Il commento si focalizza sui motivi che sono alla base della decisione del Tribunale di Udine di sollevare la questione della illegittimità costituzionale degli artt. 195 e 202 L. Fall. nell’ipotesi di cooperative “sotto-soglia”, segnalandone i punti di criticità.
This article focuses on the reasons underlying the decision of the Court of Udine to raise the issue of the constitutional illegitimacy of Articles 195 and 202 of the Bankruptcy Law for “small” cooperatives, pointing out its critical aspects.
Keywords: small cooperatives – insolvency – effects.
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1. La vicenda e la decisione del Tribunale di Udine - 2. Alcune questioni preliminari - 3. Gli effetti dell’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza e il riconoscimento costituzionale del fenomeno mutualistico nell’art. 45 Cost. - 4. Il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. e i presupposti soggettivi dell’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza delle cooperative - 5. Accertamento giudiziario dello stato di insolvenza, azione revocatoria fallimentare e disciplina penalistica fallimentare - 6. Accertamento giudiziale dello stato di insolvenza delle cooperative e unitarietà del fenomeno mutualistico - 7. Una chiosa finale: cooperative e ambito soggettivo di applicazione della disciplina del sovraindebitamento - NOTE
Nell’ordinanza che si commenta il Tribunale di Udine solleva la questione dell’illegittimità costituzionale dell’art. 202, 1° comma, L. Fall. nella parte in cui prevede che, su ricorso del commissario liquidatore o su istanza del pubblico ministero, il tribunale del luogo dove ha la sede legale un’impresa che si trovava in stato di insolvenza al tempo in cui è stata ordinata la sua liquidazione debba accertare comunque tale stato con sentenza in camera di consiglio: stando al tenore letterale della norma, anche senza che previamente sia verificato il ricorrere di ulteriori requisiti. Segnatamente, il Tribunale di Udine rileva che, in quanto la liquidazione coatta amministrativa è stata aperta ai sensi dell’art. 2545-terdecies nei confronti di una cooperativa insolvente (nella fattispecie, con delibera della Regione Friuli Venezia Giulia), in applicazione dell’art. 202 – nel quale non si richiamano i presupposti soggettivi che, per converso, devono ricorrere ai fini dell’assoggettamento al fallimento – esso sarebbe chiamato comunque all’accertamento dello stato di insolvenza, a nulla rilevando né la natura eventualmente agricola dell’attività di impresa esercitata né, per l’ipotesi di impresa commerciale, il possesso congiunto dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1, 2° comma, L. Fall. È bene precisare che nel caso specifico la cooperativa sottoposta a liquidazione coatta amministrativa risultava svolgere in concreto attività di commercio di fiori e piante, ancorché non sia dato sapere se per lo svolgimento di tale attività fossero utilizzati prevalentemente fiori e piante dei soci. La circostanza – che sarebbe decisiva ai fini della qualificazione della cooperativa come impresa agricola, ai sensi dell’art. 1, 2° comma, D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 [1] – non appare invero significativa ai fini della questione sollevata dal Tribunale di Udine: l’assoggettabilità della cooperativa al fallimento era, infatti, comunque da escludersi, essendo negli ultimi tre esercizi il suo passivo di poco superiore a tremila euro, i suoi ricavi nulli o modesti e l’attivo pressoché sempre pari a zero. Pertanto, anche se svolgente attività commerciale, di quella cooperativa non si sarebbe potuto dichiarare il fallimento ai sensi dell’art. 1, 2° [continua ..]
