Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il contratto di advisoring e la rilevanza “civilistica” della causa di regolazione della crisi (di Danilo Galletti, Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università degli Studi di Trento)


Lo scritto prende in esame il contenuto socialmente tipico del contratto di advisoring, e considera come la funzione regolatoria della crisi, e la esigenza di tutelare l’interesse della Massa creditoria, modifichino l’applicazione dei principali istituti civilistici. In particolare viene esaminata la fattispecie delle prestazioni rese in équipe, ove ciascun membro del team, nel coordinarsi con gli altri, deve farsi carico di obblighi minimali di controllo della prestazione altrui a tutela dei creditori. Vengono poi prese in considerazione la particolare posizione dell’advisor legale indicato dalle banche, e le clausole che determinano il corrispettivo à forfait.

 

The advisory contract and the civil law relevance of the crisis management’s consideration

The paper examines the socially typical content of the advisory contract, and considers how the crisis management’s aim, and the need to protect the interest of the creditors, modify the application of the main civil law institutes. In particular, the case of the services rendered as a team is examined, where each member of the team, in coordinating with each other, must undertake minimal obligations to control the performance of the others, to protect creditors. The particular position of the legal advisor indicated by the banks and the clauses that determine the “lump sum” payment are finally taken into consideration.

Keywords: Crisis – management – contract – advisoring – fee.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il contenuto socialmente tipico della prestazione dell’advisor - 3. (Segue): la rilevanza degli interessi della Massa creditoria - 4. Il rilievo dell’interesse dedotto nella prestazione da rendere in équipe - 5. Prassi aberranti: l’advisor legale indicato dal ceto bancario - 6. (Segue): tecniche negoziali di commisurazione del compenso - NOTE


1. Premessa

Le recenti innovazioni nell’ambito del diritto concorsuale, con l’introduzione prima della composizione negoziata (D.L. n. 118/2021), e poi con la “rivisitazione”, in chiave unionale (leggi Direttiva Insolvency), del D.Lgs. n. 14/2019 (di seguito, solo “CCII”), hanno riportato sicuramente in primo piano gli aspetti “negoziali” relativi alla funzione regolatoria della crisi. Non si tratta soltanto di una maggiore enfasi riposta nelle soluzioni “negoziali”, che assecondi mutamenti nella percezione degli interessi sottesi alla crisi, o l’e­mersione di una maggiore fiducia nell’utilizzo di moduli “privatistici”, rispetto alla tradizionale dicotomia che tradizionalmente collocava al primo piano della “piramide” gli aspetti di natura pubblicistica [1]. Le novità sono infatti anche di carattere “istituzionale” ed attengono a profili di carattere “sostanziale”. Se infatti il piano dell’accordo privatistico, della sua negoziazione e del suo contenuto era prima d’ora collocato prevalentemente sullo sfondo, come un dato acquisito, un semplice presupposto fattuale per l’applicazione di norme prevalentemente destinate a regolare gli aspetti processuali e procedimentali, il diritto riformato si interessa invece direttamente del percorso che conduce alla negoziazione del contratto che regola (o contribuisce a regolare) la crisi, istituisce una cornice istituzionale che ospita gli attori della negoziazione, e mette a disposizione una figura, parimenti “istituzionale”, che svolge prevalentemente un ruolo propulsivo in tale direzione [2]. Le norme tuttavia non si interessano solo della cornice “procedimentale”: esse infatti dettano anche disposizioni di carattere sostanziale, che definiscono non solo doveri formali di comportamento delle parti durante la negoziazione, ma anche doveri di condotta, che attengono al contenuto degli accordi che attraverso tali strumenti si vanno a proporre, a valutare, ed infine ad accettare o rifiutare. Il richiamo generale alla “buona fede”, declinato anche in obblighi di comportamento specifici, che attengono non solo alla condotta delle parti durante la trattativa, ma anche a tutti i variegati profili che entrano comunque nel fuoco dell’in­teresse delle stesse (come la stessa gestione dell’impresa), non può allora essere [continua ..]


