Attraverso lo studio della più recente giurisprudenza amministrativa ed europea in tema di responsabilità del soggetto non colpevole dell’inquinamento, con approccio interdisciplinare, il presente contributo intende porre in luce l’assoluta mancanza di coordinamento tra normativa concorsuale ed ambientale nonché il paradosso della (potenziale) responsabilità penale del curatore fallimentare nominato rispetto agli obblighi di bonifica, ripristino e recupero dello stato dei luoghi inquinati nonché rispetto al corretto smaltimento dei rifiuti, spesso speciali, acquisiti alla procedura fallimentare. Ed infatti, l’analisi condotta sul delitto di “omessa bonifica” (art. 452-terdecies c.p.), introdotto con la riforma sugli Ecoreati del 2015, insieme al restante apparato sanzionatorio in materia, pare non tenere in adeguata considerazione una situazione di fatto insormontabile: l’assenza di attivo disponibile, da parte della curatela, da destinare alle dispendiose operazioni di risanamento ambientale, di cui pure una recente Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 2021 sembra avere contezza.
Through the study of the most recent administrative and European jurisprudence on the liability of the person not guilty of pollution, with an interdisciplinary approach, the work aims to highlight the absolute lack of coordination between bankruptcy and environmental legislation and the liability, also criminal, of the bankruptcy trustee with respect to the obligations of remediation, restoration and recovery of the state of the polluted places, as well as on the correct disposal of waste acquired at the bankruptcy procedure. In particular, the analysis of the crime of “omitted reclamation” (art. 452-terdecies c.p.), introduced with the reform on Eco-crimes of 2015, does not have adequate consideration of a factual situation: the absence of available assets, the absence of assets to be used in costly environmental remediation operations, which a recent Plenary Meeting of the Council of State in 2021 also seems to know.
Keywords: environmental responsibility – remediation – waste – bankruptcy trustee; contamination – dispossession.
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Al momento della sentenza dichiarativa di fallimento, sempre più frequentemente, l’organo gestorio della procedura, quale detentore ed amministratore delle res oggetto di spossessamento, trova a confrontarsi con puntuali obblighi di intervento prescritti dalla legislazione ambientale riferiti a fatti commessi (più spesso omessi) dall’imprenditore fallito durante l’esercizio dell’impresa. E tuttavia, sebbene il tema concernente la tutela ambientale nella procedura fallimentare interessi una più ampia riflessione di politica del diritto in merito all’allocazione delle esternalità negative di produzione, tanto interna quanto soprattutto europea, l’apparato sanzionatorio come pure i criteri di imputazione delle responsabilità non sembrano del tutto coordinati con i principi e le specialità della disciplina concorsuale. Obiettivo del presente lavoro, dunque, è quello di porre in luce l’ennesima contraddizione normativa ricorrente in ambito concorsuale, risultato di un mancato opportuno coordinamento tra testi giuridici e di una ormai desueta visione filoprivatistica delle procedure concorsuali che, anche con la recente riforma, continua a trascurare o, quantomeno, a non considerare adeguatamente tutti gli interessi pubblici emergenti nella gestione della crisi dell’impresa. In tale prospettiva, allora, si renderà opportuno premettere alcune brevi considerazioni introduttive sulla posizione del curatore fallimentare nominato che, tranne che nell’ipotesi in cui l’inquinamento venga prodotto proprio durante l’autorizzato esercizio provvisorio dell’impresa [1], pur qualificandosi come soggetto non responsabile della contaminazione, al contempo, risulta destinatario di puntuali obblighi di intervento, oltre che di ordini di facere, da parte delle amministrazioni competenti alla tutela dell’ambiente e della sicurezza della collettività [2]. Inoltre, l’esame sarà condotto alla luce della relazione speciale recentemente pubblicata dalla Corte dei Conti Europea sullo stato di attuazione del principio europeo “chi inquina paga” nelle diverse politiche dell’Unione in materia ambientale [3] che, proprio con riguardo alle imprese a rischio insolvenza, ben rileva come «(…) il bilancio dell’UE è talvolta utilizzato per finanziare azioni di bonifica che [continua ..]
