Il lavoro si propone di esaminare gli strumenti previsti dalla legge fallimentare per garantire il controllo da parte degli organi della procedura e dei creditori sulla fase esecutiva della procedura concordataria. L’indagine viene poi estesa alla disciplina del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, il quale introduce rilevanti novità nella materia in esame.
The work aims to examine the tools provided by the Italian bankruptcy law to ensure the control by the insolvency bodies and the creditors over the enforcement of the concordato preventivo (a procedure aimed at avoiding bankruptcy thanks to an agreement between the debtor and the creditors blessed by a judge). Afterwards the investigation is extended to the discipline of the Italian Crisis and Insolvency Code, which introduces significant changes on the topic examined.
Keywords: arrangement with creditors – remedies for breaches – Insolvency Code – enforcement phase
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1. Le questioni esaminate dalla Corte di Appello di Bari - 2. La fase esecutiva del concordato preventivo: cenni - 3. Il ruolo degli organi della procedura - 4. I rimedi di cui all’art. 185, 4° comma ss., L. Fall. - 5. I rimedi esperibili dai creditori per ottenere l’adempimento - 6. Le novità contenute nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza - NOTE
La decisione in commento è stata occasionata dall’iniziativa assunta da alcuni creditori, i quali, lamentando l’inadempimento del debitore alle obbligazioni assunte in forza di una proposta di concordato dallo stesso presentata e, ormai, omologata, chiedevano al Tribunale e, quindi, a seguito della dichiarazione di inammissibilità della loro istanza [1], alla Corte di Appello di attivare i rimedi sostitutivi previsti dall’art. 185 L. Fall. [2]. Condividendo, nella sostanza, la motivazione assunta dal giudice di prime cure, la Corte barese ha rigettato il reclamo presentato, sul presupposto per cui i creditori istanti non sarebbero stati legittimati ad invocare i rimedi in questione, essendo gli stessi riservati all’iniziativa del commissario giudiziale ovvero, in caso di omologazione di una proposta concorrente, ai creditori che l’abbiano presentata [3]. Per contro, secondo la Corte di Appello, i creditori “non titolati” potrebbero azionare il loro credito – la cui esistenza, da quanto si evince dal provvedimento in commento, era stata peraltro contestata dal debitore [4] – in via esecutiva nei confronti del debitore, sia pure nella misura ridotta prevista dalla proposta omologata, ovvero potrebbero chiedere la risoluzione del concordato, sul presupposto dell’esistenza di un inadempimento grave da parte del debitore, ai sensi dell’art. 186 L. Fall. [5]. Riassunti nei termini poc’anzi esposti i contenuti essenziali della decisione in commento, merita verificarne la correttezza, inquadrando preliminarmente i problemi dalla stessa affrontati nel contesto più generale della fase esecutiva del concordato preventivo e, nello specifico, del ruolo svolto in tale fase dagli organi della procedura, per poi passare ad esaminare i rimedi previsti dalla legge fallimentare per garantire l’adempimento della proposta omologata.
La fase di esecuzione del concordato [6] è introdotta dal deposito del decreto di omologazione [7]-[8], divenendo da tale momento esigibile l’obbligazione assunta dal debitore nei termini previsti dalla proposta [9] e dovendo, quindi, quest’ultimo attivarsi per darvi adempimento [10], come previsto dall’art. 185 L. Fall. Le modalità di esecuzione sono solitamente individuate dalla proposta e, in ogni caso, le relative attività di attuazione devono assecondare quanto previsto nel piano al fine di garantirne l’esatto adempimento [11]. Per tale motivo, si può affermare che il proponente è il soggetto che governa la fase esecutiva nel caso in cui le modalità siano pianificate nella domanda di concordato, mentre nelle ipotesi in cui vi sia un rinvio alle determinazioni del Tribunale, come avviene tipicamente in caso di concordato liquidatorio, la fase dell’esecuzione è sostanzialmente affidata alla direzione degli organi della procedura, tra cui vi è, ad esempio, il liquidatore giudiziale [12]. Alla luce di quanto precede, è evidente come sia difficile attribuire in maniera netta alla fase finale della procedura concordataria una natura pubblicistica ovvero privatistica [13]. La questione, a nostro avviso, può essere risolta nel senso di riconoscere alla fase in questione un carattere sostanzialmente misto, e ciò tanto più dopo le novità introdotte nel 2015 su cui ci si soffermerà più avanti. Sebbene, infatti, sia di regola, prevalente il ruolo dell’imprenditore, il quale, a fronte dell’omologazione della proposta, torna nel possesso del proprio patrimonio, con l’unico vincolo di dare attuazione alle obbligazioni assunte, tale ultima attività è svolta sotto la vigilanza e il controllo degli organi della procedura, ai quali sono stati di recente affidati penetranti poteri di intervento [14].
