Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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I lineamenti del nuovo concordato preventivo (di Edgardo Ricciardiello)


Il travagliato percorso di riforma della legge fallimentare ha visto finalmente il proprio epilogo attraverso il varo del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza lo scorso 15 luglio 2022. Sul piano definitorio, occorre effettuare una nuova classificazione o definizione: il concordato preventivo rientra oggi ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2, lett. m-bis) tra gli «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza» ovvero «le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi». Al di là del mutato lessico si coglie a livello sistematico la collocazione del concordato tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza ovvero quelli che privilegiano la continuità aziendale a scapito della liquidazione che diviene sempre più recessiva e condizionata all’insuccesso di altri strumenti che tutelano la continuità aziendale. Molteplici sono le novità introdotte dal nuovo CCII: in primo luogo l’espresso favor per il concordato con continuità aziendale anziché quello liquidatorio; l’effetto non più automatico delle misure protettive passandosi dalla automatic stay ad un sistema basato sulla domanda del debitore che vede procedimentalizzare da parte del tribunale la concessione e revoca delle misure protettive. La previsione del classamento obbligatorio dei creditori (e dell’unanimità delle classi) nel concordato con continuità aziendale con previsione di un ruolo importante dei soci ai fini della ristrutturazione aziendale.

Structure of the new arrangement

The troubled path of reform of the bankruptcy law finally saw its epilogue with the launch of the Corporate Crisis and Insolvency Code on 15 July 2022. On the definitional level, a new classification or definition must be made: the arrangement with creditors today falls within the meaning and for the purposes of art. 2 letter) m-bis) among the «instruments for regulating the crisis and insolvency» or «the measures, agreements and procedures aimed at the recovery of the company by modifying the composition, status or structure of its assets and liabilities or capital, or aimed at liquidating assets or assets which, at the request of the debtor, can be preceded by the negotiated settlement of the crisis Beyond the changed vocabulary, the placement of the concordat is systematically understood among the instruments for regulating the crisis and insolvency, i.e. those that favor business continuity to the detriment of liquidation which becomes increasingly recessive and conditioned to the failure of other instruments. which protect business continuity». There are many innovations introduced by the new CCII: first of all the express favor for the arrangement with business continuity instead of the liquidation one; the no longer automatic effect of protective measures passing from automatic stay to a system based on the debtor’s request which sees the court granting and revoking protective measures procedurally. The provision of the obligatory classification of creditors (and unanimity of the classes) in the arrangement with business continuity with provision of an important role for the shareholders for the purposes of corporate restructuring.

SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Finalità e presupposti del nuovo concordato preventivo - 3. Concordato in continuità e concordato liquidatorio - 4. Il contenuto del piano - 5. Le misure protettive e cautelari - 6. Classificazione obbligatoria e facoltativa - 7. La nuova transazione fiscale - 8. Il voto nel concordato


1. Introduzione.

Dopo un tormentato percorso di riforma lo scorso 15 luglio 2022 è entrato in vigore il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (in seguito per brevità CCII) [1]. Il lungo periodo intercorso tra l’emanazione del CCII nella sua prima versione ad opera del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (che dava attuazione alla legge delega 19 ottobre 2017, n. 155) e la sua definitiva entrata in vigore (per effetto del recepimento della Direttiva Insolvency ad opera del D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83) ha consentito, senza dubbio, al legislatore di recepire la Direttiva Insolvency UE/1123/2019 (il cui recepimento è stato prorogato al 17 luglio 2022) ed adeguare l’ordinamento giuridico italiano ai principi ivi delineati. Nel corpus normativo del CCII, a parte la discutibile scelta di non intervenire in maniera organica sulla disciplina della amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, si coglie pienamente l’influenza della Direttiva Insolvency. Di fatti l’ordinamento giuridico italiano non solo adegua al diritto unionale gli istituti già esistenti (fallimento, concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione dei debiti) ma, sulla spinta del legislatore europeo, conia nuovi istituti aventi la precipua finalità di soddisfare l’esigenza di preservazione della continuità aziendale che sembra assurgere, nel nuovo contesto normativo, a valore primario della riforma, relegando così la liquidazione giudiziale ad estremo rimedio. Il CCII quasi ergendosi a “testo unico della crisi e dell’insolvenza” contempla al suo interno insieme alle tradizionali procedure concorsuali istituti caratterizzati da una forte connotazione negoziale, nella convinzione che l’imprenditore in crisi, sulla base del principio di autoresponsabilità, debba prendere atto del deterioramento della propria condizione patrimoniale e finanziaria ed accedere senza indugio ad uno degli strumenti messi a disposizione dell’ordinamento. La direzione intrapresa, del resto, appariva chiara già a seguito delle riforme che dal 2015 in poi avevano caratterizzato la legge fallimentare che si era arricchita, proprio con riferimento alla disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, di nuove disposizioni dedicate alla continuità aziendale il cui perseguimento veniva incentivato attraverso importanti interventi sulla [continua ..]


