Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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La gestione dei crediti deteriorati: strumenti giuridici, best practices e possibili evoluzioni, anche alla luce del Codice della crisi (di Lorenzo Stanghellini, Professore ordinario di Diritto commerciale nell'Università di Firenze – Niccolò Usai, Assegnista di ricerca nell'Università di Firenze)


Le modalità di gestione dei crediti deteriorati sono in forte evoluzione. Da un lato, le banche, destinatarie di regole formali e di indicazioni delle autorità di vigilanza, hanno esternalizzato o ceduto larga parte dei propri portafogli, inclusi i crediti ancora “vivi” (UTP), dall’altro si sono affermati i c.d. credit servicers, mossi da aspettative diverse da quelle della banca che ha originato il credito e soggetti a limiti operativi nel supportare la continuità aziendale e il risanamento del debitore, laddove ciò sia possibile. In quest’ottica, nella prima parte, il saggio offre una ricostruzione del complesso contesto normativo e regolamentare relativo alle esposizioni creditizie deteriorate. Nella seconda parte si effettua una ricognizione del ruolo dei credit servicers, evidenziando la possibile mancanza di incentivi e le difficoltà operative nel supportare la continuità aziendale del debitore. Si affronterà altresì la speciale disciplina prevista per i crediti garantiti dallo Stato. Nella terza e ultima parte sono prese in esame alcune best practices nella gestione delle attività finanziarie deteriorate, anche a fronte degli strumenti disciplinati dal Codice della crisi. Il saggio si conclude con alcuni spunti e proposte di intervento sia a livello di normativa primaria, sia a livello di normativa secondaria.

The management of non-performing loans: legal tools, best practices and foreseeable developments in light of the Italian Insolvency Code

The way in which non-performing loans are managed is evolving dramatically. On the one hand, banks, subject to formal rules and guidance from regulators, have outsourced or divested a large portion of their portfolios, including loans that are still “alive” (UTPs); on the other hand, so-called credit servicers have emerged, driven by expectations different from those of the bank that originated the loan and subject to operational constraints in supporting the debtor's business continuity and restructuring, where possible. Against this background, the first part of the paper provides an overview of the complex legal and regulatory environment related to impaired credit exposures. The second part examines the role of credit servicers, highlighting the possible lack of incentives and operational difficulties in supporting the debtor’s business continuity taking into account also the special rules for state-guaranteed loans. The third and final part examines some best practices in the management of non-performing financial assets, also in the light of the tools provided by the Italian Insolvency Code. The paper concludes with some conclusions and proposals for action at both the primary and secondary regulatory levels.

SOMMARIO:

1. ll quadro normativo dei crediti deteriorati - 1.2. Il quadro normativo e il ruolo delle autorità di vigilanza - 1.2.2. L’identificazione e la classificazione dei crediti deteriorati: le regole prudenziali - 1.2.3. Le specifiche categorie di crediti deteriorati - 1.2.4. L’identificazione e la classificazione dei crediti deteriorati: le regole contabili. Il principio contabile IFRS 9 - 1.2.5. Le indicazioni delle autorità di vigilanza in materia di gestione dei crediti deteriorati - 1.3. Il ruolo dei sistemi di informazione creditizia: la Centrale dei Rischi e le “centrali rischi” private - 2. Il fenomeno dei NPL e le criticità nella loro gestione - 2.2. Le caratteristiche del coinvolgimento dei credit servicers - 2.3. Gli effetti di sistema del mutamento del baricentro verso i credit servicers. Le possibili criticità nella gestione di debitori in continuità aziendale - 2.4. Il coordinamento tra de-risking e mantenimento della continuità aziendale del debitore ceduto - 2.5. La gestione dei crediti deteriorati garantiti dallo Stato da parte di AMCO: l’art. 42-quater D.L. n. 115/2022 e il progetto “GLAM” - 3. L’efficiente gestione dei non-performing loans: buone prassi e proposte di regolazione - 3.2. Cosa deve intendersi per gestione “virtuosa” delle attività finanziarie deteriorate - 3.2.2. La rilevazione tempestiva delle criticità dell’impresa - 3.2.3. L’instaurazione di un serrato confronto con il debitore - 3.2.4. L’elaborazione della corretta strategia di recupero e l’affiancamento di figure professionali specializzate - 3.2.5. La nuova finanza e l’intervento sui NPL: criticità e prospettive - 3.3. La valorizzazione e la gestione dei NPL: l’accesso a strumenti di ristrutturazione del debito efficienti e il possibile ruolo della composizione negoziata della crisi - 3.4. La cessione e la gestione dei NPL: la Direttiva (UE) 2021/2167 - 3.5. Proposte di intervento a livello di normativa primaria - 3.6. Proposte di intervento a livello di normativa secondaria - NOTE


1. ll quadro normativo dei crediti deteriorati

1.1. Il fenomeno dei non-performing loans: contesto generale ed evoluzione recente Come è noto, a seguito della crisi finanziaria degli anni 2007-2008 e della crisi del debito sovrano degli anni 2011-2012 gli attivi creditizi delle banche degli Stati membri dell’Unione Europea hanno subito un forte deterioramento, al quale è seguita una risposta normativa volta a regolamentare e omogeneizzare l’attività di sorveglianza e i requisiti patrimoniali delle banche e degli enti finanziari europei [1]. In Italia, così come nel resto dell’Unione europea, si è dunque assistito a un profondo mutamento del panorama legislativo e regolamentare avente ad oggetto l’attività bancaria, il cui obiettivo primario è divenuto il rafforzamento dei requisiti di patrimonializzazione, nonché dei poteri di vigilanza da parte delle autorità nazionali ed europee [2]. Anche in conseguenza di questo, il sistema bancario ha visto un incremento del livello dei fondi propri [3]. Parallelamente a tale evoluzione normativa, le banche hanno intrapreso un percorso volto sia ad aumentare gli accantonamenti a fronte dei crediti deteriorati (in ragione della perdita attesa), sia a ridurre il volume di attività creditizie deteriorate nei propri bilanci (fenomeno spesso sintetizzato con l’espressione “de-risking”). L’effet­to, anche sotto questo profilo, è stato significativo, con possibili conseguenze di grande impatto in termini di costo e disponibilità del credito in particolare per PMI e startup [4]. La strategia di de-risking adottata dalle banche negli ultimi anni ha influenzato sensibilmente – e influenza ancora oggi – la condotta di queste ultime quando sono chiamate a confrontarsi con un’impresa in crisi. I requisiti di accantonamento a fronte dei crediti deteriorati, o “non-performing loans/exposures” (nel linguaggio comune e regolamentare della BCE, “NPL” o “NPE”, in modo intercambiabile fra loro) [5], introdotti dalla BCE nel 2018, cui si aggiungono gli orientamenti assunti dalla stessa BCE nell’attività di vigilanza e sui quali ci si soffermerà più avanti, hanno determinato, nella sostanza, il venir alla luce di un nuovo fattore di valutazione da parte delle banche quando sono chiamate a gestire e, più in generale, ad adottare una [continua ..]