2. Il contenuto socialmente tipico della prestazione dell’advisor

Il contratto che lega l’advisor all’imprenditore in crisi è innegabilmente un rapporto negoziale atipico, pur se collocato all’interno del contratto d’opera professionale. In gran parte non tipizzato è d’altro canto anche l’unico contratto “essenziale”, la cui esecuzione è destinata a determinare in modo indefettibile le sorti della regolazione della crisi, quello che regolamenta i rapporti fra lo stesso imprenditore e l’esperto “attestatore”; gli unici profili della disciplina legale infatti concernono le qualità soggettive del prestatore, il quale deve presentare i requisiti di “indipendenza” prescritti dal Legislatore, e poi l’oggetto dell’obbligazione assunta dal medesimo, che è definita a livello generale dall’art. 161 L. Fall., e trova poi specificazione nelle leges artis di settore. Un corredo di regole tecniche assai utili, per valutare le condotte dell’advisor, e dunque anche indirettamente per apprezzare il contenuto concreto della sua prestazione, ritengo con certezza possa essere recepito nella letteratura che regola proprio l’attività dell’attestatore: così si ricorderanno i “Principi di attestazione dei piani di risanamento”, emanati il 6 giugno 2014, esplicitamente riconosciuti dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, e recentemente aggiornati (v. la versione del 16 dicembre 2020); vi sono del resto diversi altri documenti di contenuto simile: il primo documento del CNDEC del 2006, il documento divulgato sempre dal CNDEC nel febbraio del 2009, e poi le c.d. “Linee Guida di Firenze”, nella versione in vigore del 2015, anch’esso riconosciuto dal CNDEC; senza dimenticare ovviamente l’ ISAE 3400 (“The Examination of Prospective Financial Information”). Tali documenti consolidano il sapere “tecnico” degli operatori, le leges artis relative alla “tecnica” di redazione delle attestazioni, codificando del resto prassi virtuose, ormai da tempo condivise dalla migliore pratica professionale. Dunque essi non possono che finire per dettare regole valide anche per la stessa redazione dei piani, atteso che ciò che non è attestabile non corrisponde di certo al “tipo” legale del piano di risanamento; un piano non attestabile, insomma, è anche un piano non correttamente redatto [continua ..]


3. (Segue): la rilevanza degli interessi della Massa creditoria

L’attività professionale “intellettuale” costituisce come è noto l’oggetto di un contratto peculiare, ove il debitore della prestazione principale, il professionista, è scelto ed “abilitato” dall’ordinamento per il possesso di conoscenze e competenze affatto speciali, acquisite nel corso di anni di studio e di “investimenti” non soltanto intellettuali [14]. Vi è tuttavia una profonda ed ineliminabile asimmetria informativa fra cliente e professionista, proprio alla luce del gap informativo del primo, il quale si trova inevitabilmente in difficoltà nel valutare, sicuramente preventivamente, al momento di instaurare il rapporto, ma anche successivamente, dopo che il servizio è stato prestato, l’operato del prestatore, e financo il suo “valore”. Ciò qualifica il prestatore, e così anche l’oggetto della sua prestazione, per l’ine­renza del dovere di “cura” di interessi normalmente contrapposti; se l’obbligo accessorio di buona fede comporta comunque ed in generale che il contraente debba farsi carico della tutela dell’interesse della controparte, nella misura in cui ciò non lo esponga a sacrifici eccessivi, e dunque lo sforzo aggiuntivo richiesto sia “esigibile”, quanto al contraente “qualificato”, ed a cui favore operi una rilevante asimmetria informativa, tali duties to take care assumono una consistenza indubbiamente maggiore e peculiare. E anche per tale ragione la determinazione del corrispettivo della prestazione non può essere lasciata puramente e semplicemente alla libertà delle parti (v. infra), ma deve incontrare delle limitazioni, che tutelino il cliente dal rischio di essere “sopraffatto” in sede di contrattazione ed anche di esecuzione del rapporto dallo “scalino informativo” di cui il professionista beneficia. Ciò vale soprattutto, ma non solo, per la professione dell’avvocato, ove il Legislatore ha mostrato di voler mantenere in vita l’esistenza di limiti normativi rispetto alla libertà di individuazione del quantum, proprio con l’art. 13 del D.L. n. 142/2012, all’esito di un lungo e contorto processo di evoluzione legislativa, che ha conosciuto corsi e “ricorsi”. Ciò vale a maggior ragione nel contesto delle crisi d’impresa, ove da un lato [continua ..]