Delineati nei termini che precedono i tratti essenziali della fase esecutiva, si deve anzitutto rilevare in via generale che le attribuzioni degli organi della procedura di concordato mutano sensibilmente a seconda del contenuto della proposta. L’autorità giudiziaria è infatti sostanzialmente assente quando l’esecuzione del concordato (proposto dal debitore) consiste nella realizzazione di una garanzia, mentre nell’ipotesi del concordato di liquidazione al giudice delegato possono essere attribuite le medesime incombenze che spettano al giudice delegato del fallimento [15] (cfr. artt. 105 ss. L. Fall. richiamati nell’art. 182 L. Fall.). In ogni caso, si deve osservare che nella fase di esecuzione il giudice delegato e il Tribunale non hanno poteri di giurisdizione contenziosa [16] in quanto, come noto, i creditori che vogliano far accertare i loro diritti devono agire in via ordinaria [17] e così pure il debitore che contesti l’esistenza di taluni crediti inseriti nel piano [18]. Al giudice delegato possono essere rimesse soltanto funzioni che attengono all’esecuzione materiale del concordato [19], non diversamente da quanto accade con riferimento al giudice dell’esecuzione nell’espropriazione individuale, e all’esercizio di poteri latamente cautelari [20], con particolare riferimento alla fase di ripartizione dell’attivo (i.e. il potere di accantonare le somme dovute ai creditori contestati, condizionali e irreperibili, su cui si veda il successivo par. 5). Il commissario giudiziale ha invece il compito di sorvegliare l’adempimento del concordato [21]; tuttavia, almeno fino alla riforma del 2015, su cui si tornerà nel prosieguo, tale attività di controllo poteva sfociare soltanto nella richiesta di annullamento del concordato ai sensi dell’art. 186 L. Fall., atteso che la legittimazione a proporre l’azione di risoluzione è attribuita, allo stato, soltanto ai creditori, ai quali peraltro competono in via esclusiva i rimedi esecutivi ordinari, non avendo il commissario alcun potere rappresentativo né della massa né dei singoli creditori [22]. Il commissario è quindi tenuto ad informare i creditori delle evoluzioni in ordine all’esecuzione del concordato, là dove tale attività è particolarmente delicata nei casi di [continua ..]
Fino a pochi anni fa la legge fallimentare non disciplinava alcun rimedio per garantire ai creditori l’esatto adempimento della proposta di concordato: tralasciando gli istituti della risoluzione e dell’annullamento di cui all’art. 186 L. Fall., aventi un effetto rescindente sul concordato, ai creditori che volessero ottenere soddisfazione rispetto alle obbligazioni assunte dal debitore (o dall’assuntore) in sede concordataria non restava che attivare i rimedi esecutivi ordinari [27]. La c.d. mini-riforma della legge fallimentare del 2015 ha invece introdotto per la prima volta un autonomo sistema di rimedi volti a consentire, tra le altre cose, l’adempimento del concordato a fronte dell’inerzia del debitore [28]. Più in particolare, l’art. 185 L. Fall. prevede oggi che il debitore sia tenuto a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione ai termini della proposta concorrente omologata [29] (3° comma) e che, qualora non adempia a tale obbligo, il Tribunale, su istanza del commissario giudiziale che vigila sull’esecuzione del concordato (4° comma) oppure dei creditori che abbiano presentato la proposta concorrente (5° comma), possa attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari per porre in essere gli atti richiesti ai fini della medesima esecuzione in luogo del debitore inadempiente [30]. Nell’ipotesi in cui il debitore abbia natura societaria [31], «fermo restando il disposto dell’art. 173» [32], al Tribunale viene invece assegnato il potere di revocare l’organo amministrativo della società medesima, nonché, ove lo ritenga opportuno, di nominare un amministratore giudiziario, incaricandolo di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato concorrente, incluso il potere di convocare l’assemblea e di votare in luogo dei creditori l’aumento di capitale previsto dal piano di concordato [33] (6° comma). La prima questione interpretativa sollevata dalla nuova disciplina e affrontata dalla decisione in commento è costituita dall’ambito applicativo dei rimedi introdotti nel 2015. Su tale punto la Corte di Appello, discostandosi da quanto affermato in prime cure dal Tribunale di Bari, ha implicitamente ritenuto che i rimedi di cui all’art. 185 L. Fall. abbiano un ambito applicativo generalizzato, potendo essere attivati in [continua ..]
