L’autore analizza l’ordinanza con la quale la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale decisione delle Sezioni Unite, la questione concernente la dichiarabilità del fallimento di un’impresa ammessa al concordato preventivo, poi omologato, ma non eseguito, senza passare per la risoluzione del concordato medesimo. La Prima Sezione Civile valorizza nell’ordinanza l’opinione di una “autorevole dottrina”, contraria agli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità.
The author analyzes the order with which the First Civil Section of the Court of Cassation gave back to the First President, for the possible decision of the United Sections, the question of the declarability of bankruptcy of an undertaking admitted to the arrangement with creditors then approved, but not executed, without passing through the resolution of the same arrangement. The First Civil Section highlights in the order the opinion of an “authoritative doctrine”, contrary to the interpretative approaches of the jurisprudence of legitimacy.
Keywords: omisso medio – bankruptcy – Insolvency Code – arrangement with creditors
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1. Le motivazioni dell’ordinanza e l’opinione della dottrina - 2. Le ulteriori problematiche applicative e sistematiche - 3. Il Codice della crisi di Impresa e dell’insolvenza come strumento interpretativo del regime vigente - NOTE
Con l’ordinanza interlocutoria che qui si commenta, la I Sezione Civile della Corte di Cassazione – pur dando atto che non esiste contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’ammissibilità della dichiarazione di fallimento di un’impresa ammessa al concordato preventivo poi omologato, ma non eseguito, a prescindere dall’intervenuta risoluzione dello stesso – ha rimesso la questione, ritenuta di massima di particolare importanza, al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Tale questione, a giudizio della Corte rimettente, involge l’ulteriore approfondimento della possibilità di dichiarare il fallimento solo per un’insolvenza nuova rispetto al momento dell’omologazione del concordato, ovvero anche per l’inadempimento delle obbligazioni concordatarie. E, in caso di ammissibilità del fallimento in tali ipotesi, della possibilità di un eventuale fallimento dell’impresa ammessa al concordato omologato, anche prima dello spirare del termine di cui all’art. 186, 3° comma, L. Fall. In attesa del responso delle Sezioni Unite, vale la pena di elencare i precedenti dei due orientamenti che si contendono il campo in ordine alla questione prospettata: a) per l’ammissibilità del fallimento dell’impresa ammessa al concordato omologato, ma non eseguito, a prescindere dalla risoluzione, Cass. 17 luglio 2017, n. 17703[1], Cass. 11 dicembre 2017, n. 29632[2], Cass. 17 ottobre 2018, n. 26002 [3], tutte richiamate nell’ordinanza in commento; b) nel senso dell’inammissibilità della dichiarazione di fallimentoomissomedio si sono espresse, in disparte la giurisprudenza di merito, “molte voci” della dottrina, definite “autorevoli” [4] dalla stessa ordinanza annotata, evidentemente per la solidità delle ragioni esegetiche e sistematiche in adesione alle quali la I Sezione Civile ha ritenuto di dover sollecitare l’intervento delle Sezioni Unite: la prova che dottrina e giurisprudenza, confrontandosi tra loro, esercitano una funzione concorrente [5], volta a determinare quella convergenza di opinioni sulla quale si istituisce il diritto vivente [6]. Queste ragioni possono riassumersi nelle seguenti proposizioni: – l’assenza di una norma che, nell’ambito del [continua ..]
Si è di sopra accennato alla molteplicità di ragioni – a parere di chi scrive, e per quel che questo conta – solidissime, che presidiano l’opinione della dottrina prevalente, in dissenso dall’attuale indirizzo della Cassazione. Per l’ordinanza in commento, esse non esauriscono tuttavia lo spettro delle problematiche che la questione solleva, ravvisandosi la necessità di approfondire “ulteriori problematiche applicative e sistematiche di non poco momento”, che sembrerebbero porgere ulteriore sostegno ai dissensi dottrinali. Una prima problematica consiste nel fatto che ritenere ammissibile l’istanza di fallimento a prescindere dalla risoluzione del concordato inadempiuto, renderebbe possibile “un aggiramento dei presupposti applicativi dei termini previsti dall’art. 186 l.f.” da parte dei creditori, sia in ordine all’accertamento di un inadempimento di non scarsa importanza, sia con riguardo al termine annuale di decadenza previsto per la domanda di risoluzione [16]; sia, infine, sotto il profilo della legittimazione attiva (ove nell’art. 186 L. Fall. sono solo i creditori che possono agire in risoluzione, mentre, ai sensi degli artt. 6 e 7 L. Fall., l’iniziativa per la dichiarazione del fallimento appartiene ai creditori, al PM e al debitore). Un secondo rilievo argomentativo attiene ai non lievi dubbi di “compatibilità sistematica” del fallimento omisso medio con l’attuale disciplina della legge fallimentare (che in pendenza di una procedura di concordato preventivo, permette la dichiarazione di fallimento solo al verificarsi degli eventi di cui agli artt. 162, 173, 179, 180 L. Fall. [17]); nonché con le statuizioni contenute nelle pronunce 15 maggio 2015 nn. 9935 e 9936 delle Sezioni Unite della Cassazione, le quali hanno “cristallizzato il principio del c.d. coordinamento asimmetrico tra la procedura concordataria e quella fallimentare”, ammettendo la possibilità di dichiarare il fallimento in pendenza di una procedura concordataria solo allorquando il concordato sia stato definito con esito negativo in seguito al verificarsi di uno degli eventi previsti dalle norme poc’anzi richiamate [18]. Una terza problematica è rappresentata da ciò, che consentendosi la dichiarazione di fallimento di una impresa in concordato omologato ma non [continua ..]
A completamento di una motivazione di forma compatta e rigorosamente organizzata, l’ordinanza in chiosa invoca la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (24 giugno 2020, n. 12476) [20], le quali hanno sancito il principio che è consentito al giudice di colmare le lacune della legge mediante il richiamo alla riforma legislativa non ancora in vigore, purché sia configurabile – nello specifico segmento normativo – un ambito di continuità tra il vecchio e il nuovo regime. E ne deduce che il riscritto art. 119 C.c.i.i. [21] rappresenta una norma destinata a fornire un utile strumento interpretativo nell’indagine ermeneutica dell’art. 186 L. Fall., in ragione dell’“incontestabile continuità normativa dell’istituto in esame con quello di prossima applicazione”. Quest’ultima proposizione sembra essere quella maggiormente in grado di guidare le prossime scelte della giurisprudenza, in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite.