Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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(Ir)revocabilità della delibera di riformulazione della clausola di ribaltamento delle perdite (di Marina Spiotta, Professoressa associata nell'Università degli Studi del Piemonte Orientale)


Il commento, prendendo abbrivio dalla prima pronuncia di legittimità sulla non esperibilità dell’azione revocatoria ordinaria contro la delibera assembleare di una società consortile per azioni volta a trasformare in una mera facoltà il precedente obbligo dei soci di ripianare annualmente lo sbilancio tra costi e ricavi, cerca d’individuare un punto di equilibrio tra lo schermo della personalità giuridica e l’esigenza di tutela dell’affidamento dei creditori. L’A., premesso un breve inquadramento della “clausola di ribaltamento delle perdite” e dopo aver ripercorso, e sottoposto ad esame critico, i passaggi salienti della motivazione, si chiede se l’irrevocabilità degli atti organizzativi meramente interni sia in linea con gli artt. 3 c.c.i.i. e 2086 c.c. e non rischi di ritardare l’affer­mazione del novus homo oeconomicus preconizzato da tali norme.

(Ir)revocability of the modifying loss reverse clause shareholders' resolution

This paper is inspired by the first judgment of the Supreme Court on the impossibility of proceeding with the ordinary avoidance action against the resolution of the shareholders concerning the previous shareholders’ duty to cover the losses. In particular, the ruling is prominent as it allows, among others, to make a connection regarding the recent debate on the obligatory nature of the remedies against the company’s decisions (resolutions).

From this point of view, the Court tries to identify a balance between the “protective screen” of the legal personality of the company and the necessary creditors’ protection of legitimate expectations. The Author, after having outlined and critically examined the so-called “loss reverse clause” framework and the salient features of the motivation, raises the question on the effective irrevocability of the purely internal organizational acts in the light, among others, of the new Crisis and Insolvency Code (art. 3) and the civil provisions that derive from it (art. 2086 Civil Code).

MASSIMA: L’azione revocatoria di cui agli artt. 2901 ss. c.c. non può essere esercitata nei confronti di atti endosocietari di società dotate di personalità giuridica e, in particolare, di delibere modificative dello statuto, poiché tali atti – per i quali sussistono nella normativa societaria strumenti specifici che ne presidiano la legittimità – sono compiuti unicamente per la gestione dell’attività del soggetto giuridico e non hanno effetti esterni in termini di incidenza sulla sua garanzia patrimoniale generale, mentre l’azione pauliana è comunque esercitabile nei confronti degli atti esterni delle suddette società. (Nella specie, la S.C., decidendo nel merito, ha rigettato la domanda ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto la delibera modificativa dello statuto di una società consortile con la quale l’obbligo, per i soci, di rimborsare annualmente, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al capitale, il sopravanzo delle spese rispetto ai ricavi era stato sostituito dalla mera possibilità di operare in tal senso, in virtù di apposita delibera assembleare). (1) PROVVEDIMENTO: (Omissis). RAGIONI DELLA DECISIONE 3. Con il primo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 2365, 2615 ter, 2901 c.c. e 66 L. Fall., per irrevocabilità della delibera di modifica statutaria. 3.1 Si osserva che, in difetto di precedenti, è “della massima importanza stabilire se una delibera di assemblea straordinaria, modificativa di uno statuto, sia revocabile o meno”, in quanto le conseguenze pratiche di una soluzione positiva verrebbero a minare radicalmente sia i “principi di autonomia statutaria e di collegialità delle volontà trasfuse nelle delibere assembleari”, sia la stabilità degli atti societari che il legislatore evidentemente persegue. I giudici di merito – peraltro “senza particolare approfondimento” – hanno accolto la tesi attorea nel senso che si tratterebbe di un atto di disposizione del patrimonio a contenuto abdicativo in forma di rinuncia a un credito sociale nei confronti dei soci. Ad avviso dei ricorrenti, occorrerebbe in via pregiudiziale “dare risposta ad un quesito di carattere generale, vale a dire se una delibera modificativa dello statuto di una società di capitali, ancorché consortile, possa astrattamente rientrare nel ‘genus’ degli atti dispositivi” sui quali sia esercitabile l’azione pauliana. Mai si sarebbe finora dubitata l’irrevocabilità della delibera assembleare, stimando revocabili “al massimo gli atti di esecuzione della stessa”. “Lo sviamento logico” in cui sarebbe incorso il giudice d’appello, e che lo avrebbe condotto a una decisione erronea, sarebbe [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Origine della controversia - 3. Questioni giuridiche - 4. La c.d. clausola di ribaltamento delle perdite - 5. Sintesi della motivazione - 6. Possibili obiezioni - 7. Spiragli lasciati aperti - 8. Una proposta interpretativa - 9. Un raccordo con il Codice della crisi - NOTE