Al di là della specifica ipotesi dei creditori che hanno presentato la proposta concorrente, i quali, come si è osservato, sono legittimati ad assumere le iniziative di cui all’art. 185, 5° e 6° comma, L. Fall., i creditori “non titolati” sono ancora oggi privi di strumenti endoconcorsuali per ottenere l’esatto adempimento di quanto previsto dalla proposta di concordato omologata. Vengono, dunque, in rilievo a tale proposito i rimedi ordinari e, quindi, da un lato, la possibilità di introdurre un giudizio di cognizione dinanzi al giudice competente secondo i criteri ordinari al fine di ottenere un titolo esecutivo [48] e, dall’altro lato, qualora il singolo debitore sia già in possesso dello stesso, di avviare un processo di esecuzione forzata nei confronti del debitore (già) in concordato [49]. L’art. 168 L. Fall. prevede infatti che, dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese [50] e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato diventa definitivo [51], i creditori concordatari non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore [52]. Dopo tale momento, le domande esecutive dei creditori tornano ad essere procedibili, sia pure con alcune limitazioni: l’omologazione del concordato può produrre, infatti, a seconda della tipologia di proposta concretamente presentata, un effetto esdebitatorio per il debitore, con una falcidia dell’importo esigibile nei suoi confronti nei termini stabiliti nella medesima proposta, ai sensi dell’art. 184 L. Fall. [53]. Da quanto precede deriva altresì che, contrariamente a quanto implicitamente ritenuto dalla Corte di Appello di Bari, nel caso in cui un credito sia stato contestato, in tutto o in parte, dal debitore, come nel caso di specie, il credito deve ritenersi, per la parte non riconosciuta dal debitore, inesigibile sino alla pronuncia di una sentenza che ne accerti l’esistenza, l’ammontare e la natura [54]: peraltro, a nostro avviso, è sufficiente anche la pronuncia di una sentenza non ancora definitiva, non essendo richiesta dalla legge la formazione di un giudicato sul credito e prevedendo l’art. 282 c.p.c. che la sentenza di condanna emessa all’esito di un giudizio di primo grado sia immediatamente esecutiva [55]. Fino a tale momento si [continua ..]
Gli strumenti di intervento e controllo nella fase esecutiva del concordato preventivo sono stati significativamente rivisitati nell’ambito del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza [63]: ispirandosi all’intervento del 2015 sulla legge fallimentare su cui ci si è precedentemente soffermati, il legislatore della riforma ha infatti abbandonato la visione tendenzialmente privatistica della fase esecutiva del concordato preventivo, prevedendo più incisivi poteri di controllo e intervento degli organi della procedura in caso di inadempimento del debitore [64]. L’art. 118 c.c.i., dopo aver confermato che è compito del commissario giudiziale sorvegliare l’adempimento del concordato e riferire al giudice ogni fatto dal quale possa derivare pregiudizio per i creditori, con particolare riferimento all’inerzia o al ritardo del debitore nel dare esecuzione alla proposta, prevede, ricalcando di fatto quanto previsto dagli attuali commi 4° ss. dell’art. 185 L. Fall., che il Tribunale [65] possa attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari a porre in atto gli adempimenti omessi dal debitore in violazione rispetto all’obbligo di compiere tutto ciò che è necessario per dare esecuzione alla proposta, sia stata questa da lui presentata o là dove sia stata omologata quella presentata da un creditore [66]. Peraltro, l’art. 119 c.c.i., inerente alla risoluzione del concordato, contiene una rilevante novità rispetto all’attuale disciplina, in quanto dispone che la legittimazione ad agire per la risoluzione spetti non soltanto ai creditori, ma anche al commissario giudiziale, ove un creditore gliene faccia richiesta [67]. Come chiarito dalla Relazione illustrativa al c.c.i., l’attribuzione anche al commissario giudiziale della legittimazione a chiedere la risoluzione del concordato è finalizzata ad evitare che vi siano procedure concordatarie che rimangano ineseguite per anni, in quanto i creditori, spesso scoraggiati dall’andamento della procedura e preoccupati dei costi richiesti per l’avvio di un procedimento giudiziale, non si vogliono assumere l’onere di chiederne giudizialmente la risoluzione.