La sentenza in commento resa dalle Sezioni Unite impone all’interprete una riflessione sulla relazione tra il concordato preventivo e il fallimento, sia nella loro contestuale pendenza sia nella loro successione. In particolare si può dichiarare il fallimento senza risolvere previamente il concordato preventivo in caso di inadempimento di quest’ultimo? Nel rispondere a tale quesito si stimola a considerare l’impianto sistematico del nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza e si constata come la risoluzione sia previsto dal Codice della Crisi come fase rimediale necessaria proprio nell’ottica della persistente consecuzione tra il concordato e fallimento, oggi liquidazione giudiziale.
The judgment delivered by the Supreme Court demands to reflect on the relation between the composition agreement and the failure, both contextual judicial pending and in their succession. In particular, is it possible to declare bankruptcy without first settling the composition arrangement? The Code of the Crisis provides for the cancellation of restructuring agreements as a necessary remedy considering the persistent consecution between the composition agreement and bankruptcy, today, judicial liquidation.
1. Il caso concreto, la questione di diritto e le argomentazioni - 2. Fallimento e concordato preventivo: pregiudizialità o continenza? - 3. La soluzione del Codice della Crisi. Illegittimità costituzionale o meditata scelta sistematica del legislatore? - NOTE
In seguito all’omologazione di un concordato preventivo, la società debitrice si era trovata comunque in difficoltà ed era perciò stata dichiarata fallita su iniziativa del P.M., senza però che il Tribunale avesse proceduto alla dichiarazione di risoluzione del concordato. La società, pertanto, aveva impugnato la sentenza e la Corte d’Appello aveva accolto il reclamo sostenendo che il concordato preventivo inadempiuto non poteva essere risolto se non su iniziativa dei creditori e, senza previa risoluzione, non poteva essere dichiarato direttamente il fallimento del debitore in applicazione dei presupposti generali. Il Fallimento, pertanto, impugna la decisione della Corte d’Appello e la I Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo presidente, per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite “della questione dell’ammissibilità dell’istanza di fallimento ex artt. 6 e 7 legge fallimentare nei confronti di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, a prescindere dell’intervenuta risoluzione del concordato”. Il Fallimento nella formulazione dei motivi di ricorso ha dedotto ex art. 360, 1° comma, n. 3) c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 186 R.D. n. 267/1942, per non avere la Corte d’Appello considerato che né l’art. 5 né l’art. 186 L. Fall. subordinavano la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale insolvente che si trovasse in concordato preventivo omologato (allorquando lo stato di insolvenza si manifestasse, come nel caso concreto, successivamente alla omologazione) alla previa risoluzione del concordato stesso. Peraltro nell’ambito del motivo di ricorso si evoca l’esito ermeneutico della sentenza della Corte costituzionale n. 106 del 2 aprile 2004 che dichiara inammissibile la doglianza di illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 137, 184 e 186 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione. Infatti il giudice rimettente lamentava che il creditore pretermesso dalla procedura di concordato subirebbe un deteriore trattamento, lesivo anche del suo diritto di difesa, rispetto [continua ..]
Il fallimento e il concordato preventivo sono procedure “concorsuali” che tendono a dare soluzione concretamente ad un problema dell’impresa che si declina in crisi ovvero in insolvenza a seconda del gradiente patologico. Pertanto sono procedure “concorsuali” che possono trovarsi contestualmente pendenti e tra cui si prospetta una connessione di cui è stata indagata la natura. Secondo una prima ipotesi si tratta di connessione per pregiudizialità “tecnica” la quale al netto di un fervente dibattito dottrinale [5] e molte incertezze giurisprudenziali può definirsi come relazione intercorrente tra rapporti geneticamente distinti sebbene esteriormente collegati da un nesso di condizionalità [6]. Se fosse valido l’inquadramento il giudice potrebbe constatarne la connessione e valutare l’opportunità di riunire i procedimenti ai sensi dell’art. 273 c.p.c. ovvero art. 274 c.p.c. fermo restando le norme sulla competenza giusta artt. 34 e 40 c.p.c. La riunione presuppone l’omogeneità dei riti ovvero la prevalenza di uno dei riti se diversi tra loro secondo il criterio indicato dal 4° comma dell’art. 40 c.p.c. In questa ipotesi è stato proposto di superare la diversità tenendo conto che forme e termini dell’istruttoria fallimentare sono disciplinate essenzialmente nella fase iniziale e che niente impedisce, avviato quel giudizio, di procedere con le scansioni previste dagli artt. 162 ss. L. Fall., disponendo al tempo stesso, secondo le regole del giusto processo, l’audizione delle parti e l’espletamento dei mezzi istruttori, secondo quanto previsto dall’art. 15 L. Fall. [7]. La giurisprudenza aveva inizialmente ricondotto il rapporto tra concordato preventivo e fallimento ad una relazione di pregiudizialità tecnica, desumendolo dall’art. 162 L. Fall., che prevede la dichiarazione del fallimento come conseguenza pur solo eventuale della dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo. L’orientamento della giurisprudenza [8] induceva lo stesso legislatore a prevedere che l’inammissibilità della domanda di concordato venisse dichiarata con decreto non reclamabile e che, con il reclamo avverso la conseguente sentenza di fallimento, potessero “farsi valere anche motivi attinenti all’ammissibilità della [continua ..]
Il Codice della Crisi, in vigore dal 15 luglio 2022, come integrato dalla Direttiva Insolvency 2019/1023/UE, all’art. 2. formula precise definizioni, in base alle quali “crisi” è lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi; l’“insolvenza” è lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Peraltro si rileva che la tutela fornita dal Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, sempre in ragione delle novità introdotte su impulso della Direttiva Insolvency, è anticipata anche al momento in cui la crisi o l’insolvenza non sono ancora verificate, ma le condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario dell’imprenditore che ne rendono anche solo “probabile” la crisi ovvero l’insolvenza sia reversibile in quanto risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa. In tal caso trova spazio la composizione negoziata disciplinata dall’art. 12 del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza. Quest’ultima osservazione induce ad evidenziare un altro profilo del Codice, così come innovato e profondamente nello spirito dalla Direttiva Insolvency: mentre nella versione originaria il Codice ha sposato in sostanza un’impostazione qualificabile come creditor-oriented, nella versione successiva al decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83 di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023, il Codice si informa alla filosofia della business rescue (e della salvaguardia della continuità aziendale che ne è il corollario), già indubbiamente privilegiata dall’introduzione con D.L. n. 118/2021 (c.d. Decreto Pagni) convertito nella L. 21 ottobre 2021, n. 147, dell’istituto della Composizione negoziata, in un’ottica più nettamente debtor-oriented. Il Codice della Crisi è entrato in vigore connotato non solo dalla preferenza per le soluzioni di tipo negoziale a istanza di parte sulla base della “earliest warning” ma anche della “business rescue culture”, che si concretizza nel concetto di risanabilità [continua ..]