1. Premessa

La sentenza [1] merita di essere pubblicata perché è la prima volta che la Cassazione affronta il tema della revocabilità di una deliberazione assembleare modificativa dello statuto di una società consortile per azioni volta a sostituire l’obbligo dei soci di rimborsare annualmente il sopravanzo delle spese rispetto ai ricavi con la mera possibilità di assumere una decisione in tal senso. La rilevanza della questione è ben sottolineata nell’incipit della motivazione, in cui, generalizzando la questione giuridica, si legge: «in difetto di precedenti, è della massima importanza stabilire se una delibera di assemblea straordinaria, modificativa di uno statuto, sia revocabile o meno, in quanto le conseguenze pratiche di una soluzione positiva verrebbero a minare radicalmente sia i principi di autonomia statutaria e di collegialità delle volontà trasfuse nelle delibere assembleari, sia la stabilità degli atti societari che il legislatore evidentemente persegue» (il corsivo è aggiunto). Dal passaggio sopra riportato, si nota subito una rappresentazione solo parziale del problema in quanto la Suprema Corte – pur eccependo ai giudici di merito (che nei primi due gradi di giudizio avevano accolto la tesi attorea [2]) un difetto di approfondimento e alla Corte territoriale un salto logico (in quanto, prima di motivare la giuridica proponibilità dell’azione pauliana, ne accertava direttamente i requisiti sotto il profilo fattuale) – omette di considerare le conseguenze pratiche di una soluzione negativa che – ad avviso della scrivente e senza voler anticipare le conclusioni – potrebbe compromettere la tutela dell’affidamento incolpevole dei terzi creditori e porsi in contrasto con la crescente attenzione del Legislatore per gli atti (rectius assetti) organizzativi interni.


2. Origine della controversia

Per comodità dei Lettori, giova premettere un breve riassunto dei fatti di causa, stralciati dalla sentenza per ragioni di spazio. Nella specie, due creditori convenivano in giudizio una società consortile e alcuni dei suoi azionisti affinché fosse dichiarata inefficace nei loro confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., la delibera adottata dall’assemblea straordinaria volta a modificare lo statuto sociale, sostituendo all’obbligo dei soci di pagare lo sbilancio annuale di esercizio la mera possibilità di deliberarne il rimborso (classico caso in cui basta sostituire una parola per stravolgere il senso della clausola stante l’abissale differenza tra dovere e potere). Si costituivano in giudizio i soci convenuti e la società che, nelle more del giudizio, veniva dichiarata fallita, con conseguente interruzione della causa, poi riassunta dal curatore fallimentare. Sia il Tribunale di prime cure che la Corte d’Appello accoglievano la domanda e dichiaravano inefficace nei confronti del Fallimento la delibera in questione. Di qui il ricorso per cassazione proposto dai soci soccombenti, articolato in quattro motivi di impugnazione volti a denunciare: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2365, 2615-ter, 2901 c.c. e 66 L. Fall., per irrevocabilità della delibera di modifica statutaria (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); 2) nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 102 c.p.c., 2901 c.c. e 66 L. Fall. nonché all’art. 2348 c.c., e violazione dell’integrità del contraddittorio-litisconsorzio necessario (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.); 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2901 c.c. (art. 360, comma 3, c.p.c.); 4) violazione e falsa applicazione degli artt. 1236 e 1362 ss. c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). La Suprema Corte ha accolto il primo motivo ritenendo assorbiti gli altri e, sulla scorta del principio di diritto sintetizzato nella massima, ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, ha rigettato la domanda di revocatoria compensando le spese processuali di tutti i gradi di giudizio stante «la peculiarità della fattispecie, priva di precedenti sufficientemente specifici».