1.2. Il quadro normativo e il ruolo delle autorità di vigilanza

1.2.1. Premessa Al fine di apprezzare appieno il fenomeno, anche in un’ottica di policy, è necessario comprendere il contesto normativo e regolamentare che le banche e gli altri intermediari finanziari sono chiamati a rispettare in presenza di esposizioni creditizie deteriorate. Per fare ciò, è necessario leggere in modo combinato le disposizioni che disciplinano l’identificazione e la classificazione dei crediti deteriorati sia dal punto di vista prudenziale, sia dal punto di vista contabile. L’applicazione delle regole in questione è inoltre, come abbiamo visto, oggetto di orientamenti delle autorità di vigilanza, definiti “aspettative di vigilanza”, modellati sullo schema “comply or explain” e dunque di evidente impatto applicativo. Come è ovvio, infine, essendo l’Italia parte dell’Eurozona e dunque dell’Unione Bancaria, l’intera materia è oggetto di una fitta trama nella quale si intersecano e operano in modo coordinato regole e autorità europee e nazionali.


1.2.2. L’identificazione e la classificazione dei crediti deteriorati: le regole prudenziali

La classificazione delle attività creditizie deteriorate è contenuta nel Regolamento UE n. 575 del 2013, così come modificato dal Regolamento UE n. 630 del 2019, il quale detta la disciplina relativa ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e fornisce una dettagliata definizione delle esposizioni creditizie deteriorate. Le Linee Guida EBA del 2016, relative all’applicazione della definizione di “default” ai sensi dell’articolo 178 del Regolamento UE n. 575/2013 (e successive modificazioni), forniscono una serie dettagliata di precisazioni riguardanti i requisiti per l’identificazione e classificazione dei crediti deteriorati e, dunque, assumono rilievo primario al fine di identificare correttamente un’esposizione deteriorata. Sempre l’EBA, nel giugno 2021, ha emanato degli Orientamenti in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti, che richiedono alle banche di assicurare un “framework di monitoraggio”, per il tramite di dati quantitativi e qualitativi, volto ad identificare tempestivamente eventuali segnali di deterioramento del credito [7]: parallelamente, la Direttiva (UE) 2021/2167, rivolta ai gestori e acquirenti di crediti, su ci si soffermerà nei prossimi paragrafi, ha introdotto una disciplina organica relativa ai requisiti per l’esercizio dell’attività di gestione dei crediti deteriorati da parte dei credit servicers. Come si avrà modo di analizzare in dettaglio più avanti, le norme in commento hanno come obiettivo quello di far dotare tutte le banche e i credit servicers di strutture interne in grado di intraprendere tempestivamente con il debitore, anche nel caso di esposizioni di modesta entità, una collaborazione attiva e adeguata alle esigenze del caso specifico sin dalle prime fasi di difficoltà. Con riferimento invece all’attività delle autorità di vigilanza, viene in rilievo la BCE e l’impulso fondamentale da questa fornito all’avvio di un processo di de-risking e consolidamento patrimoniale delle banche appartenenti al sistema bancario europeo: nel marzo 2017 la BCE ha emanato le “Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL)” [8], cui è seguita, nel 2018, l’emanazione da parte dello stesso ente di un addendum avente ad oggetto le “aspettative di vigilanza in merito agli [continua ..]


1.2.3. Le specifiche categorie di crediti deteriorati

Come anticipato, il Regolamento UE n. 575 del 2013 (“Capital Requirement Regulation” o CRR), così come modificato dal Regolamento UE n. 630 del 2019, fissa i requisiti prudenziali per gli enti creditizi e fornisce una definizione delle esposizioni creditizie deteriorate, cioè quelle per le quali sia intervenuto un evento di default, come definito all’art. 178 del medesimo regolamento. L’articolo in questione fa riferimento sia a una valutazione soggettiva (l’esistenza di eventi che facciano presumere che il debitore non adempierà integralmente alle proprie obbligazioni), sia a un fatto oggettivo (un ritardo non trascurabile nell’adempimento) [11]. Sulle definizioni di origine europea, come si avrà modo di evidenziare nei prossimi paragrafi, si innestano, in modo perfettamente sintonico, quelle contenute nella regolamentazione secondaria nazionale. Per effetto del combinato dei due corpi di regole, le esposizioni creditizie deteriorate sono in Italia suddivise in: (i) inadempienze probabili, (ii) esposizioni scadute e/o sconfinanti, (iii) sofferenze. A ciò si aggiunge una categoria “trasversale” di crediti “oggetto di concessioni”, i quali non rientrano necessariamente tra i crediti oggetto di deterioramento. Di seguito si analizzano le singole categorie. a. Le inadempienze probabili (“Unlikely to pay”) Ai sensi dell’art. 178, par. 1, lett. a) del CRR, si considera intervenuto un default in relazione a un particolare debitore qualora l’ente giudichi “improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso l’ente stesso, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni”. Le esposizioni che rientrano in tale categoria, definite inadempienze probabili (o “Unlikely to pay” o “UTP”), sono considerate a tutti gli effetti crediti deteriorati, e ciò sulla base di una valutazione prognostica della banca per la quale deve risultare improbabile che il debitore adempia in modo integrale senza l’escussione delle garanzie prestate. A tal proposito, le Linee Guida della BCE del 2017, chiamate a chiarire “le aspettative della vigilanza riguardo all’individuazione, gestione, misurazione e cancellazione degli NPL” per le banche, rilevano l’importanza [continua ..]