2. Finalità e presupposti del nuovo concordato preventivo

In primo luogo, sul piano definitorio, occorre effettuare una nuova classificazione o definizione: il concordato preventivo rientra oggi ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2, lett. m-bis) tra gli «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza» ovvero «le misure, gli accordi e le procedure volti al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale, oppure volti alla liquidazione del patrimonio o delle attività che, a richiesta del debitore, possono essere preceduti dalla composizione negoziata della crisi». Al di là del mutato lessico – certamente preferibile ai “quadri di ristrutturazione” in sé sconosciuti alla tradizione giuridica italiana – si coglie a livello sistematico la collocazione del concordato tra gli strumenti di regolazione della crisi e dell’insol­venza ovvero quelli che privilegiano la continuità aziendale a scapito della liquidazione che diviene sempre più recessiva e condizionata all’insuccesso di altri strumenti che tutelano la continuità aziendale. Come è stato correttamente osservato, nel nuovo quadro normativo la continuità aziendale (diretta o indiretta) non rappresenta più il “mezzo” ma il “fine” stesso della procedura che consente, alla stregua dell’amministrazione straordinaria, la prosecuzione dell’attività di impresa in luogo del fallimento (i.e. liquidazione giudiziale) dell’imprenditore [1]. Non di minore importanza appare, inoltre, la collocazione dell’istituto della composizione negoziata della crisi quale presupposto seppure volontario dell’acces­so agli strumenti di matrice concorsuale. A livello strutturale appare certamente rilevante la previsione del concetto di fattibilità (oltre che giuridica) anche economica come elemento attestativo del piano ai fini della sua stessa ammissibilità e omologabilità. Si evidenzia, inoltre, come il giudizio di fattibilità imponga un’indagine del Tribunale sull’idoneità dello strumento prescelto tra i “quadri di ristrutturazione” a consentire una composizione nell’am­bito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza [2]; mentre scompare il riferimento al [continua ..]


3. Concordato in continuità e concordato liquidatorio

Permane tuttora nell’impianto del CCII la distinzione tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio: trattasi, a ben vedere, tuttavia, di distinzione che non attiene ad un profilo definitorio e che, soprattutto, non inficia l’unitarietà dell’istituto ma è sottesa nella disciplina unitaria di apertura del concordato prevista dall’art. 47 CCII la quale stabilisce che «a seguito del deposito del piano e della proposta di concordato, il tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se già nominato, verifica: a) in caso di concordato liquidatorio, l’ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inettitudine del medesimo a raggiungere gli obiettivi prefissati; e b) in caso di concordato in continuità aziendale, la ritualità della proposta. La domanda di accesso al concordato in continuità aziendale è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali». Trattasi di distinzione che pare non destrutturare l’unicità disciplinare dell’istitu­to quanto relegare la stessa continuità ovvero la liquidazione a strumento piuttosto che fine che prescinde dagli interessi tutelati (tutela dei creditori o dell’impresa in sé); tema che pone immediatamente il problema della compatibilità, nell’attuale tessuto normativo, della liquidazione quale elemento funzionale alla continuità aziendale ma che sembrerebbe doversi risolvere in senso favorevole alla compatibilità tra profili liquidatori e gestori stante la scomparsa della regola della prevalenza. Tenuto conto dell’unità della struttura della disciplina del concordato applicabile ad entrambe le varianti è altresì innegabile che le disposizioni sulla continuità azien­dale tendano a fare emergere una species assai peculiare che parrebbe assumere prevalenza nel contesto generale dell’istituto per gli elementi di evidente favor che sono al suo interno previsti. In realtà, al di là della permanenza della dicotomia concordato in continuità-concordato liquidatorio si coglie da subito il superamento, rispetto al passato, delle finalità dell’istituto che non coincidono più con il solo [continua ..]