3. Questioni giuridiche

L’articolata motivazione tocca diverse questioni giuridiche che spaziano dai presupposti dell’actio pauliana (art. 2901 c.c.) ai temi di vertice della personalità giuridica e dell’autonomia statutaria fino all’istituto, più “di nicchia” e a cavallo con il diritto tributario [3], della c.d. clausola di ribaltamento delle perdite nelle società consortili, con dotte parentesi storiche sul significato di “società anonima” [4] e con incursioni sia nel diritto concorsuale (dovute al passaggio della legittimazione attiva al curatore) che nel codice di rito (sulla corretta instaurazione del contraddittorio e sull’interesse ad agire). Prima di ripercorrere, e al fine di rendere maggiormente intellegibili, i passaggi salienti del ragionamento anche per i non specialisti della materia, può essere utile premettere una breve riflessione sulla particolare clausola statutaria di ribaltamento delle perdite la cui (non introduzione, ma) soppressione ha dato origine al contenzioso. Infatti, la domanda da porsi (e che è stata sottoposta al Supremo Collegio) non è, in generale, se possa revocarsi una delibera assembleare di società di capitali, bensì se possa revocarsi quel genere di delibera. È, innanzitutto, al modo di atteggiarsi della clausola in esame in una società di capitali che la Suprema Corte volge l’attenzione per cassare la sentenza di appello, che invece aveva accolto la domanda di revocatoria. Prova ne è che il responso avrebbe potuto essere diverso con riferimento ad un consorzio costituito in forma di società di persone (v. infra).


4. La c.d. clausola di ribaltamento delle perdite

Come noto, l’art. 2615-ter c.c. – unica norma ad occuparsi delle società aventi scopo consortile [5] – sancisce – con una formulazione tecnicamente imprecisa, che sovrappone “oggetto” e “scopi” – che «le società previste nei Capi III e seguenti del Titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602». Restano dunque escluse dallo scope della norma le società semplici [6] e non sono espressamente incluse le cooperative [7]. Il comma 2 aggiunge in maniera ermetica che «In tal caso l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro» (sottinteso, diversi dai conferimenti iniziali), senza specificare alcunché in ordine alle modalità di determinazione degli stessi e ai criteri d’imputazione delle somme necessarie per ripianare eventuali perdite. Si tratta di una significativa deroga alla regola generale che informa il diritto societario, consistente nel divieto d’imporre ai soci obblighi pecuniari ulteriori rispetto a quello del conferimento (arg. desumibile dagli artt. 2253 e 2345 c.c.). Essendo una norma eccezionale [8], in ossequio all’art. 14 preleggi, è stata interpretata dalla prevalente giurisprudenza in senso restrittivo, affermando la legittimità delle clausole di ribaltamento delle perdite a condizione che esse indichino (anche se vi è disparità di vedute sul grado di specificità [9]), direttamente o per relationem (attraverso il riferimento ai risultati dei bilanci regolarmente approvati), «i limiti e le modalità di imposizione ai soci degli obblighi di contribuzione» [10]. I traguardi interpretativi raggiunti dalla (invero non copiosa) elaborazione dottrinale e giurisprudenziale maturata finora [11] possono essere riassunti con un semplice sillogismo: i) la c.d. clausola di ribaltamento delle perdite è valida anche nelle società consortili organizzate in forma capitalistica (com’era quella oggetto della vicenda in esame)[12]; ii) l’equo contemperamento tra la causa mutualistica (che si reputa propria del consorzio e delle società consortili in genere) e la disciplina del tipo societario nel concreto adottato dall’autonomia dei consorziati può essere raggiunto ammettendo l’eventualità [continua ..]