Come poc’anzi anticipato, un interessante recente studio preparato per il Parlamento europeo ha rilevato come la normativa dei singoli Stati membri, in diverso modo, sia (in)capace di fronteggiare l’annoso problema dell’insolvenza dell’impresa inquinatrice tenuta a sostenere i costi ambientali in omaggio al principio europeo inquinatore-pagatore e, quindi, ad evitare che dette operazioni siano finanziate con i contributi dei cittadini. Come noto, infatti, la Direttiva ELD sulla responsabilità ambientale, mostrando la chiara consapevolezza del legislatore europeo sull’impossibilità di completare i necessari interventi ambientali di ripristino nel caso in cui l’impresa obbligata divenga insolvente, esorta agli Stati membri, quantomeno, ad «incoraggiare lo sviluppo, da parte di operatori economici e finanziari appropriati, di strumenti e mercati di garanzia finanziaria, (…) per assolvere alle responsabilità ad essi incombenti» [5]. Si tratta, in particolare, di una qualunque forma di garanzia come, ad esempio, una polizza assicurativa o una garanzia bancaria che, tuttavia, gli Stati membri non sono tenuti a rendere obbligatoria per ogni tipologia di impresa [6]. Ed infatti, come evidenzia il richiamato studio preparato per il Parlamento europeo, con riferimento agli attuali ventisette Stati membri la stragrande maggioranza di essi (venti) non impone nessuna forma di garanzia finanziaria obbligatoria per le imprese a rischio insolvenza; appena due di essi (Italia e Polonia) richiedono una garanzia finanziaria obbligatoria limitata a specifiche attività produttive; infine, solo cinque Stati membri (Spagna, Portogallo, Irlanda, Repubblica Ceca e Slovacchia) impongono una garanzia finanziaria obbligatoria per tutte le imprese che comportano un rischio ambientale [7].
Venendo al quadro normativo e giurisprudenziale interno, sulla problematica possibilità che sul soggetto non responsabile della contaminazione di un’area possano farsi gravare gli obblighi previsti nel Titolo V, Parte IV del D.Lgs. n. 152/2006, relativo alle bonifiche dei siti inquinati, la giurisprudenza amministrativa ha dibattuto a lungo negli ultimi anni [8]. Sul punto, invero, già prima dell’intervento risolutorio di ben due note Adunanze Plenarie gemelle del Consiglio di Stato, erano emersi due grandi contrapposti orientamenti giurisprudenziali [9]. Secondo una prima minoritaria tesi, in particolare, le disposizioni di diritto interno, contenute principalmente nel Codice dell’ambiente, ed europeo legittimano l’imposizione, da parte delle amministrazioni competenti, di tutte le necessarie misure di prevenzione e riparazione anche nei confronti del soggetto non responsabile della contaminazione [10]. In primo luogo, veniva valorizzato l’argomento letterale di talune disposizioni del codice ambientale che, espressamente, coinvolgono anche il soggetto non responsabile dell’inquinamento nell’adozione di talune misure; tanto avviene, ad esempio, all’art. 244 D.Lgs. n. 152/2006 nella parte in cui prescrive che l’ordinanza motivata, con la quale la Provincia territorialmente competente diffida il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere a norma dell’art. 242 e seguenti, «viene comunque notificata anche al proprietario dell’area ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253». Ancora, all’art. 245 D.Lgs. n. 152/2006 che facoltizza il proprietario non colpevole della contaminazione nell’attivare – sia pure su base volontaria – gli interventi di messa in sicurezza di emergenza e bonifica dell’area. Ed inoltre, la medesima disposizione è richiamata nella parte in cui obbliga detto soggetto, ove rilevi il superamento della concentrazione soglia della contaminazione (CSC) – a «darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’articolo 242». La stessa norma, infine, riconosce poi «al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari [continua ..]
Come si è già avuto modo di osservare, il soggetto non responsabile della (potenziale) contaminazione dell’area è tuttavia destinatario, quantomeno, di uno specifico obbligo di intervento e di notificazione nei riguardi delle amministrazioni competenti al quale si aggiungono, ulteriormente, talune facoltà di intervento su base volontaria attribuite dalla legge [25]. Ed infatti, primariamente, l’art. 245 TUA prescrive che, fatti salvi gli obblighi del soggetto responsabile dell’inquinamento potenziale, che trovano applicazione al momento in cui si verifica un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito (art. 242), il proprietario o il gestore dell’area «che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione»; seguendo, anche qui, la medesima procedura prevista all’art. 242 del codice [26]. Ricevuta la comunicazione, quindi, gli Enti territoriali menzionati sono tenuti ad attivarsi per l’individuazione del soggetto responsabile della contaminazione [27] al fine di intraprendere le necessarie operazioni di bonifica [28]. E, tuttavia, detto procedimento risulta «interrotto qualora il soggetto non responsabile della contaminazione esegua volontariamente il piano di caratterizzazione», entro un particolare termine fissato dalla legge. In secondo luogo, ulteriormente, la norma in esame dispone che «è comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità».
