements, once fulfilled the condition of the advantage of creditors satisfaction over the alternative of forced liquidation, any assets left might be freely distributed by the debtor as external assets. The A. proceeds to briefly outline the essential issues pertaining to the pronouncements.

Keywords: composition with creditors – business continuity – financial assets

TRIBUNALE DI PADOVA, DECRETO 24 GENNAIO 2018 Pres. Amenduni, Rel. Maiolino Concordato preventivo – Continuità aziendale diretta – Flussi finanziari prodotti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa – Falcidia dei creditori privilegiati – Soddisfacimento dei creditori chirografari – Esclusione. (Artt. 2740; 2741 c.c.; artt. 160; 162; 182-ter; 184; 186-bis) Nel concordato preventivo con continuità aziendale, i flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa devono essere messi a disposizione del ceto creditorio nel rispetto del principio di universalità della responsabilità patrimoniale e dell’ordine delle cause legittime di prelazione, con conseguente inammissibilità della proposta che preveda la falcidia del creditore assistito da privilegio generale mobiliare (Erario) ed il soddisfacimento dei creditori chirografari con la maggiore utilità ricavabile dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. (Omissis) Partendo dalla questione giuridica che D’A qualifica come “architrave” del proprio piano di concordato, la società interpreta l’art. 182 ter L.F., alla cui lettura ancora la falcidia del debito privilegiato erariale, nel senso che la falcidia sarebbe am­messa “se il piano ne (del debito erariale) prevede la soddisfazione in misura non in­feriore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”. Detta norma viene interpretata dalla società proponente nel senso che il debito privilegiato erariale può essere trattato e soddisfatto come privilegiato nei limiti in cui così verrebbe soddisfatto nell’alternativa liquidatoria fallimentare; oltre detta soglia, “garantita” dall’alternativa liquidatoria, il debito erariale può essere falcidiato e degradato a chirografo. Chiarisce quindi la proponente di non invocare quell’interpretazione che vorrebbe i flussi tratti dalla prosecuzione dell’attività imprenditoriale quale “nuova finanza” (e quindi destinabili ai creditori in deroga all’ordine dei privilegi). I flussi che la società trae dalla prosecuzione dell’attività aziendale sono e restano “attivo” della Società ma, sulla base dell’interpretazione proposta dell’art. 182 ter L.F., l’obbligo di trattare il credito quale privilegiato sussiste solo nei limiti del valore di liquidazione: superata detta soglia i flussi restano voci attive da destinare ai creditori, ma i crediti privilegiati superiori a detto importo sono falcidiabili e quindi degradabili al rango chirografario, essendosi esaurito il valore che rappresenta la soglia del [continua..]
SOMMARIO:

1. Il fatto - 2. La questione giuridica: il problema della destinazione dei flussi finanziari prodotti dalla continuità aziendale - 3. Le differenti soluzioni del Tribunale di Padova e della Corte d’Appello di Venezia - 4. La prospettiva economico-funzionale del concordato “in continuità” - 5. Il “valore del risanamento” e l’art. 2740, 1° comma, c.c. - 6. Le regole di distribuzione del “valore di risanamento” - NOTE


