Il processo per dichiarazione di fallimento ha natura volontaria e non contenziosa, non avendo ad oggetto l’accertamento di un diritto soggettivo. La sentenza, tuttavia, incide su diritti ed è impugnabile con il reclamo, che introduce un processo a cognizione piena in unico grado. L’estinzione del giudizio, anche in sede di rinvio, rende intangibile la dichiarazione di fallimento.
The bankruptcy filing process is voluntary and non-contentious, not having as its object the ascertainment of a subjective right. The sentence, however, affects rights and can be challenged with the complaint, which introduces a process with full knowledge in a single degree. The termination of the judgment, even during the reference judgment, renders the declaration of bankruptcy intangible.
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1. Dichiarazione di fallimento e giurisdizione oggettiva - 2. (Segue): e giurisdizione contenziosa - 3. (Segue): e giurisdizione volontaria - 4. Il reclamo come processo contenzioso in unico grado - 5. Struttura del processo ed effetti dell’estinzione - NOTE
Tra i diversi inquadramenti sistematici proposti dalla dottrina, quello che ascrive il processo per dichiarazione di fallimento (non l’intera procedura concorsuale, che è un’espropriazione forzata senza titolo esecutivo) [1] alla volontaria giurisdizione [2] mi sembra tuttora il più convincente. Se il proprium di questa controversa figura è l’assenza della lesione di un diritto [3] e quindi di un illecito [4], non può reputarsi tale lo stato d’insolvenza [5], che da un lato può essere del tutto incolpevole [6] (in quanto determinato dall’insolvenza dei debitori del fallito o da una situazione eccezionale ed imprevedibile, come quella, drammaticamente attuale, dell’emergenza sanitaria conseguente alla diffusione del virus Covid-19), mentre per altro verso sussiste anche in assenza di inadempimento (e quindi di lesione del diritto di obbligazione) nei confronti del creditore istante, il cui diritto può essere inesigibile. E che la sentenza di fallimento, se non tempestivamente impugnata, divenga stabile non implica che al divieto di bis in idem corrisponda la formazione del giudicato sostanziale [7]: il provvedimento non statuisce, infatti, su un diritto soggettivo [8]. Meno appropriata sembra la collocazione nella pur affine (stante il comune profilo dell’inesistenza di un diritto soggettivo dedotto in giudizio) categoria dogmatica dei processi a contenuto oggettivo [9], in ragione: a) della controversa applicabilità, in tali processi, del principio dell’onere della prova [10], che invece vige nel fallimento e non soltanto con riferimento ai fatti impeditivi (art. 1, 2° comma, L. Fall. [11]; i poteri istruttori officiosi sono infatti esercitabili soltanto nei limiti dei fatti allegati dalle parti, onde l’inquisitorietà è meramente formale: v. infra) [12]; b) dell’attitudine del provvedimento oggettivo al giudicato sostanziale [13], che per contro non si forma sulla dichiarazione di fallimento; c) della legittimazione selettiva a chiedere il fallimento, laddove la funzione giurisdizionale oggettiva era talora esercitabile d’ufficio [14] o tuttora può essere attivata per iniziativa di qualunque interessato, se la legge dispone in tal senso [15]. La dichiarazione di fallimento, infatti, non può essere chiesta (diversamente dalla [continua ..]
Il criterio distintivo della giurisdizione volontaria da quella contenziosa è prevalentemente individuato nell’essere la prima preposta alla gestione di interessi, la seconda di diritti soggettivi e status [41]. Altra dottrina ha ravvisato anche nella giurisdizione volontaria uno strumento di tutela di situazioni soggettive con attribuzione al titolare di un bene della vita [42], salvo precisare che oggetto del processo non è il diritto nel suo integrale contenuto, bensì uno specifico potere o facoltà [43], oppure situazioni soggettive “di minor livello”, quali le aspettative giuridiche e gli interessi legittimi di diritto privato [44]. Nel caso del fallimento, escluso che il creditore agisca per l’accertamento del diritto (riservato alla successiva fase della verificazione), è da ritenersi che il potere esercitato con l’istanza sia quello, di natura processuale, alla conservazione della garanzia patrimoniale (situazione di natura parimenti processuale) [45], che potrebbe essere menomata da atti dispositivi del debitore (il quale per tale ragione deve essere privato del potere di alienare i suoi beni con effetto anche verso i creditori) o da provvedimenti espropriativi resi ad istanza degli altri creditori (ai quali va pertanto inibita l’esecuzione singolare), nonché alla reintegrazione del patrimonio, se già diminuito da tali atti e provvedimenti. L’interesse immediatamente perseguito dal debitore non è, per converso, quello all’applicazione a suo carico della sanzione espropriativa e quindi alla liquidazione forzata del suo patrimonio (che rappresenta l’effetto del fallimento), ma all’inibitoria delle azioni esecutive individuali ed alla prevenzione dell’aggravamento del dissesto, fonte di responsabilità penale (art. 217, 1° comma, n. 4, L. Fall.). Giovano al fallito non soltanto la conservazione dell’integrità patrimoniale, funzionale alla soddisfazione dei creditori concorrenti secondo la regola della parità di trattamento (che non sarebbe garantita dall’espropriazione forzata di diritto comune, quand’anche estesa a tutti i diritti pignorabili, non potendo intervenirvi i creditori sprovvisti di titolo esecutivo, se non nei casi previsti dall’art. 499, 1° comma, c.p.c.: esecuzione che sarebbe, quindi, universale in senso oggettivo ma non anche [continua ..]
Non par dubbia la natura giurisdizionale del processo fallimentare (né del processo volontario, stante la legittimazione del giudice a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale) [64]: la ratio distinguendi tra provvedimento giurisdizionale ed atto amministrativo è che il giudice non è parte del processo di impugnazione [65] (e quindi è non soltanto imparziale, come deve esserlo anche la pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., ma anche terzo). L’affidamento al giudice della potestà dichiarativa del fallimento è costituzionalmente doveroso; poiché tra gli effetti della sentenza rientra l’obbligo, a carico del fallito, di consegnare al curatore la corrispondenza a lui diretta (art. 48 L. Fall.) e potendo l’inviolabile segreto epistolare venire limitato “soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” (art. 15 Cost.), il fallimento non potrebbe produrre tale effetto, se fosse dichiarato con provvedimento amministrativo: tanto che, nella liquidazione coatta amministrativa (se non preceduta, né seguita, dall’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza), quella limitazione è inoperante (non essendo l’art. 48 richiamato dall’art. 200 L. Fall.). Inoltre, la sentenza costituisce il presupposto per l’esercizio dell’azione penale per i reati fallimentari (art. 238 L. Fall.): e l’art. 237 L. Fall., equiparando a tale effetto l’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza alla dichiarazione di fallimento, conferma la necessità che alla ricognizione dello stato di crisi provveda l’autorità giudiziaria [66]. La misura giurisdizionale è infatti costituzionalmente necessaria ogni qualvolta le funzioni, diverse dalla tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi (che l’art. 24 Cost. riserva all’autorità giudiziaria), “operino in settori dell’ordinamento nei quali la Costituzione garantisce la libertà dei soggetti da ogni ingerenza di pubblici enti o apparati” [67]. E poiché il fallimento limita in via diretta il segreto epistolare e, in via mediata, può costituire il presupposto della privazione della libertà personale (quando sia esercitata l’azione penale per i reati di bancarotta e resti [continua ..]
