Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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La punibilità dell'amministratore di fatto nei reati fallimentari: dall'interpretazione estensiva della giurisprudenza di legittimità ai lavori della commissione bricchetti (di Alfonso Laudonia, PhD Student in Gestione finanziaria di impresa e prevenzione della crisi nell'Università Mercatorum Professore a contratto di Procedura penale nell'Università Telematica Pegaso)


Il saggio affronta il problema della punibilità dell’amministratore di fatto nei reati di bancarotta. Invero, sia la legge fallimentare che il nuovo codice della crisi dell'impresa e dell’in­sol­venza non disciplinano la categoria dei soggetti di fatto per i reati fallimentari, che, tuttavia, sono reati propri. Nel silenzio del legislatore si registra l'opera suppletiva della giurisprudenza di legittimità, che pacificamente ritiene punibile l’amministratore di fatto dei delitti di bancarotta attraverso un’interpretazione estensiva dell'art. 2639, 1° comma, c.c. Dubbi interpretativi che sono destinati a venir meno con la riforma dei reati fallimentari. Sul punto la Commissione Bricchetti – Commissione per la revisione dei reati fallimentari – ha richiamato in modo espresso tra i soggetti attivi dei delitti fallimentari anche coloro i quali svolgano le funzioni di direzione e gestione aziendale in via di fatto. Nell’attesa della revisione dei reati fallimentari sarà fondamentale verificare caso per caso gli indici sintomatici valorizzati dalla giurisprudenza in presenza dei quali un determinato soggetto potrà assumere la qualifica di amministratore di fatto.

The punisability of the de-fact administrator in bankruptcy crimes: from the extensive interpretation of the jurisprudence of legitimacy to the works of the bricchetti commission

The essay deals with the problem of the punishability of the de facto administrator in bankruptcy crimes. Indeed, both the bankruptcy law and the new code of the company crisis and insolvency do not regulate the category of de facto subjects for bankruptcy crimes, which, however, are their own crimes. In the silence of the legislator, the supplementary work of the jurisprudence of legitimacy is recorded, which peacefully considers the de facto administrator punishable of bankruptcy crimes through an extensive interpretation of art. 2639, paragraph 1, of the Italian Civil Code. Interpretative doubts that are destined to disappear with the reform of bankruptcy crimes. On this point, the Bricchetti Commission – Commission for the revision of bankruptcy crimes – has explicitly recalled among the active subjects of bankruptcy crimes also those who actually carry out the management and management functions of the company. Pending the review of the bankruptcy crimes, it will be essential to verify case by case the symptomatic indices valued by the jurisprudence in the presence of which a specific subject can assume the title of de facto director.

SOMMARIO:

1. L’applicazione dell’art. 2639 c.c.: in attesa della riforma dei reati fallimentari - 2. L’estensione delle qualifiche soggettive ex art. 2639 c.c. - 3. Gli indici sintomatici dell’amministrazione di fatto - 4. Precisazioni conclusive - NOTE


1. L’applicazione dell’art. 2639 c.c.: in attesa della riforma dei reati fallimentari

La legge fallimentare [1] prima ed oggi il codice della crisi d’impresa e dell’in­solvenza [2] non hanno disciplinato l’ipotesi in cui i reati fallimentari siano commessi dall’amministratore di fatto. Soffermandoci sui reati di bancarotta, tali fattispecie delittuose prevedono, quale soggetto attivo, l’imprenditore agli artt. 322 e 323 del c.c.i.i. [3] nonché ex artt. 329 e 330 c.c.i.i. gli amministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori di società in liquidazione giudiziale [4]. Il problema della punibilità della categoria dei soggetti di fatto è più che rilevante poiché tali illeciti penali sono pacificamente considerati reati propri [5], la cui punibilità non è estensibile a soggetti non individuati dal legislatore, salvo, chiaramente, la possibilità di un concorso dell’extraneus nel reato commesso dall’intraneus. La mancata previsione espressa, tra i soggetti attivi dei reati fallimentari, del­l’amministratore di fatto [6] è stata superata dalla giurisprudenza di legittimità [7], che aderendo ad una nozione sostanziale e non meramente formale di tale figura soggettiva, ha ritenuto applicabile l’art. 2639 c.c. [8] previsto per i reati societari. In particolare, si è avuto modo di statuire come «il fatto che l’art. 2639 c.c. reciti: “per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”, non sta evidentemente a significare che l’amministratore di fatto, così descritto dal legislatore, sia figura che possa sussistere unicamente in relazione alle disposizioni di cui al Titolo XI del predetto codice; sta viceversa a significare che, nel­l’ambito del cc, per amministratore di fatto, deve intendersi colui che risponde alla descrizione sopra riportata» [9]. Invero, «dal mancato richiamo espresso alla figura dell’amministratore di fatto nella lettera degli artt. 216 e 223 del R.D. n. 267/1942 non può derivare l’estraneità di tale figura dal novero dei soggetti ivi [continua ..]