1.2.4. L’identificazione e la classificazione dei crediti deteriorati: le regole contabili. Il principio contabile IFRS 9

Il bilancio delle banche deve essere redatto secondo i principi contabili internazionali. Al pari della normativa europea, tali principi suddividono in categorie i crediti in base al loro grado di deterioramento, richiedendo un trattamento diverso a seconda della categoria in cui questi ricadono; la classificazione che essi adottano, tuttavia, non coincide con quella della normativa in materia di vigilanza. I principi contabili assumono inevitabilmente un ruolo centrale nel momento in cui la banca è chiamata a prendere una decisione riguardo alla strategia da adottare rispetto a un portafoglio di crediti o a una singola posizione: la prospettiva di dover effettuare rilevanti rettifiche, calcolate valutando la c.d. perdita attesa, può invero rappresentare un forte incentivo a cedere una determinata posizione nelle prime fasi di difficoltà, quando ancora le previsioni di perdita sono ridotte [22]. Il principio contabile IFRS 9 [23] prevede invero la suddivisione dei crediti in tre stage in base al loro livello di rischio, in funzione del deterioramento della qualità creditizia iniziale, introducendo un modello di impairment (o “perdita durevole di valore”). Tale modello suddivide i crediti in tre categorie (“stages”) a seconda del loro grado di rischiosità [24]. Questo modello, ancorché sia non previsto in modo esplicito dallo stesso IFRS 9, viene comunemente usato e viene descritto come “three-bucket approach”. In estrema sintesi, (i) il primo “stage” del modello in questione comprende al suo interno i crediti che non hanno subito un deterioramento significativo rispetto all’investimento iniziale, (ii) il secondo “stage” include, invece, i crediti che presentano un significativo aumento del rischio di default rispetto all’investimento iniziale, ma non sono ancora considerati “deteriorati”, (iii) infine il terzo “stage” comprende i crediti non più in bonis, per cui è prevista una perdita lungo la durata residua del prestito. Mentre in quest’ultima categoria rientrano le posizioni scadute/sconfinanti da oltre 90 gg, le c.d. inadempienze probabili e le sofferenze [25], il secondo stage prevede una categoria di crediti in bonis e, tuttavia, underperforming, in relazione alle quali la banca è tenuta a effettuare rettifiche calcolando le perdite attese sulla base di un orizzonte [continua ..]


1.2.5. Le indicazioni delle autorità di vigilanza in materia di gestione dei crediti deteriorati

Le autorità di vigilanza hanno fornito indicazioni alle banche in materia di gestione dei crediti deteriorati, chiedendo loro di darsi obiettivi strategici per la riduzione dei NPL e di adottare piani operativi connotati da obiettivi intermedi e da attuarsi entro un orizzonte temporale prefissato. Significative al riguardo sono le Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL) della BCE del 2017 in materia di gestione dei NPL [27], che richiedono: – la costituzione di unità, distinte da quelle incaricate dell’erogazione di prestiti, e dedicate al trattamento degli NPL “a iniziare possibilmente dalla fase in cui le posizioni presentano lievi ritardi di pagamento”; – la presenza, all’interno di tali unità, di risorse capaci di seguire i NPL in modo allineato alle diverse “fasi del ciclo di vita degli NPL”, e dunque: a) “posizioni che presentano lievi ritardi di pagamento (fino a 90 giorni di arretrato)”: in questa fase si devono cercare accordi al fine di consentire al debitore di rientrare da lievi ritardi e raccogliere le informazioni necessarie (posizione finanziaria, stato della documentazione del prestito, stato delle garanzie, livello di cooperazione, ecc.) per determinare la strategia di recupero più idonea. Questa fase potrebbe anche comportare l’adozione di misure di forbearance; b) “posizioni scadute con maggiore anzianità/ristrutturate/oggetto di concessioni”: in questa fase si devono formalizzare e attuare accordi di ristrutturazione dell’indebitamento (anche implicanti concessioni), quando questa appaia economicamente sostenibile. A seguito dell’accordo, deve essere assicurato un monitoraggio costante fino allo sperato rientro in bonis (da effettuare secondo i criteri previsti dagli Implementing Technical Standards dell’EBA[28]; c) posizioni implicanti “recupero crediti”, “procedimenti giudiziari” ed escussione di garanzie: questa fase riguarda i debitori per i quali non sono state individuate soluzioni di ristrutturazione a causa della loro situazione finanziaria o del loro insufficiente livello di cooperazione. Per questa fase del ciclo di vita dei NPL sono indispensabili competenze specifiche in materia legale e di liquidazione di società. Per le banche con livelli di NPL più elevati, è raccomandata la costituzione di unità dedicate diverse [continua ..]


1.3. Il ruolo dei sistemi di informazione creditizia: la Centrale dei Rischi e le “centrali rischi” private

Ulteriore elemento rilevante per comprendere il fenomeno dei NPL è il ruolo dei sistemi di informazione creditizia, e principalmente quello della Centrale dei Rischi di Banca d’Italia. L’esistenza di crediti vantati dagli intermediari finanziari e la loro classificazione sono infatti oggetto di raccolta e, entro limiti precisi, di condivisione da parte dei sistemi di informazione creditizia. Tali sistemi, dunque, possono svolgere un ruolo di “propagatore” della crisi allorché un intermediario segnali la classificazione di un credito come deteriorato, e altri intermediari ne vengano a conoscenza. Il principale sistema di informazione creditizia, al quale è obbligatoria la partecipazione di tutti gli intermediari, è la Centrale dei Rischi di Banca d’Italia. Essa, proprio per l’obbligatorietà dell’adesione e la qualità delle informazioni che riceve, riveste un ruolo primario nell’ambito del sistema finanziario italiano. La Centrale dei Rischi di Banca d’Italia è definibile come un sistema di “informativo sui rapporti di credito e di garanzia che il sistema finanziario (banche, intermediari finanziari, società veicolo di cartolarizzazione dei crediti di cui alla legge 30 aprile 1999, n. 130, OICR) intrattiene con la propria clientela” [29], volto alla raccolta di dati e informazioni rilevanti riguardanti i crediti e le garanzie concessi da banche, società finanziarie e altri intermediari a imprese e famiglie [30]. Essa ha quale obiettivo quello di rafforzare la stabilità del sistema finanziario per il tramite di un sostanziale miglioramento del processo di valutazione del merito creditizio di coloro che si interfacciano con banche e intermediari finanziari [31]. Per effetto di specifiche norme, di carattere regolamentare, gli intermediari provvedono a comunicare alla Centrale dei Rischi tutte le informazioni relative alle esposizioni che riguardano la propria clientela e, a loro volta, essi ricevono informazioni sull’esposizione complessiva dei soggetti segnalati (nonché dei soggetti loro collegati) nei confronti del sistema finanziario [32]. Con riferimento alla segnalazione alla Centrale dei Rischi da parte degli intermediari partecipanti al sistema in questione, la circolare n. 139/1991 di Banca d’Italia (con i relativi aggiornamenti) prevede delle “soglie di [continua ..]


