La nota esamina il profilo dell’accesso alla composizione negoziata della crisi e della conferma delle misure protettive richieste dal debitore. Entrambe le istanze vengono rigettate dal giudice stante la pendenza di una procedura di liquidazione giudiziale a carico della società debitrice, conseguente al ricorso avanzato da uno dei suoi creditori, in linea con quanto dettato dall’art. 25 quinquies del “codice della crisi e dell’insolvenza dell’impresa”.
The essay examines the access to the procedure of negotiated solution of the crisis and granting of the asset protection measures requested by the debtor. The judge’s refusal is based on a previous instance of bankruptcy by one of the company’s creditors, in accordance with the rule of § 25 quinquies of “Code of Corporate Crisis and Insolvency”.
1. La decisione - 2. La pendenza della domanda di liquidazione giudiziale ed il diniego di accesso alle misure protettive - 3. La formulazione dell’art. 25 quinquies c.c.i.i.: tra interpretazione letterale e interpretazione sistematica. Conseguenze applicative - NOTE
La vicenda relativa al provvedimento, che qui brevemente si annota, ha ad oggetto l’istanza presentata da una società cooperativa edile per l’accesso alla composizione negoziata della crisi, con connessa richiesta di conferma delle misure protettive ritenute necessarie per condurre a termine le trattative con il ceto creditorio; misure, però, negate dal giudice delegato in ragione della pendenza di un ricorso presentato da un creditore della società per ottenerne la liquidazione giudiziale. Pertanto, il Tribunale palermitano ha, da un lato, rigettato l’istanza presentata ex art. 18 c.c.i.i. e, dall’altro, revocato le misure protettive precedentemente pubblicate nel registro delle imprese. Più in particolare, l’ordinanza in commento assume, sulla scorta della disposizione codicistica di cui all’art. 25 quinques c.c.i.i., che sia inibito l’accesso alla composizione negoziata della crisi (invero, con particolare riferimento alla conferma delle misure protettive pubblicate), nell’ipotesi in cui risulti pendente uno qualsiasi dei procedimenti tra quelli indicati dall’art. 40 c.c.i.i., e cioè, nel caso di specie, dalla preesistenza della domanda giudiziale di un creditore della società per l’apertura della procedura concorsuale di liquidazione giudiziale.
Dalle iniziali premesse emerge come l’interpretazione offerta dal Tribunale palermitano acquisti una diversa valenza rispetto alla maggior parte delle decisioni giurisprudenziali al momento edite, che, per lo più, hanno negato la conferma o disposto la revoca delle misure protettive in ragione della valutazione delle caratteristiche dell’insolvenza, ritenendo a tal fine determinante la sussistenza di uno stato di insolvenza “irreversibile” [1], da ciò potendo derivare una valutazione sulla inidoneità dello strumento ai fini presupposti dalla legge [2]. L’ordinanza in commento finisce per prescindere da ogni valutazione in merito all’idoneità pratica dello strumento negoziale prescelto dal ricorrente al fine di realizzare il proprio risanamento, affermando che, a fronte della pendenza di una precedente domanda di liquidazione giudiziale, risulta precluso alla società debitrice l’accesso allo strumento della composizione negoziata; e, in particolare, alle misure protettive del proprio patrimonio aziendale, che, nella stessa prospettiva assunta dal legislatore, restano elemento determinante – se non essenziale – per l’utile prosieguo delle trattative [3]. L’interpretazione prescelta dal giudicante, insomma, sembra recepire l’opinione dottrinale secondo la quale, in presenza di pendenti domande volte all’apertura della liquidazione giudiziale od all’accertamento dello stato di insolvenza, l’istanza di nomina dell’esperto dovrebbe ritenersi inammissibile; con conseguente impossibilità, da parte dell’imprenditore interessato, di fare ricorso alle misure protettive [4]. Il provvedimento in epigrafe, pur richiamando in motivazione l’effetto preclusivo innanzi detto, non assume alcuna determinazione in ordine al procedimento di composizione negoziata, ritenendo prevalente la “natura amministrativa” dello stesso, che, in quanto tale, sfuggirebbe al sindacato giurisdizionale. È evidente, però, che, in costanza di un così “forte” provvedimento, l’esito scontato è l’accertamento negativo circa le concrete prospettive di risanamento e di ritorno in bonis dell’impresa, con conseguente archiviazione dell’istanza [5].
Si pone, pertanto, la necessità di sviluppare (seppur brevemente) qualche considerazione sul risultato cui è pervenuta l’ordinanza in commento, muovendo proprio dall’interpretazione “letterale” dell’art. 25 quinquies c.c.i.i., che – com’è noto – dispone che l’istanza di accesso alla misura della composizione negoziata “non può essere presentata dall’imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con ricorso depositato ai sensi dell’articolo 40, anche nelle ipotesi di cui agli articoli 44, comma 1, lettera a), 54, comma 3, e 74”. Orbene, il principale problema ricostruttivo sta nel fatto che se, da un lato, la previgente normativa prendeva in considerazione la sola pendenza del procedimento di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e di quello di ammissione alla procedura del concordato preventivo, anche “in bianco” (art. 23, comma 2, L. n. 147/2021) [6]; dall’altro, l’attuale norma in materia di limiti di accesso alla composizione negoziata, rimanda, sic et simpliciter, alla pendenza di un ricorso presentato ai sensi dell’art. 40 c.c.i.i. e, pertanto, anche a quello eventualmente finalizzato all’accesso alla procedura di liquidazione giudiziale, a prescindere dal soggetto istante. Il che, però, sembra aver ampliato solo apparentemente i limiti di accesso alla composizione negoziata, come disciplinati dalla previgente normativa. Ciò premesso, se si guarda alle ragioni che hanno portato il legislatore ad adottare quella formulazione, può facilmente riscontrarsi che il limite dell’accesso al procedimento di composizione negoziata della crisi è stato perimetrato con esclusivo riferimento al precedente utilizzo, da parte dello stesso debitore, di altri strumenti processuali, poiché ritenuti più congrui e coerenti rispetto alle concrete caratteristiche della propria crisi (finanziaria, economica o patrimoniale) e, perciò, maggiormente funzionali al suo superamento. In sostanza – come si legge nella “relazione illustrativa” che accompagna il D.L. n. 118/2021 – l’istanza di nomina di un esperto indipendente resta preclusa laddove sussista l’accesso ad un diverso strumento processuale che già preveda la nomina di un professionista qualificato (nomina del commissario giudiziale nelle [continua ..]