4. Il contenuto del piano

Il CCII in modo inedito rispetto alla legge fallimentare dedica un intero articolo al contenuto del piano (art. 87 CCII) e prevede sulla scia della legge fallimentare (art. 160, 1° comma, lett. a) che il piano concordatario possa avere molteplici contenuti quali «le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito» (art. 87, lett. e). Appaiono, di converso, innovative le previsioni di cui all’art. 87, lett. a) che obbliga il debitore di indicare nel piano lo stesso debitore ed eventuali parti correlate nonché la posizione dei lavoratori. Si tratta certamente di una previsione che va interpretata in via sistematica con l’obbligo per il debitore di agire in buona fede e correttezza (art. 4 CCII) anche al fine di fare emergere situazioni di conflitto di interesse ovvero interposizioni reali di persona che abbiano l’effetto di avvantaggiare il debitore indebitamente rispetto agli altri creditori. Seppure nella stesura finale la posizione dei livelli occupazionali risulti in qualche modo sfumata stante l’abbandono dell’originaria impostazione dello schema di legge che in modo rigido imponeva la conservazione di livelli occupazionali in misura pari ad almeno la metà di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso non va dimenticato che nelle finalità del concordato con continuità azien­dale come definito all’art. 84, 2° comma, CCII la «continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva nella misura possibile i posti di lavoro». Trattasi pertanto di indicazione che attiene ad una condizione di ammissibilità del piano e che persiste nella nuova disciplina. Non di minore rilievo le previsioni di cui alle lett. b) c) ed e) ove viene fatto obbligo al debitore di descrivere le cause e l’entità dello stato di crisi e l’indicazione delle strategie per porvi rimedio al fine della verifica, anche sulla base dell’obbligo previsto dalla lett. e) di redigere il piano industriale per assicurare il riequilibrio della situazione [continua ..]


5. Le misure protettive e cautelari

Le misure protettive (art. 2, lett. p), CCII) sono definite quali le misure temporanee richieste dal debitore al fine di evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza, anche prima dell’accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Diversamente, le «misure cautelari» (art. 2, lett. q) sono i provvedimenti emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore, che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente il buon esito delle trattative e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insol­venza e delle procedure di insolvenza. Si passa in tal modo dalla automatic stay prevista dalla legge fallimentare senza distinguo tra concordato preventivo e fallimento alla “stay selettiva non automatica” basata sul principio della domanda del debitore. Ciò significa che le misure protettive non riguardano indistintamente tutto il patrimonio del debitore ma solo quei beni e rapporti giuridici la cui aggressione da parte dei creditori individuali potrebbe compromettere l’esito delle trattative e degli effetti degli strumenti di regolazione della crisi. Per tale ragione il regime generale stabilito per le misure protettive prevede una loro durata massima anche non continuativa di dodici mesi inclusi eventuali rinnovi o proroghe (art. 8 CCII) [1]. La soggezione delle misure cautelari e protettive ad un procedimento giudiziale a cognizione piena consente al tribunale di valutare compiutamente lo stato delle trattative e le esigenze concrete (non dilatorie) dello strumento di regolazione della crisi attivato dal debitore. La concessione delle misure protettive non comporterà nella prospettiva del giudice piena discrezionalità qualora le misure richieste appaiano in concreto oggettivamente idonee a garantire il buon esito delle trattative e gli effetti dello strumento di regolazione della crisi prescelto. Occorre, tuttavia, segnalare anche quella che può essere considerata un’occasio­ne perduta: ovvero la possibilità secondo il modello del Bankruptcy Act statunitense che la legittimazione all’accesso alla procedura di concordato preventivo venisse attribuita non solo al debitore (come viene ribadito [continua ..]