2. Il fenomeno dei NPL e le criticità nella loro gestione

2.1. L’evoluzione dell’incidenza dei NPL nel panorama bancario italiano L’ammontare complessivo dei crediti deteriorati all’interno dei bilanci delle maggiori banche italiane ha raggiunto il picco massimo nel 2015 [36]. Negli anni successivi esso è andato fortemente riducendosi, sino a tornare, nel 2021, a un livello paragonabile con quello antecedente la crisi finanziaria del 2008 [37]. Ciò è il risultato di una spinta delle autorità di regolazione e delle autorità di vigilanza verso un generale rafforzamento patrimoniale delle banche, un miglioramento della qualità dei loro attivi e una più efficiente gestione dei NPL, delle quali si è detto supra. In ragione del volume particolarmente elevato di NPL nei bilanci di massima parte delle banche italiane, che difficilmente queste avrebbero potuto gestire nel rispetto degli standard delle aspettative di vigilanza senza il ricorso a operatori esterni, le banche si sono rivolte in modo massiccio ai credit servicer. Ciò cedendo o affidando in gestione a questi ultimi interi portafogli di esposizioni deteriorate, anche in considerazione delle norme in tema di accantonamenti, che si è detto richiedono alla banca di mettere a riserva importi crescenti nel corso degli anni. Si è quindi assistito al ricorso, da parte delle banche, di strategie che si sono principalmente incentrate su: (i) operazioni di cessione di ingenti volumi di crediti deteriorati a soggetti specializzati nella loro gestione, i c.d. credit servicer, che consentono l’immediata derecognition (eliminazione della posizione dalla contabilità della banca) e monetizzazione del credito deteriorato; (ii) operazioni di affidamento ai medesimi soggetti della gestione delle esposizioni deteriorate, con il mantenimento della titolarità da parte della banca della posizione gestita esternamente [38]. La posizione così gestita va inevitabilmente incontro a una progressiva riduzione, per effetto di tre possibili cause: a) il suo ritorno “in bonis”, cioè fra gli impieghi a­venti carattere di normalità; b) l’incasso del credito; c) il definitivo passaggio del credito a perdita (spesso attuata mediante la cessione del residuo importo non incassabile a valore minimo, al fine di consentire la cancellazione del credito dalla contabilità). Le strategie in questione, unite a minori [continua ..]


2.2. Le caratteristiche del coinvolgimento dei credit servicers

Al fine di comprendere appieno gli effetti delle operazioni appena descritte occorre rilevare che queste hanno avuto luogo (i) coinvolgendo volumi estremamente rilevanti di crediti deteriorati, (ii) in un periodo di tempo relativamente breve e (iii) in assenza di un mercato secondario sviluppato, investendo in modo diverso la posizione delle banche e la posizione del debitore oggetto dell’operazione di esternalizzazione [39]. Invero, sintetizzando, è possibile rilevare che, in considerazione del fenomeno appena descritto, si è assistito: i. dal lato delle banche, a una forte compressione dei prezzi di cessione dei portafogli di crediti deteriorati, a fronte della perdita di numerose posizioni soggette a difficoltà temporanee e suscettibili di rientro in bonis[40]; ii. dal lato del debitore ceduto, a un mutamento radicale del rapporto con il soggetto c.d. originator del credito, con conseguenze rilevanti anche per l’accesso a nuovi finanziamenti e il mantenimento delle linee di credito esistenti. In modo dapprima residuale in situazioni non ordinarie (quale la risoluzione delle c.d. “quattro banche” nel novembre del 2015), quindi in modo crescente, il coinvolgimento dei credit servicers è avvenuto non solo per posizioni a sofferenza, ma anche per impieghi vivi quali gli UTP “in senso stretto” [41]. La stessa dinamica si è verificata, in adeguamento alle Linee guida della BCE di cui si è detto, anche per i portafogli mantenuti dalle banche, ma dati in gestione ai credit servicers. Diviene dunque centrale indagare quale sia il ruolo del credit servicer in situazioni non statiche, ma caratterizzate dalla presenza della continuità aziendale, sia pure a rischio di dissesto. Il coinvolgimento degli UTP nelle operazioni di esternalizzazione della gestione ha cagionato importanti ripercussioni anche nel contesto di riferimento delle crisi d’impresa, nelle quali intervengono i credit servicers, a fianco o in sostituzione delle banche che avevano intrattenuto rapporti con l’impresa nel periodo in cui que­st’ultima si trovava in bonis. Mentre per le posizioni classificate come sofferenze o, in alcuni casi, come esposizioni scadute, una strategia di rientro meramente liquidatoria può essere l’unica perseguibile o può comunque risultare preferibile, per le posizioni classificate come inadempienze probabili si è generalmente [continua ..]


2.3. Gli effetti di sistema del mutamento del baricentro verso i credit servicers. Le possibili criticità nella gestione di debitori in continuità aziendale

Gli effetti dello spostamento di baricentro riconducibile all’ingresso dei credit servicers nell’ambito delle ristrutturazioni e, più in generale, della gestione dei NPL devono essere ancora inquadrati con chiarezza, stante il periodo relativamente breve in cui i soggetti in questione si sono affermati nel sistema finanziario italiano e il rilevantissimo volume di posizioni, cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, da questi gestite a vario titolo. Come anticipato nel precedente paragrafo, si è assistito nell’arco di un lustro all’esternalizzazione da parte delle banche, mediante cessione o mandato a gestire, di elevati volumi di posizioni deteriorate a credit servicers e fondi specializzati. Il fenomeno in questione si è verificato – nella sua fase iniziale – in una situazione caratterizzata dall’assenza di un mercato secondario sviluppato, in grado di far incontrare la domanda e l’offerta di servizi di gestione da parte di soggetti dotati delle competenze e degli incentivi per (i) sostenere, laddove necessari, i tempi e i costi collegati a complesse negoziazioni e, (ii) successivamente, seguire l’impresa in crisi nell’ambito di una procedura di ristrutturazione [42]. Tra i principali elementi di criticità che caratterizzano il passaggio a un nuovo soggetto di un’esposizione creditizia deteriorata ma ancora “viva” devono segnalarsi: a) in primo luogo, la difficoltà di trasferire al cessionario/mandatario, che spesso interviene in relazione a centinaia di posizioni, un set informativo completo sulla situazione economico-finanziaria del debitore; b) in secondo luogo, l’incertezza che caratterizza la strategia del soggetto cessionario/mandatario per la gestione della posizione deteriorata, strategia che sconta le specifiche aspettative del credit servicer, che a loro volta possono variare in dipendenza della sua struttura proprietaria e dei costi del suo capitale; c) in terzo luogo, l’oggettiva difficoltà del credit servicer di gestire la posizione ceduta fornendo gli stessi servizi della banca a supporto dell’operatività ed erogando, ove ragionevole, nuovi finanziamenti. Il mantenimento della continuità aziendale del debitore ceduto è, invero, generalmente possibile qualora l’impresa in crisi abbia la possibilità di interfacciarsi con un creditore finanziario [continua ..]