Va preliminarmente osservato come la vicenda di cui si è occupato il Tribunale di Udine abbia seguito un andamento che, nonostante la (apparente) linearità dell’art. 2545-terdecies c.c., non ha mancato di suscitare in dottrina qualche perplessità. Più precisamente, non è possibile sottacere i dubbi espressi riguardo al soggetto legittimato all’accertamento dello stato di insolvenza della cooperativa che, secondo una lettura sistematica, si è ritenuto di individuare esclusivamente nel tribunale, in tal caso chiamato peraltro a procedere immediatamente con la dichiarazione di fallimento in ipotesi di impresa commerciale sopra-soglia [2]. L’adesione a quest’ultima impostazione – fondata su un argomento letterale, i.e. la scelta del legislatore del 2003 di sostituire il richiamo alle attività insufficienti per il pagamento dei debiti (contenuto nel vecchio e abrogato art. 2540 c.c.) con il riferimento all’insolvenza, da intendersi nell’accezione di cui all’art. 5 L. Fall. [3] – priverebbe di significato la stessa ragion d’essere dell’ordinanza in commento del Tribunale di Udine, giacché l’autorità di controllo non avrebbe potuto ex ante accertare lo stato di insolvenza, né il tribunale dichiarare il fallimento della cooperativa, mancandone i presupposti soggettivi. Tuttavia, come si è già detto, nel caso in esame la cooperativa è stata posta in liquidazione con delibera regionale in quanto insolvente, e successivamente il commissario liquidatore ha chiesto al Tribunale di Udine di pronunciare la sentenza di accertamento dello stato di insolvenza sussistente al tempo in cui è stata ordinata la liquidazione. Pertanto, nella questione della quale è investito il Tribunale di Udine, l’autorità di controllo ha esercitato un potere – accertare autonomamente lo stato di insolvenza – che, mentre andrebbe negato alla luce dell’orientamento in precedenza ricordato, secondo altra parte della dottrina è invece da riconoscere all’autorità di controllo nell’espletamento della sua attività di vigilanza, e del quale si troverebbe anzi conferma sia nel tenore letterale dell’art. 2545-terdecies c.c. sia nei dati offerti dalla prassi [4]. È su queste basi che la questione della illegittimità costituzionale [continua ..]
Secondo il Tribunale di Udine la verifica va condotta alla luce delle conseguenze che sul piano giuridico discendono dall’accertamento con sentenza di uno stato di insolvenza già accertato dall’autorità amministrativa che, pur comportando l’apertura della liquidazione coatta amministrativa, non risulta di per sé sufficiente al fine del prodursi di quegli stessi effetti. Quali effetti? Innanzi tutto, ai sensi dell’art. 203 L. Fall., l’applicabilità delle disposizioni riguardanti gli effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori, a far data dal provvedimento che ordina la liquidazione; in secondo, ma non meno importante luogo, l’operatività delle disposizioni penali, secondo l’equiparazione tra accertamento giudiziale dello stato di insolvenza e dichiarazione di fallimento prevista dall’art. 237, 1° comma, L. Fall. Come rileva il Tribunale di Udine, l’insieme delle richiamate disposizioni dà luogo – sul piano del diritto sia civile sia penale – ad una deroga, più propriamente, ad un inasprimento delle norme di diritto comune per ragioni di tutela generale che, aggiunge sempre il Tribunale di Udine, “il legislatore considera prevalenti solo dove sussistano talune caratteristiche dell’impresa non mutualistica: attività commerciale e dimensioni superiori a certi limiti”. Prima di proseguire, si rendono opportune talune puntualizzazioni. La prima discende direttamente dal tenore letterale del passaggio che si è appena riportato, il quale potrebbe indurre a circoscrivere all’impresa non mutualistica tanto l’esercizio di un’attività commerciale quanto il superamento di certi limiti dimensionali. Invero, l’attività commerciale e le dimensioni superiori a soglie predeterminate dal legislatore non si prestano a essere assunte quali caratteristiche (esclusive) dell’impresa non mutualistica: ben possono, infatti, anzi sussistere cooperative non soltanto titolari di impresa commerciale, ma altresì aventi dimensioni superiori ai limiti di cui all’art. 1, 2° comma, L. Fall. Prova ne sia lo stesso art. 2545-terdecies c.c., pure richiamato nell’ordinanza in commento, a norma del quale le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche (oltre che alla liquidazione coatta amministrativa) al fallimento [6] (e, in prospettiva, [continua ..]
