L'articolo verte sulla protezione del debitore che acceda alla composizione negoziata della crisi o a uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza. Muovendo dal quadro normativo europeo, si analizza l'assetto adottato in materia dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cogliendone le differenze rispetto all'impianto previgente e provando a offrirne una lettura di sistema, attraverso l’individuazione dei profili di omogeneità della protezione, pur a fronte della persistenza di elementi di frammentazione della fattispecie legati allo specifico percorso di risanamento prescelto.
The paper focuses on the protection of the debtor who accesses the negotiated settlement of the crisis or a tool for regulating crisis and insolvency. Starting from the European regulatory framework, the study analyses the structure adopted by new Italian bankruptcy law, understanding the differences compared to the previous system and trying to offer a systematic reading, by identifying the profiles of homogeneity of protection, despite the persistence of elements of fragmentation linked to the specific recovery path chosen.
1. Il nuovo assetto della protezione del debitore alla luce del quadro normativo europeo - 2. L’impianto previgente: la protezione del patrimonio del debitore nella legge fallimentare - 3. Le “misure protettive” secondo la definizione del nuovo codice e il “catalogo” (aperto) delle protezioni - 4. Le misure protettive tra (tentativo di) reductio ad unum e frammentazione della fattispecie - 5. Le istanze del debitore e i ruoli del giudice - 6. Il limite massimo di durata della protezione - NOTE
La temporanea protezione del debitore dalle iniziative ostili dei creditori costituisce un tassello di fondamentale importanza della disciplina degli strumenti preposti a regolare la crisi e l’insolvenza [1]. L’esperienza insegna, infatti, che il successo del risanamento dipende anche dalla possibilità, per l’imprenditore in difficoltà, di ottenere, ogniqualvolta necessario, una difesa tempestiva e sufficientemente estesa dalle azioni volte all’immediato soddisfacimento di singoli creditori o, addirittura, all’apertura di una procedura di liquidazione [2]. Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha affidato la risposta a questo bisogno di tutela alle misure protettive [3]. Con esse è stata introdotta una nuova fattispecie nominata, alla quale corrispondono una precisa definizione e una nuova collocazione sistematica, all’insegna di uno stretto nesso con le regole di matrice europea. La rilevanza della protezione del debitore e del fatto che egli possa accedervi sin dalle prime fasi dell’approccio alla propria crisi (e, quindi, sin dall’avvio delle trattative con i suoi creditori) è del resto ben presente nelle fonti comunitarie, le quali declinano la tutela in senso ampio, ancorché sempre circoscritto sotto il profilo temporale. Viene infatti in considerazione non solo la sospensione delle azioni esecutive individuali, ma anche la sterilizzazione dalle iniziative che mirano all’apertura di una procedura di insolvenza, nonché l’inibizione delle condotte finalizzate all’anticipata cessazione dei rapporti negoziali. La Raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014 indica che, nell’ambito dei quadri di ristrutturazione preventiva, il debitore dovrebbe poter ottenere la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali (paragrafo III.A.6.c). Egli dovrebbe avere il diritto di chiederla al giudice in relazione a tutte le iniziative che potrebbero ostacolare il piano di ristrutturazione, incluse quelle provenienti da titolari di privilegi o garanzie; fermo restando che la sospensione non dovrebbe interferire con l’esecuzione dei contratti in corso (paragrafo III.B.10). Laddove la legge nazionale non concedesse la protezione in via automatica, ma la subordinasse a determinati requisiti, il debitore dovrebbe comunque poterla conseguire quando i creditori che rappresentino una parte [continua ..]
Benché il nuovo codice introduca significative innovazioni in materia di protezione del debitore, questo genere di tutela non può dirsi inedito, perché già presente nella legge fallimentare, ancorché in forme diverse da quelle attuali [11]. Pur in assenza di una specifica definizione e a fronte di un minor rigore sistematico [12], in passato esisteva comunque un insieme di norme deputate a “proteggere il complesso dei beni del debitore dall’aggressione esterna dei debitori, in modo da evitare la disgregazione del patrimonio nell’ottica della destinazione dello stesso alla soluzione concordata della crisi o alla liquidazione del patrimonio” [13]. Lo schema di riferimento andava individuato nell’art. 51 L. Fall., fonte del divieto, a partire dalla dichiarazione di fallimento, di iniziare o proseguire azioni individuali di natura esecutiva o cautelare sui beni ricompresi nella procedura [14]. Benché questo precetto costituisse anzitutto un ineludibile corollario del concorso [15], con conseguente necessaria prevalenza dell’esecuzione collettiva su quella individuale nell’ambito della procedura fallimentare [16] (salve rare eccezioni) [17], era nondimeno ravvisabile la sua capacità di assumere anche una valenza diversa: la protezione del debitore dalle iniziative dei terzi non (o non solo) in funzione della tutela della par condicio [18], bensì (anche) con la differente finalità di propiziare il risanamento [19]. In questa peculiare prospettiva, quello stesso divieto è divenuto il paradigma italiano dell’automatic stay, consistente, essenzialmente, nel far decorrere il blocco delle azioni esecutive e cautelari individuali da un momento antecedente alla pronuncia giudiziale di apertura della procedura concorsuale o di omologazione della soluzione concordata [20]. Nel vigore della legge fallimentare, i campi di elezione della protezione del debitore coincidevano con il concordato preventivo e con l’accordo di ristrutturazione dei debiti. Il divieto di azioni esecutive e cautelari [21] scattava, nel primo caso, dalla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese e proseguiva fino all’omologazione (art. 168, 1° comma, L. Fall.) [22]; nel secondo, operava a far data dall’iscrizione dell’accordo nel registro delle imprese e perdurava per [continua ..]