2.4. Il coordinamento tra de-risking e mantenimento della continuità aziendale del debitore ceduto

A seguito dell’esternalizzazione di una o più esposizioni deteriorate a favore di un credit servicer, questo sarà chiamato a interfacciarsi con il debitore – in luogo della banca – tanto nell’ambito di procedure concorsuali quanto al di fuori di queste ultime. Si è anticipato che l’approccio del credit servicer nel momento in cui è chiamato ad affrontare una situazione di difficoltà temporanea del debitore, o anche di insolvenza ma in presenza di un’impresa economicamente vitale, può influire sulla possibilità di conservare la continuità aziendale (e i valori a essa sottostanti) e il risultato opposto, potenzialmente distruttivo di valore per tutti gli attori coinvolti. In altre parole, è opportuno fare in modo che la strategia di riduzione dei rischi del sistema bancario non abbia come effetto collaterale un peggioramento delle aspettative di recupero del credito deteriorato, con effetti avversi sia per il sistema delle imprese, sia per lo stesso sistema bancario che su questo si innesta. Questo effetto è particolarmente visibile allorché la banca affidi imprese inserite in contesti produttivi integrati, nei quali gli effetti avversi dell’uscita indebita di un’impresa dal mercato possono risultare amplificati, con ripercussioni per la stessa banca se questa sia esposta verso altre imprese appartenenti alla filiera [43]. A tal riguardo, deve darsi atto di una radicata consapevolezza da parte delle banche, soprattutto nelle realtà di maggior dimensioni, dei rischi connessi a un effetto a catena nelle filiere del valore, in caso di mancata tutela della continuità aziendale delle imprese in difficoltà [44]. Per tale motivo, emerge la necessità di trovare un coordinamento tra: i. da un lato, l’attività di de-risking e, più in generale, di esternalizzazione della gestione delle attività finanziarie deteriorate da parte delle banche, attuata mediante cessioni e mandati a gestire e; ii. dall’altro lato, l’esigenza del debitore che si interfaccia con un nuovo soggetto di poter fare affidamento su una struttura dotata di competenze e risorse adatte a consentire un eventuale risanamento, qualora questo sia effettivamente perseguibile.


2.5. La gestione dei crediti deteriorati garantiti dallo Stato da parte di AMCO: l’art. 42-quater D.L. n. 115/2022 e il progetto “GLAM”

In ragione di quanto osservato nei precedenti paragrafi, appare opportuno soffermarsi su un recente intervento normativo volto a consentire una più efficace gestione dei crediti deteriorati assistiti da garanzia dello Stato. Durante la pandemia, infatti, sono stati erogati aiuti pubblici alle imprese per importi ragguardevoli, sotto forma di prestiti garantiti dallo Stato (299 miliardi di euro a giugno 2022; gli aiuti in forma di capitale di rischio sono stati invece comparativamente molto pochi) [45]. Allorché l’impresa beneficiaria degli aiuti entri in crisi, la presenza di una garanzia statale può incidere negativamente sulla sua possibilità di ristrutturarsi, per due motivi: a) la banca (garantita dallo Stato) sopporta un rischio di perdita relativamente basso, e la legge prevede che per essere rimborsata dallo Stato essa debba previamente esperire tutti i possibili tentativi di recupero. Ciò può indurre la banca (o i cessionari del suo credito) ad adottare nei confronti del debitore un approccio più aggressivo di quanto sia giustificato dalle sue condizioni, al fine di ottenere una soddisfazione della propria pretesa per il tramite della garanzia statale e non della valorizzazione della posizione gestita; b) il regresso dello Stato gode, per legge, di un privilegio anche quando il debito garantito non lo fosse, rendendo così più complessa e pesante la struttura finanziaria dell’impresa debitrice[46]. Al fine di prevenire il possibile e potenzialmente ingiustificato default su una grande quantità di prestiti garantiti dallo Stato, con gravi effetti per l’economia e per lo stesso bilancio pubblico, nel settembre 2022 è stata introdotta una disciplina speciale che fa perno su AMCO, definita “Progetto Guaranteed Loans Active Management – GLAM” (art. 42-quater, D.L. 9 agosto 2022, n. 115). In forza di tale disciplina, AMCO può acquistare i crediti verso il debitore in difficoltà, inclusi quelli non garantiti dallo Stato, gestendoli con un approccio “paziente” e di massimizzazione del valore [47]. La gestione è resa più efficace grazie alla possibilità di AMCO di concedere nuovi finanziamenti avvalendosi di una disciplina ad hoc (comma 3) che, a fronte della relazione di un professionista indipendente che attesti che il finanziamento appaia idoneo a “contribuire al” [continua ..]


3. L’efficiente gestione dei non-performing loans: buone prassi e proposte di regolazione

3.1. L’importanza di una gestione “virtuosa” delle attività finanziarie deteriorate Come emerge dai precedenti paragrafi, una condotta “virtuosa” delle banche nel momento in cui queste sono chiamate a valutare e prendere decisioni sulle posizioni non-performing, così come quella dei soggetti specializzati a cui è demandata l’at­tività di gestione, è fondamentale al fine di assicurare una possibilità di successo a un tentativo di ristrutturazione dell’impresa in crisi. Si può partire dal presupposto, che si crede condiviso, che la gestione delle posizioni deteriorate deve conseguire l’obiettivo del loro massimo realizzo. Ciò assicura, nell’immediato, un maggiore recupero per le banche sotto forma di recupero diretto per le posizioni di cui esse mantengano la titolarità o comunque l’interesse economico, e un prezzo di cessione più elevato per le posizioni cedute. L’attesa di un maggiore recupero, poi, si traduce in più bassi costi di accesso al credito per le imprese e le famiglie. Assicurare il massimo realizzo per il credito è compito che va oltre il tema di cui ci stiamo occupando, essendo influenzato da molteplici fattori di varia natura, di cui i più importanti sono l’architettura giuridica delle procedure esecutive e concorsuali e l’efficienza del sistema giudiziario. Ciò, tuttavia, non esclude che si possano ottenere risultati incrementali anche a livello del sistema di gestione dei crediti deteriorati. Anche a livello di gestione dei NPL, dunque, è importante che venga tempestivamente identificata la strategia di recupero più efficiente (continuità aziendale o liquidazione) e, una volta individuata, che essa venga coerentemente ed efficientemente attuata.


