Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il codice della crisi e dell'insolvenza e le banche: qualche spunto di riflessione (di Giuseppe Fauceglia, Professore ordinario di Diritto commerciale nell'Università degli Studi di Salerno)


Il contributo analizza la responsabilità della banca per concessione abusiva del credito, muovendo dalla interpretazione che il fenomeno ha conosciuto nel contesto della legge fallimentare, per giungere, di seguito, all'esame della posizione della banca nel contesto del Codice della crisi e dell'insolvenza. In questa prospettiva vengono delineate la diversa configurazione che può assumere la responsabilità del soggetto finanziatore, anche con riferimento alla lesione non solo della posizione dei creditori, ma dell'impresa sovvenzionata dappoi divenuta insolvente.

The italian insolvency code and banks: some points of reflection

The essay analyzes the responsibility of the bank for the abusive granting of credit, starting from the interpretation of the phenomenon in the previous Bankruptcy Law and coming to the assessment of the case in the new Italian Insolvency Code. In this perspective is examined the responsibility of the funder, also in relation to the damage caused to creditors and to the funded enterprise.

SOMMARIO:

1. La concessione di credito ritenuta abusiva: ricostruzione di un percorso - 2. Le banche nel Codice della crisi e dell’insolvenza: nuovi contesti per la responsabilità - 3. Le categorie civilistiche della responsabilità della banca alla luce delle disposizioni del Codice della crisi e dell’insolvenza - 4. I limiti della responsabilità della banca per concessione abusiva del credito: le indicazioni di sistema - 5. Brevi considerazioni conclusive - NOTE


1. La concessione di credito ritenuta abusiva: ricostruzione di un percorso

Nel contesto della legge fallimentare del 1942, in continuità con le disposizioni del codice di commercio, per quanto riguardava i creditori – intesi nella loro peculiare “soggettività” ed in ragione delle “ragioni” del rapporto obbligatorio – nulla era detto, avendo ad oggetto la disciplina la sola qualità o natura del credito con riferimento alla distinzione tra prelatizi e chirografi. Del resto, nella concezione c.d. “oggettiva” dell’insolvenza, in cui cioè non era possibile altra valutazione se non quella dell’impossibilità di far fronte regolarmente alle assunte obbligazioni, alla valutazione del tribunale, non solo nella sentenza dichiarativa di insolvenza ma pure nel prosieguo della procedura, restava estraneo un esame dedicato a comportamenti esogeni, idonei a produrre o ad aggravare lo stato di insolvenza. Questi profili di “indifferenza” nei riguardi dei comportamenti assunti da qualche creditore nella dinamica evolutiva dell’insolvenza, vennero assoggettati a revisione nel corso degli anni Ottanta dello scorso secolo, sulla scorta dell’evoluzione che aveva interessato la dottrina e la giurisprudenza sul tema della responsabilità civile. Ciò con particolare riferimento proprio al “creditore bancario”, in una prospettiva ascritta ai peculiari obblighi di diligenza del bonus argentarius [1], sulla scorta dei risultati cui era pervenuta la dottrina francese e sull’emergere della qualificazione della “banca” come “impresa”. Come è noto, questa impostazione venne fatta propria, agli inizi degli anni Novanta, dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale “l’imprenditore bancario che, omettendo di porre in essere la gamma di cautele imposte a tutela della corretta erogazione del credito, violi i doveri propri dello status dei soggetti facenti parte del sistema bancario, incorre in responsabilità di natura extracontrattuale; ove poi lo stesso comportamento, risalente al medesimo autore, appaia lesivo pure di clausole contrattuali, che impongono regole di correttezza, l’imprenditore bancario è anche contrattualmente responsabile” [2]. Il tema era, poi, ripreso con riferimento alla responsabilità extracontrattuale della banca in ordine sia all’induzione all’insolvenza che [continua ..]