6. Classificazione obbligatoria e facoltativa

Il nuovo art. 85 CCII è dedicato alla “suddivisione dei creditori in classi”. In assonanza con l’art. 160, 1° comma, lett. d), esso stabilisce che il piano possa prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse. Scompare, viceversa, il riferimento testuale alla suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei di cui all’art. 160, 1° comma, lett. c), L. Fall. Deve ritenersi che non si tratti di una dimenticanza del legislatore sol se si pensi che la classificazione dei creditori per stessa definizione (v. art. 2 CCII) comporta l’inclusione di portatori di interessi omogenei all’interno della stessa risultando ultronea la previsione normativa abrogata. La scelta del legislatore in sede di recepimento della Direttiva Insolvency UE/1023/2019 è stata, piuttosto, quella di lasciare al debitore più ampia libertà nel prevedere la creazione di classi di creditori differenziate senza rendere tuttavia obbligatoria la loro formazione. Ma, a certe condizioni, il classamento diviene obbligatorio. Tenuto conto della Raccomandazione contenuta nel Considerando 44 della Direttiva il legislatore italiano si è adeguato al diritto unionale prevedendo all’art. 85, 2° comma, che la classificazione dei creditori divenga obbligatoria in caso di trattamento riservato ai creditori titolari di crediti tributari o previdenziali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento ovvero per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi e per i creditori che non vengano soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro e per i creditori proponenti il concordato per le parti ad essi correlate. Si tratta di una scelta condivisibile, dettata dalla necessità di tenere separate e distinte le posizioni di creditori portatori di interessi del tutto disomogenei quali gli enti previdenziali e tributari; ovvero di creditori che vengono soddisfatti con mezzi diversi dal danaro; ovvero, infine, di coloro che propongono la domanda di concordato e le parti ad esse correlate. Di qui anche la funzione informativa delle classi. Il Considerando 44 della Direttiva stabilisce che «[…] come minimo, i creditori garantiti e quelli non garantiti dovrebbero essere sempre trattati in classi distinte. Gli Stati membri tuttavia dovrebbero poter esigere che [continua ..]


7. La nuova transazione fiscale

La nuova disciplina della transazione fiscale prevista dall’art. 182-ter L. Fall., è confluita nell’art. 88 CCII con l’importante novità prevista dal 2°-bis comma introdotto in sede di recepimento della Direttiva Insolvency ai sensi del quale il «tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria»; l’altra concerne l’incipit del citato art. 88, in base al quale le disposizioni in esso previste si applicano «Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2, […]». La nuova formulazione della disciplina del concordato con transazione fiscale prevede che il tribunale omologhi il concordato anche in assenza di adesione (eliminato l’originario riferimento al voto che avrebbe imposto una dichiarazione di volontà che si voleva viceversa evitare alla luce della prassi applicativa che vedeva di sovente l’amministrazione finanziaria silente) quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza dei crediti ammessi al voto e sulla base della relazione dell’attestatore risulta che la proposta di soddisfacimento della amministrazione finanziaria o degli enti gestori della previdenza «è conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria». Il cram down si fonda, pertanto, su di un giudizio non di miglior soddisfacimento ma, al contrario, di non minore convenienza rispetto all’ipotesi liquidatoria. La stessa ratio ispira anche il 2° comma del medesimo art. 88 che stabilisce che «L’attestazione del professionista indipendente, relativamente ai crediti tributari e contributivi, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la [continua ..]


8. Il voto nel concordato