Il lavoro considera alla luce del recente D.Lgs. n. 83/2022 alcuni problemi inerenti all’attività che il notaio può essere chiamato a svolgere nell’ambito del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. In particolare, il saggio analizza dapprima i casi in cui il notaio sia chiamato a verbalizzare la domanda di accesso ad uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dall’ordinamento, ponendo in luce le novità recate dall’art. 120-bis CCII, in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023, specie per quanto concerne l’attribuzione in via esclusiva agli amministratori della competenza a decidere il ricorso ad uno di tali strumenti. Successivamente l’attenzione si concentra sul nuovo art. 120-quinquies CCII e sulla tendenziale riduzione degli àmbiti di intervento del notaio, conseguente al principio per cui le modifiche statutarie della società debitrice possono essere direttamente realizzate dal provvedimento giudiziale di omologa dello strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza.
The essay considers, in the light of the recent legislative decree 83/2022, some problems inherent to the activity that the notary can be called upon to carry out in the context of the italian crisis and insolvency code. In particular, the essay first analyzes the cases in which the notary is called to verbalize the request for access to one of the crisis and insolvency regulation tools provided for by the law, highlighting the innovations brought about by the new art. 120-bis of the crisis and insolvency code, in implementation of Directive (EU) 2019/1023, especially as regards the exclusive attribution to administrators of the competence to decide on the use of one of these tools. Subsequently, attention is focused on the new art. 120-quinquies of the code and on the tendential reduction of the areas of intervention of the notary, consequent to the principle that the statutory changes of the debtor company can be directly implemented by the judicial provision of homologation of the instrument for regulating the crisis and insolvency.
Keywords: Crisis code – Notary – Control.
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1. Premessa. Individuazione dei temi oggetto di analisi - 2. L’intervento del notaio nella fase prodromica all’avvio di uno strumento della regolazione della crisi e dell’insolvenza - 3. (Segue): ulteriori problemi inerenti all’estensione e ai caratteri del controllo notarile - 4. L’intervento del notaio nella fase esecutiva di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Conclusioni - NOTE
Il titolo del presente contributo richiede, in limine, un chiarimento. Invero, mentre la prima parte replica il titolo di un lavoro apparso, in questa stessa Rivista, pochi mesi dopo l’emanazione del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza [1], e mira quindi a porre in luce i profili di continuità rispetto alle riflessioni svolte in quella circostanza, la seconda vuole invece richiamare l’attenzione sul fatto che l’obiettivo dello scritto è non tanto (tornare a) discutere di problemi già affrontati nel 2019, quanto dar conto – ancorché nei limiti di un’analisi dichiaratamente preliminare e incompleta come quella che ci si appresta a condurre – di alcune possibili ricadute su tali problemi (e non solo) delle ultime modifiche al medesimo codice, con particolare riguardo alle novità risultanti dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, di recepimento della c.d. Direttiva Insolvency [2]. Tanto premesso, è bene procedere con ordine, individuando per sommi capi i temi che si intendono toccare nelle pagine che seguono. Si tratta di temi che concernono il notaio, nella misura in cui quest’ultimo è chiamato a un’attività che si esplica in date fasi e tocca taluni punti nevralgici delle procedure regolate dal codice della crisi: un’attività che, come si notava già all’indomani del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, per certi aspetti sembrerebbe essere divenuta potenzialmente più delicata che in passato, e condurre ad una maggior responsabilizzazione dello stesso notaio. Anche se – preme notare sin da subito – alcune delle regole dettate dal recente D.Lgs. n. 83/2022 parrebbero condurre a un esito diverso, ovvero all’alleggerimento dei controlli rimessi al notaio e, allora, anche a una riduzione dei possibili profili di responsabilità di costui. Per conferire maggiore concretezza al discorso, può essere utile operare una distinzione preliminare, alla luce del momento in cui si realizza il controllo che il notaio può essere tenuto a svolgere: a seconda, cioè, che siffatto controllo si appunti su atti, su delibere o su decisioni sociali che precedono l’apertura di uno degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza previsti dal D.Lgs. n. 14/2019, oppure si concentri su delibere o su decisioni che attengono a (e influiscono su) [continua ..]