La sentenza che dichiara il fallimento, pur resa a definizione di un processo di natura volontaria ed a struttura camerale [109], è però idonea ad incidere su diritti soggettivi [110], sia del fallito (che viene spossessato), che dei creditori (temporaneamente privati del potere di azione esecutiva individuale ed assoggettati alle regole del concorso) e dei terzi (si pensi agli effetti sui contratti pendenti): donde la necessità che a quel processo possa seguirne uno a cognizione piena [111]. Con il reclamo si instaura un giudizio, ad iniziativa di qualunque interessato (che lamenti la lesione di un interesse anche di carattere morale) [112] e non soltanto (come nel processo di interdizione: art. 718 c.p.c.) dei legittimati a chiedere il fallimento, avente ad oggetto l’accertamento della non fallibilità dell’imprenditore. Il processo di accertamento negativo può avere ad oggetto non soltanto uno status (non è tale quello di fallito, per sua natura ad tempus [113], laddove lo status designa una relazione giuridica non temporanea tra il soggetto ed una comunità) [114], ma anche una condizione giuridica del soggetto [115]. Tale ricostruzione offre giustificazione sistematica alla massima, costantemente enunciata dalla giurisprudenza, secondo cui gli effetti della dichiarazione di fallimento cessano soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di revoca [116]: ed infatti le pronunce dichiarative (e costitutive) non producono effetto (se non diversamente disposto) prima che l’accertamento ivi contenuto sia divenuto stabilmente vincolante. Il reclamo può essere, alternativamente e preferibilmente, considerato un’impugnazione in sede contenziosa del provvedimento di volontaria giurisdizione, sottoposta ad un termine di decadenza ed avente natura costitutiva [117] (come la sentenza che accoglieva l’opposizione) [118], prevista dalla legge in ossequio al principio di tipicità ex art. 2908 c.c., con l’effetto, se accolta, di estinguere lo stato di fallimento ed i rapporti giuridici che ne derivano, salvi gli atti legalmente compiuti. La questione, che può appare meramente classificatoria, non è invece priva di conseguenze applicative: non può infatti ammettersi la revoca del fallimento per motivi non dedotti dal reclamante [119], ma rilevati d’ufficio, tale potere [continua ..]
Il reclamo, a dispetto del mutato nomen iuris (ma nelle operazioni di cosmesi linguistica il patrio legislatore è impareggiabile maestro: si pensi, per restare alla materia delle procedure concorsuali, alla sostituzione della “liquidazione giudiziale” al “fallimento”), conserva quindi la funzione e la struttura dell’opposizione prevista dal regime antevigente: processo di cognizione che segue quello cameralsommario. La devoluzione della competenza in unico grado alla Corte d’Appello ha neutralizzato gli effetti della sentenza interpretativa di rigetto con la quale nel 2005 la Corte costituzionale aveva ritenuto i giudici, deliberanti la sentenza di fallimento, obbligati ad astenersi dal decidere l’opposizione [134]. Per l’effetto, nei c.d. Tribunali minori (all’epoca ancora numerosi, prima della soppressione di 31 uffici disposta dal D.Lgs. 7 settembre 2012, n. 155) non sarebbe risultata agevole la formazione del collegio investito dell’opposizione, per l’insufficiente numero di magistrati addetti alla trattazione degli affari civili. Per garantire l’alterità soggettiva del giudice dell’opposizione, conservando la garanzia del doppio grado di merito, sarebbe stata astrattamente possibile l’attribuzione della competenza territoriale secondo il criterio circolare, adottato dall’art. 669-terdecies, 2° comma, c.p.c. per il reclamo contro i provvedimenti cautelari emessi dalla Corte d’Appello che non sia divisa in sezioni. Il legislatore ha preferito sopprimere un grado (con l’inconfessato fine di ridurre le pendenze dei Tribunali?), ridenominando prima appello, poi reclamo, il rimedio esperibile contro la sentenza di fallimento. Se si conviene sulla natura di processo contenzioso in unico grado del reclamo, diventa inappropriato discorrere di effetto devolutivo [135]. L’oggetto del giudizio è determinato dalla causa petendi della domanda di annullamento della sentenza di fallimento. I motivi delimitano la cognizione del giudice, che non può rilevare d’ufficio questioni non dedotte dal reclamante. Non vi è d’altronde materia per l’impugnazione incidentale o la riproposizione delle domande ed eccezioni assorbite: l’istanza di fallimento è insuscettibile di accoglimento parziale (talché non è configurabile soccombenza parziale reciproca), [continua ..]