Il nuovo codice qualifica come “protettive” quelle misure temporanee richieste dal debitore al fine di evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative per la regolazione della crisi o dell’insolvenza [35], anche prima dell’accesso a uno degli strumenti a ciò preposti (art. 2, lett. p, c.c.i.i.). La disposizione permette di enucleare il perimetro della fattispecie con una certa precisione. Essa anzitutto prescrive la durata sempre determinata della protezione (non eccedente il limite massimo di cui all’art. 8) e la sua attivabilità esclusivamente su istanza della parte. Esplicita inoltre la finalità delle misure, ravvisabile – in sostanziale continuità con l’impianto previgente – nell’intento di favorire il successo della regolazione della crisi o dell’insolvenza. L’obiettivo viene perseguito non genericamente, ma secondo una specifica modalità: l’inibizione delle iniziative ostili di singoli creditori [36]. Queste indicazioni impongono di escludere dal novero delle misure protettive in senso stretto (e, conseguentemente, dall’applicazione delle norme che ne disciplinano il funzionamento, a cominciare dalla regola generale che ne circoscrive la durata) quei meccanismi di tutela del debitore che non dipendono dalla sua espressa richiesta, ma conseguono in via automatica a una domanda o a una pronuncia giudiziale con oggetto diverso. Pertanto, non costituiscono vere e proprie misure protettive non solo il divieto di azioni esecutive e cautelari cha scatta con l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 150 c.c.i.i.) e della liquidazione controllata (art. 270, 5° comma, c.c.i.i.) (al quale del resto va verosimilmente ascritta anche una peculiare e diversa finalità, improntata anzitutto alla tutela della par condicio, più che del buon esito della regolazione dell’insolvenza), ma neppure, nel concordato preventivo, nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e nel concordato semplificato, il divieto per i terzi di acquisire titoli di prelazione in assenza di apposita autorizzazione, atteso che esso decorre in via automatica del deposito del ricorso (senza necessità di apposita richiesta) e opera per tutta la durata della procedura, quand’anche eccedente l’anno (art. 46, 5° comma, c.c.i.i., [continua ..]
Il nuovo codice attribuisce alle misure protettive una rilevanza e una sfera di applicazione tendenzialmente generali [57], perché prescindono (almeno in parte) dal rapporto di stretta interconnessione con il singolo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza. L’innovazione rispetto al passato è evidente: la protezione non è più prerogativa automatica del debitore che opti per il concordato preventivo o per gli accordi di ristrutturazione dei debiti [58], ma – essenzialmente grazie alla possibilità di richiederla nel contesto della composizione negoziata – diviene un istituto invocabile pressoché invariabilmente e, quindi, indipendentemente dal percorso prescelto. In questo modo qualsiasi debitore intenzionato a regolare la propria crisi o la propria insolvenza gode della possibilità di neutralizzare le iniziative dei creditori ostili, formulando apposita richiesta al tribunale o, nell’eventualità in cui la soluzione concretamente adottata non contempli l’intervento del giudice (come nell’ipotesi del piano attestato di risanamento ex art. 56 c.c.i.i.) [59], mediante il ricorso alla composizione negoziata. Il nuovo impianto dovrebbe quindi segnare la fine della vera e propria “corsa” al concordato “in bianco” verificatasi nell’ultimo decennio e dipesa dalla circostanza che il ricorso ex art. 161, 6° comma, L. Fall. rappresentava, in passato, se non l’unico certamente il più agevole strumento per difendersi dalle azioni dei creditori (a cominciare dalle istanze di fallimento), sicché finiva per essere adottato anche nei casi in cui il debitore mirava, in realtà, a un epilogo diverso da quello concordatario. Non a caso, del resto, la stessa legge fallimentare reputava fisiologica la transizione dal concordato “con riserva” a una diversa soluzione della crisi o dell’insolvenza, ammettendo espressamente che, entro il termine concesso dal tribunale, l’imprenditore potesse depositare, anziché il piano e la proposta, il ricorso per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti medio tempore stipulato. Senza dire della possibilità di varare, nel periodo di protezione, un piano attestato di risanamento ex art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., perfezionato il quale era ammessa la rinuncia alla domanda [continua ..]