5. Sintesi della motivazione

Fatta questa breve premessa sull’art. 2615-ter c.c. – indispensabile per approfondire e comprendere la reale esistenza dell’«ostacolo sistemico» che, ad avviso della Cassazione, precluderebbe l’accoglimento della revocatoria – occorre ripercorrere i passaggi salienti della motivazione, schematizzando, per comodità e chiarezza espositiva, le principali questioni giuridiche. a) Un atto meramente endosocietario non può avere, per definizione, natura dispositiva La prima questione, in ordine logico, affrontata dalla Corte concerne la possibilità di considerare di «natura dispositiva» un atto meramente endosocietario, come tale destinato a spiegare effetti solo intramoenia. Sul punto, nonostante vi siano pochi precedenti di merito e di segno contrario [18], la Cassazione non pare avere dubbi: una delibera assembleare può essere impugnata solo nei casi e con i rimedi (dell’opposizione alle operazioni direttamente lesive dei loro diritti, dell’impugnativa per nullità o per annullabilità) tassativamente previsti dalla legge, mentre revocabili sono «al massimo gli atti di esecuzione della stessa» [19]. Andando di diverso avviso, a parere della Corte, si finirebbe per ammettere la configurabilità di un’azione impugnatoria con termine prescrizionale di cinque anni (art. 2903 c.c.), cioè superiore a quello relativo all’azione di nullità [20] che, di regola, si prescrive in tre anni (artt. 2379 e 2479-ter, comma 2, c.c.) e che è imprescrittibile solo nel “caso di scuola” di una delibera che modifichi l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili. La soluzione viene argomentata rispolverando i concetti della personalità giuridica delle società di capitali, il metodo collegiale e la categoria degli atti organizzativi interni, privi di rilevanza sul piano esterno e contestabili dai creditori sociali solo con gli strumenti e alle condizioni espressamente (e tassativamente) previste dal diritto societario. In particolare, si pone in rilievo che, mentre nell’actio pauliana esiste un autore (il debitore) e uno o più beneficiari, nel caso della delibera assembleare l’autrice è la società («persona giuridica solo in virtù della fictio iuris dell’impu­tazione organica») per cui [continua ..]


6. Possibili obiezioni

Prima facie, l’articolato, ma lineare, ragionamento della Suprema Corte pare formalmente corretto e, “in punta di diritto”, difficilmente confutabile. Approfondendo il discorso e vagliando anche le ragioni di “giustizia sostanziale”, come spesso accade, alcune argomentazioni non paiono ineccepibili e prestano il fianco a critiche, ancor più se calate nel contesto di alcuni recenti sviluppi normativi e giurisprudenziali. Per comodità e chiarezza espositiva, giova schematizzare alcuni profili rimasti in ombra, aggiungendo qualche ulteriore spunto di riflessione. a) Il sollevamento del velo della personalità giuridica e la sindacabilità degli atti organizzativi Il tema del piercing of corporate veil e dell’abuso della personalità giuridica sono noti e non vale la pena ripercorrerli in questa sede [30]. Relativamente più recente (in quanto esplosa dopo l’introduzione del capoverso dell’art. 2086 c.c.) è la vexata quaestio concernente l’esatta linea di demarcazione tra discrezionalità imprenditoriale (protetta dal safe harbour della Business Judgment Rule) e tecnica (sindacabile dal giudice) o, se si preferisce, tra atti dell’orga­nizzazione e atti di organizzazione o tra scelte organizzative e assetti organizzativi [31] o ancora tra assetti organizzativi funzionali all’adempimento di un dovere specifico imposto ex lege o (come nella specie) assunto convenzionalmente (tramite un’apposita clausola inserita nell’atto costitutivo o statutaria) e misure organizzative affrancate da un siffatto obbligo di risultato [32]. Senza dilungarsi, il profilo che qui interessa sottolineare è che il muro della personalità giuridica e il principio dell’insindacabilità, da parte dell’autorità giudiziaria, dei c.d. atti organizzativi interni (e tale può considerarsi anche la clausola di ribaltamento delle perdite) non è così imperforabile e intangibile come sembrerebbe trasparire dalla pronuncia annotata [33]. Infatti, qualora l’introduzione di una clausola di ribaltamento delle perdite fosse catalogata (al pari della scelta del sistema di governance o alla presenza e conformazione dell’organo di controllo nella s.r.l.) come un assetto organizzativo (“di vertice” e di competenza dei soci [34]) sicuramente adeguato a cogliere i [continua ..]