Con una recentissima e discussa decisione, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato è stata poi chiamata a comporre un diverso acceso contrasto giurisprudenziale [29] in merito alla legittimazione passiva del curatore fallimentare rispetto alle ordinanze adottate dagli enti pubblici ex art. 192 del D.Lgs. n. 152/2006 [30], in materia di rifiuti [31]. Secondo il giudice amministrativo, infatti, in seguito alla pronunzia della sentenza dichiarativa di fallimento, l’onere di ripristino e smaltimento dei rifiuti ricade sulla curatela fallimentare ed i relativi costi gravano sulla massa dei creditori [32]. Più in dettaglio, detta legittimazione passiva, si ricollegherebbe alla qualifica di detentore dei beni sui quali i rifiuti insistono dal momento che ad assumere rilievo sarebbe la mera disponibilità materiale dei beni [33]; in altre parole, il titolo giuridico che consente la gestione del patrimonio nel quale i beni inquinati sono ricompresi [34]. Al contrario, qualora si escludesse la legittimazione passiva della curatela fallimentare rispetto agli obblighi di messa in sicurezza e smaltimento dei rifiuti, si finirebbe per riversare tali costi – quali esternalità negative di produzione [35] – sulla collettività incolpevole dell’inquinamento, ponendosi così in contrasto non solo con il fondamentale principio europeo “chi inquina paga” ma altresì aggravando la sostenibilità stessa dei bilanci pubblici [36] che si troverebbero, in tal modo, a sostenere il costo dell’iniziativa economica non rispettosa dell’ambiente circostante [37]. Di particolare interesse, ai fini del tema oggetto del presente lavoro, si presenta poi il passaggio della motivazione dove l’Adunanza Plenaria, testualmente, afferma che nessun rilievo assumono «le considerazioni, pur espresse dalla difesa, concernenti l’eventualità che il fallimento sia, in tutto o in parte, incapiente rispetto ai costi della bonifica. Si tratta invero di evenienze di mero fatto, peraltro configurabili anche in ipotesi riferibili a un imprenditore non fallito, o al proprietario del bene o alla stessa amministrazione comunale che, in dissesto o meno, non abbia disponibilità finanziarie adeguate. Ciò che rileva nella presente sede è l’affermazione dell’imputabilità al fallimento [continua ..]
Il suesposto quadro, in particolare la [discutibile] qualificata legittimazione passiva del curatore fallimentare rispetto alle ordinanze comunali in materia di rifiuti, si presenta altamente problematico passando allo studio dell’apparato sanzionatorio previsto proprio a fronte della mancata ottemperanza delle (ordinate) operazioni di bonifica [39], ripristino [40] o recupero dello stato dei luoghi inquinati [41] ovvero dell’abbandono, deposito od immissione dei rifiuti nelle acque, superficiali o sotterranee; nonché, da ultimo, l’inottemperanza delle ordinanze sindacali con le quali sono disposte tutte le operazioni necessarie alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al conseguenziale ripristino dello stato dei luoghi. A ben vedere, ad assumere rilievo sono diverse fattispecie criminose; tra queste, le principali da attenzionare sono una delittuosa (art.452-terdecies c.p.) [42] e l’altra di natura contravvenzionale (art. 257 D.Lgs. n. 152/2006) [43]; alle quali si aggiunge, poi, la fattispecie prevista all’art. 255 D.Lgs. n. 152/2006, che prevede una sanzione amministrativa pecuniaria a fronte dell’abbandono dei rifiuti, nonché un’ulteriore contravvenzione per il caso di inottemperanza alle ordinanze sindacali [44]. Tanto preliminarmente posto, la prima delle suddette fattispecie richiamate dispone che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000» [45]. Ebbene, come noto, attraverso tale disposizione, con la riforma sugli Ecoreati del 2015, il legislatore ha inteso apprestare una maggiore tutela al bene giuridico “ambiente” punendo, in forma omissiva, colui il quale protrae l’offesa a detto bene non ottemperando all’ordine di bonifica, ripristino e recupero dello stato dei luoghi inquinati [46]. La fattispecie delittuosa dolosa, naturalmente, interessa il solo “destinatario di obblighi” [47] posti dalla legge, dall’ordine del giudice [48] ovvero da una pubblica autorità amministrativa [49]. In secondo luogo, a venire in rilievo è [continua ..]
