Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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L´inesistenza del principio della cristallizzazione del passivo nel concordato preventivo e le regole applicabili alla tutela del credito contestato (di Andrea Palazzolo, Professore di Diritto societario nell’Università di Roma “Luiss Guido Carli”)


Nelle procedure di concordato preventivo non opera il principio della cristallizzazione del passivo, mentre la par condicio ammette deroghe finalizzate alla migliore soddisfazione del ceto creditorio. Non può attribuirsi alcun rilievo di giudicato alla valutazione del credito contestato in seno al procedimento di ammissione al voto. I riferimenti alle norme della legge fallimentare restano di carattere puntuale e non consentono di desumere l’applicazione in via analogica di altre regole. Gli interessi moratori e i danni da ritardo sono liberamente rivendicabili. Gli accantonamenti seguono le comuni regole civilistiche di redazione del bilancio d’esercizio.

The non-existence of the principle of crystallisation of liabilities in the arrangement with creditors and the rules applicable to the protection of the contested credit

The principle of the crystallisation of debts does not apply in the procedure of composition with creditors, while the “par condicio” allows exceptions for the better satisfaction of the creditor class. There can be no res judicata to the assessment of the claim contested in the procedure of admission to vote. The references to the rules of bankruptcy law remain precise and do not allow the analogous application of other rules to be inferred. Default interest and delay damages are freely available. The provisions shall follow the common rules of civil procedure applicable to the annual accounts.

Keywords: crystallisation of liabilities – par condicio creditorum – arrangement with creditors – insolvency proceedings – interest in bringing proceedings – legal standing

È infondato il reclamo basato sul presupposto che l’omologazione provochi un giudicato sulla pretesa creditoria; infatti a differenza che nel fallimento i creditori conservano il diritto di agire in via ordinaria per fare valere per proprie pretese ed il voto ha effetti esclusivamente endo-proce­dimentali. (Omissis). 1. Va, anzitutto, richiamata la motivazione con la quale il primo giudice ha ritenuto infondata l’opposizione avanzata dall’odierna reclamante, osservando: – che essa aveva contestato solo la fattibilità economica del piano; – che ogni profilo attinente alla fattibilità economica del piano è riservata alla valutazione del ceto creditorio e non già al Tribunale. 2. Con il proposto reclamo, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Ragusa, contesta l’erroneità della motivazione del primo giudice, osservando di essersi opposta all’omologazione in quanto la ricorrente. aveva indicato in € 20.945 il credito erariale, mentre l’Ufficio delle Entrate aveva quantificato il suo debito nel complessivo importo di € 62.127,67. Concludeva, osservando quanto segue: “poiché il concordato omologato, ai sensi dell’art. 184 L. Fall., è obbligatorio per tutti i creditori anteriori, ne deriva la conseguenza che la parte di debito erariale non considerata non trova soddisfo alcuno per effetto dell’omologa del concordato preventivo, in violazione dell’obbligo di integrale soddisfazione dei crediti tributari”. 3. Il motivo in esame va rigettato, atteso che la lamentata indicazione nella proposta concordataria di un debito erariale, minore di quello dedotto dall’opponente Agenzia delle Entrate, è del tutto irrilevante, potendo venire in rilievo effettivamente solo in relazione alla fattibilità economica del concordato, atteso che il concordato omologato, a norma dell’art. 184 L. Fall., “determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato sull’esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, né sugli altri diritti implicati nella procedura stessa, presupponendone un accertamento non giurisdizionale, ma meramente amministrativo, di carattere delibativo e volto al solo scopo di consentire il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione della proposta, sicché non esclude la possibilità di far accertare in via ordinaria, nei confronti dell’impresa in concordato, il proprio credito e il privilegio che lo assiste” (cfr. Cass. 33345/2018). CORTE D’APPELLO DI CATANIA, I SEZ. CIV., 8 SETTEMBRE 2020 Pres. FERRERI, Giud. Est. ROMANO RECLAMO AGENZIA DELLE ENTRATE (Artt. 104-ter e161 L. Fall.; art. 32, D.L. n. 90/2014, artt. 40 e 57, D.Lgs. 6 [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La decisione della Corte catanese - 3. Osservazioni - 3.2. La tutela dei creditori tra diritto comune e diritto della crisi: l’inoperatività della cristallizzazione per danni e ritardati pagamenti - 3.3. L’azione giudiziale per la determinazione dei crediti contestati ed i limiti al divieto di azioni esecutive e cautelari ex art. 168 L. Fall. - 3.4. Interesse ad agire e legittimazione nel giudizio promosso in via ordinaria dai creditori - 3.5. Gli accantonamenti in sede di omologazione del concordato preventivo quale espressione dell’assenza del giudicato sul debito - 4. Conclusioni - NOTE


1. Il caso

Avverso il decreto di omologazione del concordato proponeva reclamo l’Agenzia delle Entrate, assumendo di vantare, nei confronti della ricorrente un maggior credito rispetto a quanto risultante dal piano concordatario e ritenendo la necessità di opporsi all’omologazione per non subire il giudicato sulla minore quantificazione. Costituitasi in giudizio, la ricorrente sosteneva, di converso, che l’omologazio­ne, pur determinando un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, non potesse comportare la formazione di un giudicato su esistenza, entità e rango del credito in contestazione.