2. Le banche nel Codice della crisi e dell’insolvenza: nuovi contesti per la responsabilità

Diversa pare restare la posizione della banca nel contesto del Codice della crisi e dell’insolvenza, in cui possono individuarsi norme che, sia pure collocate in differenti prospettive, consentono una possibile ricostruzione del sistema. Innanzi tutto, si tratta di obblighi di comportamento, che assumono particolare rilievo nel procedimento di composizione negoziata della crisi, inteso come percorso “negoziale” strutturato, condotto sotto la guida di un “esperto”, che, unitamente alla previsione di obblighi di comportamento e alle misure di protezione del patrimonio dell’impresa debitrice, dovrebbe assicurare una “reale” ed “effettiva” negoziazione, che si assume “utile” e “proficua” per tutte le parti interessate (nella prospettiva della continuità dell’attività). In questo contesto, viene richiamato il 5° comma dell’art. 16, il quale richiede che le banche e gli altri intermediari finanziari, i loro mandatari e i cessionari dei crediti sono tenuti a partecipare alle trattative in modo attivo ed informato. Disposto che va completato dalla previsione successiva del 6° comma, che impone alle parti coinvolte nelle trattative il dovere di leale collaborazione, di rispettare l’obbligo di riservatezza e di dare riscontro alle proposte e alle richieste (dell’esperto e dello stesso debitore) che i creditori ricevono durante le trattative con risposte tempestive e motivate (obbligo, naturalmente, esteso anche alle banche che risultano coinvolte nelle stesse trattative). Si tratta di obblighi che, sia pure espressamente previsti nel contesto della composizione negoziata della crisi, possono ritenersi configurare o specificare quegli obblighi generali di comportamento che sono indicati per i creditori nell’art. 4, 4° comma, del Codice, non a caso collocato tra i “principi generali” [16], sì da consentirne il richiamo anche per tutti gli strumenti (definibili come “negoziali”) di regolazione della crisi e del­l’insolvenza. In sostanza, pare che gli obblighi previsti nei citati commi dell’art. 16, altro non siano se non specificazioni del generale dovere dei creditori (nel contesto dei principi generali di correttezza e buona fede) di collaborare lealmente con il debitore e con l’esperto nella composizione negoziata, nonché con gli organi nominati [continua ..]


3. Le categorie civilistiche della responsabilità della banca alla luce delle disposizioni del Codice della crisi e dell’insolvenza

Ritornando a profili più generali, deve rilevarsi come in questo contesto permangono spazi assai ampi per un ricorso alla fattispecie civilistica della responsabilità della banca, idonea a svilupparsi nel contesto dei diversi strumenti di soluzione della crisi, specie laddove questi si risolvano nella liquidazione giudiziale, in ordine alla quale interferiscono comportamenti assunti in violazione delle regole (generali e specifiche) di diligenza valutativa o di concorso nell’aggravamento, oltre che nella produzione, dell’insolvenza. Permane, in tal caso, comunque la necessità di delineare il perimetro della responsabilità della banca, al fine di evitare che quest’ul­tima diventi il soggetto di ultima istanza chiamata, sostanzialmente, a rispondere, in uno al debitore, del risultato dell’insolvenza, cui conseguirebbe un altrettanto ingiustificato aggravamento del rischio dell’impresa bancaria, idoneo finanche a pregiudicare il principio di stabilità degli enti creditizi, ritenuto elemento fondante della disciplina di settore. Pare opportuno premettere che la questione dovrà essere scrutinata in relazione all’ormai riconosciuta prevalenza che il Codice assegna alle ragioni dell’impresa, non solo con riferimento agli accessi agli strumenti di regolazione della crisi, ma trasfusa in un principio più generale desumibile in considerazione della tutela dell’attività e dei mezzi impiegati per il suo svolgimento, rispetto ai quali – nella dimensione “patrimonialistica” – ne viene assicurata la funzionalizzazione. Non può omettersi di considerare che, proprio in questa prospettiva, si inserisce l’ob­bligo di comunicazione, espressamente previsto per le banche, dall’art. 25-decies del Codice, a mente del quale le banche e gli altri intermediari finanziari di cui all’art. 106 TUB, nel momento in cui comunicano al cliente variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti, ne danno notizia anche agli organi di controllo societario, se esistenti (si tratta di comunicazione funzionale alla tempestiva segnalazione dell’organo di controllo prevista dall’art. 25-octies, ai fini dell’anticipata emersione della crisi). Dalla previsione di detto obbligo possono trarsi conseguenze anche in tema di responsabilità della banca: (a) se la predetta comunicazione è prevista come obbligatoria, [continua ..]