7. Spiragli lasciati aperti

A prescindere dai “punti deboli” o comunque discutibili sopra sinteticamente evidenziati, la sentenza annotata lascia aperti alcuni spiragli. Leggendo tra le righe della motivazione, si evince, infatti, che la soluzione al quesito circa la revocabilità della delibera societaria di repealing del preesistente obbligo di versare contributi consortili avrebbe potuto essere diversa: i) nelle società di persone, prive di una vera e propria personalità giuridica, ma dotate di un’autonomia patrimoniale, libere di adottare convenzionalmente modalità di decisione collegiale e una struttura di tipo corporativo sull’esempio delle società di capitali[39]; ii) se la clausola statutaria di ribaltamento delle perdite fosse stata (al pari della deliberazione relativa alla sua soppressione) “self executing”, ossia produttiva di effetti, stante il già intervenuto previo accertamento delle perdite stesse in sede di approvazione del bilancio, nel qual caso l’eventuale comportamento omissivo degli amministratori nel richiedere ai soci l’adempimento dell’obbligo assunto convenzionalmente sarebbe stato censurabile (viceversa, nella fattispecie, il credito della società nei confronti dei soci non era ancora maturato nel momento in cui l’assem­blea straordinaria ha deciso di modificare lo statuto). Non resta che attendere i successivi sviluppi sperando che la Suprema Corte, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, sappia, per dirla con le parole della stessa sentenza annotata (v. par. 8.4.), trovare il giusto equilibrio tra la permanenza dello schermo giuridico (che costituisce interesse dei soci) e la corretta condotta del soggetto artificiale (che costituisce interesse non solo dei soci, ma pure dei suoi creditori). Come si legge in un passaggio della motivazione, la società di capitali configura una vera e propria soggettività artificiale il cui fine, per coloro che l’hanno costituita, è creare uno schermo giuridico in grado di «perimetrare le dimensioni del rischio assunto, disinnescando l’istituto della garanzia patrimoniale generale (presidiato, in primis […] proprio dall’azione pauliana)». «La soggettività artificiale, nella disciplina che la governa, non può pertanto essere plasmata e interpretata solo dal versante dell’interesse dei creditori, ma, proprio per [continua ..]