3.2. Cosa deve intendersi per gestione “virtuosa” delle attività finanziarie deteriorate

3.2.1. Gli elementi di una gestione virtuosa delle attività finanziarie deteriorate: in generale Gli obiettivi della tempestiva identificazione e della coerente attuazione della strategia di recupero più efficiente nel caso concreto possono essere declinati in una sequenza logica il cui insieme è definibile come quella linea d’azione della banca e/o del credit servicer che sia in grado di garantire, nell’ambito della gestione di un’esposizione deteriorata, i seguenti elementi: i. la rilevazione tempestiva delle criticità dell’impresa e la loro segnalazione al debitore, con l’invito a elaborare una strategia di recupero; ii. l’instaurazione di un serrato confronto con il debitore, che gli consenta di elaborare una strategia credibile, anche fornendo risposte tempestive e non standardizzate alle sue richieste e proposte; iii. l’elaborazione della corretta strategia di recupero (ristrutturazione o liquidazione), anche alla luce delle proposte del debitore, come “nutrite” dalle interazioni con il creditore; iv. quando utile ed economicamente giustificato, l’affiancamento di figure professionali specializzate nei settori di riferimento dell’impresa in difficoltà; v. quando la strategia sia quella della ristrutturazione in continuità aziendale, il mantenimento delle linee di credito preesistenti e l’estensione di nuova finanza, qualora sia necessaria, a favore dell’impresa che ne faccia richiesta[48]. In quest’ottica, è utile interrogarsi se, alla luce del contesto economico e del quadro normativo attuale, il sistema di gestione del credito deteriorato abbia margini di miglioramento verso la suddetta gestione “virtuosa”.


3.2.2. La rilevazione tempestiva delle criticità dell’impresa

a. I creditori finanziari nel Codice della crisi: da spettatori ad attori della rilevazione tempestiva Come è noto, la rilevazione e la gestione tempestiva della crisi di impresa sono elementi essenziali al fine di assicurare a un tentativo di ristrutturazione una possibilità di successo [49]. È altrettanto noto che i creditori finanziari possono contribuire in modo sostanziale a tale emersione tempestiva, qualora siano dotati di una struttura in grado di cogliere gli indizi di deterioramento dei propri debitori [50]. In questo senso, è importante notare come, nel passaggio dalla versione originaria del Codice della crisi e dell’insolvenza, promulgato con D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, a quella che è effettivamente entrata in vigore il 15 luglio 2022, si sia spostato l’asse dell’emersione tempestiva da un’ottica costrittiva (l’allerta esterna, cui sarebbe seguita la convocazione del debitore davanti all’OCRI) a un’ottica di incentivo (l’allerta esterna, che il debitore può affrontare per il tramite di strumenti non costrittivi, come la composizione negoziata). Ciò in linea con l’attenzione per l’auto­diagnosi posta dall’art. 3 della Direttiva (UE) 2019/1023, che dispone (par. 1): “Member States shall ensure that debtors have access to one or more clear and transparent early warning tools which can detect circumstances that could give rise to a likelihood of insolvency and can signal to them the need to act without delay”. Al fine di assicurare un’effettiva capacità da parte delle banche di rilevare i segnali di difficoltà del debitore, gli Orientamenti dell’EBA in materia di concessione e monitoraggio dei prestiti del 2020 richiedono a queste: (i) da un lato di “assicurare un’efficace supervisione della qualità del rischio di credito, in particolare al momento della concessione del credito, e dei relativi accantonamenti”; (ii) dal­l’altro lato di “assicurare adeguati processi di approvazione, monitoraggio e controllo del credito, ai fini di un’efficace gestione del rischio di credito” [51]. Per questo motivo gli Orientamenti dell’EBA evidenziano la necessità che, nell’ambito del­l’attività di monitoraggio richiesta alle banche, queste sviluppino e adottino “indicatori di preallerta [continua ..]


3.2.3. L’instaurazione di un serrato confronto con il debitore

Una volta rilevati dei segnali di difficoltà del debitore, è fondamentale che la banca o il credit servicer cessionario/mandatario avvii un confronto serrato per consentire: da un lato, l’individuazione delle cause specifiche che hanno generato lo squilibrio economico-finanziario; dall’altro lato l’elaborazione di una strategia di gestione delle difficoltà che benefici del contributo del creditore finanziario, in modo tale da indirizzare l’eventuale tentativo di ristrutturazione verso soluzioni effettivamente realizzabili. Per far ciò è necessario che la banca o i credit servicers, quando chiamati a interagire con il debitore, (i) abbiano raccolto, anche con l’aiuto del debitore, sufficienti informazioni sulla posizione in difficoltà (ii) forniscano un riscontro basato sulle informazioni raccolte e calibrato sulle reali esigenze e caratteristiche della posizione gestita, senza dunque il ricorso a modelli di risposta standardizzati [58]. Il Codice della crisi ha fornito una prima risposta a tali esigenze, richiedendo espressamente ai creditori finanziari il rispetto di tali elementi già dalla fase delle trattative della procedura di composizione negoziata (di cui si dirà più avanti) e, più in generale, nell’ambito di tutte le procedure, quale conseguenza dell’obbligo di leale collaborazione fissato dall’art. 4 c.c.i. Invero, nell’ambito della procedura di composizione negoziata della crisi, l’art. 16, comma 5, c.c.i. prevede che non solo le banche e gli intermediari finanziari, bensì anche i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti, sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato, disponendo altresì che l’accesso a tale procedura non costituisce, di per sé, causa di revoca degli affidamenti bancari concessi all’imprenditore. Tutti i creditori sono, inoltre, tenuti a collaborare in modo leale e “sollecito” con le parti coinvolte nelle trattative (debitore, esperto, ma anche eventuali terzi), rispondendo alle richieste del debitore e dell’esperto in modo “tempestivo” e con risposta “motivata” (art. 16, comma 7). Tali doveri specifici implicano, ancor prima, il dovere del creditore di partecipare alle trattative, presenziando agli incontri fissati dall’esperto che, nell’ambito della procedura della composizione [continua ..]


