Il seguente documento analizza con occhio critico le disposizioni legislative introdotte dal D.L. n. 118/2021, focalizzandosi sulla nuova procedura di composizione negoziata della crisi e sulle modifiche intervenute sulle procedure regolate dalla legge fallimentare.
The following paper analyses in a favourable way the legislative provisions introduced by D.L. n. 118/2021, focusing on the new “negotiated crisis resolution” procedure and the changes made to the procedures governed by the Italian Bankruptcy Law.
Keywords: bankruptcy law, “negotiated crisis resolution”, Insolvency Code, bankruptcy proceedings.
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1. Il (doppio) rinvio del Codice della Crisi e dell’Insolvenza - 2. Le modifiche alla legge fallimentare e al decreto liquidità - 3. I caratteri della nuova composizione negoziata: stragiudizialità, riservatezza e volontarietà - 4. Il presupposto soggettivo - 5. Il presupposto oggettivo - 6. Il “presupposto processuale” dell’art. 23 - 7. La condizione di proseguibilità: le concrete prospettive di risanamento - 8. Le fasi (necessarie ed eventuali) del procedimento e i suoi possibili sbocchi - 9. La composizione negoziata è una procedura concorsuale? - 10. Il concordato semplificato: elementi costitutivi e controllo del tribunale - 11. La liquidazione del patrimonio - 12. Il concordato semplificato è un sottotipo di concordato preventivo o un tipo concorsuale autonomo? - NOTE
L’art. 1 del decreto n. 118/2021 qui oggetto di un primo, sommario, esame [1] sancisce anzitutto il differimento dell’entrata in vigore del Codice della Crisi. In continuità con quanto stabilito nel 2020 dal decreto liquidità [2], l’entrata in vigore del codice viene ulteriormente rinviata al 16 maggio 2022 e quella delle misure di allerta addirittura al 31 dicembre 2023. Chi scrive si era già espresso nettamente a favore del rinvio disposto l’anno scorso, per una serie di concorrenti ragioni [3]: permanendo tuttora in larga parte queste ultime, anche in ordine ai dubbi circa l’adeguatezza degli strumenti del codice rispetto all’obiettivo del recupero di imprese viables, non si può che plaudere alla scelta ribadita oggi in sede politica e congruamente motivata nella Relazione illustrativa al decreto [4]. L’auspicio è che il predetto rinvio porti a riconsiderare alcune scelte (o quanto meno alcune norme), in particolare in tema di allerta, procedimento unitario e concordato preventivo, troppo marcatamente creditor oriented e, in certi casi, inutilmente penalizzanti per il debitore, oltre a non risultare realmente funzionali alla tutela dei creditori (si pensi ad esempio agli artt. 44, 1° comma, lett. b), 54, 1° comma e 84, 3° comma, del Codice della crisi). Il che passa tuttavia necessariamente per una modifica, da più parti invocata, della legge delega.
L’art. 20 dell’odierno decreto detta una serie di modifiche urgenti alla legge fallimentare, che riguardano l’omologazione del concordato preventivo, l’art. 182-quinquies, la convenzione di moratoria e la moratoria dei creditori privilegiati nel concordato in continuità e che costituiscono, in larga parte, altrettante anticipazioni di quanto stabilito a tale riguardo dal Codice della Crisi. Più precisamente, all’art. 180, 4° comma, viene opportunamente precisato, in linea con l’opinione prevalente [5], che il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie. L’eventuale adesione deve intervenire entro novanta giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento. La modifica dell’art. 182-bis, 8° comma, si riferisce all’ipotesi in cui prima dell’omologazione intervengono modifiche sostanziali del piano. In questa eventualità l’attestazione va rinnovata e il debitore chiede la reiterazione del consenso ai creditori che siano parti degli accordi. L’attestazione inoltre deve essere rinnovata anche in caso di modifiche sostanziali degli accordi. Qualora dopo l’omologazione si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l’imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi, richiedendo al professionista indicato all’art. 67, 3° comma, lett. d), il rinnovo dell’attestazione. In tal caso, il piano modificato e l’attestazione sono pubblicati nel registro delle imprese e della pubblicazione è dato avviso ai creditori a mezzo di lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso è ammessa opposizione avanti al tribunale, nelle forme di cui al 4° comma. L’art. 182-quinquies è integrato con due rilevanti previsioni inerenti, rispettivamente, al versamento delle retribuzioni e al contratto di mutuo ipotecario. Alla fine del 5° comma è aggiunto il seguente periodo: “Il tribunale può autorizzare il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti al deposito del ricorso ai lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione”. Dopo il 5° comma è inserita la [continua ..]
La principale novità del decreto in commento è sicuramente rappresentata dall’introduzione di un istituto finora inedito nel nostro ordinamento: la composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa. Come già in altra sede osservato [8], essa presenta significative peculiarità non solo rispetto alle procedure concorsuali di cui alla vigente legge fallimentare, ma anche alle misure di allerta disciplinate dal Codice della Crisi, le quali, soprattutto dopo la constatazione degli effetti della pandemia da Covid-19, sono apparse eccessivamente concentrate sull’obiettivo dell’emersione tempestiva della crisi come valore in sé, piuttosto che su quello dell’effettivo salvataggio delle imprese ancora viables seppur in condizione di crisi conclamata [9]. Come stabilito all’art. 2, 1° comma del decreto, infatti, l’imprenditore commerciale o agricolo in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza può chiedere al segretario generale della camera di commercio del luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale la nomina di un esperto indipendente, quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa stessa. Ai sensi del 2° comma della norma, poi, l’esperto ha il compito di agevolare le trattative tra imprenditore, creditori e altri soggetti eventualmente interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle predette condizioni di squilibrio, anche attraverso il trasferimento dell’azienda o di suoi rami. L’esperto deve essere munito dei requisiti di professionalità [10] e indipendenza di cui agli artt. 3 e 4 e, indossando i panni del “facilitatore”, va appunto ad affiancare l’imprenditore in difficoltà concorrendo fattivamente a individuare la risposta più idonea alle criticità del caso [11]. Quanto alla procedura stabilita per la sua designazione, essa non appare per vero immune da una certa macchinosità: di qui l’auspicio che in virtù di interventi successivi possano venire introdotti elementi di semplificazione, a partire da un maggior coinvolgimento, per ragioni di celerità, del debitore stesso. Le finalità della composizione negoziata sono rese palesi dalla Relazione illustrativa, nella quale si legge, fra [continua ..]
L’art. 2, come si diceva, parla testualmente di imprenditore commerciale e agricolo. Se ne evincono due principi importanti: (i) che la composizione negoziata può essere attivata non solo dagli imprenditori commerciali ma anche da quelli agricoli, come già oggi accade per gli accordi di ristrutturazione dei debiti; (ii) che non è preclusivo all’accesso al “percorso” in questione (così lo chiama anche la Relazione illustrativa) il possesso congiunto dei requisiti di non fallibilità ex art. 1 della legge fallimentare. Il che si ricollega al disposto dell’art. 17 del decreto, rubricato “Imprese sotto soglia” e destinato appunto a questa tipologia di soggetti, rispetto ai quali viene riaffermato il ruolo degli organismi di composizione della crisi di cui alla disciplina sul sovraindebitamento. Dal tenore del 1° comma dell’art. 3, che consente l’accesso alla istituenda piattaforma telematica “agli imprenditori iscritti nel registro delle imprese”, si evince inoltre che deve parimenti sussistere il requisito dell’iscrizione nel registro delle imprese, non potendo quindi beneficiare dello strumento le società di fatto (e neppure, per rare e difficilmente configurabili che siano, le holding individuali di fatto). Gli assunti che precedono trovano puntuale conferma nel tenore della Relazione illustrativa: “Non vi sono requisiti dimensionali di accesso alla composizione negoziata, che è concepita con strumento utilizzabile da tutte le realtà imprenditoriali iscritte al registro delle imprese, comprese le società agricole”. La composizione negoziata è dunque rivolta a tutti i debitori che svolgano attività d’impresa, analogamente, da questo punto di vista, al perimetro applicativo delle misure di allerta (e a differenza dell’art. 1, L. Fall.), ma senza quelle rilevanti esenzioni di cui all’art. 12 CCI, dettate da quest’ultimo precisamente perché non è previsto che le misure di allerta scattino su mera base volontaria, com’è invece stato giustamente stabilito per la composizione negoziata.
