Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Risoluzione del concordato preventivo e interesse ad agire (di Alessandra Zanardo, Professoressa associata di Diritto commerciale nell'Università Ca’ Foscari Venezia)


Il presente commento analizza due interessanti questioni su cui si è soffermata, in una recente ordinanza, la Corte Suprema di Cassazione: l’una attinente all’applicabilità, nell’interpre­tazione della proposta di concordato preventivo, delle regole dettate dall’art. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione del contratto; l’altra – più controversa – concernente l’applicazione, all’azione di risoluzione del concordato ex art. 186 L. Fall., dell’art. 100 c.p.c., con conseguente necessità, per il giudice adito, di accertare la sussistenza della condizione dell’azione dell’interesse ad agire.

Termination of a composition with creditors agreement and interest in bringing proceedings

This commentary analyses two interesting issues addressed by the Italian Supreme Court of Cassation in a recent decision. The first issue concerns the applicability of the rules on the interpretation of contracts set out in Article 1362 et seq. of the Italian Civil Code to the interpretation of the proposal for a composition with creditors (concordato preventivo); the other – more controversial – concerns the application of Article 100 of the Italian Code of Civil Procedure to the action for termination of a composition agreement provided for in Article 186 of the Bankruptcy Law, with the consequent need for the court to establish the existence of an interest in bringing the action.

MASSIMA: Le disposizioni sull’interpretazione dei contratti (art. 1362 e ss. c.c.) trovano applicazione anche con riguardo al concordato preventivo, la cui forza di legge nella regolazione dell’insolvenza si fonda innanzitutto (quantunque non solo) sull’incontro delle volontà del debitore e dei creditori concorsuali. L’interpretazione del concordato si svolge essenzialmente sulla scorta del contenuto della proposta del debitore, posto che i creditori – costituiti in comunità forzosa che delibera a maggioranza – si limitano normalmente ad accettare o rifiutare la proposta come confezionata dal debitore e già sottoposta al primo vaglio di ammissibilità del tribunale (massima non ufficiale). PROVVEDIMENTO: (Omissis). La società (omissis) propose ai suoi creditori – con ricorso al Tribunale di Roma in data 13.6.2006, poi integrato in data 9.10.2006 – un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo ingente patrimonio, prevalentemente immobiliare. La proposta venne approvata dai creditori e il Tribunale di Roma omologò il concordato in data 28.6.2007. In data 23.11.2016, (omissis) – creditrice chirografaria rimasta del tutto insoddisfatta – presentò ricorso per la risoluzione del concordato e la dichiarazione di fallimento, che venne accolto dal tribunale con sentenza del 18.8.2017. Contro tale decisione (omissis) propose reclamo, lamentando il mancato accoglimento, da parte del tribunale, delle eccezioni di decadenza dall’azione di risoluzione del concordato e di carenza di interesse ad agire in capo a (omissis). Quest’ultima resistette al reclamo, così come la curatela del dichiarato fallimento. La Corte d’Appello di Roma respinse il reclamo. Contro la sentenza (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. (Omissis) 1. Il primo motivo di ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte d’Appello di Roma non applicato alla fattispecie la norma di cui all’art. 186 legge fall. (in relazione all’art. 160 legge fall.) la quale stabilisce che l’azione di risoluzione del concordato preventivo non può essere promossa oltre un anno dalla scadenza dell’ultimo adempimento previsto dal concordato e ciò in violazione dell’art. 1362 c.c. in tema di interpretazione dei contratti». Occorre chiarire che il punto focale della censura è l’asserita violazione dell’art. 1362 c.c., posto che non sorge alcun dubbio sull’interpretazione e sull’applicazione dell’art. 186 legge fall. e del suo rinvio all’art. 137 legge fall. (applicabile, nel caso di specie, nel testo vigente prima della modifica apportata dal d.lgs. n. 169 del 2007, il che, tuttavia, non determina differenze di contenuto normativo, come [continua..]
SOMMARIO:

1. Inquadramento delle fattispecie - 2. L’interpretazione della proposta di concordato preventivo - 3. Risoluzione del concordato per inadempimento e interesse ad agire: la discutibile posizione della Suprema Corte - 4. Ulteriori dubbi sull’efficacia delle argomentazioni contenute nell’ordi­nanza della Cassazione - NOTE