2. L’estensione delle qualifiche soggettive ex art. 2639 c.c.

Chiarito come per giurisprudenza consolidata anche per i reati fallimentari l’am­ministratore di fatto è punibile ex art. 2639 c.c., appare doveroso verificare le caratteristiche di tale norma, che introduce un necessario punto di equilibrio tra la necessità di potenziare l’effettività del controllo penale e l’imprescindibile garanzia «di certezza come momento essenziale e imprescindibile nella tipizzazione dei soggetti penalmente responsabili» [18]. L’art. 2639 c.c., così come sostituito dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, avalla il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la formulazione del giudizio di responsabilità per l’amministratore di fatto non dovesse implicare necessariamente il riconoscimento di una responsabilità concorrente con il soggetto formalmente investito della qualifica. In altri termini, anche in caso di concorso l’am­ministratore di fatto non rispondeva quale extraneus concorrente nel reato proprio, bensì quale diretto destinatario della norma penale violata [19]. Il primo comma della norma civilistica prevede due ipotesi di equiparazione soggettiva in quel «sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione». La prima fattispecie estende il sistema sanzionatorio ai soggetti tenuti a svolgere funzioni identiche, sebbene diversamente qualificate, a quelle disciplinate dalla legge civile e richiamate da tali fattispecie criminose. La fattispecie in apertura della norma «sembra essere la chiave di lettura della formula qui in esame, in grado di legittimare poi l’ascrizione delle fattispecie penali a soggettività ristretta pre-individuata su tipologie classiche di soggettività societarie (ed oltretutto al momento della redazione della nuova parte penale uniche conosciute ed esistenti anche nel diritto societario “non penale”) a soggetti differenti che, appunto, sarebbero “nati” successivamente con la previsione dei nuovi modelli diversificati di amministrazione e controllo delle società» [20]. Tale ipotesi di equiparazione «non opera automaticamente, livellando ex lege le differenti qualifiche normative, bensì sarà soggetta ad una attenta verifica in sede di concreta [continua ..]


3. Gli indici sintomatici dell’amministrazione di fatto

L’applicazione dell’art. 2639, 1° comma, c.c. comporta la necessità di riempire di contenuti le nozioni di esercizio in modo “continuativo e significativo” e di “poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione”. Ebbene, essendo tali elementi il fulcro per l’estensione soggettiva ai soggetti de facto, è fondamentale la rigorosa prova della loro sussistenza; prova che potrà essere data anche attraverso indizi da valutare ai sensi dell’art. 192, 2° comma c.p.p. [51]. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha statuito come siano necessarie «circostanze univoche, corroborate da testimonianze e riscontri documentali (ordini, sottoscrizione di bolle di consegna e trasporto) che lascino intendere non un rapporto di collaborazione ma l’esercizio di una vera e propria signoria sulla società» [52]. La ricostruzione dello status soggettivo di amministratore di fatto deve condursi, in ambito penalistico, alla stregua di specifici indicatori, individuati sulla base delle concrete attività dispiegate all’interno della società e riconducibili ad indici sintomatici, quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie d’impresa e nelle fasi nevralgiche del­l’ente economico [53]. Gli indici richiesti vanno individuati non soltanto rapportandosi alle qualifiche formali rivestite in ambito societario, ovvero alla mera rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta, bensì sulla base delle concrete attività svolte in riferimento alle società oggetto d’analisi, riconducibili – secondo validate massime di esperienza – ad indici sintomatici quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie d’impresa e nelle fasi nevralgiche dell’ente economico [54]. In altre parole, il relativo apprezzamento non può ritenersi limitato alla fisionomia delineata dal codice civile, che ne declina lo status nella dimensione fisiologica dell’attività d’impresa, ma va riguardato [continua ..]


4. Precisazioni conclusive

Al termine di questo lavoro, appaiono doverose alcune brevi precisazioni conclusive. Nel silenzio – almeno per il momento – del legislatore è stata la giurisprudenza di legittimità a colmare il gap di responsabilità, estendendo ai reati fallimentari l’art. 2639 c.c. e, conseguentemente, ritenendo punibile l’amministra­tore di fatto. La corretta valutazione degli indici sintomatici dell’amministrazione de facto individuati dalla giurisprudenza è anche il discrimen tra la responsabilità dell’am­mi­nistratore di fatto e quella del concorrente esterno. In relazione a quest’ultima figura si è rilevato come «in tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento ove si accerti, quanto all’elemento soggettivo, la volontarietà della condotta dell’extraneus di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori» [69]. Invero, non sussiste nessun apporto concorsuale dell’imputato, nel delitto di bancarotta fraudolenta, in assenza del benché minimo sostegno motivazionale con riguardo, all’efficacia causale nella produzione dell’evento, all’elemento volitivo del fatto tipico e di partecipazione, laddove la partecipazione illecita dell’imputato sia indebitamente desunta dal solo fatto che lo stesso sia socio e coniuge dell’amministratore della società fallita e solo sulla base di tali elementi si sia giunti a ritagliare in capo al medesimo il ruolo di ideatore del presunto piano di spoliazione della società, senza alcun tipo di riscontro, al riguardo, neppure meramente indiziario, e senza che tale contributo fosse stato oggetto di contestazione [70]. Nel caso in cui non sussistano gli indici sintomatici dell’amministrazione di fatto il soggetto potrà rispondere a titolo di concorso nel reato proprio, ma sarà fondamentale identificare «“lo specifico contributo concorsuale apportato” [continua ..]


NOTE