Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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I crediti contestati nel concordato preventivo (di Simone Francesco Marzo, Avvocato in Lecce)


L’assenza di un procedimento interno di verifica dei crediti nell’ambito della disciplina sul concordato preventivo induce ad interrogarsi sul trattamento da riservare in tale contesto alle pretese creditorie oggetto di contestazione, sia da parte del debitore che da parte di altri creditori concorrenti. Il contributo si propone di approfondire tale questione, giungendo alla conclusione secondo cui neanche nel concordato preventivo si possa prescindere da un vaglio giudiziale sull’esi­stenza, sull’ammontare e sul rango dei crediti. Detta verifica, seppure condotta incidentalmente, si impone al fine di evitare che lo strumento concordatario possa prestarsi ad utilizzi distorti o a indebite discriminazioni tra i creditori dell’imprenditore in crisi, nonché per assicurare la genuinità della formazione del consenso sulla proposta concordataria, e rientra sotto entrambi tali profili nella sfera dei poteri esercitabili anche in via officiosa dal Tribunale, sia nella fase di ammissione che nella fase di omologazione del concordato. Tale conclusione consente poi di fornire una più coerente lettura delle norme dettate in tema di deposito delle somme spettanti ai creditori contestati e di ammissione di questi ultimi al voto sul concordato.

Disputed claims in arrangement with creditors procedures

The absence of an internal credit verification procedure within the framework of the creditors’arrangement procedures raises the question of the consideration to be given in this context to the disputed creditor claims, both by the debtor and by other competing creditors. The contribution aims to deepen this issue, reaching the conclusion that even in the arrangement procedure you can not disregard a judicial examination on the existence, the amount and the seniority of the claims. Such verification, even if incidentally conducted, is necessary in order to avoid that the instrument of the creditors’arrangement can lend itself to distorted uses or undue discrimination between the creditors of the entrepreneur in crisis, as well as to ensure the genuineness of the consensus on the proposed plan, and falls in both these respects within the sphere of powers also exercisable officially by the Tribunal, both in the admission phase and in the homologation phase of the arrangement. This conclusion also makes it possible to provide a more consistent reading of the rules governing the deposit of the sums owed to the contested creditors and the admission of the latter to vote on the arrangement.

Keywords: disputed claims – arrangement with creditors – bankruptcy plan – composition proceedings

SOMMARIO:

1. La verifica dei crediti nel concordato preventivo - 2. I crediti contestati nella formulazione della proposta e nella predisposizione del piano: introduzione al problema - 3. (Segue): la necessità di una delibazione incidentale sui crediti contestati - 4. Il deposito delle somme spettanti ai creditori contestati - 5. I crediti tributari contestati - 6. I crediti contestati da altri creditori - 7. Il voto dei creditori contestati - 8. La verifica esterna alla procedura concordataria - 9. Conclusioni - NOTE


1. La verifica dei crediti nel concordato preventivo

Salvo tassative eccezioni, chiunque intenda partecipare al concorso aperto dal fallimento sul patrimonio del debitore ha l’onere di chiedere l’accertamento della propria pretesa secondo le modalità dettate dagli artt. 92 ss. L. Fall.; soltanto dal­l’eventuale ammissione al passivo scaturisce, infatti, il diritto del creditore di partecipare alla ripartizione dell’attivo e, dunque, di ottenere la (totale o parziale) soddisfazione del proprio credito. Il principio di “esclusività” dell’accertamento del passivo fallimentare, al quale si è appena fatto cenno, è espresso dall’art. 52 L. Fall. [1] ed assume nell’ambito della disciplina dell’insolvenza un rilievo centrale, tanto da essere stato indicato come uno dei capisaldi del concetto stesso della concorsualità [2]. Tale norma, ribadita dall’art. 151, 2° comma, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza di cui al D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, mira, in sostanza, a selezionare la platea di creditori che avranno diritto a vedersi distribuito il ricavato della liquidazione del patrimonio del debitore. L’esigenza di individuare i soggetti legittimati a partecipare al concorso aperto sul patrimonio del debitore non è però presente soltanto nel fallimento (e, per il futuro, nella liquidazione giudiziale), ponendosi in egual misura anche nelle altre procedure concorsuali [3], ed in primis nel concordato preventivo [4]. Ciononostante, la disciplina di tale procedura non prevede alcun procedimento “endoconcordatario” finalizzato alla verifica dei crediti [5]. Conseguentemente, il creditore può avvalersi degli ordinari mezzi di tutela processuale cognitoria per ottenere l’accertamento giudiziale del proprio diritto nei confronti del debitore concordatario, tanto in pendenza della procedura quanto successivamente all’omologazione [6], con la precisazione che, una volta accertato, anche tale credito risentirà degli effetti spiegati dal concordato eventualmente omologato ai sensi dell’art. 184 L. Fall. (e dell’art. 117 c.c.i.). Ciò posto, si potrebbe allora ritenere che, nel concordato preventivo, il compito di “accertare” il passivo resti affidato allo stesso debitore, salve soltanto le decisioni rese all’esito dei giudizi [continua ..]