1. Inquadramento delle fattispecie

La pronuncia della Suprema Corte si sofferma essenzialmente su due questioni [1], entrambe meritevoli di essere commentate e discusse [2]. La prima, sulla quale si concorda con le conclusioni della Cassazione – che a sua volta non si discosta dal­l’opinione diffusa tra gli interpreti – attiene alla possibilità di applicare, nel­l’in­terpretazione della proposta di concordato preventivo, le regole dettate dall’art. 1362 c.c. e seguenti per l’interpretazione del contratto. Nel caso di specie, infatti, il giudice di merito aveva ritenuto, valorizzando il complesso dell’atto, che la proposta e il piano di concordato non contenessero l’indicazione della data dell’ultimo adempimento previsto in favore dei creditori sociali; circostanza che avrebbe consentito di far decorrere da detta data, anziché dall’esaurimento delle operazioni di vendita dei beni, l’anno per l’esercizio dell’azione di risoluzione ex art. 186 L. Fall. La seconda questione, che ha già avuto una certa eco sia in sede dottrinale che giurisprudenziale e su cui la posizione di chi scrive è invece difforme da quella assunta nell’ordinanza in commento, riguarda l’applicazione, all’azione di risoluzione del concordato, dell’art. 100 c.p.c., e quindi la necessità che il giudice adito accerti la sussistenza della condizione dell’azione dell’interesse ad agire ai fini dell’assun­zione di una decisione sul merito della controversia. Ci si limita ad aggiungere, prima di approfondire le due questioni, che nella vicenda in esame non è sorto alcun dubbio né sull’applicazione e interpretazione dell’art. 186 L. Fall.; né sulla correttezza della tesi, costituente in effetti orientamento consolidato, secondo cui, in assenza di indicazione nella proposta e nel piano di concordato del termine per l’ultimo pagamento previsto in favore dei creditori, il dies a quo per l’esercizio dell’azione decorre dall’esaurimento delle operazioni di liquidazione [3]. Quanto agli elementi fattuali, l’ordinanza in commento ha ad oggetto una sentenza della Corte d’Appello di Roma, la quale respingeva il reclamo proposto avverso una sentenza che accoglieva un ricorso per la risoluzione di un concordato preventivo e la dichiarazione di fallimento della società debitrice, [continua ..]


2. L’interpretazione della proposta di concordato preventivo

La prima censura mossa dal ricorrente nei confronti della sentenza della Corte d’Appello di Roma riguarda la (asserita) violazione dell’art. 1362 c.c., in quanto la Corte non avrebbe interpretato gli atti predisposti dal debitore – in particolare la memoria integrativa del ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo – secondo il senso letterale delle parole. In realtà, come sottolinea la Suprema Corte, l’art. 1362 c.c., rubricato «Intenzione dei contraenti», stabilisce che, nell’interpretare il contratto, si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, mentre l’articolo immediatamente successivo (art. 1363 c.c.) prevede che le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto. E così ha fatto il giudice di secondo grado «nella doverosa indagine sulla “comune intenzione delle parti”» [5]. Ciò che però maggiormente interessa degli argomenti sviluppati della Suprema Corte non è se – o, meglio, non è tanto se – l’interpretazione della Corte d’Appello fosse censurabile per non aver essa correttamente applicato l’art. 1362 c.c. (o l’art. 1363 c.c.); quanto piuttosto valutare se sia corretto e conferente attingere alle disposizioni in materia di interpretazione del contratto per chiarire il contenuto del(la proposta di) concordato preventivo. L’elemento negoziale, pur integrato dalla dimensione processuale (che invero emerge senz’altro rafforzata dalle riforme degli ultimi anni [6]), connota indefettibilmente il concordato preventivo [7], i cui effetti esdebitatori presuppongono – ferma restando la necessità dell’omologazione del tribunale [8] – il previo raggiungimento di un accordo tra debitore e creditori anteriori. Esso, pertanto, giustifica il ricorso a regole dettate nell’ambito della disciplina dei contratti, specie quando si discuta del contenuto di ciò che si è concordato [9]: non è un caso che il legislatore si esprima – e continui a farlo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – in termini di “proposta” di concordato (cfr. art. 1326 ss. c.c.) [10], peraltro distinguendola [continua ..]