Ebbene, tanto sommariamente premesso, gli obblighi di intervento ed i connessi profili di responsabilità amministrativa e penale suesposti, ad avviso di chi scrive, si presentano particolarmente problematici qualora ad esservi obbligato sia il curatore fallimentare il quale, proprio attraverso lo spossessamento in sede concorsuale, diviene amministratore del patrimonio fallimentare compiendo tutte le operazioni della procedura nell’ambito delle funzioni attribuite dalla legge [56]. Ed inoltre, è bene subito rammentare come, a norma dell’art. 42 L. Fall., ad essere ricompresi nel fallimento sono sia i beni del fallito, esistenti alla data della sentenza dichiarativa di fallimento che i beni che pervengano al fallito durante il fallimento stesso [57]. Infine, va osservato che, nell’esercizio delle sue funzioni, il curatore fallimentare possiede, altresì, la qualifica di pubblico ufficiale [58]. Sebbene nessun dubbio sorga in merito al fatto che il curatore fallimentare rientri tra i soggetti obbligati a norma dell’art.452-terdecies c.p., nonché dell’art. 257 cod. amb. e, sulla base delle indicazioni fornite dalla recente Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 2021, anche rispetto all’obbligo di ripristino e smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 D.Lgs. n. 152/2006, un grande ostacolo si presenta nella pratica delle procedure concorsuali: quello della cronica mancanza di attivo disponibile da poter concretamente destinare, impiegare, in tali operazioni. Ed infatti, è fin troppo noto agli operatori delle procedure concorsuali che l’attivo delle procedure sia fisiologicamente insufficiente a soddisfare, talvolta anche in assai ridotta parte, gli stessi creditori muniti di privilegio. Dal canto suo, le voci di costo necessarie al rispristino, smaltimento dei rifiuti (spesso speciali) nonché di bonifica delle aree contaminate si presentano fortemente onerose [59]. Da qui, l’imbarazzo normativo, ad avviso di chi scrive, risultato di una grave carenza di coordinamento tra normativa concorsuale, penale ed ambientale sul punto, che vede il curatore fallimentare concretamente esposto alla responsabilità penale per non aver fatto ciò che la legge gli imponeva, in astratto, di fare. Più esattamente, occorre domandarsi cosa succeda qualora il curatore fallimentare, obbligato per ordine di una pubblica [continua ..]
L’esame condotto nel presente lavoro, in una prospettiva interdisciplinare del diritto concorsuale con il diritto amministrativo e penale, oltre che europeo, ha consentito di evidenziare una grave problematica emersa nella pratica delle procedure concorsuali che richiede il necessario, auspicato, intervento legislativo. A sommesso modo di vedere di chi scrive, infatti, sorvolando dall’alto il problema, è possibile ricondurre tutte le considerazioni svolte e le problematiche emerse ad un comune denominatore da attenzionare maggiormente che attiene alla discutibile tecnica normativa impiegata dal legislatore della crisi, anche con la recente riforma organica. Si tratta, in particolare, di una alquanto censurabile prassi di legiferare una materia, come quella concorsuale, fortemente interconnessa con altre discipline giuridiche senza, tuttavia, adeguatamente coordinarle. Ebbene, sul punto, non può non rilevarsi come tale criticità sia ben conosciuta dallo stesso legislatore che, proprio con la recente riforma, ha provveduto ad introdurre forme e canali di coordinamento tra la normativa della crisi con altri testi normativi, portatori di interessi assai eterogenei tra loro. Si pensi, a titolo di esempio, all’anelato coordinamento tra misure ablatorie penali e procedura fallimentare che, sovente nella pratica, ha generato enormi problemi applicativi. Ebbene, il Codice della Crisi provvede a coordinare la (nuova) procedura di liquidazione giudiziale [69] con la tutela dei terzi e con i provvedimenti ablatori emessi del magistrato penale, instaurando così un assai apprezzato dialogo tra Codice della Crisi, Codice Antimafia [70] e Codice di procedura penale [71] e, quindi, tra le rispettive giurisdizioni. Sarebbe fortemente auspicabile, allora, che la problematica in esame fosse maggiormente attenzionata dal legislatore che, altro dal rimetterne la soluzione alla creatività giuridica dei singoli interpreti, spesso peraltro privi di adeguate trasversali conoscenze giuridiche altamente specialistiche in materia ambientale, provveda a meglio coordinare la disciplina concorsuale sul punto, specificando attribuzioni, oneri e responsabilità degli operatori delle procedure concorsuali [72].