4. Il rilievo dell’interesse dedotto nella prestazione da rendere in équipe

La problematica involve anche la questione delle attività svolte “in équipe”, o “in team”, ed attiene alla sfera di esigibilità dello sforzo richiesto a ciascun membro della “squadra”, rispetto al prodotto del lavoro altrui. La regolazione della crisi richiede indubbiamente conoscenze ed esperienze multidisciplinari; in astratto non è possibile escludere che un solo advisor possa assommare in sé tutte le competenze richieste, ma ordinariamente l’individuazione della soluzione più acconcia al caso concreto, tantopiù se connotato da un’impresa di rilevante complessità, richiederà l’agire coordinato di un team di professionisti. Anche in tal caso, come si intuisce, la peculiarità del risultato perseguito, e la rilevanza degli interessi tutelati dall’ordinamento, che sono inevitabilmente implicati dall’esecuzione del contratto, sono idonei a penetrare il sostrato funzionale del rapporto, orientando l’analisi giuridica verso territori inconsueti. Come credo di aver già dimostrato in una precedente occasione [28], è senz’altro frutto di un equivoco la pur frequente affermazione secondo cui l’advisor finanziario dovrebbe occuparsi esclusivamente della fattibilità economico-finanziaria del piano, mentre l’advisor legale dovrebbe illuminare soltanto gli aspetti legali. In linea generale ed astratta, non è infatti possibile sostenere che l’attestatore e l’advisor non abbiano competenza in ordine alla fattibilità “giuridica”, e che i legali incaricati di rappresentare il debitore non abbiano doveri nell’ambito della fattibilità “economica”. La artificiosa scomposizione della fattibilità in termini rispettivamente “giuridici” ed “economici” compiuta dalle Sezioni Unite (sent. 23 gennaio 2013, n. 1521) ha certamente dato il via ad una serie di equivoci, cavalcati da coloro che cercavano una “via di fuga” per limitare le responsabilità dei professionisti che partecipavano alla preparazione della documentazione e alla predisposizione delle domande concordatarie [29]. Uno degli equivoci più deleteri, derivante dalla scissione del concetto di “fattibilità”, che ha invece struttura unitaria, verte nella tendenza a scindere altresì le [continua ..]