3. Risoluzione del concordato per inadempimento e interesse ad agire: la discutibile posizione della Suprema Corte

La seconda – e più rilevante – questione affrontata dalla Corte di Cassazione impone qualche riflessione in più. Gli ermellini, confermando la conclusione della Corte d’Appello di Roma, escludono che, ai fini della pronuncia di risoluzione del concordato preventivo, il giudice debba accertare l’esistenza della condizione dell’azione dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.). Ciò sulla scorta del fatto che, al di fuori dell’ipotesi in cui la legge indica solo genericamente il soggetto legittimato (riferendosi a qualsiasi interessato o avvalendosi di espressioni simili), l’interesse ad agire deve intendersi riferito esclusivamente all’utilità giuridica della tutela giudiziaria richiesta, ossia alla necessità di rivolgersi al giudice, che – sempre secondo la Corte – viene in discussione in casi particolari, come nelle azioni di mero accertamento e di condanna. Nel caso di specie, invece, l’art. 186 L. Fall. indica esattamente il soggetto legittimato ad agire in giudizio e il presupposto dell’azione; sicché non residuerebbe alcuno spazio per il sindacato dell’interesse ad agire del soggetto legittimato dalla legge. Si ricorda che i giudici di appello, alla cui conclusione la Suprema Corte aderisce seppur senza richiamarne esplicitamente gli argomenti, avevano respinto l’eccezione di carenza di interesse del creditore istante affermando che per le azioni costitutive, categoria nella quale rientra l’azione di risoluzione, l’interesse ad agire è già previsto e predeterminato dal legislatore. Il ragionamento della Suprema Corte non convince [13]. È senz’altro vero, com’è stato più volte osservato dalla giurisprudenza di legittimità, che l’interesse ad agire sussiste quando la parte, attraverso l’azione in giudizio, può conseguire un risultato giuridicamente rilevante o apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice [14]; ed è altresì vero che l’interesse di cui trattasi non è l’interesse in senso economico, bensì il bisogno di tutela giurisdizionale [15]. Nondimeno – per usare le stesse parole della Cassazione – «l’interesse […] deve essere concreto ed attuale e non può mai risolversi nella mera aspettativa ad una pronuncia [continua ..]


4. Ulteriori dubbi sull’efficacia delle argomentazioni contenute nell’ordi­nanza della Cassazione

Per concludere queste brevi note di commento, è opportuno soffermarsi sugli ulteriori argomenti addotti dalla Cassazione in favore della superfluità dell’indagine sull’esistenza di un interesse ad agire per la risoluzione del concordato. In primo luogo, merita particolare attenzione il richiamo, operato nella sentenza della Corte d’Appello di Roma – non ripreso, esplicitamente, dalla Suprema Corte, ma con ogni probabilità sottinteso – alla natura costitutiva dell’azione di risoluzione, di cui si dà conto nell’ordinanza (v. punto 3). Il giudice di merito evidenzia che la domanda di risoluzione rientra tra le azioni costitutive, per le quali l’interesse ad agire, che nel caso di specie coincide con la riaffermazione del diritto controverso, è già previsto e predeterminato dal legislatore. È, in effetti, opinione diffusa nella dottrina giusprocessualistica che, in caso di giurisdizione costitutiva [33], l’interesse ad agire sia in re ipsa, ossia nell’afferma­zione del semplice fatto costitutivo del diritto alla modificazione giuridica o del diritto potestativo [34]. Tuttavia, le posizioni dottrinali sono meno granitiche e consolidate di quanto potrebbe sembrare: si ammette, infatti, o almeno non si esclude che, anche nell’ambito delle azioni costitutive, la nozione di interesse ad agire possa giocare un ruolo attivo, alla luce del più generale contesto in cui l’azione si colloca [35]. La stessa Corte di Cassazione, inoltre, in tempi (più) risalenti, aveva affermato che «non può essere condivisa […] l’affermazione della corte d’ap­pello, secondo cui per le azioni costitutive la sussistenza dell’interesse all’esperi­mento dell’azione è già stato positivamente valutato dal legislatore. Invero, come è stato autorevolmente affermato, “la tesi dell’irrilevanza, pur in linea di massima conforme all’id quod plerumque accidit nella dinamica dei processi costitutivi, non è tuttavia assolutizzabile e condivisibile nell’ampiezza della sua formulazione”; infatti, in concreto, quando l’interesse non sia collegato alla mera osservanza della legge […] può mancare la stessa possibilità di raggiungere quella utilità (nella specie la reintegrazione della garanzia patrimoniale) [continua ..]


NOTE