Le misure protettive vanno sempre richieste dal beneficiario (art. 2, lett. p, c.c.i.i.). Il codice della crisi ha eliminato gli automatismi che, in materia, caratterizzavano la legge fallimentare: spetta al debitore attivare lo “scudo” difensivo (salvo che esso discenda dalla legge, come nel caso degli artt. 7 e 46, 5° comma, c.c.i.i., che tuttavia, come si è visto, non disciplinano misure protettive in senso stretto), talora plasmandolo a seconda delle necessità. La richiesta può essere formulata: (a) nel contesto della composizione negoziata, unitamente all’istanza di nomina dell’esperto o con atto separato (art. 18, 1° comma, c.c.i.i.), comunque con onere di investire immediatamente il tribunale della conferma della misura (art. 19, 1° comma, c.c.i.i.); (b) in sede di ricorso ex art. 40 c.c.i.i. e, quindi, in via accessoria rispetto alla richiesta di omologazione degli accordi di ristrutturazione o di accesso al concordato preventivo, al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione e al concordato semplificato [62], limitatamente al blocco delle azioni esecutive e cautelari e al divieto di dichiarare la liquidazione giudiziale (art. 54, 2° comma, primo e secondo periodo, c.c.i.i.) [63]; (c) con istanza separata e successiva al ricorso di cui all’art. 40 c.c.i.i., avente ad oggetto le ulteriori (e innominate) misure protettive (art. 54, 2° comma, terzo periodo, c.c.i.i.); (d) nella fase di negoziazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, con richiesta specifica, circoscritta al blocco delle azioni esecutive e cautelari e al divieto di dichiarare la liquidazione giudiziale (l’art. 54, 3° comma, c.c.i.i.); (e) nell’ambito del ricorso di cui all’art. 44 c.c.i.i., vale a dire in via accessoria rispetto alla richiesta volta a ottenere la fissazione di un termine per il deposito dell’accordo di ristrutturazione, del piano e della proposta di concordato preventivo o del piano da assoggettare a omologazione, ma – di fatto – in via sostanzialmente “principale”, dato che la ragione dell’accesso anticipato allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza va di norma ravvisata proprio nella volontà di profittare delle misure protettive, anche in questo caso limitate al blocco delle azioni esecutive e cautelari e al divieto di dichiarare la liquidazione [continua ..]
La durata complessiva della protezione, fino all’omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza [70] o all’apertura della procedura di insolvenza, non può superare il periodo, anche non continuativo, di dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe e tenuto conto delle misure disposte nel contesto della composizione negoziata (art. 8 c.c.i.i.). Limitatamente alla (fase della) composizione negoziata, la durata massima è più breve: non può infatti eccedere i duecentoquaranta giorni (art. 19, 5° comma, ultimo periodo, c.c.i.i.). Già in passato, con l’introduzione del concordato “in bianco”, il profilo dell’ampiezza temporale dell’automatic stay aveva assunto fondamentale importanza [71]. Come in allora, anche oggi occorre bilanciare due distinte esigenze: da un lato, quella di concedere al debitore uno “scudo” sufficientemente esteso nel tempo da permettergli, in concreto, di elaborare la soluzione alla crisi o all’insolvenza (nell’interesse non solo del debitore medesimo, ma anche – e soprattutto – dei suoi creditori); dall’altro, quella di evitare che egli sfrutti la protezione arbitrariamente, per conseguire il risultato immediato della paralisi delle iniziative ostili, ma senza usufruirne per progredire sulla strada del risanamento. Non deve quindi sorprendere che il nuovo codice dedichi particolare attenzione al profilo della durata delle misure protettive, stabilendo che esse abbiano, inizialmente, un’estensione relativamente contenuta (non superiore a quattro mesi: artt. 19, 4° comma, e 55, 3° comma, c.c.i.i.) [72]. Sono possibili proroghe, accordabili dal giudice a fronte del concreto apprezzamento della fattispecie e, in particolare, dei progressi del debitore nella costruzione del piano (artt. 19, 5° comma, e 55, 4° comma, c.c.i.i.); com’è possibile, al contrario, che – in presenza di segnali negativi – la durata della protezione venga ridotta o che si proceda addirittura alla sua revoca (artt. 19, 6° comma, e 55, 5° comma, c.c.i.i.). La nuova norma si è però spinta oltre, stabilendo – a livello di disposizioni generali e con una previsione che è stata definita “rivoluzionaria” [73] – il menzionato principio della durata massima annuale della protezione [74], [continua ..]