Il medesimo 1° comma dell’art. 2 enuclea altresì il presupposto oggettivo della composizione negoziata, individuandolo in quelle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza dell’imprenditore. La formulazione della norma riecheggia parzialmente la definizione di crisi ad opera dell’art. 2 CCI, intesa come probabilità di insolvenza [16]. La differenza però è immediatamente percepibile ed è data dal fatto che il presupposto della composizione negoziata si colloca (recte, come si dirà fra breve, può collocarsi) in un momento anteriore a quello della probabilità di insolvenza, contemplando anche la situazione in cui è probabile – ma non ancora in atto – il verificarsi di un semplice stato di crisi: quella c.d. twilight zone (o pre-crisi) che si colloca temporalmente in un momento (spesso di poco) anteriore alla vera e propria crisi. Il tenore letterale della nuova previsione potrebbe a tutta prima indurre a ritenere che l’istituto non sia fruibile quando la crisi o l’insolvenza siano già in atto e che esso miri esclusivamente a scongiurarne l’inverarsi. E non a caso in un primissimo commento allo schema di decreto, peraltro di taglio giornalistico (e di “matrice” bancaria), si è affermato che esso “interviene per sostenere le imprese non ancora in crisi: si tratta di quelle che tipicamente si trovano in stage 2, vale a dire che hanno subito un incremento significativo del rischio di credito, ma anche quelle ancora a stage 1, che sono in una condizione sana ma prevedono che tale condizione non perduri” [17]. In realtà, a dispetto della potenziale decettività dell’espressione “rendono probabile”, che sembra alludere soltanto a eventi futuri – e da questo punto di vista sarebbe in realtà preferibile declinare il precetto così: “che rendono verosimile l’esistenza dello stato di crisi o di insolvenza, o probabile il loro futuro verificarsi” – non pare che dal perimetro applicativo della nuova disposizione possano venire escluse le imprese già in crisi o addirittura insolventi. Basti pensare, a titolo di esempio, che il penultimo comma dell’art. 6 preclude la dichiarazione di fallimento dalla pubblicazione dell’istanza di [continua ..]
Come già ricordato, ai sensi del 2° comma dell’art. 23 l’istanza di composizione negoziata non può essere presentata dall’imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione o con ricorso, anche “prenotativo”, per l’ammissione al concordato preventivo. Questo “presupposto processuale”, definito nella rubrica della norma come limite di accesso alla composizione negoziata, fa sì che l’istanza in questione sia improponibile e che essa, ove venga nondimeno proposta, incorra nella declaratoria di inammissibilità. A tale stregua, sarebbe forse stato opportuno prevedere all’art 5 un’autodichiarazione dell’imprenditore circa la non pendenza, presso qualunque tribunale, dei procedimenti testé menzionati. Ad ogni buon conto, ciò che viene soprattutto in rilievo nella lettura del citato 2° comma della norma è il mancato richiamo al 6° comma dell’art. 182-bis, L. Fall.: dal che sembra derivare la compatibilità dell’istanza di composizione negoziata con la pendenza della richiesta di blocco delle azioni esecutive e cautelari avanzata nell’ambito del c.d. preaccordo di ristrutturazione. Questa opzione potrebbe, prima facie, considerarsi giustificata dalle differenze che intercorrono fra quest’ultimo procedimento e il c.d. preconcordato. A ben vedere, tuttavia, la disparità scaturente dal mancato richiamo del 6° comma dell’art. 182-bis L. Fall., non parrebbe del tutto razionale: basti pensare – se non si va errati – alla possibilità, rebus sic stantibus, che l’automatic stay venga richiesto simultaneamente nell’ambito del preaccordo di ristrutturazione e della composizione negoziata, con esiti potenzialmente confliggenti (e comunque con improprie sovrapposizioni di competenze). Sarebbe quindi bene che il testo del decreto, o quello della legge di conversione, inserissero nel 2° comma dell’art. 23 anche il richiamo al 6° comma dell’art. 182-bis.