3.2.4. L’elaborazione della corretta strategia di recupero e l’affiancamento di figure professionali specializzate

Il debitore, successivamente all’emersione delle difficoltà dell’esposizione e al­l’esito del confronto tra questi e la banca o il credit servicer, deve, ai sensi dall’art. 2086 c.c., “attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”, ciò anche per il tramite dell’elaborazione di una strategia volta al riequilibrio della propria situazione economica e finanziaria. L’elaborazione di un piano di ristrutturazione e la sua successiva valutazione da parte dei creditori finanziari richiede che sia compiuta una verifica: i. (preliminare) sulla situazione economico-finanziaria del debitore e la sua capacità di rientro in bonis, anche sulla base di quanto di emerso nella fase di confronto con il debitore; ii. sulla sostenibilità in un’ottica di medio-lungo termine delle misure previste nel piano di ristrutturazione[60]. A tal riguardo, come chiarito dalle Linee guida della BCE del 2017 sui crediti deteriorati, le banche devono “dotarsi di un regolamento interno in materia di misure di concessione ben definito in linea con il concetto di sostenibilità economica e che debbano riconoscere con tempestività i debitori non economicamente sostenibili” [61]. Una volta compiuta tale verifica, sempre le Linee guida della BCE richiedono che il piano di ristrutturazione includa “una specificazione dettagliata delle scadenze che il debitore deve rispettare per rimborsare il prestito lungo la durata del contratto”, prevedendo (i) un adeguato margine di flessibilità in considerazione di un potenziale deterioramento della situazione finanziaria del debitore e, comunque, (ii) assicurando un monitoraggio attento da parte dell’unità dedicata agli NPL durante il periodo di esecuzione delle misure di concessione [62]. Tanto la verifica avente ad oggetto la possibilità per il debitore di rientrare in bonis, quanto la successiva elaborazione di una strategia per il rilancio dell’attività è possibile solamente a fronte dell’intervento di figure professionali specializzate nel settore di attività del debitore. Invero, in molti casi, l’elaborazione di un piano di medio-lungo termine per il recupero della reddittività e [continua ..]


3.2.5. La nuova finanza e l’intervento sui NPL: criticità e prospettive

In ragione del fatto che le cessioni di pacchetti di attività deteriorate includono, in misura crescente, posizioni non in sofferenza, il legislatore nel 2014 ha modificato la normativa sulle cartolarizzazioni, prevedendo la possibilità che le società veicolo concedano finanziamenti [64]. Nessun ostacolo, invece, hanno i credit servicers ordinari, che avendo generalmente natura di intermediari finanziari possono concedere finanziamenti ai debitori delle posizioni che gestiscono. La mera possibilità che vengano concessi nuovi finanziamenti, tuttavia, non implica che essi siano facilmente accessibili: all’opposto, una delle maggiori criticità che vengono comunemente riscontrate nel settore dei NPL è, senz’altro, l’accesso a nuovi finanziamenti da parte del debitore la cui posizione sia classificata come deteriorata [65]. Il costo e la disponibilità della c.d. nuova finanza, infatti, rappresenta un forte ostacolo all’attuazione di piani di ristrutturazione che spesso necessitano, oltre a una dilazione e riduzione dell’esposizione debitoria, la concessione di nuovi finanziamenti per il rilancio e la prosecuzione dell’attività di impresa [66]. La prima causa del costo elevato di nuovi finanziamenti da parte di soggetti terzi è costituita dall’opacità della situazione economica e finanziaria delle posizioni gestite: l’ele­vato grado di incertezza rispetto alle effettive prospettive di risanamento dell’im­presa in cui, generalmente, si trovano a operare i fondi specializzati si riflette quindi sul costo dell’accesso a nuovo credito e la possibilità di finanziarsi sul mercato [67]. Nell’ipotesi di cessione di una posizione deteriorata si verifica spesso una perdita di informazioni che rende ancor più difficile, per un soggetto esterno, una valutazione ai fini della determinazione del costo della nuova finanza per l’imprenditore in difficoltà. Il fenomeno in questione assume ancor più rilevanza in relazione alle c.d. informazioni soft, rappresentate da tutte quelle informazioni di natura qualitativa e non quantitativa che la banca ha acquisito nel corso del rapporto con il debitore, le quali sono le prime ad andar perse sia quando si verifica un passaggio della titolarità della posizione, sia in ipotesi di mandato a gestire a un soggetto esterno alla banca. In [continua ..]


3.3. La valorizzazione e la gestione dei NPL: l’accesso a strumenti di ristrutturazione del debito efficienti e il possibile ruolo della composizione negoziata della crisi

La possibilità di accedere a strumenti e procedure di ristrutturazione del debito caratterizzati da celerità ed efficienza – così come l’accesso a procedure liquidatorie che presentino le stesse caratteristiche, qualora il recupero della continuità aziendale non sia più un obiettivo perseguibile – è un elemento che può contribuire a una gestione efficace delle attività finanziarie deteriorate e, in ultima analisi, a una loro valorizzazione che allinei il prezzo di mercato con l’effettivo valore ad esse sottostante. Alla necessità di strumenti di ristrutturazione efficienti si affianca la necessità di un’evoluzione della condotta delle banche quando sono chiamate a confrontarsi e a interagire con l’imprenditore, ciò sia nella fase delle trattative che all’interno di una procedura concorsuale: invero, il nostro sistema economico risulta caratterizzato dalla esposizione verso più banche da parte della stessa impresa, circostanza che rende le ristrutturazioni di più difficile attuazione in considerazione delle maggiori difficoltà di coordinamento tra gli attori coinvolti. La procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa, disciplinata dagli artt. 12 ss. del Codice della crisi, in considerazione della flessibilità e ampiezza delle soluzioni da questa offerte per un dialogo efficace tra creditore e debitore in difficoltà, rappresenta un valido strumento per l’individuazione di una sede di confronto tra creditore finanziario e impresa in crisi che recepisca le istanze di celerità, assistenza professionale e tutela degli affidamenti nella ricerca di una soluzione concordata della crisi [70]. Come anticipato nei precedenti paragrafi, la procedura in questione fa propria l’esigenza di una partecipazione alle trattative da parte delle banche e dei suoi mandatari in modo attivo e informato, tanto che l’art. 16, comma 5, c.c.i. prevede espressamente che, una volta aperta tale procedura le “banche e gli intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei loro crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo e informato” . Sempre l’art. 16, comma 5, c.c.i. prevede espressamente che l’accesso alla procedura di composizione negoziata della crisi non costituisce, di per sé, causa di revoca degli affidamenti [continua ..]