Viene ora da chiedersi se risulti oppure no invece più pertinente il richiamo al principio di uguaglianza di cui è espressione l’art. 3 Cost. Per dirla con autorevole dottrina, “da questa escursione in alta montagna ridiscenderemo al piano […] corroborati, ossigenati, meglio preparati ad affrontare le difficoltà della vita quotidiana del diritto” [8] e, viene da aggiungere, delle aule dei tribunali. Al riguardo va detto che, così come l’attività commerciale e le dimensioni superiori a certi limiti non possono presentarsi quali caratteristiche pressoché esclusive dell’impresa non mutualistica, parimenti l’attività non commerciale e le dimensioni inferiori a detti limiti non possono ritenersi tratti esclusivi dell’impresa mutualistica. A testimoniarlo sono, a tacer d’altro, per un verso la pacifica liceità di società lucrative, o comunque non mutualistiche, aventi come oggetto sociale l’esercizio di attività di impresa agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c., per altro verso le società, sempre lucrative, che, nonostante svolgano un’attività di impresa commerciale, in quanto sotto-soglia, ancorché insolventi, non sono soggette al fallimento perché al di sotto di ciascuna delle soglie dimensionali di cui all’art. 1, 2° comma, L. Fall., né de futuro potranno essere assoggettate alla liquidazione giudiziale giacché, pur versando in stato di insolvenza, avranno dimostrato il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art. 2, 1° comma, lett. d), CCII, che reca la definizione di impresa minore. Si è in presenza di società che, pur non mutualistiche, non sono esposte agli inasprimenti delle norme di diritto comune dei quali sono invece espressione gli artt. 64 ss. e 216 ss. L. Fall. (artt. 163 ss. e 322 ss. CCII). Sgomberato il campo da possibili equivoci sul rapporto tra scopo perseguito dalle società (mutualistico/non mutualistico), natura dell’attività d’impresa esercitata (agricola/commerciale), e fattori dimensionali [9], viene da chiedersi se vi sia una ratio sottostante alla scelta del legislatore di esporre comunque le società cooperative all’inasprimento delle norme di diritto comune conseguente all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza, anche quando esse non svolgano [continua ..]
Come in dottrina si è già avuto modo di segnalare, la questione da porre potrebbe essere altra: non l’assoggettabilità all’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza secondo gli artt. 195 e 202 L. Fall. – che è circostanza indubitabile [18] – della “piccola” impresa cooperativa o della cooperativa con un insufficiente entità delle passività inadempiute, bensì – una volta che sia stato accertato lo stato di insolvenza – la promuovibilità nei suoi confronti dell’azione revocatoria fallimentare e l’applicabilità della disciplina penalistica fallimentare [19]. Nella medesima direzione ha dimostrato di essere orientato in passato lo stesso Tribunale di Udine il quale, in un caso analogo a quello dell’ordinanza in commento, in primo luogo ha escluso che il mancato raggiungimento dei limiti dimensionali previsti per la “fallibilità” impedisca l’accertamento dello stato di insolvenza dell’impresa e la relativa dichiarazione ai sensi dell’art. 202 L. Fall., così come in ipotesi di dichiarazione ai sensi dell’art. 195 L. Fall. di imprese soggette a liquidazione “con esclusione del fallimento”, precludendo semmai la possibilità di dichiarazione di fallimento in ipotesi di “concorso fra fallimento e liquidazione coatta amministrativa” (art. 196 L. Fall.); in secondo luogo ha ritenuto che ogni eventuale profilo di illegittimità costituzionale che si volesse ravvisare nella disciplina potrebbe comunque aver rilievo eventualmente nell’ambito del procedimento penale che il Commissario decidesse di instaurare nei confronti degli amministratori della cooperativa (per effetto dell’art. 237 L. Fall,) o nell’ambito dei giudizi di revocatoria fallimentare per la reintegrazione della garanzia patrimoniale a favore dei creditori [20]. Merita, tuttavia, precisare sul punto che altra parte della giurisprudenza ha radicato i diversi presupposti del sistema revocatorio e della responsabilità penale (nel caso di fallimento: stato di insolvenza, superamento anche soltanto di una delle soglie dimensionali di cui all’art. 1, 2° comma, L. Fall., ammontare di debiti scaduti e non pagati non inferiore a trentamila euro; stato di insolvenza soltanto nella liquidazione coatta amministrativa) e, quindi, altresì la [continua ..]