Il primo compito che la legge attribuisce all’esperto consiste nella verifica delle concrete prospettive di risanamento dell’impresa. Recita infatti la prima parte del 5° comma dell’art. 5: “L’esperto, accettato l’incarico, convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento”. La norma utilizza, quanto all’espressione “concrete prospettive” (declinata al plurale nella seconda parte del citato comma) la medesima terminologia dell’art. 27 del D.Lgs. n. 270/1999, che alla loro sussistenza notoriamente subordina l’apertura dell’amministrazione straordinaria (nel passaggio ad essa dalla fase c.d. giudiziale). È quindi necessario che le prospettive di risanamento siano connotate da un significativo livello di concretezza, alla stregua, direi, del criterio del “più probabile che non”, e non si riducano a una mera aspettativa, né a una teorica possibilità. La valutazione della loro sussistenza deve tener conto sia della condizione soggettiva dell’impresa e del suo modello di business, sia del settore merceologico di appartenenza, oltre ovviamente a dover considerare le eventuali iniziative industriali già messe in campo dall’imprenditore e quelle che egli intende adottare (art 5, 3° comma, lett. b), spettando poi all’esperto prospettare le possibili (in ipotesi ulteriori) strategie di intervento. La locuzione “risanamento” tout court, dal canto suo, rimanda alla più articolata formulazione di cui all’art. 67, 3° comma, lett. d), “risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa” e “riequilibrio della sua situazione finanziaria” (ripresa dall’art. 56 CCI), costituendone – ci pare – una sintesi sufficientemente perspicua, anche alla luce delle implicazioni aziendalistiche del termine; sebbene dal punto di vista dell’omogeneità del sistema concorsuale sarebbe stato forse preferibile replicare la citata terminologia della legge fallimentare e del Codice della Crisi. La positiva verifica delle concrete prospettive di risanamento si atteggia a condizione di proseguibilità del percorso: se infatti l’esperto non ne ravvisa gli estremi, egli, sempre ai sensi del 5° comma dell’art. 5, deve darne notizia [continua ..]
In base a quanto disposto dall’art. 5, l’imprenditore che chiede la nomina dell’esperto indipendente tramite la piattaforma telematica inserisce in quest’ultima: a) i bilanci degli ultimi tre esercizi, se non già depositati presso l’ufficio del registro delle imprese, oppure, per gli imprenditori che non sono tenuti al deposito dei bilanci, le dichiarazioni dei redditi e dell’IVA degli ultimi tre periodi di imposta, nonché una situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a non oltre sessanta giorni prima della presentazione dell’istanza; b) una relazione chiara e sintetica sull’attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative industriali che intende adottare; c) l’elenco dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti scaduti e a scadere e dell’esistenza di diritti reali e personali di garanzia; d) una dichiarazione sulla pendenza, nei suoi confronti, di ricorsi per la dichiarazione di fallimento o per l’accertamento dello stato di insolvenza; e) il certificato unico dei debiti tributari di cui all’art. 364, 1° comma, D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14; f) la situazione debitoria complessiva richiesta all’Agenzia delle Entrate-Riscossione; g) il certificato dei debiti contributivi e dei premi assicurativi di cui all’art. 363, 1° comma, D.Lgs. n. 14/2019, oppure, se non disponibile, il documento unico di regolarità contributiva; h) un estratto delle informazioni presenti nella Centrale dei rischi gestita dalla Banca d’Italia non anteriore di tre mesi rispetto alla presentazione dell’istanza. L’esperto, una volta accettato l’incarico, convoca senza indugio l’imprenditore per valutare l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, anche alla luce delle informazioni assunte dall’organo di controllo e dal revisore legale, ove in carica. L’imprenditore partecipa personalmente e può anche farsi assistere da consulenti. L’incarico dell’esperto si considera concluso se, decorsi centottanta giorni dalla accettazione della nomina, le parti non hanno individuato, anche a seguito di sua proposta, una soluzione adeguata per il superamento delle condizioni di cui all’art. 2, 1° comma. L’incarico può proseguire quando tutte le parti lo richiedono e [continua ..]