La rilevanza di queste previsioni ai fini di un discorso relativo al ruolo del notaio potrebbe forse non apparire evidente o immediatamente percepibile. Tuttavia, essa affiora in modo più chiaro se si concentra l’attenzione sulle regole introdotte dal D.Lgs. n. 83/2022 nel corpo del codice della crisi, dando seguito (anche) alle indicazioni risultanti dai precetti testé ricordati. Ed è qui che appunto può essere opportuna – se non si vede male – la distinzione cui prima si accennava, incentrata sul momento nel quale il notaio è chiamato a svolgere il proprio magistero. La prima ipotesi è, come pure si diceva, quella in cui il notaio intervenga nella fase prodromica all’apertura di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza. A tale momento si riferisce, o per essere più precisi si riferiva l’art. 44, 5° comma, CCII, lì dove disponeva che le società dovessero approvare la «domanda di concordato preventivo», al pari della domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, «a norma dell’art. 265» CCII: regola quest’ultima che esige [3] che nelle società di capitali e cooperative – in assenza di una diversa clausola statutaria – «la proposta e le condizioni» del concordato (nella liquidazione giudiziale) siano deliberate dagli amministratori [4], con una delibera o decisione che «deve risultare da verbale redatto da notaio» ed essere «depositata ed iscritta nel registro delle imprese a norma dell’articolo 2436 del codice civile» (art. 265, 2° comma, lett. b, e 3° comma, CCII). L’uso del verbo al passato deriva dal fatto che il precetto dell’art. 44, 5° comma, CCII – in una con il rinvio che esso operava all’art. 265 CCII – è ormai caduto [5], a fronte dell’introduzione, da parte del D.Lgs. 83/2022, della prima delle norme dedicate agli «strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza delle società» [6], ovvero l’art. 120-bis CCII (rubricato «accesso»). Per quanto qui rileva, tale norma prevede – al primo comma – che l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza sia deciso in via esclusiva dagli amministratori, «unitamente al contenuto della proposta e [continua ..]
Il secondo profilo di interesse della regola dell’art. 120-bis, 1° comma, CCII riguarda in modo più specifico la posizione e i compiti del notaio. Invero, la nuova disciplina esclude – come detto – la possibilità che costui sia chiamato a verbalizzare la delibera assembleare o la decisione dei soci di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, come invece poteva accadere alla stregua (dell’art. 152 L. Fall., prima, e, poi,) dell’art. 265 CCII, all’esito del richiamo fattone dall’originario art. 44, 5° comma, CCII. Non esclude, invece, anzi rende più probabile che in passato l’eventualità che il notaio verbalizzi la decisione degli amministratori di ricorrere ad uno di siffatti strumenti: la formula della norma – «la decisione deve risultare da verbale redatto da notaio» – ha infatti una latitudine tale da indurre a ritenere che il notaio possa essere tenuto a prestare la propria attività in ipotesi nuove e, talora, potenzialmente problematiche. Ad es., la decisione potrebbe essere quella presa dall’amministratore in caso di amministrazione disgiuntiva, ovvero quella assunta da un singolo amministratore, pur avendo la società adottato il modello congiunto, sulla base dell’asserita esigenza «di evitare un danno alla società» ex art. 2258, 3° comma, c.c. (danno che potrebbe essere rappresentato da un imminente drastico aggravamento della crisi), o, ancora, la decisione degli amministratori di un’associazione (e, forse, di una fondazione, qualora si ritenga che la nuova disciplina, che l’ultimo comma dell’art. 120-bis CCII estende in quanto compatibile agli «imprenditori collettivi diversi dalle società», possa applicarsi per analogia anche agli enti non collettivi che esercitino attività d’impresa). Sempre la formula dell’art. 120-bis CCII solleva due problemi, invero tra loro in parte collegati, riguardanti il notaio e la sua attività. Il primo fra essi è tutt’altro che nuovo, e si pone nei casi – piuttosto frequenti, almeno sotto il vigore della legge fallimentare – in cui la società depositi una domanda c.d. incompleta, riservandosi di presentare in un secondo momento la proposta, il piano e gli accordi (art. 44, 1° comma, CCII). In tale ipotesi, ci si chiede se debba [continua ..]
Distinta considerazione va riservata, come si anticipava, all’ipotesi in cui il notaio sia chiamato a prestare la propria attività con riguardo a delibere o a decisioni che attengono a (e sono potenzialmente in grado di ripercuotersi su) l’attuazione di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza già avviato. Anche qui, invero, emergono dall’ultimo decreto novità non del tutto prive di interesse dal punto di vista del ceto notarile. Il pensiero va essenzialmente a tre norme. La prima di esse è sempre l’art. 120-bis CCII, lì dove stabilisce – al secondo comma – che «ai fini del buon esito della ristrutturazione il piano può prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni». Anche su questo precetto si potrebbero svolgere diverse considerazioni, che tuttavia non sarebbero pertinenti rispetto al discorso condotto nel presente saggio. Ai fini di tale discorso, basti osservare che i profili più significativi della nuova regola si rinvengono, almeno così sembra, non solo in quanto essa espressamente afferma, cioè nel riconoscimento della possibilità di indicare nel piano modifiche potenzialmente molto profonde della struttura organizzativa e delle regole statutarie della società debitrice, nonché tali da «incid[ere] direttamente sui diritti di partecipazione dei soci», quali aumenti e riduzioni di capitale con limitazione o esclusione del diritto di opzione, ma anche (se non soprattutto) in ciò che essa sottintende: ovvero che tali modifiche – previste dal piano, la cui elaborazione si è rilevato essere ormai di esclusiva e inderogabile competenza degli amministratori – possono realizzarsi pur quando i soci (la maggioranza, o anche la totalità) non le condividano, ovvero siano senz’altro contrari. A tale risultato si giunge invero dando rilievo alle due ulteriori norme cui si accennava. Innanzitutto, quella dell’art. 120-ter CCII, che prevede per la prima volta il classamento dei soci, in generale facoltativo, che però diviene obbligatorio – oltre che nell’ipotesi di [continua ..]