5. Prassi aberranti: l’advisor legale indicato dal ceto bancario

Vi sono alcune fattispecie concrete ma “tipiche”, in quanto ricorrenti nella prassi, che possono forse trarre nuova linfa da quanto abbiamo appena dimostrato. La prassi delle ristrutturazioni, anche elaborate nel contesto di una procedura concorsuale, conosce ormai da anni la “singolare” istanza, avanzata dai creditori di rango bancario, ed immancabilmente sponsorizzata dal debitore in crisi, di imputare come spesa alla Massa attiva il costo del c.d. advisor legale delle banche. Le prestazioni del legale in questo caso sono programmaticamente ed esplicitamente rivolte a beneficio e nell’interesse non già della Società, bensì di una parte della Massa creditoria, identificata dalla comune appartenenza al ceto bancario; i mandati fanno spesso cenno esplicito alla assistenza e consulenza legale erogata agli istituti finanziatori, e specificano addirittura il contenuto delle prestazioni indicando la partecipazione a riunioni tra banche, il rilascio di pareri scritti e orali alle stesse, etc. Il c.d. advisor legale del ceto bancario è dunque individuato dai creditori bancari, opera nel loro interesse ed a loro vantaggio, ma il suo costo dovrebbe essere tuttavia, negli auspici delle stesse banche, integralmente sostenuto dal soggetto debitore. Ora, è ben noto che ciascun imprenditore, nei limiti dell’art. 217 L. Fall., è libero di impegnare il suo patrimonio come meglio crede; ma quando subentra la disciplina del diritto concorsuale, tuttavia, imponendo controlli a tutela della Massa creditoria, evidentemente la prospettiva non può che mutare. Appare pertanto assai difficile correlare il costo economico (peraltro non indifferente) di una tale prestazione all’utilità, anche astratta, della procedura, in chiave di “adeguatezza funzionale” alla regolazione della crisi. E ciò senz’altro già in astratto, talvolta anche in concreto, quando ad es. il piano regolatorio della crisi non preveda immissioni di nuova finanza bancaria, o nuove prestazioni in capo al ceto bancario; inoltre il ribaltamento del costo delle prestazioni dell’advisor in questione viene sempre rivendicato anche quando il piano concordatario è già stato redatto e depositato, e pertanto appare anche assai sfumato il senso pratico ed economico delle prestazioni che il professionista dovrebbe erogare, a meno di non enfatizzare l’esigenza di [continua ..]


6. (Segue): tecniche negoziali di commisurazione del compenso

Anche certe prassi contrattuali, seguite dagli advisors, e spesso “imposte” ai debitori in crisi, inerenti alla determinazione del corrispettivo, sembrano dover essere influenzate dalla ricognizione dei principi sopra declinati. La Suprema Corte ha avuto modo occuparsi del contratto col quale un advisor aveva ritenuto di regolamentare i propri rapporti col cliente adottando una particolare modalità di determinazione del compenso, che sembrava prescindere dall’aspetto funzionale più volte qua evidenziato: la sentenza della Prima Sezione Civile, la n. 7974 del 30 marzo 2018, fissa le seguenti rationes decidendi, che si riportano per praticità: “la clausola determinativa del compenso a forfait è nulla nella parte in cui prevede (stabilendo che "in seguito al deposito del ricorso per la richiesta dell’accesso della società alla procedura di concordato preventivo L. Fall., ex art. 161, comma 6, l’onorario è dovuto per l’intero come sopra previsto in caso di dichiarazione di inammissibilità L. Fall., ex art. 162, anche a seguito di quanto previsto dalla L. Fall., art. 179, ovvero di revoca dell’ammissione al concordato preventivo L. Fall., ex art. 173, ovvero di mancata omologa, il tutto per qualsiasi motivo o ragione") l’erogazione dell’intero corrispettivo pattuito a prescindere dal completamento dell’opera professionale … Non può essere revocato in dubbio che la causa concreta del contratto concluso fra il professionista e la cliente sia stato l’intento di conseguire una composizione della crisi in cui versava (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione tramite lo svolgimento di una complessa attività professionale da compiersi nella fase preparatoria e nel corso dell’intera procedura concordataria al fine di favorire la conservazione dei valori aziendali e assicurare la miglior soddisfazione dei creditori. In un simile contesto negoziale la clausola sopra riportata non solo contrasta con il principio di imprescindibile correlazione fra prestazione e corrispettivo che si può evincere dal generale paradigma di necessaria adeguatezza del compenso previsto dall’art. 2233 c.c., comma 2, ma soprattutto prescinde e dissona con la causa concreta che ispira l’intera pattuizione negoziale. Il tenore di un simile accordo individua infatti il corrispettivo a prescindere dal contenuto della prestazione professionale [continua ..]


NOTE