2. I crediti contestati nella formulazione della proposta e nella predisposizione del piano: introduzione al problema

La prima questione che si pone esaminando il tema in oggetto concerne l’even­tualità che dei crediti contestati si debba o meno tenere conto nella predisposizione del piano e della proposta concordataria, e quindi anche nell’attestazione concernente la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. In concreto, il dubbio riguarda la necessità che, nel formulare la proposta di concordato e nel predisporre il piano destinato a supportare tale proposta, il debitore debba o meno contemplare anche il soddisfacimento delle pretese non ancora oggetto di definitivo accertamento giudiziale e che egli ritenga di disconoscere. Il problema, come anticipato, non è di scarso rilievo, poiché dalla sua soluzione discendono importanti conseguenze sul giudizio di fattibilità del piano e sul grado di soddisfacimento atteso dagli altri creditori concorrenti: un piano (liquidatorio o con continuità aziendale) giudicato idoneo ad assicurare il regolare adempimento della proposta assumendo un determinato fabbisogno concordatario, potrebbe infatti non esserlo più laddove tale fabbisogno subisse significative variazioni qualitative o quantitative in conseguenza dell’inclusione nel passivo di crediti non ancora accertati giudizialmente ed oggetto di contestazione. Nonostante tale rilevanza, il punto non è affrontato expressis verbis dalla legge, diversamente da quanto riguarda l’e­sercizio del diritto di voto. Richiamando quanto esposto in ordine all’assenza di una fase di verifica dei crediti, è certo che nessun accertamento idoneo al giudicato sull’esistenza, sull’am­montare e sulla qualità dei debiti concordatari possa scaturire dal giudizio di omologazione né tantomeno dal preliminare scrutinio di ammissibilità della domanda [15]. D’altro canto, attesa l’espressa previsione di cui all’art. 96, ultimo comma L. Fall. [16], l’inidoneità al giudicato caratterizza anche i provvedimenti conclusivi della fase di verifica dei crediti nel fallimento. Ciò chiarito, per il problema qui in discussione le soluzioni prospettabili sono molteplici. Secondo una prima tesi, di cui si trova riscontro in diverse pronunce di legittimità, i crediti oggetto di contestazione da parte del debitore dovrebbero essere necessariamente inseriti nel [continua ..]


3. (Segue): la necessità di una delibazione incidentale sui crediti contestati

Così impostato il problema, non sembra possibile dubitare della rilevanza da assegnare nel concordato preventivo anche ai crediti contestati. Pare altrettanto certo, però, che il debitore non possa essere costretto ad elaborare un piano ed a formulare una proposta che contempli il soddisfacimento (seppure eventuale e subordinato al successivo accertamento) di qualsiasi pretesa, da chiunque avanzata ed a prescindere da qualunque valutazione in ordine alla sua presumibile fondatezza. Occorre perciò interrogarsi, da un lato, sui necessari limiti alla doverosa inclusione di simili pretese nel piano e nella proposta concordataria e, dall’altro, sul fondamento del sindacato giudiziale in ordine a tali profili del piano e della proposta. Per la soluzione della prima questione utili spunti possono trarsi dall’esegesi offerta dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’art. 180, 6° comma, L. Fall., a mente del quale “le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo” [27]. Tale norma, di per sé, non appare idonea a fondare autonomamente l’obbligo di inclusione delle pretese contestate nel piano e nella proposta concordataria; essa riguarda, infatti, soltanto l’eventuale deposito delle somme che il concordato approvato preveda di destinare ai creditori contestati, per l’eventualità che le loro pretese siano accertate. In altri termini, pur collocandosi nel medesimo provvedimento con cui il Tribunale decide sull’omologazione, le prescrizioni sulle modalità di deposito e svincolo di dette somme presuppongono che i crediti contestati siano già inseriti nel piano e nella proposta, e rappresentano perciò un posterius logico rispetto al­l’elaborazione dell’uno e dell’altra; non sembra pertanto possibile ricavare da tali prescrizioni un vincolo all’elaborazione medesima. Pronunciandosi sulla norma in questione, però, la Suprema Corte ha recentemente chiarito che “il tribunale, nell’omologare il concordato, ha il potere di disporre e di quantificare gli accantonamenti, ma anche di non prescriverli, ove reputi, all’esito di una valutazione di natura incidentale, che il credito o i crediti contestati non siano esistenti” e che, [continua ..]


