L’inadempimento al concordato preventivo omologato ha sollevato di recente nella giurisprudenza la questione se sia possibile per i creditori concordatari far dichiarare il fallimento dell’imprenditore senza il preventivo esercizio dell’azione di risoluzione prevista dall’art. 186 L. Fall. Le sentenze qui annotate offrono lo spunto per esaminare gli argomenti dei due contrapposti orientamenti sui rapporti intercorrenti tra l’azione di risoluzione e il potere di chiedere l’accertamento dello stato di insolvenza dell’imprenditore inadempiente alla proposta concordataria omologata.
The failure of composition with creditors has recently raised in the jurisprudence the question of whether it is possible for the creditors to declare the bankruptcy of the entrepreneur without the prior exercise of the resolution action provided for by art. 186 L. Fall. The judgments noted here offer the opportunity to examine the arguments of the two opposing orientations on relations between the resolution action and the power to request the insolvency declaration of the defaulting entrepreneur of composition proposal.
Keywords: arrangement with creditors – "omisso medio" bankruptcy
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1. Il caso - 2. La giurisprudenza di legittimità sul fallimento c.d. omissio medio - 3. L’orientamento della giurisprudenza di merito: la necessità di una nuova insolvenza per nuovi debiti inadempiuti - 4. L’inadempimento alla proposta di concordato nel precedente della Corte cost. 2 aprile 2004, n. 106 - 5. L’azione di risoluzione del concordato preventivo inadempiuto: uno strumento che può condizionare l’accertamento dell’insolvenza dell’imprenditore? - 6. Il fallimento dichiarato per istanza dei creditori sorti successivamente alla pubblicazione del decreto che dispone l’ammissione alla concordato preventivo - NOTE
Le sentenze in epigrafe affrontano la questione della dichiarabilità del fallimento dell’impresa in corso di esecuzione del concordato preventivo omologato. Le due sentenze si denotano per giungere a soluzioni interpretative che appaiono porsi in contrasto con recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità. Nel caso affrontato dalla Corte d’Appello di Firenze veniva revocato il fallimento di una società, promosso su istanza del P.M., dichiarato in corso di esecuzione del concordato preventivo omologato. L’istanza del P.M. si basava sulle relazioni ex art. 185 L. Fall. redatte dai commissari giudiziali, dalle quali emergeva l’inadempimento alle obbligazioni concordatarie in ragione della difficoltà di liquidare i beni aziendali, motivo per cui non era stato possibile il reperimento delle risorse necessarie per adempiere la proposta di concordato nel termine previsto. La società convenuta si era costituita eccependo l’impossibilità di dichiarare il fallimento senza aver prima richiesto ed ottenuto la risoluzione dello stesso. Nel caso affrontato dal Tribunale di Ancona, invece, un creditore, premettendo che la società debitrice non aveva rispettato i tempi di adempimento previsti nella proposta di concordato preventivo omologato, aveva chiesto al Tribunale di risolvere ex art. 186 L. Fall. il concordato preventivo e, conseguentemente, di dichiararne il fallimento. La società si costituiva in giudizio eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità dell’istanza di risoluzione del concordato preventivo per decorso del termine annuale sancito dall’art. 186 L. Fall. decorrente dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato; eccepiva altresì che il termine per domandare la risoluzione del concordato preventivo omologato era ormai decorso per superamento dell’annualità prevista dall’art. 186 L. Fall. In entrambi i casi l’istanza di fallimento è stata dichiarata improcedibile. Secondo le due pronunce di merito la dichiarazione di fallimento senza previa risoluzione del concordato omologato non sarebbe ammissibile. Il percorso logico – argomentativo seguito sia dalla Corte d’Appello di Firenze, che dal Tribunale di Ancona, muove dal presupposto che i debiti concordatari (i.e. le obbligazioni risultanti dall’omologazione ex art. [continua ..]
Le sentenze in epigrafe affermano espressamente di non condividere le due recenti sentenze della giurisprudenza di legittimità in tema di fallimento c.d. omissio medio [1]. Tale tema è stato affrontata per la prima volta dalla Cassazione con la sentenza della Sez. VI, 17 luglio 2017, n. 17703 che ha affermato il principio secondo cui il creditore può presentare istanza di fallimento a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo qualora intenda far valere il credito insoddisfatto nella misura falcidiata dalla proposta. Le Corte di Cassazione ha affermato che non sussistono preclusioni alla dichiarazione di fallimento di società in corso di esecuzione del concordato preventivo omologato ove si deduca l’inadempimento dei debiti già sussistenti alla data del ricorso L. Fall., ex artt. 160-161 e modificati per effetto del decreto di omologazione. Secondo la Corte di cassazione l’istanza di fallimento esperita dal creditore costituisce legittimo esercizio della propria autonoma iniziativa (che trova fondamento nell’art. 6 L. Fall.) e non può ritenersi ostacolata dalla disposizione dell’art. 184 L. Fall. Dunque, l’istanza di fallimento è procedibile a prescindere dalla risoluzione del concordato preventivo, il cui giudizio andrebbe attivato – previamente o concorrentemente – solo se l’istante volesse far valere non il credito nella misura ristrutturata (e dunque falcidiata) ma in quella originaria. Il solco tracciato dalla suddetta sentenza è stato percorso a distanza di poco tempo anche dalla Cass. civ., Sez. VI, 11 dicembre 2017, n. 29632 secondo cui la circostanza obiettiva del mancato adempimento delle obbligazioni concordatarie (nel caso di specie si trattava di un concordato fallimentare) è unicamente ciò che rileva per ottenere l’instaurazione di una nuova istruttoria pre-fallimentare. Ai fini della valutazione dei presupposti per la dichiarazione di fallimento le obbligazioni non regolarmente adempiute su cui fondare il giudizio di accertamento dello stato insolvenza, sono quelle ristrutturate a seguito dell’omologazione, oltre ad altre ovviamente sopravvenute in corso di esecuzione. Quest’ultima sentenza precisa, altresì, che non sussiste un automatismo tra inadempimento parziale del concordato preventivo e nuova dichiarazione di insolvenza. Secondo la sentenza di legittimità [continua ..]
Nella giurisprudenza di merito, tra cui le sentenze qui annotate, è ravvisabile un orientamento contrario al recente orientamento di legittimità, che esclude la possibilità per il creditore concordatario (i.e. colui che subisce gli effetti dell’art. 184 L. Fall.) di far dichiarare il fallimento della società se non sia stato preventivamente risolto il concordato preventivo [2]. Secondo tale orientamento lo stato di insolvenza che ha dato luogo alla procedura concordataria verrebbe definitivamente rimosso per effetto (esdebitatorio) dell’omologazione; da ciò discenderebbe che l’impresa non può essere dichiarata fallita se non sulla scorta di una nuova insolvenza generatasi per effetto di obbligazioni contratte successivamente all’omologazione e rimaste inadempiute. Tale orientamento si fonda sul presupposto che i debiti concordatari (i.e. le obbligazioni ristrutturate ai sensi dell’art. 184 L. Fall.) non possono essere qualificati come nuove obbligazioni rispetto ai debiti ammessi al concordato (sulla base dell’elenco depositato dall’imprenditore ai sensi dell’art. 161 L. Fall.), pertanto, l’inadempimento alla proposta concordataria non può essere valorizzato quale nuova insolvenza rispetto a quella esaminata nella fase di ammissione della procedura concordataria. La dichiarazione di fallimento c.d. omisso medio andrebbe riservata alla sola ipotesi di un nuova insolvenza derivante dai nuovi debiti contratti in corso di esecuzione del piano di concordato preventivo.
La questione dei rimedi esperibili contro l’inadempimento alla proposta di concordato preventivo è stata affrontata anche dalla Corte costituzionale con la sentenza 2 aprile 2004, n. 106 [3]. Come noto, la Corte costituzionale ha affrontato la questione – dichiarandola infondata – della prospettata incostituzionalità degli artt. 137, 184 e 186 L. Fall. in relazione agli artt. 3, 24 e 41 Cost. avanzata dal giudice rimettente secondo cui l’assenza della risoluzione del concordato preventivo impedirebbe la dichiarazione di fallimento. Nel pronunciare la declaratoria di rigetto la Corte costituzionale ha affermato che «una lettura delle norme impugnate conforme a Costituzione non preclude all’interprete di giungere all’opposta conclusione che – ferma l’obbligatorietà del concordato per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura – anche in assenza della risoluzione del concordato possa giungersi non soltanto ad una dichiarazione di fallimento “in consecuzione”, ma anche ad una “autonoma” dichiarazione di fallimento». La Corte costituzionale quindi avrebbe onerato l’interprete di verificare, in concreto, se l’inadempimento dei crediti anteriori alla proposta concordataria possa dare origine ad nuova insolvenza, quindi non escludendo a priori tale possibilità.
Seguendo l’interpretazione offerta dalla sentenza della Corte cost. n. 106/2004 è quindi opportuno esaminare il caso concreto sotteso alle sentenze di merito in epigrafe. Le sentenze di merito annotate ritengono improcedibile l’istanza di fallimento avanzata dal creditore concordatario e dal P.M. quale rimedio all’inadempimento delle obbligazioni concordatarie, in quanto non preceduta dalla risoluzione del concordato preventivo [4]. Il creditore che ha subito gli effetti dell’omologazione del concordato preventivo in caso di inadempimento dell’impresa agli impegni assunti dovrebbe chiedere ed ottenere la risoluzione del concordato preventivo omologato e, contestualmente o successivamente, richiedere il fallimento dell’impresa. Occorre però porre l’attenzione sulla particolarità del caso sottesa alla decisione del Tribunale di Ancona. Nel caso di specie un creditore concordatario aveva agito per la risoluzione del concordato preventivo oltre il termine decadenziale di cui all’art. 186, 3° comma, L. Fall. richiedendo contestualmente la declaratoria di fallimento. Secondo il Tribunale di Ancona, stante l’impossibilità di dichiarare la risoluzione del concordato preventivo per decorrenza del termine ex art. 186, 3° comma, L. Fall. l’istanza di fallimento avanzata dal creditore concordatario era improcedibile e, di conseguenza, non sussisteva la possibilità di procedere alla dichiarazione di fallimento. Muovendo l’esame proprio in ordine alla domanda di fallimento avanzata dal creditore concordatario, ovvero, dal P.M. nel momento in cui tutti i creditori concordatari siano già decaduti dall’azione di risoluzione per decorrenza del termine annuale di cui all’art. 186, 3° comma, L. Fall. [5], si può osservare come le argomentazioni della giurisprudenza di merito volte ad escludere la procedibilità dell’azione ex art. 6 L. Fall. non appaiano, a ben vedere, convincenti. Secondo la giurisprudenza di merito nell’ipotesi del concordato inadempiuto e non più risolubile, c.d. ineseguito [6], sussisterebbe la facoltà dei creditori, di agire in executivis sui beni del debitore a tutela delle rispettive ragioni creditorie [7], restando precluso l’esercizio dell’azione esecutiva concorsuale [8]. Tale preclusione si fonderebbe sull’assunto che il [continua ..]
Si è dunque osservato che il combinato disposto degli artt. 168 e 184 L. Fall. pone in capo ai creditori concordatari il divieto di intraprendere azioni esecutive individuali nei confronti dell’impresa ammessa in concordato, fino a che non si verifichi l’inadempimento agli impegni assunti con l’omologazione della proposta di concordato preventivo [22]. Al contrario, i creditori le cui pretese abbiano origine per titolo o causa perfezionatesi successivamente alla suddetta pubblicazione – secondo l’orientamento di merito qui annotato – sarebbero estranei alla procedura concordataria e come tali non sarebbero vincolati da alcun divieto ad esercitare le azioni volte al soddisfacimento dei propri crediti nei confronti dell’impresa soggetta a concordato preventivo. Questi ultimi sarebbero legittimati ad agire per la declaratoria di fallimento dell’impresa sia in pendenza del termine per l’adempimento delle obbligazioni concordatarie, sia in pendenza del termine per l’esercizio dell’azione di risoluzione ex art. 186, 3° comma, L. Fall. Va tuttavia osservato che secondo l’orientamento della dottrina tradizionale [23] i creditori sorti successivamente al decreto che dispone l’ammissione ex art. 162 L. Fall. dell’impresa alla procedura di concordato preventivo, compresi quelli divenuti tali successivamente all’omologazione del concordato – le cui pretese sarebbero prededucibili in caso di successivo fallimento (art. 111, 2° comma, L. Fall.) in quanto crediti sorti “in occasione o in funzione” del concordato – subirebbero un effetto “limitativo” delle loro aspettative di soddisfacimento, posto che dovrebbero soggiacere al vincolo di destinazione impresso ai beni di cui il piano concordatario prevede, quanto meno, la cessione. In altri termini, i creditori sorti successivamente all’apertura della procedura di concordato preventivo non potrebbero compiere atti volti a disperdere il patrimonio del debitore e ad ostacolare la realizzazione del piano concordatario, aggredendo il patrimonio “segregato” destinato alla liquidazione e ledendo la par condicio dei creditori concorsuali [24]. Seguendo tale ricostruzione, allora, i creditori sorti successivamente all’apertura della procedura di concordato preventivo che lamentassero il sopravvenuto stato d’insolvenza [continua ..]