8. Una proposta interpretativa

Forse, un punto di equilibrio (non facile da raggiungere in via interpretativa) potrebbe individuarsi riconoscendo ai creditori anteriori alla rimodulazione della clausola di ribaltamento delle perdite (che, secondo la tesi dominante, durante societate, può essere introdotta o modificata in peius solo all’unanimità [42], ma soppressa o modificata in senso migliorativo per i soci con le maggioranze previste per l’assem­blea straordinaria) il diritto di opporsi alla riduzione della loro garanzia patrimoniale così come accade nelle ipotesi di revoca dello stato di liquidazione (art. 2487-ter c.c.), di riduzione volontaria del capitale sociale (artt. 2445 e 2306 c.c.) o di operazioni straordinarie di trasformazione (art. 2500-novies c.c.), fusione o scissione (art. 2503 c.c., a cui rinvia l’art. 2506-ter, comma 5, c.c.). L’opposizione (ex ante) e la revocatoria ordinaria (ex post) operano infatti su piani differenti (diversi ne sono i presupposti e la legittimazione attiva), mentre pare una soluzione eccessivamente penalizzante per i creditori negare entrambi i rimedi, come ha fatto la Cassazione respingendo la prospettazione dei ricorrenti secondo la quale la modifica statutaria de qua dovrebbe inquadrarsi come implicita trasformazione eterogenea della società con scopo consortile (e, quindi, mutualistico) in una società con scopo di lucro [43]. Giova in proposito ricordare che si è a lungo dibattuto – anche sulle colonne di questa Rivista – sull’ammissibilità o meno dell’azione revocatoria avverso l’atto (esterno) di scissione (non – è bene rimarcarlo – il relativo progetto o deliberazione interna) promossa dai creditori della società scissa, i quali non abbiano proposto opposizione all’operazione straordinaria asseritamente pregiudizievole delle loro ragioni [44]. Di recente, la Cassazione si è espressa per l’ammissibilità dell’actio pauliana [45] e ciò anche sulla scorta del chiarimento della Corte di Giustizia UE sul fatto che tale rimedio non contrasta con la normativa comunitaria, in derivazione della quale nel nostro ordinamento è stato introdotto il meccanismo (art. 2504-quater c.c.) della c.d. pubblicità sanante [46]. Tale arresto, almeno in dottrina, non pare aver definitivamente sopito il dibattito sull’ammissibilità del [continua ..]


9. Un raccordo con il Codice della crisi

L’appuntamento con i Lettori è dunque rinviato, ma le riflessioni su questo tema – uscendo per un attimo dal perimetro della pronuncia annotata (anche in omaggio alla Rivista che ospita questo commento) – non potranno prescindere dall’enfasi posta dal Legislatore (v. in particolare l’art. 3 del D.Lgs. n. 14/2019 e il capoverso dell’art. 2086 c.c.) sull’adeguatezza delle misure (per l’imprenditore individuale) e degli assetti (per l’imprenditore collettivo) in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa [49], né dimenticare che la libertà d’iniziativa economica (art. 41 Cost.) «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Consentire la soppressione di una clausola di ribaltamento delle perdite funzionale ad assicurare il pareggio di bilancio e la salvaguardia del going concern proprio nel momento in cui è verosimile che la società consortile a responsabilità limitata abbia percepito i primi segnali di difficoltà significa indubbiamente diminuire la garanzia patrimoniale per i creditori sociali e potrebbe rappresentare un grave vulnus alla sicurezza degli affari e incentivare comportamenti poco commendevoli. In sintesi: si ha l’impressione che il chiarimento della Suprema Corte sia intervenuto nel momento “meno opportuno” e che non consentire ai creditori sociali divenuti tali nel periodo in cui lo statuto conteneva la formulazione originaria della clausola (e per essi al curatore) di reagire alla sostanziale rimozione (effettuata nel­l’indifferenza degli organi di amministrazione e controllo [50]) del più efficace strumento per contrastare l’endemica situazione di sottocapitalizzazione che caratterizza le società consortili significhi sminuire la valenza “esterna” dell’accordo recepito nello statuto sociale. Non sembra fuori luogo prendere a prestito un’espressione tributarista quale il “legittimo affidamento” – di regola inteso come la sperata tutela, costituzionalmente riconosciuta al privato nell’alveo di un atto o procedimento dell’amministrazione (pubblica) – e meriterebbe un supplemento di riflessione la circostanza che al creditore [continua ..]


NOTE