4. Il deposito delle somme spettanti ai creditori contestati

Sulla base delle conclusioni sin qui raggiunte è possibile fornire anche una più precisa lettura delle norme in tema di deposito delle somme spettanti ai creditori contestati. In premessa è opportuno ricordare che il vigente assetto normativo contempla due disposizioni che prevedono il deposito delle somme spettanti ai creditori contestati nel concordato preventivo. Come già visto, l’art. 180, 6° comma, L. Fall. stabilisce che “Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo”; l’art. 185, 2° comma, L. Fall., rende inoltre applicabile alla fase di esecuzione del concordato preventivo la norma dettata dal 2° comma del precedente art. 136, il quale a sua volta sancisce che, nella fase di esecuzione del concordato fallimentare, “Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili, sono depositate nei modi stabiliti dal giudice delegato”. Parte significativa della dottrina [36] ritiene che tra le due norme vi sia incompatibilità, sicché la seconda (già enunciata dall’originaria formulazione dell’art. 185 L. Fall.) sarebbe stata implicitamente abrogata per effetto della modifica operata sul­l’art. 180 L. Fall. in occasione della riforma del 2005. In verità, tra le due norme non si pone un rapporto propriamente antinomico [37], poiché il potere riconosciuto al Tribunale in fase di omologazione non esclude affatto che un analogo potere possa essere riconosciuto al giudice delegato nella successiva fase di esecuzione del concordato. È anzi significativo che tale duplice competenza fosse già prevista nell’ori­ginaria formulazione della legge fallimentare [38] e che entrambe le norme siano state ribadite anche nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza [39]. Dal coordinamento delle due norme in esame discende, piuttosto, che il deposito delle somme possa essere prescritto dal Tribunale, all’esito del giudizio di omologazione, e dal giudice delegato, nella successiva fase di esecuzione del concordato [40], ovviamente con riguardo a crediti rispetto ai quali il deposito non sia già stato disposto dal Tribunale. Ad ogni modo, entrambe le norme pongono il problema di individuare i limiti [continua ..]


5. I crediti tributari contestati

La trattazione sin qui condotta ha avuto generico riguardo ai crediti che il debitore in concordato intenda contestare. Una particolare attenzione meritano, però, i crediti di natura tributaria, in ragione di una specifica disciplina ad essi dedicata. L’art. 90 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 [46], il cui 1° comma prevede che “Se il debitore è ammesso al concordato preventivo o all’amministrazione controllata, il concessionario compie, sulla base del ruolo, ogni attività necessaria ai fini dell’inserimento del credito da esso portato nell’elenco dei crediti della procedura”, al 2° comma aggiunge: “Se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli articoli 176, primo comma, e 181, terzo comma, primo periodo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”. Tralasciando per il momento il riferimento all’art. 176, 1° comma, L. Fall., e ricordando che il richiamo all’art. 181, 3° comma, primo periodo, L. Fall. deve oggi intendersi rivolto all’art. 180, 6° comma, L. Fall. (e per l’avvenire all’art. 112, 2° comma, c.c.i.), è interessante notare che, secondo la Suprema Corte [47], dal richiamato 2° comma dell’art. 90, d.P.R. n. 602/1973, discenderebbe l’obbligatorietà dell’ac­cantonamento a tutela dei crediti tributari iscritti a ruolo (o affidati in carico all’a­gente della riscossione [48]), anche se contestati. Nel giudizio di omologazione del concordato, quindi, al Tribunale sarebbe preclusa non soltanto qualsiasi delibazione sulla sussistenza, l’ammontare o la qualità del credito tributario contestato, ma anche qualunque valutazione circa l’opportunità di disporre o meno accantonamenti a tutela di tale credito, costituendo ciò un obbligo scaturente direttamente dalla legge. A questa conclusione la Cassazione giunge argomentando anche in ragione della devoluzione delle controversie aventi ad oggetto tale tipologia di crediti alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario [49], che osterebbe a qualunque delibazione incidentale da parte del Tribunale in ordine alla sussistenza del credito. Ed in effetti, una conferma del fatto che la ratio legis sottesa all’art. 90, 2° comma, d.P.R. n. 602/1973 sia proprio [continua ..]