La disciplina del nuovo istituto e i suoi “tratti fisionomici” sollevano l’interrogativo circa la riconducibilità alla nozione di procedura concorsuale. E l’interrogativo non risulta essere meramente (e oziosamente) qualificatorio se si considera che vi sono tanto norme di legge e di regolamento, quanto condizioni generali di contratto (basti pensare al settore bancario e parabancario), in cui vengono ex professo contemplati l’ipotesi e gli effetti dell’assoggettamento a “procedura concorsuale”. Rimandando a quanto in altra sede di recente osservato sull’evoluzione di tale nozione [22], la risposta pare dover essere di segno negativo. Lo è certamente ove per ravvisarne gli estremi si richieda la sussistenza di un provvedimento giudiziale di ammissione (o comunque di omologazione), risultando in tal caso la composizione negoziata estranea al concetto di procedura, come induce altresì a ritenere, secondo l’approccio tradizionale, il mancato verificarsi del concorso tra creditori e l’assenza di spossessamento del debitore, messi in luce – come si diceva – dalla Relazione illustrativa. Ma la risposta resta probabilmente negativa anche se si opta per una nozione “minimalista” di procedura concorsuale quale adottata negli ultimi tempi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di accordi di ristrutturazione (sulla scia della Direttiva UE), giacché nella specie non sembra potersi riscontrare la compresenza di quegli elementi, ritenuti indispensabili, costituiti da: (i) una qualsiasi forma di interlocuzione con l’autorità pubblica, con finalità protettive nella fase iniziale e di controllo in quella finale; (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori; (iii) una qualche forma di pubblicità della procedura. La stessa Relazione illustrativa, definendo ripetutamente (e in modo volutamente atecnico) la composizione negoziata come “percorso”, mostra di compiere una scelta astensionistica rispetto alla questione in parola, anche se, rifuggendo deliberatamente dall’utilizzo del termine “procedura”, conferma l’obiettiva difficoltà a qualificare sic et simpliciter come tale la composizione negoziata[23]; sebbene vada rimarcato come il rimedio, per così dire, si “concorsualizzi” nel caso in cui il debitore richieda al [continua ..]
L’art. 18 del decreto qui in commento introduce un altro istituto di nuovo conio: il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio [24]. Esso risulta attivabile quando l’esperto, nella sua relazione finale, dichiara che le trattative non hanno avuto esito positivo e che le soluzioni di cui all’art. 11, 1° e 2° comma, non sono praticabili. In tal caso l’imprenditore può presentare, nei sessanta giorni successivi alla comunicazione di cui all’art. 5, 8° comma, una proposta di concordato per cessione dei beni unitamente al piano di liquidazione e ai documenti indicati nell’art. 161, 2° comma, lett. a), b), c), d), l. fall. La domanda, da presentarsi al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale, ha ad oggetto l’omologazione del concordato. Il tribunale, valutata la ritualità della proposta, acquisiti la relazione finale di cui al 1° comma e il parere dell’esperto con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione e alle garanzie offerte, non fa luogo alla nomina di un commissario, bensì di un ausiliario ex art. 68 c.p.c. Non è quindi prevista la redazione di un documento assimilabile alla relazione ex art. 172 L. Fall. Con lo stesso provvedimento il tribunale ordina che la proposta, unitamente al parere dell’ausiliario e alla relazione finale dell’esperto, venga comunicata a cura del debitore ai creditori risultanti dall’elenco depositato ai sensi dell’art. 5, 3° comma, lett. c), ove possibile a mezzo posta elettronica certificata, specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione e fissa la data dell’udienza per l’omologazione. I creditori e qualsiasi interessato possono proporre opposizione all’omologazione, costituendosi nel termine perentorio di dieci giorni prima dell’udienza. Per quanto concerne il giudizio di omologazione, è stabilito che il tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio, omologa il concordato quando, verificata la regolarità del contraddittorio e del procedimento, nonché il rispetto dell’ordine delle cause di prelazione e la fattibilità (anche economica, alla luce delle verifiche effettuate dall’ausiliario e dall’esperto) del piano di liquidazione, rileva che la proposta non arreca pregiudizio ai [continua ..]