4. I limiti della responsabilità della banca per concessione abusiva del credito: le indicazioni di sistema

Nel più recente dibattito sul tema, un primo elemento di significativo distacco rispetto alle varie tesi che nel passato hanno riguardato la responsabilità della banca, per quanto specificamente riguarda i creditori che avrebbero potuto agire in danno, escludendosi la configurazione di un danno comune ai creditori anteriori alla concessione abusiva del credito e dei creditori ad essa successivi [32], riguarda la stessa possibilità che i singoli creditori subiscano differenti pregiudizi, autonomamente valutabili, sì da pervenire alla individuazione tra loro di un minimo comune denominatore, con la conseguenza di affermare la possibilità di una diversità di pregiudizio subita dai singoli creditori idonea a configurare un debito di massa e la conseguente legittimazione del curatore [33]. Il tema, così posto, riguarda, ancora una volta, la legittimazione del curatore, nel tentativo evidente di “recuperare” uno spazio per le azioni di massa, ma finisce, irrimediabilmente, per “oscurare” l’altro problema, ovvero quello relativo al possibile danno creato all’impresa, quale iniziativa economica [34]. Non può essere revocato in dubbio che nell’impianto complessivo del Codice della crisi e dell’insolvenza è proprio il valore dell’impresa (sotto il sintagma della continuità aziendale) a restare elemento “centrale” della disciplina, con la conseguenza che la stessa abusiva concessione del credito finirebbe per incidere, vanificandolo, su tale obiettivo. Ciò spiega, ad esempio, il disvalore riconosciuto per comportamenti opportunistici dei creditori o, ancora, per la preclusione, già innanzi esposta, di “interruzioni” o di “aggravamento” delle condizioni economiche dei contratti bancari, come semplicemente collegabili all’accesso ad uno degli strumenti regolatori della crisi. Se è vero che il sistema tende a favorire la prosecuzione dell’ordinaria attività dell’impresa pur in una situazione di crisi o di insolvenza (non irreversibile), resta altrettanto vero che la valutazione del finanziamento dell’im­presa deve attenersi a criteri, in qualche modo, ancora più stringenti che nel passato: il credito, cioè, deve essere finalizzato ad assicurare proprio il superamento della particolare situazione di crisi e non orientato a [continua ..]


5. Brevi considerazioni conclusive

In questa prospettiva, in uno agli ulteriori “spunti” interpretativi che emergono dal Codice della crisi e dell’insolvenza, nonché dalle prospettive delineate dalla stessa giurisprudenza [35], può trarsi la convinzione che l’ordinamento giuridico in materia concorsuale abbia ormai attribuito al curatore la legittimazione ad agire non solo o non più nell’interesse della massa indistinta dei creditori, ma anche a tutela dell’“impresa” e del valore intrinseco dell’organizzazione aziendale. Del resto, ciò resterebbe confermato dalla “centralità” che all’“impresa” è stata attribuita dalle norme del Codice, nonché dal diverso atteggiarsi della garanzia patrimoniale rispetto alla collettività dei creditori, nel passaggio dalla fase fisiologica a quella patologica della crisi, sì da confortare (anche) l’opinione che vuole ampliate le possibilità che il curatore si sostituisca ai creditori [36]. Questo “nuovo orizzonte”, di rilievo sistematico, consente, da una parte, di superare quelle resistenze o quelle limitazioni alla legittimazione del curatore ad esperire le azioni risarcitorie a fronte della concessione abusiva di credito, e, dall’altra, a considerare con maggiore ampiezza il concorso della banca alla produzione del danno all’“attività”, nel presupposto esplicativo di cui innanzi si è cercato di dare conto.


NOTE