1. Il fatto

I due provvedimenti in rassegna hanno affrontato nei rispettivi gradi di giudizio il tema della destinazione dei flussi finanziari nel concordato preventivo con continuità aziendale diretta, pervenendo a contrapposte soluzioni. La vicenda che ha dato luogo alle decisioni può essere riassunta come segue. Una società ha proposto un concordato con continuità aziendale soggettiva, prospettando di far fronte al passivo mediante i flussi finanziari, da destinare integralmente al concordato, derivanti dalla prosecuzione dell’attività. La proposta prevedeva, nello specifico, oltre ovviamente al pagamento integrale delle spese di procedura, il pagamento integrale (entro un anno dall’omologa) dei crediti privilegiati diversi da quelli erariali; il pagamento del privilegio erariale (dun­que mobiliare generale), sulla base della contestuale proposta ex art. 182-ter L. Fall., integralmente per una quota (parte entro lo stesso termine annuale, parte con dilazione di tre anni) e con degrado del residuo al chirografo a causa dell’incapienza del valore di liquidazione dell’azienda (su base going concern); il pagamento, in un arco temporale quinquennale dall’omologa, dei crediti chirografari (originari e degradati), suddivisi in tre classi (erario per la parte degradata; fornitori; banche), con trattamenti differenziati secondo percentuali di soddisfazione digradanti (rispettiva­mente, 40%, 35% e 31%). La proposta di concordato era corredata della relazione attestativa ex art. 160, 2° comma, L. Fall. e di un piano industriale che, contestualizzato in un quadro macro­economico con specifico riferimento al settore commerciale di riferimento (commercializzazione di gioielli, preziosi, diamanti, oro e argento), stimava come realizzabili i risultati economici preventivati. All’esito del procedimento di verifica ex art. 162 L. Fall., il Tribunale di Padova ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato, considerando, sulla scorta di articolate argomentazioni, che, in primo luogo, la falcidia e il degrado del credito pri­vilegiato erariale violavano le norme di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c., 182-ter e 160, 2° comma, L. Fall.; inoltre, la relazione attestativa ex art. 160, 2° comma, L. Fall. risultava carente ed incompleta; infine, il piano industriale su cui era basato il concordato denotava profili di criticità tali da renderlo non fattibile. Contestualmente, [continua ..]


2. La questione giuridica: il problema della destinazione dei flussi finanziari prodotti dalla continuità aziendale

Il tema centrale delle due decisioni [1], come si è detto, riguarda la questione della destinazione dei flussi finanziari derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa nel concordato con continuità aziendale soggettiva. In particolare, mutuando le parole della Corte lagunare, si è trattato «in primis, di valutare se nell’ambito di un concordato con continuità aziendale diretta (…) laddove è previsto il soddisfacimento dei creditori non tramite il ricavato della liquidazione del patrimonio del debitore, bensì con i flussi derivanti dall’attività d’impresa, tali flussi (evidentemente futuri) vadano ad integrare ed eventualmente in che misura il patrimonio del debitore destinato a soddisfare i creditori»; in secondo luogo, di «rispondere alla domanda se i medesimi flussi siano o meno liberamente disponibili da parte del debitore nella distribuzione ai creditori o, invece, debba essere rigorosamente rispettato l’ordine dei privilegi». Le questioni, all’evidenza, si intersecano con il principio della responsabilità patrimoniale del debitore sancito dall’art. 2740 c.c. e con le regole del concorso dei creditori di cui all’art. 2741 c.c. e 160, 2° comma, L. Fall. (che, nel CCI, salve alcune varianti, trova il suo pendant nell’art. 85, 6° e 7° comma). Al tema sono state date, in giurisprudenza e dottrina [2], soluzioni contrastanti, che, in linea di massima, possono dirsi compendiate negli argomenti di fondo dei due antitetici provvedimenti in rassegna. La problematicità della tematiche affrontate dai due giudici veneti è sintomaticamente suggellata già dalla mancanza di una precisa ed attendibile nomenclatura a cui ricondurre la fattispecie che sta alla base delle rispettive decisioni, vale a dire i flussi finanziari netti prodotti dalla prosecuzione dell’attività ed eccedenti il presumibile valore della liquidazione del patrimonio dell’azienda (a vario titolo, infatti, si trovano convenzionalmente utilizzati termini, tutti caratterizzati da un qualche grado di genericità, quali, ad esempio, “nuova finanza”; “finanza esterna”; “surplus” o “quid pluris” concordatario; “ricchezza del risanamento imprenditoriale”; “valore di risanamento”; [continua ..]


3. Le differenti soluzioni del Tribunale di Padova e della Corte d’Appello di Venezia

L’assunto di fondo del Giudice di primo grado è che «tutti beni che vengano ad esistenza nel tempo di esecuzione del piano non solo vanno devoluti ai creditori (…), ma vanno loro devoluti nel rispetto delle cause di prelazione ai sensi dell’art. 2741 c. c.»: «l’art. 160/II l.f., così come il suo “precipitato erariale” 182ter l.f. (…) consentono il degrado del debito privilegiato, ma per l’ipotesi che il patrimonio del proponente(statico o dinamico, risultando la norma applicabile sia al concordato liquidatorio che a quello in continuità) sia incapiente». Conseguentemente, secondo il Tribunale, come nel concordato liquidatorio non è consentito che il proponente trattenga per sé alcuni beni, dovendoli tutti destinare alla soddisfazione dei creditori, nel concordato in continuità, una volta esclusa la liquidazione dei beni strumentali, è necessario devolvere ai creditori l’intero frutto della loro trasformazione, e destinarlo ai creditori nel rispetto dell’ordine dei privilegi. Il Tribunale patavino ha ritenuto che, nel caso di specie, il piano del proponente violava questo impianto normativo e ha pertanto dichiarato l’inammissibilità della proposta di concordato. Di avviso radicalmente opposto si è mostrato il Giudice del gravame, che ha invece ritenuto «di poter giungere alla conclusione che nel concordato in continuità è astrattamente possibile la falcidia dei creditori privilegiati, anche di quelli aventi privilegio generale», a condizione che «venga allegata dal proponente un’attesta­zione che fornisca un giudizio che sia quantomeno di equivalenza tra la provvista concordataria (vale a dire dell’attivo destinato al pagamento dei creditori con privilegio generale) e il risultato di una liquidazione fallimentare mediante la vendita a terzi dell’azienda in esercizio, sommato al valore dei beni eventualmente destinati alla cessione (in quanto non strumentali alla prosecuzione dell’attività aziendale)». Soddisfatta questa condizione, secondo la Corte, nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale (diretta) il maggior valore derivante dall’attuazione del piano concordatario, rispetto a quello dell’attivo esistente al momento della domanda, «co­stituisce un surplus concordatario che [continua ..]


4. La prospettiva economico-funzionale del concordato “in continuità”

La differente lettura delle norme di riferimento e le argomentazioni che sostengono le due decisioni, riflettono la diversa prospettiva da cui esse muovono: quella del Tribunale, solidamente poggiata sui cardini tradizionali della responsabilità patrimoniale; quella della Corte, più sostanzialmente incentrata sulla valutazione della funzione pratico-economica del concordato in continuità. Questi distinti angoli di visuale sono resi immediatamente percepibili da alcuni passaggi delle rispettive decisioni. Così, il Tribunale sottolinea incisivamente l’ordine logico seguito, per il quale «in primo luogo va rispettato il combinato disposto degli artt. 2740 e 2741 c.c.; (solo) se il patrimonio statico e dinamico del proponente non è capiente e vi è necessità di falcidiare il debito privilegiato speciale o mobiliare, detta falcidia può essere condotta nel rispetto degli art.li 160 e 182 ter l.f.». La Corte, a propria volta, osserva che la tesi del Tribunale finisce con lo «sbarrare la strada a un concordato in continuità che potenzialmente potrebbe essere migliorativo per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria fallimentare, nella quale, invero, (i) creditori privilegiati potrebbero anche rimanere incapienti». Un concetto, questo, che risulta rafforzato dall’ulteriore rilievo che una simile conclusione si pone «in controtendenza rispetto al maggior favore riconosciuto dal legislatore alla soluzione concordataria della crisi d’impresa rispetto a quella fallimentare». Un dato sicuro è che il favor per la regolazione concordataria della crisi, tanto nella legge fallimentare vigente, quanto, prospetticamente, nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCI), è volto a valorizzare l’istituto principalmente «quando esso valga a garantire la continuità aziendale», «finalizzata al recupero della capacità dell’impresa di rientrare, ristrutturata e risanata, nel mercato» [4] «e, per suo tramite, ricorrendone i presupposti, (…) altresì ad assicurare nel tempo una migliore soddisfazione dei creditori» [5]. Conforta questa conclusione un recente arresto del Supremo Collegio, il quale, sia pur con una motivazione non particolarmente approfondita, ha riconosciuto esplicitamente che l’unico caso in cui, in ambito [continua ..]