6. I crediti contestati da altri creditori

La precedente disamina ha avuto riguardo all’ipotesi in cui taluno vanti nei confronti del debitore concordatario una pretesa che questi contesti nell’an o nel quantum, o rispetto alla quale disconosca la causa di prelazione affermata dal creditore. Occorre ora precisare che, ai fini in discussione, quale “credito contestato” potrebbe intendersi non soltanto una pretesa avanzata da terzi e che il debitore concordatario intenda disconoscere, ma anche una posta che questi abbia inserito nell’elenco ex art. 161, 2° comma, lett. b), L. Fall. ma che sia contestata da altri creditori concorrenti. Anche l’inclusione nel concordato di un credito in tutto o in parte inesistente potrebbe infatti alterare gli esiti della votazione, nonché incidere sul grado di soddisfazione degli altri creditori, aumentando il passivo concordatario e deprimendo corrispondentemente le aspettative di soddisfacimento di questi ultimi. Gli altri creditori, dunque, potrebbero essere interessati a far rilevare l’inesisten­za o il minore ammontare del credito medesimo, oppure l’inesistenza di una causa di prelazione, alla medesima stregua di quanto accade nel fallimento (e nella liquidazione giudiziale) con l’impugnazione dei crediti ammessi ex artt. 98, 3° comma, L. Fall. (e 206, 3° comma, c.c.i.). Non vi sono dubbi sul fatto che anche tale profilo possa essere oggetto di valutazione incidentale da parte del Tribunale, sia in fase di ammissione sia in fase di omologazione del concordato. In virtù del principio sancito dall’art. 2741 c.c. e delle norme dettate dagli artt. 160, 1° comma, L. Fall. e 84, 1° comma, c.c.i., come detto, il concordato preventivo deve tendere a realizzare il soddisfacimento di tutti i creditori; si può ora aggiungere che la proposta concordataria può essere rivolta soltanto nei confronti di soggetti che siano realmente creditori, non essendo ovviamente ammissibile che, per il tramite del concordato, al debitore sia consentito trasferire a terzi parte del proprio patrimonio in danno delle aspettative di soddisfacimento dei suoi reali creditori. Riscontrando un simile tentativo, quindi, oltre a poter disporre la revoca del­l’ammissione per esposizione di passività insussistenti ex art. 173, 1° comma, L. Fall., il Tribunale potrà certamente negare ex [continua ..]


7. Il voto dei creditori contestati

L’art. 176 L. Fall., il cui contenuto è riproposto sostanzialmente immutato nell’art. 108 c.c.i., detta un’apposita disciplina concernente l’esercizio del voto nel concordato preventivo da parte dei soggetti portatori di pretese contestate, prevedendo al 1° comma che “Il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi” [53]. Poiché il momento in cui viene in rilievo l’esercizio del diritto di voto è quello dell’adunanza dei creditori, che a norma dell’art. 174, 1° comma, L. Fall. è presieduta dal giudice delegato, al legislatore è parso coerente assegnare a tale organo il potere di ammettere provvisoriamente al voto i crediti contestati; competenza confermata dall’art. 108 c.c.i., considerato che, pur in assenza di una apposita adunanza, anche con l’entrata in vigore del nuovo Codice al giudice delegato resterà affidato il compito di sovrintendere alle operazioni di voto. In virtù del 2° comma dell’art. 176 L. Fall. [54] (nonché dell’art. 108 c.c.i.), i creditori esclusi dalla votazione dal giudice delegato possono opporsi all’esclusione in sede di omologazione del concordato, nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze. Tralasciando per il momento la necessità di fornire la c.d. prova di resistenza, è opportuno notare che, secondo la dottrina prevalente, sono legittimati all’opposizione non soltanto i creditori esclusi in relazione ai loro crediti, ma anche i creditori ammessi che intendano contestare l’altrui ammissione [55]. In realtà, atteso il pacifico potere del Tribunale di valutare anche d’ufficio tutti i profili attinenti alla regolarità della votazione, nell’ambito del più ampio dovere di verifica della legalità della procedura e dell’esito del voto [56], non dovrebbero nemmeno intravedersi ostacoli a che il Tribunale valuti in via officiosa tutte le determinazioni assunte dal giudice delegato in ordine all’ammissione o all’esclusione dal voto dei crediti oggetto di contestazione [57]. È chiaro che, nel [continua ..]