2. La decisione della Corte catanese

La Corte di Appello di Catania, dopo aver ripercorso brevemente l’iter logico-argomentativo che aveva portato il primo giudice al rigetto dell’opposizione ex art. 176, 2° comma, L. Fall., confuta la tesi erariale evidenziando come la determinazione dei crediti effettuata dal ricorrente in seno alla proposta di concordato, così come le decisioni del giudice delegato, abbiano quale unico scopo il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione della proposta, sicché la successiva omologazione del concordato non può comportarne il passaggio in giudicato. La decisione del Tribunale su esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) del credito in contestazione avviene quindi incidenter tantum all’interno della procedura. Ne consegue che i soggetti, il cui credito è contestato dall’imprenditore sottoposto a concordato preventivo, non possono ricorrere attraverso il reclamo ex art. 183 L. Fall. avverso il decreto di omologazione, bensì debbono adire le vie ordinarie allo scopo di far accertare, in via ordinaria, il proprio diritto di credito. Il credito è comunque soggetto all’eventuale riduzione quantitativa [1] prevista nel piano, anche nelle ipotesi in cui il giudizio si concluda successivamente alla chiusura della procedura stessa.


3. Osservazioni

3.1. La par condicio e la “cristallizzazione” del passivo nelle procedure di concordato preventivo e fallimentare Il provvedimento in commento si occupa dell’annosa questione della formazione del giudicato su esistenza, entità e rango dei crediti in contestazione in sede di omologazione del concordato preventivo, sovente al centro delle pronunce della Suprema Corte in tema di inammissibilità del ricorso ex art. 111, 7° comma, Cost. avverso la decisione della Corte di Appello sul reclamo ex art. 183 L. Fall. [2]. Ai fini di esaminare le regole applicabili alla tutela dei crediti contestati, occorre premettere una breve disamina delle principali differenze riscontrabili tra concordato preventivo e concordato fallimentare in tema di accertamento dello stato passivo. Seppur sia vero che il concordato preventivo al pari del fallimentare, sia giudiziale e di massa, esso si differenzia infatti profondamente dal secondo non solo dal punto di vista dei presupposti, ma anche sul piano procedurale ed in relazione alle tutele accordate ai creditori concorsuali ai fini dell’accertamento del proprio credito [3]. Il concordato fallimentare presuppone la dichiarazione di fallimento dell’im­prenditore, cui conseguono specifici effetti patrimoniali, personali e penali, nonché peculiari conseguenze per i creditori. L’art. 52 L. Fall. dispone che il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, prevedendo la parità di trattamento ai fini della soddisfazione delle rispettive pretese creditorie (c.d. par condicio creditorum) [4]. Essi, alla data della dichiarazione di fallimento, assumono la qualifica di creditori concorsuali sul patrimonio dell’imprenditore fallito, potendo far valere i propri diritti unicamente secondo le regole dettate della procedura fallimentare (art. 52, 2° comma, L. Fall.); solo in seguito all’accertamento giudiziale del proprio credito, in fase di accertamento dello stato passivo, divengono creditori con­correnti, maturando il diritto di partecipare alla ripartizione dell’attivo fallimentare. Il principio della par condicio creditorum trova conferma nel divieto di azioni esecutive e cautelari individuali posto dall’art. 51 L. Fall., in forza del quale dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna delle predette può essere iniziata o [continua ..]


3.2. La tutela dei creditori tra diritto comune e diritto della crisi: l’inoperatività della cristallizzazione per danni e ritardati pagamenti