3.4. La cessione e la gestione dei NPL: la Direttiva (UE) 2021/2167

La Direttiva (UE) 2021/2167 si occupa di disciplinare i requisiti e l’attività dei credit servicer e degli acquirenti di crediti, introducendo uno standard comune ai vari paesi dell’Unione europea in attuazione di una “strategia globale” volta ad affrontare il fenomeno dei crediti deteriorati [75]. Quanto ai requisiti per l’esercizio dell’attività di gestione dei crediti, l’art. 5 della Direttiva identifica una serie di elementi che il gestore di crediti deve possedere per il rilascio dell’autorizzazione, da parte degli Stati membri, per l’esercizio dell’attività di servicing. La previsione in questione, che prevede tra i requisiti per il rilascio dell’autorizzazione il possesso di una “reputazione sufficientemente buona” dei membri dell’organo di amministrazione del credit servicer, così come l’ado­zione di una politica interna “adeguata a garantire il rispetto delle norme in materia di tutela e il leale e diligente trattamento dei debitori”, trova spiegazione proprio nella necessità di assicurare uno standard minimo che deve essere rispettato da parte dei soggetti che operano in tale settore anche a garanzia delle posizioni gestite. Al riguardo si tenga altresì presente che la Direttiva, dopo aver disciplinato all’art. 8 il potere di revoca dell’autorizzazione concessa al gestore di crediti, dispone, all’art. 21, che gli Stati membri, per il tramite dell’autorità designata, devono vigilare sull’osservanza da parte dei credit servicers degli obblighi loro imposti dalla legge per il tramite di una valutazione su base continuativa della conformità della loro struttura e organizzazione rispetto ai requisiti posti dalla Direttiva [76]. Ciò detto, tra le disposizioni di maggior rilievo della Direttiva (UE) 2021/2167 figura l’art. 10, par. 1, il quale fissa come punto di riferimento dell’attività dei gestori di crediti il rispetto dell’obbligo generale di buona fede nei rapporti con i debitori, richiedendo altresì che i primi, sempre nell’ambito dei rapporti con i debitori, agiscano “in modo equo e professionale”. Come anticipato, l’obbligo di agire secondo buona fede trova oggi espressa affermazione anche all’interno del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ove, [continua ..]


3.5. Proposte di intervento a livello di normativa primaria

L’analisi dei profili sopra inquadrati consente di delineare alcune ipotesi di intervento tanto a livello di normativa primaria quanto di normativa secondaria e di vigilanza. Nel presente contesto normativo, sembrano potersi rilevare due diverse direttici future di intervento che potranno aver luogo: a) da un lato, in occasione del recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva (UE) 2021/2167, di cui è stato dato ampiamente conto nei precedenti paragrafi e che avrà ad oggetto i credit servicer e la loro attività di gestione dei crediti; b) dall’altro lato, in occasione di eventuali interventi correttivi sul Codice della crisi e dell’insolvenza, anche alla luce dell’approvazione del recente decreto legislativo del 17 giugno 2022, n. 83, che ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla Direttiva (UE) 2019/1023[79]. A tal ultimo riguardo, come rilevato in precedenza, deve evidenziarsi che il Codice della crisi, nella sua ultima versione, ha previsto una disciplina organica avente ad oggetto la partecipazione e i doveri di collaborazione dei creditori (e del debitore) nell’ambito delle procedure di ristrutturazione, così come nelle fasi che le precedono, determinando un notevole progresso sotto tale aspetto [80]. Ciò posto, tra gli interventi che, anche alla luce dell’attività di ricerca svolta, devono ritenersi auspicabili rientrano: i. l’ampliamento degli obblighi informativi e di collaborazione a carico delle parti nel momento e nella fase antecedente all’affidamento in gestione o alla cessione di una posizione deteriorata, estendendo l’ambito di applicazione dei doveri di leale collaborazione e agire informato, di cui agli art. 4 e 16 c.c.i., anche prima dell’avvio delle trattative e, comunque, al di fuori della procedura di composizione negoziata della crisi. Ciò in modo da coprire espressamente, analogamente a quanto previsto dalla Direttiva (UE) 2021/2167, tutte le fasi del rapporto debitore/creditori (anche non solo finanziari) ancora non sfociate in trattative e tuttavia altrettanto sensibili; ii. l’ampliamento di meccanismi di silenzio-assenso per l’adozione di piani di ristrutturazione, nonché l’introduzione di maggioranze calcolate sui soli creditori votanti (eliminando il requisito dell’espressione del voto da parte della maggioranza dei creditori) per l’approvazione di questi ultimi, al [continua ..]


3.6. Proposte di intervento a livello di normativa secondaria

Un’ulteriore riflessione sembra doversi rivolgere anche alla normativa di livello secondario e, in particolare, alle previsioni regolamentari che governano l’attività delle banche e dei soggetti specializzati a cui queste ultime affidano la gestione delle attività creditizie deteriorate. In particolare, tra le misure che potrebbero avere un impatto positivo nel contesto descritto nei precedenti paragrafi figurano: i. l’introduzione di meccanismi volti a garantire un’attenzione rafforzata alle modalità con cui la banca gestisce posizioni UTP mediante mandato, con riferimento alla previsione di KPI e alla verifica del loro rispetto da parte dei credit servicers: tale verifica dovrebbe ricomprendere anche la presenza di competenze e risorse adeguate nell’organizzazione del soggetto cessionario/mandatario[83]; ii. un allentamento dei vincoli all’operatività della banca in presenza di concessioni al debitore che avvengano nel quadro di un accordo soggetto a controlli e a omologazione da parte dell’autorità giudiziaria, anche al fine di allineare la normativa prudenziale alla “rescue culture” espressa dalla Direttiva (UE) 2019/1023; iii. l’incentivazione ed elaborazione di protocolli di comportamento tra i principali attori del settore degli NPL, che abbiano a oggetto i tempi di risposta, l’effettiva e adeguata partecipazione alle trattative da parte delle banche e dei credit servicer, nonché un impegno alla leale collaborazione sulla valutazione delle richieste delle imprese. Gli interventi in questione dovrebbero comporre e raggiungere un equilibrio tra l’interesse delle banche al rafforzamento patrimoniale e, più in generale, all’attua­zione di un processo di de-risking (ormai avviato da tutte le maggiori banche europee), e l’interesse dell’impresa a mantenere, qualora ne sussistano i presupposti, attive le linee di credito esistenti e avere accesso a nuovi finanziamenti.


NOTE