8. La verifica esterna alla procedura concordataria

La verifica dei crediti nel concordato preventivo consiste, come più volte detto, in una delibazione incidentale non idonea al giudicato, finalizzata a stabilire esclusivamente se della pretesa contestata si debba o meno tener conto nella predisposizione del piano e della proposta concordataria, nonché nelle operazioni di voto. In concreto, ciò vuol dire che le contestazioni sul credito potrebbero protrarsi anche oltre l’omologazione del concordato e che l’inclusione di una pretesa nel passivo concordatario non attribuisce di per sé il diritto ad esigerne il pagamento (sempre che la proposta abbia effettivamente subordinato il pagamento all’accertamento definitivo del credito), così come la sua mancata inclusione non pregiudica definitivamente le aspettative di soddisfacimento del titolare. A prescindere dagli esiti della verifica interna, dunque, il creditore pretermesso, l’imprenditore in concordato, nonché gli altri creditori concorrenti potrebbero avere interesse ad instaurare o proseguire un giudizio di cognizione volto a far accertare l’esistenza o inesistenza del credito [58]; soltanto all’esito di tale accertamento, infatti, si può stabilire con certezza se ed in che misura il portatore della pretesa contestata abbia o meno diritto di concorrere sul patrimonio del debitore. In considerazione di quanto appena esposto, occorre affrontare sia pur brevemente il tema dei possibili riflessi che il giudizio di verifica “esterno” potrebbe riverberare sullo svolgimento della procedura e sull’esecuzione del concordato eventualmente omologato. Se un credito è accertato con provvedimento coperto da giudicato formatosi anteriormente all’ammissione o all’omologazione del concordato, è persino ovvio che nessuno spazio di valutazione possa essere concesso al Tribunale nell’ambito della procedura concordataria [59]; tale credito dovrà necessariamente essere incluso nel piano e nella proposta concordataria. Se invece il giudicato interviene successivamente all’omologazione del concordato, è necessario operare alcune distinzioni. Nessuna particolare questione si segnala per l’ipotesi in cui l’eventuale accertamento esterno dovesse condurre alle stesse conclusioni, in senso positivo o negativo, raggiunte dalla verifica interna. Nella diversa ipotesi in cui il giudizio esterno finisse per [continua ..]


9. Conclusioni

Portando a conclusione l’indagine sin qui condotta, occorre anzitutto ribadire come l’istituto concordatario debba essere diretto al soddisfacimento di tutti i creditori dell’imprenditore in crisi e, al contempo, soltanto di essi. Da ciò discende che neanche nel concordato preventivo possa prescindersi da un vaglio giudiziale sul­l’esistenza, sull’ammontare e sul rango dei crediti nei cui confronti il concordato è destinato ad esplicare i propri effetti. Tale verifica, seppure condotta incidentalmente, si impone al fine di evitare che il concordato possa prestarsi ad utilizzi distorti o ad indebite discriminazioni tra i creditori dell’imprenditore in crisi, nonché per assicurare la genuinità della formazione del consenso sulla proposta, e sotto entrambi tali profili rientra nella sfera dei poteri esercitabili dal Tribunale anche in via officiosa, tanto nel vaglio di ammissibilità quanto nel giudizio di omologazione. Detta verifica può condurre alla declaratoria di inammissibilità o al rigetto del­l’omologazione del concordato qualora risulti che il debitore abbia promesso pagamenti a soggetti che non sono realmente suoi creditori o, all’opposto, quando risulti che il debitore non abbia tenuto conto (seppure soltanto in via condizionata al loro eventuale accertamento giudiziale) di pretese che il Tribunale giudichi incidenter tantum fondate. Nei limiti in cui di tali pretese si tenga conto nel piano e nella proposta concordataria, inoltre, tanto il Tribunale (all’esito del giudizio di omologazione) quanto il giudice delegato (nella fase di esecuzione) hanno il potere di disporre il deposito delle somme necessarie alla loro soddisfazione, ove ciò sia ritenuto opportuno al fine di assicurare loro una più efficace tutela. L’unica deviazione da tale regime è quella prevista dalla legge per i crediti tributari iscritti a ruolo, rispetto ai quali al Tribunale non è consentito condurre alcuna valutazione in ordine alla loro esistenza né all’opportunità di disporre accantonamenti; per tali crediti, dunque, l’inclusione nel piano e nella proposta concordataria ed il conseguente deposito delle somme costituiscono obblighi discendenti direttamente dalla legge, la cui inosservanza porta inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità o al diniego dell’omologazione [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3-4 - 2021