Il riferimento al diritto comune, o meglio all’inesistenza di una speciale procedura di accertamento affine a quella fallimentare per l’accertamento dei propri crediti, induce ad interrogarsi sulle tutele – e sui relativi limiti – nonché sui poteri di contestazione accordati ai creditori concordatari nelle diverse fasi della procedura ai fini della determinazione del credito vantato. Il soggetto legittimato alla presentazione della domanda di ammissione alla procedura è il debitore, il quale allega al proprio ricorso, tra l’altro, l’elenco nominativo dei creditori, contenente l’indicazio­ne dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione (art. 161, 2° comma, lett. b), L. Fall.) [15]. Tale allegazione, nonché le rispettive ed eventuali rettifiche successive alla stessa, non possono sopperire alla mancanza della fase di accertamento del passivo e, in particolare, del progetto di stato passivo, predisposto sulla base delle domande d’insinuazione presentate dai creditori, all’uopo specificamente sollecitati dal curatore (art. 92 L. Fall.) [16]. Lo scopo dell’elenco è infatti rappresentare la situazione debitoria dell’impresa unicamente ai fini di una valutazione di ammissibilità e del voto dei creditori. Ritenuta ammissibile la proposta concordataria [17], il Tribunale dichiara aperta la procedura (art. 163 L. Fall.), con decreto non soggetto a gravame, per mezzo del quale nomina sia il giudice delegato, cui è devoluta la direzione della procedura, che il commissario giudiziale, con compiti di vigilanza e controllo. Quest’ultimo è incaricato di convocare i creditori sulla base dell’elenco nominativo presentato in sede di ricorso dal debitore, apportandovi le necessarie rettifiche (art. 171 L. Fall.) [18] sulla scorta delle scritture contabili [19]; attività quest’ultima di natura meramente amministrativa e non decisoria [20]. A seguito della comunicazione del commissario giudiziale, i creditori prendono contezza dell’entità e del rango (privilegiato o chirografario) del proprio credito, come allegato dal debitore. Questo primo passaggio della procedura pone in evidenza l’impossibilità per i creditori di contestare le determinazioni del commissario giudiziale nella formazione dell’elenco definitivo. Potere, tuttavia, riconosciuto loro, [continua ..]


3.3. L’azione giudiziale per la determinazione dei crediti contestati ed i limiti al divieto di azioni esecutive e cautelari ex art. 168 L. Fall.

L’art. 168 L. Fall. stabilisce che, dal momento della data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese fino al decreto definitivo di omologazione dello stesso [33], i creditori per titolo o causa anteriore “non possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore” [34], pena la nullità delle stesse [35]. All’interno del novero delle azioni interessate dal divieto non sembrerebbero quindi rientrare quelle di cognizione. Ciò pare confermato, seppur indirettamente, dall’art. 176 L. Fall., a norma del quale l’ammis­sione provvisoria dei crediti contestati non pregiudica le pronunzie definitive sulla loro sussistenza. Orbene, dal punto di vista oggettivo, occorre rilevare che il divieto ex art. 168, come graniticamente affermato dalla giurisprudenza [36], non coinvolge azioni diverse da quelle esecutive e cautelari, a fortiori in ragione della necessità per i creditori, il cui credito è contestato dall’imprenditore, di farli accertare in un separato giudizio. Pertanto, le azioni di accertamento dei crediti contestati e di condanna al pagamento degli stessi non possono ritenersi ricomprese nel novero delle azioni relative al predetto divieto [37], la cui ratio consiste nell’inibire ogni atto tendente ad aggredire nell’immediato il patrimonio del debitore, assicurando alla massa dei creditori parità di trattamento in relazione alla soddisfazione delle proprie pretese. Parimenti, non sono soggette al divieto ex art. 168 L. Fall. le azioni possessorie (artt. 1168 e 1170 c.c.), l’azione di restituzione dei beni venduti con patto di riservato dominio nei casi d’inadempimento del compratore (art. 1523 c.c.) [38], l’azione di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c. [39], nonché le azioni di rivendicazione dei beni da parte dei terzi [40]. La proponibilità di dette azioni segue la disciplina ordinaria, anche in tema di competenza, in quanto nessuna disposizione di legge prevede a tal proposito la vis attractiva del Tribunale fallimentare [41]. Ferme restando le eccezioni summenzionate, nel corso del tempo, la giurisprudenza ha interpretato in modo estensivo il divieto ex art. 168 L. Fall., [continua ..]