Ai sensi del successivo art. 19, 1° comma, con il decreto di omologazione il tribunale nomina un liquidatore. In base al secondo comma, poi, quando il piano di liquidazione di cui all’art. 18 comprende un’offerta da parte di un soggetto individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, anche prima dell’omologazione, dell’azienda o di uno o più rami d’azienda o di specifici beni, il liquidatore giudiziale, verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato, dà esecuzione all’offerta; alla vendita si applicano gli artt. da 2919 a 2929 del c.c. Quando il piano di liquidazione prevede che l’offerta di cui al 2° comma debba essere accettata prima della omologazione – stabilisce il terzo comma – all’offerta dà esecuzione l’ausiliario, verificata l’assenza di soluzioni migliori sul mercato, con le modalità di cui al 2° comma, previa autorizzazione del tribunale. E la terminologia utilizzata dalla norma rende palese la preferenza opportunamente accordata dal nuovo decreto a un percorso assai meno formale e procedimentalizzato rispetto a quanto statuito dall’art. 163-bis per il concordato preventivo. Quanto, in particolare, al riferimento alla cessione di azienda o di rami di essa come possibile componente del piano di liquidazione, va precisato (sebbene sia forse superfluo) che esso non interferisce in alcun modo con il disposto dell’art. 186-bis e con l’istituto della continuità indiretta rientrante (ormai pacificamente) nel suo perimetro applicativo. Ciò significa che la cessione dell’azienda o di suoi rami, qui espressamente prevista come possibile nucleo del piano di liquidazione, continua a rappresentare un’ipotesi di continuità alla stregua della disciplina del concordato preventivo.
Al cospetto della nuova disciplina qui in esame, sorge spontaneo l’interrogativo se l’istituto integri un sottotipo di concordato preventivo, ovvero un tipo concorsuale a sé. L’utilizzo del termine “concordato”, come pure il richiamo a una parte rilevante della disciplina del concordato preventivo, sembrano indurre, prima facie, a rispondere al quesito nel primo senso. A un’analisi più meditata, tuttavia, emergono elementi, sia testuali che “strutturali”, che depongono in senso contrario. Va invero rilevato che l’istituto di cui trattasi è regolato da una legge diversa da quella fallimentare, che non parla di concordato preventivo bensì di concordato tout court. Da questo punto di vista, l’esigenza stessa del legislatore di richiamare selettivamente le disposizioni sul concordato preventivo applicabili anche alla nuova fattispecie potrebbe confermare l’ipotesi che non si tratti di un sottotipo di concordato preventivo, per il quale andrebbero semmai menzionate, a rigore, le previsioni non applicabili (potendo ritenersi che al sottotipo di un istituto siano tendenzialmente applicabili tutte le norme proprie del tipo, ad eccezione di quelle oggetto di deroga). Quanto al profilo, per così dire, strutturale, i tratti distintivi fra i due istituti sono davvero eclatanti: la norma di nuovo conio, infatti, prescinde da un provvedimento di ammissione alla procedura, non contempla la presenza di un giudice delegato e di un commissario giudiziale chiamato a relazionare ai sensi dell’art. 172, L. Fall., e non prevede la fase della votazione dei creditori, che notoriamente costituisce un proprium dei concordati preventivo e fallimentare. Orbene, questi elementi sembrano tali, unitamente ai rilievi testé esposti, da far ritenere che il nuovo concordato liquidatorio non sia riconducibile sic et simpliciter al tipo del concordato preventivo quale regolato dalla legge fallimentare, costituendo verosimilmente un tipo normativo dotato di autonome specificità. Nulla quaestio, invece, sulla natura di procedura concorsuale propria dell’istituto, in considerazione, a tacer d’altro, del controllo del tribunale sulla proposta, del necessario rispetto della par condicio creditorum e dell’indefettibilità del giudizio di omologazione. Ne deriva la configurazione di una procedura concorsuale al di fuori del [continua ..]