È possibile affermare che l’argomento dirimente stia nell’art. 2545-quaterdecies, il quale sottopone le società cooperative alle autorizzazioni, alla vigilanza e agli altri controlli previsti dalle leggi speciali. Si tratta di un sistema estremamente articolato che trova una compiuta disciplina nel D.Lgs. 2 agosto 2002, n. 220 e che è espressione della funzione sociale costituzionalmente riconosciuta alla cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata (art. 45, comma 1, Cost.): e può, aggiungersi, senza nessuna distinzione né in termini dimensionali né in termini di natura dell’attività svolta (eccezion fatta per le attività il cui esercizio comporta l’applicazione delle discipline di settore), ma soltanto in relazione ai soggetti legittimati a svolgere le funzioni di vigilanza, riservate alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, nell’ambito della rispettiva competenza territoriale, al Ministero dello Sviluppo economico in tutti gli altri casi (così l’art. 1 D.Lgs. n. 220/2002). Se, dunque, tutto il sistema va nella direzione dell’unitarietà del fenomeno mutualistico il quale, pur nella varietà delle sue manifestazioni, ha comunque un rilievo economico e sociale, che spiega la sua sottoposizione a controllo pubblico, non appare convincente il ricorso a una soluzione che di fatto introduce distinzioni (nel caso specifico fondate soprattutto su fattori dimensionali) le quali, in contesti non mutualistici, trovano invero la loro ragion d’essere nel tentativo di deflazionare le ipotesi di fallibilità. Come ricorda lo stesso Tribunale di Udine, “la scelta di sottoporre le società cooperative insolventi a una procedura concorsuale affidata prevalentemente all’autorità amministrativa è coerente con il sistema di controlli predisposto dal codice civile e dalle leggi speciali a presidio della corretta destinazione e gestione degli incentivi pubblici elargiti, sotto varie forme, a questo specifico settore economico”. Ma, è possibile aggiungere, proprio perché tutte sono destinatarie, in quanto portatrici di una funzione sociale, di incentivi pubblici, sub specie di agevolazioni sia fiscali (di cui sono in particolare destinatarie le cooperative a mutualità prevalente) sia sotto altre forme (di cui [continua ..]
Infine, appare privo di pregio anche l’ulteriore argomento al quale ricorre il Tribunale di Udine per sottolineare l’attuale disparità di trattamento delle cooperative rispetto ad altri soggetti: la disciplina della liquidazione del patrimonio ai sensi della L. 27 gennaio 2012, n. 3 – diretta a liquidare i beni del debitore al fine di ripartirne il ricavato tra i creditori, analogamente sotto questo profilo a quanto avviene nel fallimento – e la sua più vistosa differenza con il fallimento, che consiste proprio nell’assenza, nella prima, “di speciali azioni recuperatorie a servizio dei creditori concorsuali e di fattispecie di reato e sanzioni penali paragonabili a quelle predisposte in ambito fallimentare”. Ebbene, se, come avverte il Tribunale di Udine, è vero che “le imprese non assoggettabili a fallimento (principalmente, ma non solo, imprese agricole e imprese c.d. sottosoglia) sono […] assoggettabili […] alla procedura di liquidazione del patrimonio” ex art. 14-ter L. n. 3/2012, è altrettanto vero che lo sono al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla stessa L. n. 3/2012 (art. 6, 1° comma). Si tratta di un’opzione legislativa resa in forma ancor più plastica dal CCII che, nel mentre definisce il sovraindebitamento e dopo aver menzionato una varietà di soggetti, tra i quali l’imprenditore agricolo e l’imprenditore minore, al tempo stesso introduce una norma di chiusura, valevole quindi anche per i debitori espressamente citati, secondo la quale la disciplina del sovraindebitamento è destinata a “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza” (art. 2, 1° comma, lett. c [27]). Dunque, le cooperative agricole e quelle sotto-soglia, in quanto assoggettabili a liquidazione coatta amministrativa per il caso di insolvenza, ex art. 2545-terdecies c.c., non rientrano nel raggio di applicazione della disciplina del sovraindebitamento [28] né, pertanto, possono accedere a nessuna delle relative procedure. Per ciascuna delle ragioni precedentemente esposte, si ritiene di non poter condividere la scelta [continua ..]