5. Il “valore del risanamento” e l’art. 2740, 1° comma, c.c.

I rilievi sviluppati nel paragrafo che precede pongono una prima questione di rilevanza centrale per gli ulteriori sviluppi del tema. Si tratta, infatti, di stabilire se, attraverso la proposta di concordato con continuità diretta [12], il debitore possa trattenere per sé una parte delle utilità (al limite, tutte quelle che eccedono l’ammontare potenzialmente ricavabile dalla liquidazione dei beni aziendali, da considerare come parametro su cui calcolare il minimale di soddisfazione dei creditori concorsuali) [13] derivanti dalla prosecuzione dell’attività oppure, al contrario, se egli sia tenuto a destinarle integralmente ai creditori concorsuali. In altre parole, occorre sciogliere il nodo del dibattito tra gli opposti punti di vista, che riguarda il quesito se il principio, sancito dall’art. 2740 c.c., della responsabilità patrimoniale del debitore [14] possa dirsi violato dal concordato con continuità aziendale soggettiva, tutte le volte in cui la relativa proposta preveda un pagamento non integrale (pur se migliorativo rispetto all’alternativa liquidatoria) per i creditori. La questione sorge dal fatto che, secondo la prospettiva prevalente, il concordato omologato (e non risolto) determina, ex art. 184 L. fall. (ora 117 CCI), l’estinzione (o, per altri, l’inesigibilità) del debito concorsuale e la sua sostituzione con l’obbli­gazione generata e conformata secondo i termini e le condizioni previsti dalla proposta concordataria approvata dalla maggioranza dei creditori [15]. In tal modo il debitore, se da un lato beneficia dell’effetto esdebitatorio tipico del concordato, dall’altro certamente non risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, né «presenti» al momento dell’apertura della procedura (perché rimane titolare dell’azienda), né «futuri» (perché i beni successivamente acquisiti e la ricchezza prodotta dalla gestione vanno a beneficio dei creditori concorsuali non integralmente, ma soltanto nei limiti di quanto previsto nella proposta) [16]. L’ostacolo prospettato è superabile da chi aderisca alla soluzione più radicale [17] che afferma l’inconferenza del richiamo al principio sancito dall’art. 2740 c.c. ove riferito al concordato preventivo con destinazione parziale dei beni e delle utilità [continua ..]


6. Le regole di distribuzione del “valore di risanamento”

La prosecuzione del discorso può adesso rivolgersi all’ulteriore questione, affrontata dalle decisioni in esame, delle regole di distribuzione di questo surplus con­cordatario tra creditori privilegiati e creditori chirografari (e tra creditori muniti di differenti titoli di prelazione). La tematica è, evidentemente, quella della possibilità di derogare alle norme contenute nell’art. 2741 c.c. e nell’art. 160, 2° comma, L. Fall. (che, nel CCI, fatte salve alcune varianti, trova il suo pendant nell’art. 85, 6° e 7° comma) [25]. Nella vicenda che ne occupa il Tribunale ha escluso che ciò possa avvenire, configurandosi altrimenti una violazione delle regole del concorso. La Corte d’Appello è, invece, pervenuta all’opposta conclusione. Gli argomenti reperibili nel panorama dottrinale a sostegno di quest’ultima soluzione sono, in estrema sintesi, i seguenti. Nel concordato in continuità soggettiva – si è appena detto – le prospettive di soddisfacimento dei creditori derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa devono essere necessariamente migliori rispetto a quanto gli stessi ricaverebbero dalla liquidazione fallimentare del patrimonio aziendale così come sussistente al momento della presentazione della domanda. Il valore ricavabile dalla predetta liquidazione, tuttavia, non costituisce soltanto la misura di comparazione, ai fini dell’art. 186-bis L. Fall. (e delle ricordate corrispondenti norme del CCI), della convenienza per i creditori della prosecuzione del­l’attività rispetto all’alternativa liquidatoria, ma altresì il parametro a cui fare riferimento per determinare, in ragione di quanto stabilito dall’art. 160, 2° comma, L. Fall. (e dalle sopra menzionate omologhe disposizioni del CCI), il valore minimo della possibile falcidia dei creditori muniti di privilegio, e, per quanto qui interessa, in particolar modo, di quelli assistiti dal privilegio generale mobiliare [26]. La proposta, d’altro canto, deve assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori rispetto a quello conseguibile dalla liquidazione, non la massima soddisfazione astrattamente prospettabile, e dunque la scelta del debitore di riservare a sé la parte di utilità derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa che eccede quel livello [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2020