3.4. Interesse ad agire e legittimazione nel giudizio promosso in via ordinaria dai creditori

I creditori anteriori alla domanda di concordato possono tutelare le proprie pretese creditorie, durante la procedura, ma anche successivamente all’omologazione del concordato, non solo attraverso un ordinario giudizio di cognizione [50], bensì anche in via monitoria [51]. Nulla esclude, infatti, che questi ultimi possano esperire a tutela del proprio credito apposito procedimento d’ingiunzione (artt. 633 ss. c.p.c.) [52]. L’interesse ad agire dei creditori inseriti nell’elenco ex art. 171 L. Fall., nella fase successiva all’omologazione del concordato preventivo, secondo una parte della giurisprudenza di merito, non sussiste ogniqualvolta questi ultimi non abbiano contestato, in sede concordataria, l’ammontare o il rango del proprio credito [53]. Di converso, alcuni autori affermano la sussistenza dell’interesse ad agire dei creditori sem­plicemente con l’inserimento degli stessi all’interno del predetto elenco, in quanto la proposizione di un’autonoma azione giudiziale rappresenterebbe l’unico modo per ottenere un titolo giudiziale, quale presupposto certo per il soddisfacimento delle proprie pretese [54]. Tesi che appare maggiormente condivisibile, in quanto nessuna disposizione, né tantomeno le finalità della procedura, impone che il creditore debba far valere all’interno di quest’ultima le proprie contestazioni in ordine all’esi­stenza, all’entità o al rango del credito vantato, a pena di improponibilità della domanda di accertamento e condanna al pagamento del credito contestato per carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.). La determinazione del credito deve dunque ritenersi indipendente rispetto alla procedura di concordato preventivo, all’interno della quale il creditore muove le proprie contestazioni ai soli fini del voto e della formazione delle maggioranze. Il giudizio di accertamento del credito dev’essere proposto nei confronti del debitore, in specie unico soggetto legittimato passivo, il quale prosegue nell’amministrazione dei beni aziendali e, se previsto dalla proposta, nell’esercizio dell’impresa durante lo svolgimento della procedura concordataria (art. 167 L. Fall.) e adempie agli obblighi maturati con l’omologazione del concordato [55]. Nel corso del tempo, la dottrina si è tuttavia [continua ..]


3.5. Gli accantonamenti in sede di omologazione del concordato preventivo quale espressione dell’assenza del giudicato sul debito

In ultimo la disciplina degli accantonamenti, contenuta negli artt. 180, 6° comma, e 185, 2° comma, L. Fall., entrambi aventi ad oggetto crediti contestati, condizionali o irreperibili; le due norme sono apparentemente incompatibili, poiché tra loro sovrapponibili e destinate a organi diversi della procedura. A tal proposito, taluni autori hanno ritenuto l’abrogazione implicita, per incompatibilità sopravvenuta, dell’art. 185, 2° comma, L. Fall. [60]; mentre altri ne hanno affermato l’operatività, nonostante l’intervenuta modifica all’art. 180 L. Fall. ad opera del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 [61]. Questo secondo orientamento è condivisibile alla luce del diverso ambito applicativo delle due disposizioni. Mentre l’art. 180, 6° comma, L. Fall. attribuisce al Tribunale la competenza a disporre gli accantonamenti per i crediti contestati e condizionali, nonché per i creditori irreperibili unicamente in fase di omologazione del concordato preventivo, l’art. 185 L. Fall., rinviando all’art. 136, 2° comma, L. Fall., assegna il medesimo compito al giudice delegato in fase di esecuzione del concordato, in armonia con il 1° comma, che attribuisce a quest’ultimo il compito di sorvegliare in questa fase l’attività di controllo esercitata dal commissario giudiziale [62]. Ne consegue, che nelle ipotesi in cui dovessero sorgere questioni problematiche relative a crediti contestati, condizionali ovvero a creditori irreperibili in seguito alla fase di omologazione, ma geneticamente anteriori alla domanda, la competenza a disporre gli eventuali accantonamenti per i predetti sarebbe del giudice delegato e non del Tribunale. Di converso, gli accantonamenti in fase di omologazione del concordato preventivo devono essere disposti dal Tribunale, il quale ne prevede altresì le modalità e le condizioni per lo svincolo. In assenza di accantonamento, il creditore pretermesso, accertato in separato giudizio il proprio credito, può unicamente agire nei confronti del debitore, se del caso con l’azione di risoluzione, ovvero nei confronti dei creditori concorsuali soddisfatti per recuperare quanto di propria spettanza [63], stante l’inammissibilità della richiesta di misure cautelari dirette ad ottenere la pronuncia di un ordine di accantonamento delle somme [continua ..]


4. Conclusioni

Nelle procedure di concordato, a differenza che in quelle fallimentari, non opera dunque il principio della cristallizzazione del passivo, mentre quello della par condicio deriva piuttosto dalla evidenziata incapienza patrimoniale, alla stregua di quanto accade anche in ogni altra ipotesi di questo tenore, ed ha un’applicazione flessibile, orientata al principio del miglior soddisfacimento del ceto creditorio piuttosto che alla rigida ripartizione tipica della sede fallimentare. In assenza di una fase di accertamento del passivo non può attribuirsi alcun rilievo di giudicato alla valutazione del credito contestato in seno al procedimento di ammissione al voto. I riferimenti alle norme della legge fallimentare restano di carattere puntuale e non consentono di desumere l’applicazione in via analogica di altre regole. Ne è prova la fattispecie degli interessi di mora, sempre rivendicabili, al pari dei danni da ritardo, così come quella degli accantonamenti, che presuppongono una passività potenziale ancora in fase di determinazione, e pertanto ontologicamente non “cristallizabile”.


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2021